La
Nuova
Su
Facebook insulti e minacce alla Pes (Pd) Lei pubblica tutto e ribatte: «Non mi
fate paura, vado avanti». Solidarietà da tutte le forze politiche
Tra chi le augura di subire cose
terribili, c'è un uomo che nel suo profilo pubblica slogan contro la violenza
sulle donne. Nonostante questo su Caterina Pes, deputata uscente del Pd e ricandidata
al Senato, riesce a scrivere "disossatela!". È il primo degli
"auguri" che l'esponente politico oristanese riceve sulla sua bacheca
Facebook dopo avere pubblicato il proprio santino elettorale contenente
l'invito a mettere la croce sul simbolo del Pd. "Te la metto sul petto",
scrive uno. "In croce che ti mettano" aggiunge un altro. Per chiudere
con il più articolato: "Devi dirci dove è il cimitero e cosa vuoi che ci
scriviamo sulla lapide".
Tutti i commenti sono opera di
uomini, tutti più o meno di mezza età, alcuni con evidenti nostalgie verso il
Ventennio. La deputata Pes ha avuto un colpo al cuore nel leggere quello che
Facebook le sputava addosso. Veleno, odio, nel puro stile degli haters
boldriniani. E proprio come la presidente della Camera, Caterina Pes ha deciso di
non stare in silenzio. Uno screenshot e via, gli insulti - così come i nomi e
le facce degli autori - pubblicati sul suo profilo social, preceduti da questa
frase: «Ecco alcuni simpatici commenti che ho ricevuto in questi giorni. Come
vedete le argomentazioni politiche abbondano. Non mi fate paura, continuiamo a
girare la Sardegna, ad ascoltare, a confrontarci. Sempre col sorriso».
La solidarietà non si è fatta attendere
- da amici ma anche tantissimi avversari politici – così come la condanna per
un episodio giudicato gravissimo, intollerabile e che non può finire così, con
la sola gogna mediatica. In tanti suggeriscono alla deputata Pd di rivolgersi
alla polizia postale. E lei confida che forse lo farà, ma intanto spiega quanto
era importante non abbassare la testa. «Non mi era mai accaduto niente di
simile - dice durante la pausa di un incontro elettorale a Siamanna - e sono rimasta
interdetta. Persone che non conosco mi augurano di morire.
Sembra assurdo, soprattutto perché
tra due settimane ci saranno le elezioni. Quale migliore strumento per
esprimere dissenso e condivisione, se non il voto? Ho deciso di pubblicare quei
messaggi perché di fronte a fatti del genere non si può restare inermi. Faccio un
appello a tutti, perché si abbassino in toni e si recuperi la civiltà nelle
comunicazioni. Io, intanto, vado avanti». (si. sa.)
Unione
Sarda
«Noi
siamo seri e affidabili: il Pd sta cambiando l'Italia»
Gavino
Manca ricorda il suo impegno in Consiglio per la riforma del lavoro
Lavoro, lavoro, lavoro. È la
priorità di Gavino Manca, sassarese, 47
anni, consigliere regionale da tre
legislature. Renziano della prima
ora, Manca (che in via Roma presiede
la commissione Lavoro e Cultura)
è in corsa con il Partito
democratico per un posto da deputato
passando per il collegio 2 del
proporzionale. «In questi anni», spiega
Gavino Manca, «mi sono impegnato in
prima persona nella riforma dei
servizi per il lavoro e per la
stabilizzazione dei precari. C'è tanto
da fare ma questo rimane lo snodo
principale per far ripartire
l'Isola».
Visto dalla Sardegna: Europa madre o
matrigna?
«L'Europa politica è una delle più
grandi conquiste degli ultimi cento
anni: ha garantito una prolungata
pace nel nostro Continente, ha
promosso l'uguaglianza e lo sviluppo
dei diversi Paesi, puntando sulle
infrastrutture, sulla cultura, sul
sociale e sull'ambiente come non
avviene in nessun'altra parte del
mondo. Certo, Bruxelles è molto
lontana dai cittadini e va
migliorato il processo di rappresentanza
negli organismi comunitari. Ma la
Sardegna non può pensare di
staccarsi da questo processo e
andare da sola. Sarebbe un suicidio».
Come sta il Partito democratico? Che
impressioni le sta restituendo la
campagna elettorale?
