Il
sindaco di Uta: ponti chiusi e rischio esondazione, noi soli a gestire
l'emergenza, Cixerri, c'è un guasto nella diga: più della metà dell'acqua in
mare.
Nel bel mezzo delle attività di
scarico del bacino, irrompe un guasto dell'impianto oleodinamico della diga
Genna is Abis: è il sistema di controllo di una paratoia a ventola che regola
il livello dell'invaso, mai come oggi in piena. Il danno comporta un aumento
dell'acqua sversata in mare (la diga contiene circa 22 milioni di metri cubi e
si stima che se ne dovranno eliminare ben 14) e il pericolo esondazione del
fiume Cixerri.
L'allarme ha costretto il sindaco di
Uta, Giacomo Porcu, a emanare un'ordinanza per la chiusura di due ponti che rischiano
di essere sommersi: per almeno due giorni sono vietati traffico e transito del
cavalcavia da e verso via Ponte e del ponte sommergibile sotto la sopraelevata
di Sant'Ambrogio, passaggio strategico utilizzato da allevatori e agricoltori,
per i quali gli sprechi d'acqua sanno di beffa.
L'ENAS «È in corso lo scarico
parziale del serbatoio, anche – per limitare gli sprechi - con il trasferimento
dell'acqua nel bacino di Bau Pressiu», fa sapere l'Enas. «L'intervento si
concluderà entro venerdì». L'obiettivo? «Consentire l'immediata riparazione»
del guasto, «assicurando condizioni di sicurezza per rischio idraulico a valle
dello sbarramento». Una situazione comunicata a Giacomo Porcu lunedì notte: «In
questo momento - dice il sindaco - siamo interessati a garantire la sicurezza
dei cittadini».
STRADE PRESIDIATE Le strade saranno
presidiate da volontari di associazioni locali, barracelli, protezione civile
utese e regionale. «Abbiamo chiesto maggiore supporto a livello regionale»,
aggiunge Porcu: «Impossibile gestire un'emergenza
del genere con le sole forze comunali». Porcu si lamenta per «essere stato
avvertito solo in nottata: non era segnalata nessun
tipo di allerta, quindi non eravamo preparati e il piano di protezione civile
non prevedeva di avere adeguate forze in campo. In questi casi sarebbe
opportuno che il piano di gestione regionale o un ente sovraordinato siano in
grado di intervenire: è impensabile ipotizzare che in mezz'ora i volontari del Comune
possano gestire un'urgenza come questa».
PILI L'ex presidente della Regione
Mauro Pili denuncia lo «sversamento di 70 mila litri d'acqua al secondo in
mare, su un potenziale di 24 milioni totali: uno scandalo senza precedenti,
causato dal malgoverno regionale».
L'INCOMPIUTA La scorsa settimana,
l'ennesima protesta per la mancata attivazione da oltre 30 anni del distretto
irriguo Uta Nord: un impianto di oltre 1.700 ettari che eviterebbe lo spreco,
garantendo il recupero di acqua, anche in casi di emergenza idrica, ai terreni agricoli
di Uta, Villaspeciosa e, in parte, Decimomannu.
Lorenzo Ena
La
Nuova
Dopo la
batosta il Pd studia le contromosse
Domani l'
incontro tra i consiglieri e Pigliaru: l'obiettivo è
rilanciare
subito il programma di governo
CAGLIARIIl gruppo del Pd fa quadrato
dopo lo scoppola incassata dal
partito nelle elezioni Politiche del
4 marzo. C'è stato un primo
confronto, in questi giorni, e
domani mattina il secondo. Ma stavolta
sarà presente anche il governatore
Francesco Pigliaru e gli argomenti
sul tavolo saranno diversi.
L'incontro col governatore dovrebbe
servire a preparare anche un sempre
più necessario vertice di
maggioranza annunciato subito dopo
Pasqua.
