Unione
Sarda
Un nuovo
Pd solo sardo? Ok dai militanti galluresi:
«Abbiamo interessi diversi» Assemblea, si ipotizza uno slittamento
Mentre il Pd regionale sceglie la
data per l'assemblea (l'incontro di domani sembra destinato a saltare), riparte
il dibattito su un partito della sinistra sarda federato con quello nazionale,
di recente proposto da Silvio Lai. A rilanciarlo è un documento della direzione
provinciale della Gallura.
L'APPELLO «Troppo spesso - vi si
legge - ci siamo sentiti periferici rispetto a comportamenti e decisioni calate
dall'alto, anche quando riguardavano le nostre comunità». E ancora: «Abbiamo
tollerato fin troppo atteggiamenti dispotici, frutto di scelte centralistiche, talvolta
cagliaricentriche ma molto più spesso romane, che hanno minato la nostra
credibilità. È giunto il momento di recidere i cordoni ombelicali che hanno
legato molti (troppi) esponenti del Pd - sotto Veltroni, Franceschini, Bersani
e Renzi - alla deriva correntizia romana».
Il Partito democratico di Sardegna,
secondo i galluresi, è la via giusta: «Abbiamo bisogno di stringerci alle
nostre popolazioni, ragionare con loro, rispettarle nei loro bisogni primari.
C'è la necessità di un nuovo patto tra noi e i cittadini sardi, oggi disillusi».
Il Pd va «rifondato su nuove basi, come partito di massa, organizzato, presente
sui territori, fondato sulle periferie umane, sociali e insediative. Con un
proprio autonomo statuto, che ponga la Sardegna al centro delle aspirazioni
ideali, delle politiche, dell'organizzazione. Un partito che metta al centro le
povertà, e poi disoccupati, studenti, precari, partite Iva, pastori, piccoli commercianti,
artigiani».
Perché «gli interessi dei sardi sono
differenti dagli interessi dell'Italia» su trasporti, servitù militari,
entrate, industria e bonifiche, politiche energetiche, poteri locali. «Occorre,
sia chiaro, un progetto non isolazionista, ma aperto: al Mediterraneo e all'Europa.
Capace di dialogare, anche su programmi comuni, con tutte le forze della
sinistra sarda e quelle che si rifanno ai temi dell'autogoverno della sovranità
e dell'indipendenza della Sardegna.
Per un progetto di governo chiaro:
aumento dei poteri della Sardegna attraverso la scrittura di un nuovo patto
costituzionale con l'Italia; la rappresentanza reale delle classi emarginate
della nostra terra». Ma serve anche «una classe dirigente radicalmente
alternativa, che abbia l'idea di tagliare il cordone ombelicale con la deriva correntizia
romana che ha prodotto effetti nefasti anche nell'Isola. La nascita del Partito
Democratico di Sardegna potrebbe definirsi storica e realmente innovativa nella
misura in cui, anzitutto, contempli una classe dirigente completamente
rinnovata».
L'ASSEMBLEA Ieri intanto il
segretario Giuseppe Luigi Cucca ha chiesto di rinviare al 27 aprile, con
prosecuzione il 4 maggio, l'incontro fissato per domani a Su Baione su
richiesta dei soriani. «Apprezziamo la tensione unitaria e la sollecitudine a
favorire la più ampia partecipazione», dice una nota dell'area Cucca: «Ci
auguriamo che la presidente, che rappresenta tutto il partito, accolga
l'appello del segretario». La componente non sarà presente domani, e anche
l'area Cabras-Fadda avrebbe deciso di non andare.
La
Nuova
Domani A
Abbasanta. Tre le richieste di rinvio dell'assemblea Pd
La richiesta di rinviare l'assemblea
del Pd, in programma domani ad
Abbasanta, è ufficiale. Sono state
ben tre le lettere spedite, in
queste ore, alla presidente Lalla
Pulga e in tutte è sollecitato lo
slittamento della riunione
autoconvocata dalla corrente di Renato
Soru. La prima è firmata dal
segretario quasi dimissionario Giuseppe
Luigi Cucca, che ipotizza lo
spostamento di almeno una settimana, dal
21 al 27, perché «l'assemblea sia
realmente un momento di confronto
per discutere il futuro del partito
e non quello delle
contrapposizioni».