«Tutti i giorni, nelle città e nei
paesi, incontriamo il popolo dei
circoli. Questa campagna elettorale
conferma che il Pd è l'unico
movimento veramente democratico che
c'è in Italia. L'ultimo posto
rimasto dove è possibile fare vita
politica, eleggere i propri
rappresentanti e confrontarsi su
temi e programmi in modo schietto e
trasparente. Senza urne elettroniche
gestite da una società privata.
Siamo un presidio della democrazia».
Lei è stato tra i primissimi a
credere in Matteo Renzi. Rispetto
all'immediato post-referendum, oggi
il Pd riesce a trasmettere il suo
spirito riformista?
«Renzi ha recentemente ricordato che
il Partito Democratico è una
“forza tranquilla” riformista e
affidabile. Il referendum non ha
fermato la nostra ambizione di
riformare il Paese. Dopo il famoso 40%
delle Europee, Renzi avrebbe potuto
“tirare a campare” cullandosi
sopra un consenso impressionante.
Invece ha preferito proporre agli
italiani una riforma coraggiosa e
necessaria. La crisi economica non
era ancora passata e i
professionisti della paura e del disfattismo
sono stati più convincenti. Ma noi andiamo
avanti perché l'Italia ha
bisogno del cambiamento».
Le liste chiuse a Roma sono state un
elemento “ingombrante”. Alla fine
va sempre così, per tutti, ma al Pd
vogliono “farla pesare”.
«Di certo i limiti e i ritardi
dell'approvazione della nuova legge
elettorale hanno pesato anche su di
noi. Resta però una differenza tra
il Pd e le altre liste e riguarda la
qualità del personale politico.
Io penso che le persone che
proponiamo agli elettori rappresentino nel
loro insieme una classe dirigente
credibile, responsabile e
competente. Radicata nel territorio
e accomunata dal senso delle
istituzioni. Si dica quel che si
vuole ma tra di noi non ci sono né
paracadutati dal Continente né
persone improvvisate».
Cinquestelle e Lega fanno breccia
tra i moderati…
«I Cinquestelle e la Lega ci provano
a indossare la maschera della
moderazione, per tranquillizzare i
mercati, i partner internazionali e
l'elettorato più avanti negli anni.
Ma nessuno dimentica il mix di
ignoranza e odio su cui hanno
costruito il loro percorso politico. Non
hanno cambiato pelle e non la
cambieranno. Fatevi un giro sul web e
guardate cosa dicevano i leghisti
fino a poco tempo fa dei
meridionali».
Come andrà a finire? Berlusconi,
Renzi e il Rosatellum... Un piano che
“costringe” alle larghe intese?
«Chi dice che centrodestra e
centrosinistra si siano già accordati non
ha letto i rispettivi programmi. Ci
sono differenze abissali: dal
rifiuto del neo-assistenzialismo
alla vocazione europeista, dalla
lotta all'evasione fiscale ai
progetti di riforma dello Stato.
Soprattutto ci differenzia un
aspetto: il nostro programma non è stato
scritto per alimentare le paure
degli italiani o per illuderli, ma per
trovare risposte concrete in grado
di soddisfare i bisogni di tutti.
Noi stiamo correndo per governare da
soli. Ma a differenza del
comportamento assunto dai
Cinquestelle con Bersani, se sarà necessario
potremmo anche fare una scelta di
responsabilità per il bene degli
italiani».
Nicola Scano
Minacce
web contro Caterina Pes
Valanga
di insulti sulla bacheca Facebook della deputata Pd. Lei: vado
avanti
col sorriso
Uno degli haters (odiatori,
ovviamente sul web) aveva addirittura in
bella vista, sulla propria pagina
Facebook, lo slogan contro la
violenza sulle donne. Eppure questa
apparente sensibilità non gli ha
impedito di contribuire alla valanga
di insulti e minacce che ha
invaso la bacheca “social” di
Caterina Pes, deputata del Pd che cerca
il rientro in Parlamento
candidandosi al secondo posto del listino
proporzionale al Senato.
Un'ondata di odio nata non da una
specifica presa di posizione
politica di Pes (che comunque non
giustificherebbe gli eccessi), ma
dalla banale pubblicazione sulla bacheca
della deputata di una sorta
di santino elettorale. Con l'ovvio
invito: «Vota mettendo una croce
sul simbolo Pd». I commenti
offensivi erano perlopiù giocati attorno
all'uso violento della «croce». Uno
invece, più originale, ha scritto
un incredibile «disossatela».