Poi sul tappeto ci sono
anche i prossimi e ultimi dieci mesi
di legislatura. Nei giorni
scorsi, il capogruppo Pietro Cocco
avrebbe concordato con gli altri
consiglieri una possibile scaletta
della priorità. In ordine sparso
gli argomenti dovrebbero essere
questi; possibili correzioni alla
riforma della rete ospedaliera e
della legge sul riordino degli enti
locali, tra l'altro annunciati
sabato proprio da Pigliaru nella
convention organizzata a Cagliari da
Campo progressista.
Poi c'è
l'argomento degli argomenti, la
legge urbanistica, una prima verifica
sul piano straordinario per il
lavoro, Lavoras, e anche su come
possono essere accelerati i
pagamenti dei contributi in agricoltura.
Potrebbe essere messa al centro della
riunione anche la legge
elettorale. Elencati gli argomenti,
il vertice Pd-Pigliaru potrebbe
servire però ad affinare soprattutto
l'azione politica, col Partito
democratico sempre più deciso a
recuperare il rapporto con gli
elettori in vita delle Regionali del
2019 e finito in crisi, che
crisi, nelle elezioni politiche.
«Dobbiamo puntare a una maggiore
partecipazione nelle scelte e venire
incontro ai bisogni della gente,
soprattutto delle persone in
maggiore difficoltà».
Con un occhio anche
molto attento a quanto hanno
cominciato già a fare i prossimi
avversari. A cominciare dai Cinque
stelle, che hanno aperto un primo
laboratorio per gettare le basi del
programma 2019, ma anche Forza
Italia, sempre più decisa a
coinvolgere i sindaci in questa lunga
campagna elettorale. In due parole,
il Pd, dopo la sconfitta del 4
marzo, ha bisogno di ritrovare e
domani lo farà subito incontrando il
governatore. Intanto a Roma, come ha
fatto sapere l'assessore Luigi
Arru, sta per concludersi l'esame
dei tecnici del ministero sulla
riorganizzazione della rete
ospedaliera, approvata il 24 ottobre dal
Consiglio regionale. «Sta andando
anche meglio del previsto - ha detto
Arru - Alla fine le osservazioni
dovrebbero essere minime e riguardare
solo alcuni aspetti marginali
all'interno dei piccoli ospedali». Dopo
aver ricordato che il dossier è
stato inviato a novembre,
Arru s'è detto ottimista fino ad
annunciare: «Il parere definitivo del
ministero potrebbe arrivare nei prossimi
giorni e a quel punto vedremo
se le nostre previsioni sono state
giuste». Se ci sarà davvero il via
libera tecnico alla Sardegna
potrebbero essere presto trasferiti 250
milioni per l'edilizia sanitaria e
invece finora bloccati in attesa
della riorganizzazione di reparti e
posti letto. Sono i finanziamenti
più volte sollecitati dall'Asl unica
e dalle altre aziende per la
ristrutturazione, in alcuni casi
profonda, degli ospedali. (ua)
Vertice
dopo Pasqua. Leader Lega: basta aut-aut. Il capo M5s: conta la
volontà
popolare Di Maio-Salvini, ora è duello di Michele Esposito
ROMA
La premiership e Silvio Berlusconi:
i due grandi nodi per l'alleanza
tra M5S e Lega emergono, dopo esser
rimasti nel retropalco delle
partita per le Camere, ad una
settimana dalle consultazioni. Sono temi
sui quali Luigi Di Maio e Matteo
Salvini appaiono al momento distanti,
con il primo che non sembra voler
rinunciare alla guida del governo e
il secondo che è tutt'altro che
disponibile ad accettare aut aut. Il
tempo, la crescente necessità di un
governo, e la prevedibile moral
suasion del Colle - verso, ad
esempio, la scelta di una terza figura
per il governo - sono tuttavia
destinati a smussare le angolature di
una convergenza difficile ma non
impossibile.
