Il reato di cui sono accusati i leader
indipendentisti catalani, e tra questi Puigdemont, è la ribellione. Stento a
capire come possa esistere, dentro i codici della “civile” Europa, un reato di
ribellione attraverso il voto, un reato di ribellione attraverso parole, atti
amministrativi, decisioni politiche da parte di eletti e rieletti per la
seconda volta dal popolo catalano.
Pensavo che la ribellione fosse un reato
violento se usurpatrice, se non supportata dalla volontà popolare, ma qui finora l’unica violenza è quella degli
arresti di politici e manifestanti, dei sequestri delle schede durante il voto,
delle cariche per disperdere la folla in piazza e in strada, delle manganellate
per impedire che la gente si recasse a votare.
Riflettevo sull’anacronismo di una storia come questa.
Riflettevo sull'inadeguatezza dell’Europa e sulla sua
arroccata distanza dal presente. In Catalogna 50 giuristi e docenti di diritto
oggi hanno pubblicato un documento. Dicono che non può essere contestato il
reato di ribellione a chi ha agito in modo pacifico e senza violenza.
Dicono che quegli arresti sono
“eccessivi, sproporzionati e crudeli". La mia speranza è che a nessuno
passi inosservata la gravità di ciò che sta accadendo. Che nessuno pensi che
non ci riguarda. Qui si calpestano diritti politici elementari.
Di
Lucia Chessa
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