Tra l'altro, nella lettera, Cucca
conferma che
comunque non sarà presente: è stato
convocato a Roma dalla segreteria
nazionale. La seconda è firmata dai
renziani più gli ex Ds, i
sostenitori di Cucca: «Scegliamo
insieme - si legge - un percorso
condiviso e non sollecitato invece
da una sola componente». La terza è
dei popolari-riformisti in cui c'è
scritto: «L'auspicato rinvio
permetterà tra l'altro che prima
dell'assemblea possa svolgersi un
referendum fra gli iscritti per la
nascita di un Pd sardo». Oggi la
presidente Pulga dovrà decidere il
da farsi.
Manca
(Pd) saluta dopo 15 anni Entra Cacciotto
CAGLIARI
Quindici anni consecutivi in
Consiglio regionale. Era inevitabile:
Gavino Manca del Pd, nel giorno
dell'addio, è stato eletto alla
Camera, s'è commosso. Nel leggere un
breve ma appassionato discorso,
ha trattenuto le lacrime più volte.
«Mi dimetto dalla casa di tutti i
sardi - ha detto - dove ho
conosciuto i problemi e le speranze di
tante persone, cercando di fare e
dare il massimo sempre con
interventi concreti destinati a
risolvere i problemi della gente».
Dopo aver salutato i consiglieri, in
particolare il vicino di banco
Franco Sabatini, ha aggiunto: «Il
mio unico rammarico è non essere
riuscito a portare in aula, dopo un
lavoro durato due anni, la legge
sulla lingua sarda, ma sono sicuro
che, prima della fine della
legislatura, sarà approvata».
Per concludere: «Questo Consiglio
spesso
è circondato da discredito ma la
politica è un'altra cosa. È
l'inesauribile confronto fra
opinioni diverse che non ammette
scorciatoie e io ho sono sempre
stato trasparente con tutti. Dalla
Camera mi batterò ancora per il bene
della Sardegna». Al posto di
Manca è subentrato l'algherese
Raimondo Cacciotto.
Tregua armata nel Pd segreterie in
campo per incollare i cocci
Mediazione di Cordedda dopo la
spaccatura sul Consorzio
Congelate dimissioni e
"rappresaglie" tra le correnti in lotta
di
Giovanni Bua
SASSARI
Niente dimissioni, niente
esternazioni, niente liti. Almeno per ora.
Il partito democratico prova a
rimettere insieme i cocci dopo il
devastante scontro in aula di
martedì, con il gruppo Dem spaccato in
due (o tre) che ha prima emendato e
poi bocciato la sua stessa mozione
sul consorzio industriale
provinciale. Troppo alto il livello dello
scontro, e non solo per le parole
grosse volate durante il consiglio,
ma per la manifestazione plastica
della frammentazione del partito
uscita per una volta dai retroscena
e dalle stanze chiuse e andata in
diretta streaming.Abbastanza per
convincere il segretario provinciale
del Pd Gianpiero Cordedda a bloccare
sul nascere tutte le ipotesi di
rappresaglia allo studio dei
contendenti.
Niente dimissioni degli
assessori, tanto per iniziare, con
il vicesindaco Fabio Pinna che ieri
sera si è presentato alla
programmata riunione di giunta con tutti i
suoi colleghi, nella quale ci si è
ben guardati dal parlare del
consorzio industriale. Niente
conferenza stampa del capogruppo Carla
Fundoni, che sembrava avesse
intenzione di spiegare le ragioni della
clamorosa rottura, e tenere il punto
sulla linea scelta da parte del
gruppo Dem. Niente forzature da
parte del sindaco, che proprio del
comportamento della capogruppo
sembrava intenzionato a chiedere conto.
Non è il momento di lavare i panni
sporchi in pubblico, men che mai
con una delicatissima assemblea
regionale alle porte.Non che questo
calmi gli animi.
I vari gruppi Pd sono infatti in
riunione semi
permanente. L'altro ieri si sono
visti i consiglieri d'area
Spissu-Lai. Ieri invece è stata la
volta del gruppo dei "manchiani"
Taras. Pala e Ghi, inizialmente
firmatari della mozione anti-Taula ma
poi smarcatisi durante il furioso
dibattito e autori, con Pala,
dell'emendamento (approvato con
l'appoggio di monogruppo e civiche)
che proponeva di portare tutta la
faccenda in una commissione speciale
da istituire ad hoc. «Ci siamo
inseriti nella discussione sul Cip -
spiegano - senza avere la pretesa di
emettere una condanna nei
confronti di chicchessia ma perché
abbiamo a cuore il futuro di un
importante ente strumentale e
strategico per il nord ovest dell'isola.