Una convergenza sulla
quale, dopo Pasqua, il vertice Di
Maio-Salvini potrebbe dare un primo
orizzonte. È Salvini a disegnare i
contorni del duplice binario con il
M5S: quello del duello e quello del
dialogo. «Se Di Maio dice "o io o
niente" sbaglia, perché oggi è
niente», attacca Salvini che pone al
M5S un altro paletto: «se dicono
fuori FI, arrivederci». Ed è questa,
alla lunga, che per Di Maio e i suoi
risulterà la condizione più dura
da digerire con una parte non
marginale dei gruppi (e dell'elettorato)
che al momento vedono come
fantapolitica un'alleanza con Berlusconi.
«E Beppe che dirà?», si chiede un
deputato immaginando anche una
reazione di Beppe Grillo. Nessuno,
almeno in superficie, attacca
tuttavia Di Maio per le sue
aperture.
«Ci muoviamo in una palude, in
terreni a noi inesplorati», spiega
un esponente del M5S dando il senso
delle difficoltà del Movimento a
scendere a patti fino a qualche tempo
mai neppure immaginati. Patti che,
sulle Camere, si sono concretizzati
dando vita ad un dialogo
ininterrotto. Di Maio e Salvini continuano a
sentirsi. E ieri il leader della
Lega ha fornito una nuova sponda al
M5S sui vitalizi («alcuni sono
immorali, serve un segnale»), definendo
i pentastellati «ragionevoli» mentre
c'è chi, tra i leghisti, parla
già di liste dei ministri in cantiere.
Salvini annuncia poi un faccia
a faccia «la prossima settimana, in
campo neutro, alla Camera o al
Senato». Sarà un colloquio che
avverrà, probabilmente, prima che Lega
e M5S salgano al Colle e che
potrebbe incrociarsi con gli incontri
annunciati da Di Maio con «tutte le
forze politiche». Incontri che si
terranno prima delle consultazioni
al Colle e che il leader del M5S
allarga a tutti i partiti tenendo,
con tenacia, aperta la porta a un
Pd che al momento appare fermo nel
suo ruolo di opposizione. I canali
tra M5S e Dem non sono però del
tutto interrotti.
La risoluzione sul
Def che il Movimento sta preparando
ha potenziali punti di convergenza
anche con il Pd mentre il governo
conferma la volontà di non entrare a
gamba tesa. Il lavoro sul Def, si fa
sapere da Palazzo Chigi, è di
puro rendiconto e non c'è alcuna
intenzione di «golpe economici». E se
un esecutivo si formerà in tempi
brevissimi l'attuale governo è pronto
a non avanzare più la sua proposta.
Dopo una giornata di silenzio è
infine Di Maio a replicare a
Salvini. Sulla premiership «non mi
impunto per una questione personale.
È la volontà popolare quella che
conta», sottolinea Di Maio
ricordando il 32% incassato dal M5S. E
ribadendo il suo «no» a governi di
scopo, tecnici, o di «perdenti». «A
Fico sono mancati 60 voti di FI»,
sottolinea infine Di Maio quasi
suggerendo, a Salvini,
l'inaffidabilità del suo alleato. Un alleato
con cui, tuttavia, il leader della
Lega al momento non può rompere
definitivamente. Toccherà ad uno dei
due cedere, in una guerra di
nervi che, sulle Camere, alla fine
ha sorriso ad entrambi.
Il primo
presiede il gruppo della Camera, il secondo quello di Palazzo Madama
Martina
pone la «fiducia» e ottiene il consenso, Renzi rinuncia
all'ipotesi
Guerini Scontro rinviato nel Pd
Eletti
Delrio e Marcucci
Graziano Delrio capogruppo alla
Camera,
Andrea Marcucci al Senato. La
mediazione nel Pd arriva quando si è a
un passo dalla rottura, in una riunione
al terzo piano del Nazareno
presenti, con il reggente Maurizio
Martina, tutti i «big», a partire
da Matteo Renzi. Gli
«ultra-renziani» vorrebbero andare alla conta,
non mediare con la minoranza e la
maggioranza non-renziana. Ma l'ex
leader accetta il passo indietro di
Lorenzo Guerini, suo candidato
iniziale. E Martina porta in
assemblea il tandem Delrio-Marcucci,
legando alla loro elezione il suo
mandato.