È stata la stessa Pes a denunciare
il fatto pubblicando - sempre su FB
- una piccola selezione di insulti,
con una reazione molto sobria:
«Ecco alcuni simpatici commenti che
ho ricevuto in questi giorni», ha
scritto l'esponente Dem, «come vedete
le argomentazioni politiche
abbondano. Non mi fate paura,
continuiamo a girare la Sardegna, ad
ascoltare, a confrontarci. Sempre
col sorriso».
Raggiunta più tardi al telefono,
mentre già piovevano attestati di
solidarietà da gente comune e da
amici e avversari politici, Pes si è
detta determinata «a proseguire una
battaglia per la libertà di
ciascuno di esprimere le proprie
idee. Nessun problema se si
contestano le mie posizioni: ma è
assurda una simile esplosione di
violenza per un semplice invito al
voto, che è poi proprio il migliore
strumento a disposizione di chi
volesse bocciare la mia attività
politica». In serata, ancora tramite
Facebook, la deputata ha
ringraziato tutti «per la vicinanza
dimostrata oggi», ribadendo la
scelta per una «politica fatta di
confronto anche duro, ma nel
rispetto reciproco». (g. m.)
Renzi:
«La partita è tutta aperta»
Il leader
del Pd: possiamo essere il primo partito
ROMA La rotta è burrascosa ma Matteo
Renzi non intende mollare i
comandi: qualunque risultato farà il
Pd non si dimetterà. Anche con il
partito fermo al 20 per cento?
«Assolutamente», risponde rievocando
quel personaggio di “Non ci resta
che piangere”, che diceva «ricordati
che devi morire» e cercando di
allontanare quella fase «di pessimismo
cosmico» che aleggia intorno al
Nazareno. Negli ultimi dieci giorni,
ripete, «sono decisivi» i voti degli
incerti, «la partita è totalmente
aperta» e si gioca «sul filo».
«Il nostro obiettivo è essere il
primo partito e quindi il primo
gruppo parlamentare ed è alla nostra
portata». Il leader dem è in
Sicilia e ancora una volta punta ai
voti dei moderati, cercando di
strappare voti al centrodestra
ricordando - a Messina così come a
Palermo - i trascorsi non certo
felici di Matteo Salvini al Sud
(«ormai non è più Berlusconi il
leader») e ricordando le mancate
promesse dell'ex Cavaliere, dal
ponte sullo Stretto alla riduzione
delle tasse.
Renzi ribadisce quindi il suo no
alle larghe intese. «Su
questo Berlusconi ha ragione -
sottolinea - ma sbaglia a dire che noi
non teniamo. Berlusconi sta facendo
una campagna che neanche il mago
Silvan». Intanto il segretario Pd
incassa il nuovo endorsement
arrivato a Paolo Gentiloni. A
tessere le sue Lodi, questa volta,
Giorgio Napolitano: è divenuto «punto
essenziale di riferimento per il
futuro prossimo e non solo nel breve
termine - scandisce il presidente
della Repubblica emerito - della
governabilità e stabilità politica
dell'Italia».
M5S,
quasi pronta la squadra
Di Maio:
nel governo persone giuste al posto giusto
ROMA Meno undici all'Election Day
che segnerà, probabilmente, un
pareggio di fatto tra le maggiori
forze politiche del Paese. Luigi Di
Maio si prepara allo sprint finale
verso le urne che culminerà nella
chiusura della campagna elettorale
il 2 marzo in piazza del Popolo
insieme a Beppe Grillo e Alessandro
Di Battista.
Il candidato premier è «fiducioso»
in quanto «l'onda sta montando».
Attesa per la prossima settimana
anche la rosa dei ministri. «Abbiamo
già quasi tutti i nomi, tra le
migliori energie del Paese. Una squadra
di persone giuste al posto giusto.
Saremo gli unici a farlo prima del
voto».
Di Maio si dice entusiasta «della
squadra che stiamo creando». «Le
persone che mi stanno dando la loro
disponibilità sono un patrimonio
di tutta Italia», assicura, sebbene
si siano rincorse più voci circa i
rifiuti incassati dai Cinquestelle
da parte di personaggi illustri che
non se la sono sentita di accettare
la sfida di entrare in un
ipotetico governo pentastellato. Le
ragioni dei no sembrano essere le
più diverse, non ultima il caso Roma
e le teste saltate in
Campidoglio. Stretto riserbo, in
ogni caso, sulle identità del
pantheon Cinquestelle.
A Silvio Berlusconi che «vorrebbe
pure imbarcare» i candidati M5S che
non hanno restituito i soldi per il
fondo del microcredito, di Maio
risponde: «Quasi tutti hanno già
firmato il modulo con il quale si
impegnano a non accettare la
candidatura quindi non potrà fare i suoi
giochetti».