Per questo motivo prendere le
distanze in aula da certe posizioni
estreme è stato per noi naturale.
La nostra priorità su questa mozione
è sempre stata e resterà il bisogno
di entrare nel merito della
critica situazione che attraversa
ormai da tempo il Consorzio. Con
rammarico però constatiamo che parte
di questa maggioranza, compresi
chi la guida e chi dovrebbe avere un
ruolo di imparzialità in
consiglio, abbia preferito
arroccarsi sulle proprie posizioni e non
lavorare nel merito al sevizio della
collettività». Sul consorzio
torna anche il vicecapogruppo del Pd
Giuseppe Masala, uno dei più duri
in aula nella replica «per fatto
personale» al sindaco Sanna. «Il
dibattito di martedì - spiega - ha
reso chiare ed evidenti le
questioni che avevamo sollevato in
merito alla gestione del Cip.
Abbiamo dato disponibilità ad una
mediazione a tutela dei lavoratori e
per bloccare la preoccupante deriva
che abbiamo denunciato
pubblicamente, mediazione che non è
stata accettata e che chiedeva al
sindaco di assumere direttamente la
guida del consorzio confermando
fiducia nei suoi confronti. È
compito del sindaco tenere unita la sua
maggioranza e già dalla prima
votazione avrebbe dovuto lavorare per
l'unita tenendo in considerazione le
proposte maggioritarie nel gruppo
del Pd. Non abbiamo voluto votare
una soluzione annacquata e
inefficace rispetto alle
preoccupazione e mortificante nei confronti
del consiglio che è unica sede della
trasparenza della gestione
pubblica».
Posizioni lontane, che ben rendono
quanto è profonda la
frattura tra i Dem. Ma è proprio sul
consorzio e sul suo futuro che si
potrebbe costruire una possibile
mediazione. Che però dovrà avvenire
inevitabilmente a livello regionale.
A Palazzo Ducale intanto ci si
lecca le ferite. E si cerca di
capire come e se sarà possibile andare
avanti.
Gelo
M5S-centrodestra
La
reazione di Salvini: ora provo io, se non funziona si torna al voto
Di Maio:
io premier, solo appoggio esterno da FI
ROMA Lo spiraglio non si è chiuso
del tutto, ma è calato comunque il
buio sulle consultazioni di
Elisabetta Alberti Casellati. L'accordo
tra Matteo Salvini e Luigi Di Maio
resta ancorato a una minima
apertura, che non può essere
tradotta in un'intesa per la formazione
di un governo. Non sono bastati i
contatti, continui, tra Salvini e Di
Maio, e un «ci penserò» di
quest'ultimo, interpretato dal centrodestra
come un passo in avanti.
A palazzo Giustiniani il leader del
Carroccio
lancia l'ultimo appello alla
responsabilità a Di Maio: «Nutriamo la
fondata speranza che si riesca finalmente
a superare la politica del
no che hanno portato avanti fino a
oggi». Lui stesso, del resto,
ammette di aver esaurito la
pazienza: «Basta tatticismi, ora proverò
io personalmente, se non va bene si
torna a votare».
LE POSIZIONI Dal Movimento traspare
un'apertura a un sostegno esterno
di Forza Italia e Fratelli d'Italia,
ma senza rinunciare alla
premiership per il capo politico
Luigi Di Maio. Insomma, «andremo
avanti, ma senza pensare a colpi di
scena con Di Maio al tavolo con
quattro partiti a trattare sui
ministri». Ed è proprio sul premier,
sull'uomo che dovrebbe andare a
palazzo Chigi, che salta il potenziale
accordo di governo, ormai quasi a un
passo. Di Maio resta, secondo i
pentastellati, la persona che deve
guidare il prossimo esecutivo e
come un mantra ripete: «Resta aperto
l'invito a formare il governo con
due forze politiche», Lega e M5S,
«ma oltre determinate barricate e
limiti non possiamo andare».
LA DISTANZA La replica di Salvini
arriva a stretto giro: «O si fa un
tavolo Centrodestra-M5s o non ho più
tempo da perdere». Anche palazzo
Grazioli dà una stoccata, con un
comunicato al vetriolo firmato da
Forza Italia: «Il supplemento di
veto pronunciato dal M5S dimostra il
rifiuto di formare un governo. È
l'ennesima prova di immaturità a
danno degli italiani».