Lo scontro è solo rinviato:
ad aprile in assemblea Martina
potrebbe essere «promosso» segretario
ma in area renziana più d'uno ora
dice che «se lo può scordare». È una
mossa di Martina, in mattinata, a
riaprire i giochi: il braccio di
ferro non accenna a sbloccarsi, la
minoranza chiede che almeno uno,
tra Guerini e Marcucci, faccia un
passo indietro in segno di
discontinuità, e il reggente mette
sul tavolo il nome del renziano
Tommaso Nannicini come possibile
capogruppo al Senato.
Non esiste, per
i renziani, che rilanciano con il
nome di Teresa Bellanova, gradita
all'ex segretario ma considerata
dell'area Martina. Circolano altre
ipotesi, come Pinotti. Alla Camera
si vede Walter Veltroni, ma
assicura di esser lì solo per andare
in banca. Al dunque, Renzi apre
su due soluzioni: Delrio-Marcucci o
Guerini-Bellanova. Guerini si dice
pronto al passo indietro per
favorire l'intesa. Delrio, che frenava,
accetta. E dopo non poche tensioni,
si chiude. Con una mediazione che,
affermano i «martiniani», è frutto
del lavoro del reggente. Ma che
secondo i renziani nasce dalla
scelta dell'ex leader di non rompere
andando alla conta.
Nelle assemblee, prima alla Camera,
poi al Senato,
Martina porta i due nomi che
incarnano, spiega, «spirito di squadra e
unità per il rilancio» del partito:
vi presento queste due
candidature, afferma il reggente
mettendo sul tavolo il suo incarico,
e vi chiedo di approvarle dando
fiducia al lavoro da me fatto fin qui.
«Habemus papam», scherza poi
all'uscita. La minoranza orlandiana
accoglie il nome di Delrio, renziano
ma «eretico», come un «segnale
sulla via di un maggiore dialogo».
Ma non tutti sono contenti.
Antonello Giacomelli non nasconde il
disappunto: «Abbiamo scelto un
nome inclusivo attraverso la
esclusione di Guerini». Ai più scontenti
Renzi, che si mostra soddisfatto,
invia messaggi invitando alla
pazienza, in vista della partita che
si aprirà ad aprile in assemblea.
Martina resta candidato al ruolo di
segretario, fino al prossimo
congresso. «Ha saputo tenere unito
il partito», lo elogia Franceschini.
Ma i renziani, che hanno la
maggioranza, già lavorano a
un nome alternativo (come Richetti o
Guerini). «Attende i capigruppo
un lavoro importante al servizio del
Paese», si complimenta Paolo
Gentiloni. «Faremo opposizione ma
saremo massimamente responsabili: il
Pd ha grande senso delle istituzioni»,
afferma Delrio. E Renzi con i
suoi sottolinea che il risultato è
che con due capigruppo renziani si
blinda la linea del Pd
all'opposizione.
Ma i «pasdaran» vicini al
segretario tengono alta la guardia:
il «correntone» governista, con
cui Delrio mantiene ottimi rapporti,
si va ingrossando - osservano -
ogni giorno. Prima delle
consultazioni, però, c'è da chiudere la
partita parlamentare: Ettore Rosato
e l'orlandiana Anna Rossomando
sono i nomi in «pole» per due
vicepresidenze di Camera e Senato. Ma in
queste ore si sta trattando anche
per ottenere un questore in ogni
ramo del Parlamento.