Cagliari
Villa
Devoto, sala Giunta intitolata a Lussu
Sarà intitolata a Emilio Lussu la
sala Giunta di Villa Devoto. La
decisione è stata presa
dall'esecutivo attraverso una delibera che
prevede, nell'ambito delle
celebrazioni per i settant'anni dalla
promulgazione dello Statuto, di
dedicare uno spazio altamente
simbolico della vita istituzionale
della Sardegna a uno dei più
strenui difensori delle idee
dell'autonomismo e del federalismo.
La proposta era stata fatta dagli
assessori agli Affari generali ed
Enti locali, Filippo Spanu e
Cristiano Erriu. L'occasione era stata un
convegno, tenutosi lo scorso 27
gennaio, ad Armungia: un appuntamento
programmato all'interno delle
celebrazioni per il settantennale della
Carta autonomistica.
I due esponenti della Giunta Pigliaru,
riferendosi alla storia di Emilio
Lussu hanno evidenziato «la sua
preziosa eredità politica e il
patrimonio ideale di grande valore».
Erriu e Spanu, inoltre, sottolineano
l'importanza del «pensiero e
dell'esperienza sia umana che
intellettuale», del “Cavaliere dei
Rossomori”. «Si tratta di memorie
incancellabili, da trasmettere alle
giovani generazioni, e di un forte
impulso per il processo di
rinnovamento dell'autonomia della
nostra Isola», concludono i due
assessori. (m. s.)
Giorgia
Meloni «Prima l'Italia e la zona franca»
Ci sono sogni irrealizzabili: «Come
sta la mia Sardegna?», chiede
Giorgia Meloni prima di partire per
Cagliari, «mi manca. Vorrei starci
un po', fare un bagno al mare...».
Ma in campagna elettorale e col
fresco di febbraio non si può, e lei
lo sa. Poi ci sono sogni
altrettanto audaci, però chissà mai:
«Mi piacerebbe essere la prima
premier donna», confida la leader di
Fratelli d'Italia, «il Paese è
pronto».
Premier per fare cosa?
«Un governo di patrioti, che metta
al centro dell'agenda il lavoro
italiano, le imprese italiane, la
sicurezza, la difesa dei confini e
delle nostre identità e tradizioni:
anche dal tentativo di
sostituzione etnica voluto dalla
sinistra. In sintesi: la difesa
dell'Italia e degli italiani».
Salvini parla di flat tax,
Berlusconi vuole ritoccare le pensioni. FdI
per quale proposta si caratterizza?
«Ovviamente la priorità è il lavoro,
e non basta una proposta sola.
Cito però l'iniziativa “più assumi
meno paghi”: una superdeduzione del
costo del lavoro per le imprese con
alta percentuale di manodopera in
rapporto al fatturato».
Questo perché temete una ripresa
senza occupazione?
«Esatto: non sempre se cresce la
produzione cresce l'occupazione, per
varie ragioni. Noi aiuteremo le
imprese con più dipendenti, rispetto a
quelle del web che hanno alti
fatturati e pochi dipendenti».
Quale tipo di sviluppo auspicate?
«Vogliamo andare sempre più verso
una tutela del marchio italiano. Nel
mercato globalizzato non potremo
competere sulla quantità o su
prodotti non brandizzabili , in cui
non si riconosca l'origine
nostrana. Siamo una nazione
medio-piccola ma con un marchio
fortissimo: se non si può
contraffarlo, non temiamo di stare sui
mercati internazionali».
E come si tutela il “brand”?
«Con la difesa feroce del made in
Italy, in agricoltura e non solo.
Contro i trattati che non tutelano
il marchio Italia e le nazioni che
fanno dumping all'importazione».
Anche l'agroalimentare sardo soffre
di concorrenza sleale.
«Lo so benissimo, e sono prodotti
unici al mondo. Non devono subire il
cosiddetto italian sounding . Più in
generale, il punto è investire su
tutto quello che i cinesi non ci
possono copiare».
Quindi anche nel turismo?
«Eccome. Intendiamo rivedere le
competenze di Stato e regioni,
ragionare di Iva sul turismo,
vincolare la tassa di soggiorno a
investimenti precisi».
Il caso Embraco era evitabile?
«Sì, se l'Italia avesse una seria
politica contro le delocalizzazioni.