GLI SCENARI Si attende ora che la
Casellati si rechi al Quirinale, da
Sergio Mattarella, per riferire dei
colloqui di questi giorni. L'esito
appare scontato con la palla che
passerà ancora nelle mani del capo
dello Stato. Restano così in piedi
varie possibilità, dal pre-incarico
a un nuovo esplorativo, affidato a
Roberto Fico, che potrebbe aprire
il secondo forno: quello M5S-Pd. Ma
interviene a gamba tesa Ettore
Rosato: «Secondo noi il balletto tra
M5S e centrodestra è tutta
tattica sulla pelle degli italiani.
Di Maio ha sdoganato Forza Italia
purché la trattativa sia in forma
indiretta attraverso Salvini.».
Renzi
ribadisce: «Il Pd resta fuori»
ROMA Matteo Renzi continua a tenere
il Pd fuori dai giochi. L'ex
segretario, ieri ha rotto il
silenzio via enews per ribadire la
formula che ripete sin dal 5 marzo:
«Come abbiamo detto dal primo
giorno, tocca ai vincitori delle
elezioni. E vediamo se saranno in
grado di farcela. Tocca a loro». La
linea non cambia. Al netto delle
voci sullo “scongelamento” del Pd,
la tentazione Fico, le letture pro
M5S sulle proposte lanciate da
Maurizio Martina. «È una linea che sta
pagando -osserva un big renziano -
ora dobbiamo solo aspettare che la
trattativa tra centrodestra e M5S
imploda del tutto. E dopo, reset.
Comincia un nuovo film, con i
vincitori del 4 marzo ammaccati da due
mesi di balletto finito con un
fallimento».
Intanto la minoranza dem ha chiesto
che si tenga al più presto una
Direzione per fare il punto sulla
formazione del governo e il ruolo
del Pd. «Serve un chiarimento»,
scrive Andrea Orlando, la cui area per
prima ha chiesto di convocare la
riunione. «Il Pd - argomenta Gianni
Cuperlo - ha tenuto una posizione
coerente. Ma ora è più utile e
limpido monitorare un passaggio così
difficile in una sede
democratica».
MONSERRATO.
Il primo cittadino oggi potrebbe confermare le dimissioni
I cinque
“ribelli” dicono no «La proposta del sindaco Locci è antidemocratica»
No ai quattordici “comandamenti” del
sindaco. Parte della maggioranza
si rifiuta di firmare il protocollo
d'intesa di Tomaso Locci, che a
questo punto non incassa gli undici
consensi necessari per
ricompattare la sua coalizione e
ritirare le dimissioni. «È la
negazione della politica e del
dialogo - commentano i due consiglieri
del gruppo Monserrato libera, Paolo
Lai e Filippo Marras - Un
protocollo che di fatto mette un
inaccettabile bavaglio al nostro
ruolo di consiglieri e alle nostre
funzioni di indirizzo e di
controllo politico-amministrativo
previste dalla legge, e a cui non
intendiamo assolutamente
rinunciare».
ROTTURA Nessun accordo in
maggioranza, quindi, che in parte ieri ha
disertato la riunione convocata dal
sindaco dimissionario. Assenti i
cinque “dissidenti” che nelle scorse
settimane hanno preso posizione
contro Locci: Paolo Lai e Filippo
Marras del movimento “Monserrato
libera”, Mario Argiolas di
“Monserrato la tua città” e i Riformatori
Valentina Picciau e Tore Zuddas.
Sull'Aventino anche l'assessore allo
Sport Franco Ghiani, espresso da
“Monserrato la tuacittà“”. Un chiaro
segnale che la crisi politica c'è
ancora e il protocollo d'intesa
imposto dal sindaco non ha di certo
risolto i dissidi interni alla
coalizione, anzi. «È ben lontano
dall'essere un'apertura al dialogo -
sottolineano Lai e Marras - Nessun
diritto ma solo doveri per noi
consiglieri.
Concordiamo solamente circa il
ritiro delle dimissioni
del sindaco, perché la conferma
sarebbe il fallimento della politica.
Ma non cerchi altrove la
responsabilità della crisi, che risiedono
unicamente nei suoi comportamenti
poco democratici e il protocollo
d'intesa ne è una testimonianza».