Unione
Sarda
Le scelte
dei partiti
Delrio-Marcucci
capigruppo Pd, due donne per FI
ROMA Alla fine il Pd evita di
spaccarsi sulla scelta dei capigruppo
parlamentari, come aveva chiesto il
reggente nazionale Maurizio
Martina. I deputati eleggono per
acclamazione il ministro uscente
delle Infrastrutture, Graziano
Delrio; nello stesso modo i senatori
nominano Andrea Marcucci. Ma per
evitare la conta interna lo stesso
Martina ha dovuto di fatto porre una
questione di fiducia, mettendo
sul piatto il proprio mandato
durante un vertice con Renzi e pochi big
del partito al Nazareno.
Decisivo il passo indietro su
Lorenzo Guerini, coordinatore della
segreteria, che sembrava destinato a
guidare il gruppo della Camera:
poi però la minoranza ha “strappato”
Delrio, considerato più autonomo
rispetto a Renzi. «Nessuna
bocciatura», ha detto alla fine Martina,
«nessun passo indietro», ha ribadito
Guerini. «Bene così», ha concluso
Renzi. Per Delrio anche un tweet di
congratulazioni del presidente
della Regione Francesco Pigliaru,
che lo definisce «grande ministro e
grande amico della Sardegna».
Nessuna sorpresa nelle altre forze
politiche. Forza Italia punta su
due donne, Anna Maria Bernini al
Senato e Maria Stella Gelmini alla
Camera: in entrambi i casi
all'unanimità. Per la Lega confermato Gian
Marco Centemero al Senato, mentre
Giancarlo Giorgetti sarà il
capogruppo a Montecitorio. Il
Movimento 5 Stelle aveva da tempo scelto
Giulia Grillo e Danilo Toninelli,
rispettivamente alla Camera e al
Senato, che infatti avevano già
partecipato alle conferenze dei
capigruppo nei giorni delle
votazioni per le presidenze dei due rami
del Parlamento.
CARBONIA.
Diverse astensioni in maggioranza all'esame degli emendamenti
Aria tesa
tra i Cinque Stelle oggi allo scoglio del bilancio
Prima le dimissioni del quinto
assessore M5S. Poi i segnali di
dissenso aperto o di malessere di
cinque consiglieri durante la prima
giornata di discussione degli
emendamenti al bilancio. E siccome nulla
succede per caso, tutto ciò non
avviene in un momento qualsiasi della
stagione politica dei cinque stelle
che dal 2016 guidano Carbonia ma
in un periodo di contestazione
interna e nel pieno dell'esame del
documento contabile 2018 che stasera
approda in aula per il voto.
Seguito, forse già domani, da un
faccia a faccia risolutore fra Giunta
e consiglieri.
IL CLIMA Che tipo di voto sarà
(anche se la maggioranza, pur risicati,
ha i numeri) è mistero. Perché è il
contesto che non permette più di
fare facili previsioni, partendo
dalle recentissime dimissioni
dell'assessore al personale Paola
Argiolas motivate, ha detto, per
«cause politiche». Un duro colpo
anche per il sindaco Paola Massidda
che anticipa: «Decideremo col gruppo
se sostituirla o ridistribuire le
deleghe ad altri assessori, però
dopo la sessione di bilancio». Ma
lunedì, alla seconda giornata di
sessione, maggioranza ancora in
fibrillazione: da 2 a 5 consiglieri
si sono (a turno ma talvolta pure
insieme) astenuti diverse volte
nonostante le indicazioni della giunta
sul voto negativo agli emendamenti
dell'opposizione. Se avessero
votato a favore, la maggioranza
sarebbe andata sotto.
IL DISSENSO Di chi si tratta? Non è
più un mistero il dissenso di Elio
Loi e Mauro Uccheddu. Loi parla di
«profonda delusione a due anni
dall'inizio di questa avventura:
fosse per me da domani si potrebbe
andare pure a nuove elezioni». In
linea Uccheddu: «Il voto al
bilancio? Non so, si vive alla
giornata: di sicuro ho accarezzato un
sogno che non esiste più e sono
stato uno dei primi attivisti». Il
dissenso di Mauro Careddu è radicato
da un anno, da quando
sottoscrisse un anno fa una lettera
contro il sindaco. Sono quasi news
invece Maurizio Soddu (che un anno
fa però si dimise dalla presidenza
della commissione Sport) e Marco
Craig.