Proprio su questo abbiamo definito
la nostra proposta di tassa piatta
(non parlo di flat tax perché non mi
piacciono le parole straniere)».
C'era da immaginarlo. Cosa prevede
la vostra proposta?
«Che valga solo per imprese che non
hanno delocalizzato. E chi ha
ricevuto incentivi statali, se
delocalizza deve restituirli. Aiutiamo
solo chi produce e assume qui».
Non è un problema che si risolve
solo dentro i confini italiani.
«È chiaro che a monte c'è un nodo
europeo: Embraco chiude in Italia
per aprire in Slovacchia, che
applica il dumping salariale ed esprime
un commissario Ue che a noi ha
creato vari problemi. Ma certo non può
porre il problema in sede europea un
governo fantoccio come quelli
recenti. Lo farà il nostro governo
di patrioti».
Ma il premier lo esprimerà il
partito più votato della coalizione.
«Questa cosa funziona se tutti i
nomi sono sul tavolo prima del voto.
Gli italiani devono sapere chi
stanno scegliendo: fu proprio il
centrodestra a inserire il principio
dell'indicazione del candidato
premier, anche se non formale».
Se fosse Tajani?
«Non è esattamente il mio modello.
Vorrei qualcuno più capace di
battere i pugni in Europa. Però se
FI prima del voto dice che il
candidato è Tajani e gli elettori la
premiano, ne prendo atto».
Si sentirebbe più garantita con
Salvini a Palazzo Chigi?
«Mi sento più garantita da me
stessa. Con Salvini abbiamo fatto
battaglie importanti, ma ci sono
anche differenze fondamentali».
È per superarle che ha proposto una
manifestazione unitaria?
«Diciamo che dare segnali di unità
farebbe bene al centrodestra, dopo
una campagna elettorale in cui
sembra che scipparci voti tra noi conti
più che contenderli agli altri. A
questo gioco, a dire il vero, FdI
non partecipa: perché così il
rischio di apparire una coalizione
incapace di governare è reale».
Ma ancora non c'è l'ok degli alleati
alla manifestazione, solo Salvini
sembra interessato.
«Vedo che lui ci sta invitando a
partecipare alla sua chiusura della
campagna elettorale, ma è cosa ben
diversa da ciò che ho proposto. Io
parlo di manifestazione unitaria, e
ho indicato il primo marzo proprio
per non disturbare quelle di
chiusura dei singoli partiti».
Ha anche scelto il luogo?
«No, ma direi in una località del
Centro-Sud per dare un segnale di
attenzione al Mezzogiorno, dopo
tante iniziative al Nord».
Insomma, c'è da temere più gli
avversari o gli alleati?
«Beh, no, chiaramente noi vogliamo
battere gli avversari. Ciò che temo
è la legge elettorale proporzionale,
che infatti noi non votammo,
fatta per favorire il caos».
Il 4 marzo non vincerà nessuno?
«Il 4 marzo ci sono solo due
possibilità: o vince il centrodestra,
l'unico che può avere una
maggioranza chiara, o sarà il caos. E allora
può capitare di tutto. Magari un
governo Gentiloni oppure, che so:
Minniti, Bonino. O Di Maio».
Mai larghe intese, per voi?
«In nessun caso. Chi ci sceglie sa
che il suo voto non sarà mai usato
per un governo di quel tipo. I
nostri candidati hanno firmato un
impegno solenne. Se non lo fanno
anche i nostri alleati, confesso che
non mi sento tranquillissima».
Hanno firmato anche l'impegno a non
cambiare casacca in Parlamento. Ma
se per la maggioranza di
centrodestra fossero decisivi eventuali
fuorusciti dal M5S, lei come la
prenderebbe?
«Chiederei che semmai diano la
disponibilità a sostenere di volta in
volta le nostre proposte. Senza un
ingresso stabile in maggioranza».
La sua visita a Cagliari inizierà da
Sant'Elia. Perché?
«Lo stiamo facendo in tutte le città
d'Italia: partiamo dai quartieri
popolari, dalle situazioni più
complesse di abbandono. Come nelle aree
terremotate, dove da anni aspettano
le casette. Mentre il governo in
un pomeriggio trova 20 miliardi per
il Monte dei Paschi. O trova il
modo di aiutare il Sud del mondo ma
non il Sud d'Italia. Vede, il
sentimento di insicurezza generato
dai flussi migratori si lega anche
alle questioni economiche. Questa
situazione disincentiva gli
investimenti, uccide il piccolo
commercio».