IL VERTICE Ieri il sindaco ha
tentato, invano, un avvicinamento con i
due esponenti del suo stesso gruppo
politico durante un incontro a
tre. «Rimaniamo sulla nostra
posizione - aggiungono Lai e Marras - Non
firmeremo quel documento e non
parteciperemo alla riunione di
maggioranza».
Stessa posizione per il gruppo
“Monserrato la tua città”. «La proposta
del sindaco è irricevibile - precisa
Mario Argiolas - non lo firmerò
mai perché lede i miei diritti
costituzionali di consigliere comunale
e avvalla quello che viene chiamato
il vincolo di mandato che in
Italia è vietato dalla Costituzione.
Obbligarci a votare ogni atto
prodotto dalla Giunta è una pazzia,
anche perché se ci sono delle
irregolarità o semplicemente sviste
o imprecisioni chi vota ne
risponde in solido». Gli fa eco il
segretario cittadino Lionello
Meloni: «Il protocollo toglie la
parola e la libertà di agire ai
consiglieri».
E poi Meloni lancia un chiaro
messaggio alla consigliera
Bernardette Ibba, che ieri ha
partecipato al vertice di maggioranza:
«Qualora qualcuno del movimento
dovesse sottoscrivere documenti non
concordati con la segreteria, lo
farà a titolo puramente personale con
tutte le implicazioni del caso».
Federica Lai
ASSEMINI.
È la terza candidata sindaca: corro per vincere le elezioni
L'ex
grillina Irene Piras a capo di una lista civica
Da fuoriuscita del Movimento 5
stelle a candidata a sindaca per una
lista civica: sarà Irene Piras a
guidare Progetto LiberAssemini verso
le amministrative del 10 giugno.
Dietista non esercitante, sposata e
mamma di due figli, 51 anni, è stata
nominata dall'assemblea del
gruppo, nato dall'alleanza tra i
consiglieri Enrico Salis (Liberi e
uguali) e le ex grilline confluite
in “Assemini libera” Stefania Frau,
Rita Piano e, appunto, Piras. Le tre
avevano presentato un esposto
contro il sindaco pentastellato
Mario Puddu, accusato di abuso
d'ufficio (si difenderà con il rito
abbreviato). Piras è la terza
candidata a sindaco di Assemini
(seconda donna), dopo Sabrina Licheri
(M5s) e Antonio Scano, scelto dal
centrodestra.
«La nostra - dice - sarà una lista
trasversale, con tanti giovani
motivati, fatta di anime provenienti
da diverse esperienze politiche e
civiche: abbiamo ex Pd come Ignazio
Nioi e dovremmo chiudere con
“Potere al popolo”. Non ci interessa
il passato dei nostri esponenti
ma quello che possono dare adesso.
Assegneremo gli assessorati in base
alle competenze».
Il programma è pronto?
«Al centro c'è la comunità. I
servizi sociali sono una nota dolente,
per questo punteremo sul diritto
alla casa. Ci sono aspetti che
correggeremo, come l'igiene urbana,
per la quale contiamo di avere un
bando entro il 2018, e la viabilità.
Ci concentreremo su ambiente,
tradizioni, impresa, agricoltura e
ridaremo voce ai cittadini».
Sarete semplici outsider?
«Quando si scende in campo non si
può pensare a stare in panchina ma a
giocare la partita. Molti si stanno
avvicinando a noi e puntiamo anche
agli scontenti del M5s e del
centrosinistra».
Che cosa pensa degli altri
candidati?
«La nostra non è una campagna
elettorale contro nessuno. Sabrina la
conosco e la sua candidatura è una
mossa politica intelligente. Scano
non è un volto nuovo e siamo molto
distanti. A differenza degli altri,
non abbiamo avuto discussioni
interne e chi ha aderito al progetto non
se n'è andato: tutti hanno
collaborato alla stesura del programma con
le proprie idee e competenze che, se
messe in sinergia, possono
portare a sviluppo sostenibile e
lavoro».
Ripresenterebbe l'esposto contro
Puddu?
«I consiglieri hanno il compito di
vigilare sulla correttezza degli
atti. Farlo con grande serietà era
un nostro dovere».
La prima cosa da fare?
«Sceglierne una è difficile.