Pure Soddu è esplicito:
«Occorreva dare un segnale: molte
cose sono da chiarire e ormai credo
sia questione di giorni». Parla di
«segnale alla Giunta» anche Craig
che si è astenuto nelle votazioni
degli emendamenti bocciati
nonostante l'esecutivo avesse
spiegato che per le frazioni gli
interventi richiesti sono già
programmati: «L'assessore lo ha
illustrato bene, ma erano
emendamenti meritevoli». Ieri l'esame è
proseguito e oggi gran finale:
«Confido nella responsabilità dei
colleghi - conclude il capogruppo
Manolo Cossu - dissapori
riconducibili al fatto che siamo un
gruppo eterogeneo capace di
esprimersi liberamente».
Andrea Scano
Il M5S
insiste su Di Maio Salvini: «Così salta tutto»
Ma il
leader pentastellato non molla: «Rispettare il voto popolare»
ROMA Matteo Salvini e Luigi Di Maio
si vedranno la prossima settimana,
ma il dialogo tra Lega e Movimento
5Stelle nasce già con qualche
tensione: «Se Di Maio dice “o io o
niente” allora salta tutto», ha
detto ieri il leader leghista dopo
le rivendicazioni dei pentastellati
sulla premiership.
BOTTA E RISPOSTA Tutto è nato dalle
affermazioni di Alfonso Bonafede,
deputato che nel M5S ha molta voce
in capitolo (in campagna elettorale
è stato indicato da Di Maio come
ministro della Giustizia di un
eventuale governo grillino).
Intervistato in mattinata su Radio24, ha
dichiarato che «se noi ai cittadini
presentiamo un altro candidato
premier, non eletto dai cittadini»,
rispetto allo stesso Di Maio,
«determiniamo il definitivo
allontanamento dalla politica. Ai
cittadini va data una risposta e
questa, secondo noi, non può
prescindere dalla presenza di Luigi
Di Maio come premier».
Nel pomeriggio la risposta di
Salvini è arrivata durante la puntata di
Porta a porta. Se da un lato il
segretario del Carroccio ha confermato
alcune aperture al M5S, in
particolare sul reddito di cittadinanza
(«sono disponibile a studiare e a
capire, se serve a riavviarsi al
lavoro possiamo parlarne»),
dall'altro è stato abbastanza netto sulla
questione del premier: «Se Di Maio
dice “o io o salta tutto” sbaglia,
non puoi andare così al governo». E
se i pentastellati pretendono di
fare fuori Forza Italia, «allora non
se ne fa niente. Abbiamo preso i
voti con loro, io parto dal
centrodestra».
MEDIAZIONI Salvini ha confermato
invece di non mettere la stessa
pregiudiziale sul proprio nome per
Palazzo Chigi, e anche sulle
proposte programmatiche che intende
rivolgere al M5S ha chiarito che
«non diciamo prendere o lasciare, si
può discutere». Un monito ai
pentastellati è arrivato anche dal
neo capogruppo leghista Giancarlo
Giorgetti: «In politica bisogna
saper mediare».
Di Maio però sembra confermare la
linea enunciata da Bonafede, dato
che in serata ha scritto sul blog
delle Stelle che «il premier
dev'essere espressione della volontà
popolare: il 17% degli italiani
ha votato Salvini premier, il 14
Tajani, oltre il 32% ha votato il
sottoscritto come premier». Non è
un'impuntatura per questioni
personali, ha aggiunto, ma «è finita
l'epoca dei governi non votati da
nessuno».
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Federico
Marini
skype:
federico1970ca
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