Sardegna zona franca: secondo lei è
una possibilità o un'utopia?
«Non solo è possibile: la
consideriamo un diritto. Abbiamo avviato uno
studio serio per verificarne gli
effetti su entrate e occupazione».
Quindi se vincerà il centrodestra
sarà nel programma di governo?
«Di sicuro noi la proporremo».
Condivide la battaglia per inserire
il principio d'insularità nella
Costituzione?
«Sono per il riequilibrio
dell'insularità; non per un contentino in
Costituzione che resti inapplicato
come tante dichiarazioni di
principio. Alla Sardegna, come al
Sud, serve un piano straordinario di
investimenti in infrastrutture».
Lei difende la patria italiana.
Nell'Isola però ci sono forti
sentimenti indipendentisti.
«Da patriota, comprendo i sentimenti
d'appartenenza. Io però credo
nell'Italia unita, pur riconoscendo
una specificità ai sardi,
orgogliosamente italiani da sempre.
Attenzione però: oggi le divisioni
convengono ai poteri forti».
Che cosa intende dire?
«Che le piccole nazioni non possono
competere nel mercato globale. Non
a caso dietro la questione catalana
c'è Soros. Oggi per l'Italia
l'unità nazionale è la grandezza
minima per difendersi».
La
Nuova
Nuoro, il
collegio rosso nel mirino di destra e M5s
La
circoscrizione del centro Sardegna comprende anche Ogliastra e Marghine
Il Pd
schiera Sabatini, l'ex Zidda con LeU. Murgia per FdI,
un'avvocata
per i grillini
di Alessandro PirinawSASSARICentrodestra
e Movimento 5 stelle
proveranno a strappare al Pd la
roccaforte di Nuoro. Il collegio rosso
per antonomasia. Ai tempi del
Mattarellum i tre vecchi collegi che
oggi compongono quello della
Sardegna centrale - Nuoro, Tortolì e
Macomer - sono sempre stati
appannaggio del centrosinistra. Anche
quando l'Italia, e il resto della
Sardegna, sceglievano la destra.
Dall'ultima volta dell'uninominale
sono passati 17 anni, ma alle
politiche il centro Sardegna ha
sempre preferito la sinistra. Anche
nel 2013, quando l'Italia aveva
abbandonato il bipolarismo per lo
scontro tra tre coalizioni: il
centrosinistra aveva messo insieme il
37 per cento, il Movimento 5 stelle
aveva strappato un ottimo 25,
mentre il centrodestra si era
fermato intorno al 20. Il 4 marzo
saranno 10 i candidati in corsa nel
collegio di Nuoro.
Centouno comuni
che vanno dalla costa orientale a
quella occidentale. Barbagia,
Ogliastra e Marghine. Il
centrosinistra schiera il consigliere
regionale del Pd, Franco Sabatini,
presidente della commissione
Bilancio, che ha dalla sua anche
l'appoggio delle liste Insieme, Più
Europa con Emma Bonino e Civica
popolare Lorenzin. A sinistra Sabatini
se la dovrà vedere con l'ex sindaco
di Nuoro, Mario Demuru Zidda, che
dopo avere lasciato il Pd ha aderito
a Mdp e ora corre con Liberi e
uguali. Il centrodestra schiera il
deputato uscente Bruno Murgia,
esponente di Fratelli d'Italia,
capolista pure nel collegio
plurinominale del centro nord.
A sostegno di Murgia l'intero
centrodestra: Forza Italia, i
centristi di Noi con l'Italia e la Lega
alleata del Partito sardo d'azione.
È invece l'avvocata e criminologa
Mara Lapia, originaria di Oliena e
Orgosolo, residente a Posada, a
correre sotto le insegne del
Movimento 5 stelle. Un'altra donna è in
lizza con il Progetto
Autodeterminatzione, la coalizione che mette
insieme la galassia indipendentista
e identitaria: si tratta di Lucia
Chessa, per 10 anni sindaca di
Austis, esponente dei Rossomori.
L'insegnante Anna Cacciatori,
presidente della associazione
partigiani, è il nome della sinistra
di Potere al popolo, Bruno Atzori
corre con il Partito comunista di
Marco Rizzo. La mediatrice familiare
Alessandra Carbognin è la candidata
del Popolo della famiglia di
Adinolfi, Massimo N. Maini corre con
il Partito del Valore umano.
Infine, Giulia Serra è il nome
scelto da Casa Pound per il collegio di
Nuoro.
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Federico
Marini
skype:
federico1970ca
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