Sicuramente riordino della macchina
amministrativa e maggiore apertura
nei confronti dei dipendenti
comunali. Promettiamo tanto impegno,
sapendo bene che quanto si
propone deve poi essere
realizzabile». (l. e.)
La
Nuova
L'alto
prelato: mi piange il cuore non poter fare nulla per i tanti disoccupati
Becciu
sulla crisi nell'isola: basta aspettare aiuti, agire
di Mario Girau
CAGLIARI
Anche negli uffici più vicini al
Papa, in Vaticano, si guarda con
angoscia alla situazione della
Sardegna. Monsignor Angelo Becciu,
sostituto della Segreteria di Stato,
spazia sulla Chiesa mondiale, ma
dal suo radar personale non scompare
mai l'isola. «Sono preoccupato
per la disoccupazione terribile che
affligge la nostra terra. Troppi
giovani costretti a emigrare. Tanti
- dice l'alto prelato, tra i
principali collaboratori del Sommo
Pontefice - vengono da me e mi
chiedono lavoro. Ma in Vaticano che
cosa posso offrire? Mi piange il
cuore non poter fare nulla per
loro». «Vedo che il Papa ha un grande
amore per la nostra isola. Lui è
così con tutte le aree del mondo dove
è maggiore la sofferenza, a causa
dei problemi sociali ed economici -
aggiunge monsignor Becciu -.
La disoccupazione è troppa. Allora
che si
cerchi in Sardegna di essere più
creativi, di non aspettarsi nulla
dall'alto. Oramai il tempo degli
interventi dall'esterno è finito.
Però chi ha la responsabilità della
cosa pubblica deve sentire questo
impegno a cercare di cambiare una
situazione difficile per il popolo
sardo».Un cambiamento che monsignor
Angelo Becciu ha chiesto anche al
clero sardo riunito, ieri, per
celebrare il novantesimo di fondazione
del Seminario regionale, per 44 anni
nella sede di Cuglieri, e poi nel
capoluogo dell'isola. Il seminarista
Becciu, di Pattada, c'era anche
nel settembre del 1971 quando un
centinaio di chierici si sistemarono,
«sembravamo accampati», in un'ala
del seminario diocesano di Cagliari
a seguito di un trasloco improvviso
e improvvisato.
«Una sistemazione
accolta con gioia - ricorda il sostituto
della Segreteria di Stato -
perché vedevamo utile e necessario
il trasferimento da un paesino
bellissimo, Cuglieri, in una città
dove le opportunità di crescita
spirituale e culturale erano
sicuramente maggiori».Monsignor Becciu,
davanti ai vescovi sardi, guidati da
monsignor Arrigo Miglio, e oltre
150 sacerdoti con il rettore del
seminario Antonio Mura e il preside
della facoltà teologica, Francesco
Maceri, parla del ruolo del prete
nella missione della Chiesa d'oggi.
La stella polare, il riferimento è
papa Francesco, che predica contro
la solitudine dei preti. «Escono
dai seminari - dice Becciu -
sacerdoti preparati, ma isolati. Invece
devono essere preti tra i preti in
una situazione di famiglia col
proprio vescovo e i confratelli».
Preti di comunità, per evitare «il
clericalismo che sta prendendo piede
nel giovane clero».Il papa
propone un chiesa in uscita e, «come
detto in una delle prime omelie
in san Pietro, preti con l'odore
delle pecore, cioè che stanno con le
gente, si preoccupano dei problemi
concreti delle persone e della loro
fedeltà alla Chiesa e al Vangelo».
Ma la Chiesa esce non per allargare
il più possibile i propri confini,
ma per incontrare il Cristo
nell'umanità sofferente. Il prete è
«l'uomo dell'inclusione, che
abbonda in misericordia per ricevere
misericordia», spiega il vescovo
pattadese.
Monsignor Becciu lascia in consegna
al prete un
interrogativo. «È realmente senza
Dio la realtà non in sintonia con la
Chiesa?». E anche con un suggerimento
di Papa Francesco: «Davanti a
tutto ciò che è negativo non pensare
in termini di condanna, ma di
comprensione». Anche in Vaticano
monsignor Angelo Becciu non dimentica
la sua sardità: la lingua
logudorese, i valori della Sardegna ricevuti
in famiglia, in parrocchia, in
paese: la franchezza, l'onestà. «Anche
la testardaggine nel portare avanti
le cose belle».
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Federico
Marini
skype:
federico1970ca
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