Unione Sarda
Pd, resa dei conti rinviata al 4
maggio E intanto i sindaci scendono in campo Gli amministratori locali del
centrosinistra preparano un incontro a Tempio con Zedda e Deiana
I sindaci sono pronti a far valere
il loro ruolo di avamposto della politica nello scenario regionale, come
interlocutori imprescindibili per qualsiasi forza politica che ambisca a
vincere le Regionali. Se nessun partito sarà in grado di rappresentarne le
istanze, non è escluso che gli amministratori decidano di rappresentarsi in
maniera autonoma, con formule come quella che ha portato Nicola Zingaretti a trionfare
nel Lazio. Il presidente dell'Anci Sardegna,
Emiliano Deiana, non ha dubbi: «Nessun partito che si candida a governare la
Regione può ignorare le questioni poste dai Comuni. Si tratta di risorse,
sicurezza e riconoscimento del ruolo di sindaco».
IL SEGNALE Il 5 maggio, a Tempio,
all'incontro intitolato “Dai Comuni alle comunità, un'idea di futuro per la
Sardegna”, parteciperanno diversi sindaci, tra cui quello di Cagliari, Massimo
Zedda, che potrebbe avere un ruolo chiave in questo percorso. Un primo passo verso
un progetto che potrebbe aprire un canale col mondo degli amministratori che,
in questi anni, hanno spesso marciato (nel vero senso della parola) per
manifestare in maniera univoca il dissenso su
alcune vertenze isolane.
IL BIVIO Emiliano Deiana non si
sbilancia a parlare di partito o movimento dei sindaci («il sindaco è una
funzione che inizia e termina, quindi per definizione non può esserci un
partito dei sindaci»). Però riconosce la «situazione eccezionale» in cui vive
la Sardegna e accusa i partiti, incapaci di rappresentare al meglio «le istanze
dei territori, dei paesi, delle periferie territoriali, sociali e umane».
Se i partiti non cambiano rotta, ci
sono due alternative: «Organizzarsi per rappresentarsi o scegliere la
diserzione». La sindaca di Fonni, Daniela Falconi, ribadisce che «i sindaci
hanno il polso della situazione e sono quelli chiamati a dare risposte nell'immediato
alla gente. Si sente spesso dire “ripartiamo dai territori”: che si faccia, non
sia solo uno slogan».
Simone Campus, assessore alle
Finanze del Comune di Sassari, parla di una politica «lontana dai bisogni
quotidiani, sempre meno aperta al cambiamento». Così in vista delle Regionali
«possiamo generare un nuovo impegno civico, partendo dalle esperienze di
governo locale e avviando una rivoluzione epocale fuori dai partiti». C'è anche
un profilo generazionale: «I giovani dirigenti della sinistra reagiscano», dice
Campus, «prendiamo il coraggio a due mani e conquistiamo noi la libertà di
guidare noi la macchina».
L'ASSEMBLEA Il giorno prima
dell'incontro di Tempio si terrà anche la nuova assemblea regionale del Pd,
fissata per venerdì 4 maggio alle 16.30, probabilmente all'hotel Su Baione ad
Abbasanta. È stato il segretario Giuseppe Luigi Cucca a chiedere alla
presidente Lalla Pulga un'altra convocazione dopo la riunione di sabato scorso
con la sola area Soru. Nel Pd c'è aria da resa dei conti nei confronti di
Cucca, che però non cede: «Non sono disponibile a dimettermi, lo faccio se sarà
chiaro un percorso. Diversamente chi vuole potrà sfiduciarmi». Due i punti
principali all'ordine del giorno: un'ulteriore analisi del voto alle Politiche
e l'agenda programmatica con le alleanze in vista delle prossime elezioni
regionali.
Matteo Sau
La
Nuova
Lai:
«Sanna perseguitato solo dai suoi fallimenti»
Durissima
replica all'attacco del primo cittadino
di Giovanni Bua
SASSARI
Nicola Sanna? Impari a fare il
sindaco. A rispettare e farsi
rispettare dalla sua città.
Smettendo con la sua "narrazione"
vittimistica di questi anni, durante
i quali il partito lo ha
aspettato, supportato e sopportato.
Fatta solo per nascondere la
totale assenza di risultati politici
è amministrativi. Perché il
silenzio dei sassaresi è solo
rassegnazione, che si trasforma in
fischi di avvertimento alla faradda
e voti contro di noi alle elezioni
se non cambiamo direzione.
È una risposta durissima quella dell'ex
senatore e segretario regionale del
Pd, Silvio Lai. Finito nei giorni
scorsi nel mirino del primo
cittadino, che lo ha individuato tra i
"mandanti" della bagarre
sul consorzio, causa di una drammatica
spaccatura in consiglio comunale. E
ha chiesto a lui e Giacomo Spissu
di «togliersi di mezzo» per il bene
del partito e della città.Il
sindaco sostiene che la mozione sul
consorzio fosse un'imboscata e che
lei sia uno dei
"mandanti". «Mi dispiace che anziché parlare
dell'amministrazione della città,
del suo ruolo e del suo futuro si
debba discutere di una mozione in
consiglio comunale e della ennesima
crisi ad un anno dalle
amministrative.
L'idea che ci siano dei
mandanti e quindi degli esecutori è
offensiva per consiglieri eletti
in consiglio comunale, autonomi e
competenti. Sul resto occorre
partire un po' più da lontano».Da
dove?«La ricostruzione fatta dal
sindaco fa apparire una mozione come
un'imboscata perché fa parte di
una rappresentazione vittimistica di
questi anni. Secondo il suo
racconto, sarebbe un perseguitato
che non è stato in grado di svolgere
la sua attività per una serie di
trappole che una parte del partito
gli avrebbe teso a partire dalle
primarie vinte da solo, con l'epopea
del figlio di un emigrato».
Invece?«La realtà è un'altra. Le
primarie
che cita sono state decise
all'interno della Giunta precedente da
alcuni componenti, questo ha
determinato la conclusione in anticipo
del mandato, e gli stessi si sono
poi candidati alle primarie
continuando a fare gli assessori. È
stato proprio Nicola a trasformare
quelle primarie in una resa dei
conti, mettendo insieme tutti gli
altri contro chi era arrivato prima,
in un accordo che dopo solo un
anno è saltato perché non si basava
su contenuti ma sulla gestione.
Primarie che si sono concluse con 40
voti di scarto, cui è seguita una
leale partecipazione alle elezioni
amministrative che hanno visto i
sostenitori di Angela Mameli
eleggere 10 consiglieri su 13 del Pd, e
che il sindaco ha immediatamente
voluto marginalizzare con la prima
giunta, escludendo una parte
maggioritaria del partito. La successiva
crisi generata dalle sue
intemperanze è stata superata con l'aiuto di
tutto Pd. Come la terza, causata
dalle dimissioni del vicesindaco con
un j'accuse violentissimo nei suoi
confronti.
Detto questo, che è il
percorso crisi per crisi sempre
generato nella stanza del sindaco, mi
pare che siamo di fronte a un
tentativo già visto di coprire una
totale assenza di risultati politici
e amministrativi con la
rappresentazione di nemici interni».
La situazione del Cip è davvero
così drammatica?«La notizia è
certamente il conflitto tra Pd e sindaco
ma non si può trascurare il merito
di un'agenzia pubblica strategica
che dovrebbe svolgere l'assistenza
tecnica allo sviluppo del
territorio in maniera trasparente e
manageriale.
I consiglieri del Pd
hanno rappresentato le
preoccupazioni dei lavoratori del consorzio e
dei rappresentanti dei lavoratori
che hanno davvero timore della
perdita del lavoro dopo 3 anni di
calo costante della gestione
caratteristica e di affermazioni
messe a verbale di due consiglieri di
amministrazione. Una volta
approfondito il tema si sono resi conto che
il cda è composto da soggetti che
hanno conflitti di interesse, che si
fanno assunzioni senza concorsi giustificando
burocraticamente la
scelta e che si orientano
finanziamenti pubblici, poi rischiando di
perderli per finanziare attività che
a Oristano, in Ogliastra o a
Cagliari sono interamente private.
Tutti dubbi già segnalati, con
l'impegno di superarli, nel
documento di chiusura dell'ultima crisi e
che il sindaco in questi mesi ha
eluso continuamente».Cosa pensa dei
toni della seduta di martedì?«Non
c'è nulla che possa giustificare i
toni usati dal sindaco, intimidatori
e provocatori sia per la funzione
che svolge sul piano istituzionale,
sia per lo stile richiesto ad un
sindaco di centrosinistra che guida
un gruppo di dirigenti, tra Pd e
liste civiche, tutti o quasi alla
prima esperienza, competenti e
motivati, figli di un grande
rinnovamento delle liste».
Per il sindaco
lei e Giacomo Spissu dovreste farvi
da parte e siete sempre stati
bocciati dagli elettori. «Rispetto
alla mia storia dico solo che
faccio politica dal giugno '99
mentre Nicola Sanna dalla fine degli
anni '70. Rispetto al vincere o
perdere, non ricordo se Nicola Sanna
sia mai stato eletto consigliere,
comunale o provinciale, nelle sue
numerose candidature, ma alle
amministrative in cui è stato eletto
sindaco ha preso gli stessi voti
della coalizione, senza alcun valore
aggiunto. Per quanto mi riguarda ho
vinto tutte le elezioni alle quali
mi sono candidato salvo le ultime
politiche per le quali generosamente
ho scelto una candidatura
consapevolmente di testimonianza, e da
segretario regionale ho guidato il
partito dal 2009 al 2014 vincendo
tutti gli appuntamenti,
amministrativi, regionali, e politici.
Ho sostenuto Gianfranco Ganau alle
regionali e due giovani alle comunali
sul 2014, sempre eletti, e tra i
primi».La frattura all'interno del
partito è insanabile?«Io non credo
che ci sia nulla di insanabile se
le posizioni sono chiare. Il sindaco
deve concludere il mandato non
per una condanna, ma tenendo insieme
il partito e la coalizione, con
la ragione non con la forza. Non
esiste né il reato di lesa maestà se
si pongono problemi né quello di
vilipendio al sindaco.
E non si può
pensare dopo quattro anni che si
rinvia sempre ogni problema. Il tema
è concludere il mandato per fare che
cosa, perché altrimenti, tutto,
qualunque discussione può essere
ridotta al piccolo conflitto di
potere».Pensa che il Pd cittadino e
la coalizione riuscirà a
ricompattarsi prima delle prossime
Regionali e Comunali?«Io penso che
non possiamo nascondere la polvere
sotto il tappeto, sopratutto dopo
la risoluzione dell'ultima crisi che
ha messo nero su bianco errori da
correggere e obiettivi da lasciare
da parte. Siamo a quattro anni di
consiliatura e ci sono state tre
drammatiche "faradde". Siamo passati
dall'autorevolezza del sindaco
precedente che portava un'idea di
Sassari nei contesti regionali, ad
un sindaco che è in difficoltà
anche dentro le mura cittadine,
oltre a non essere rispettato fuori.
Qualunque progetto di città che
contrasti il declino annunciato dalla
fragilità demografica, dalla
trasformazione economica e sociale,
richiede un soggetto autorevole che
la guidi. E in questi 4 anni
questo è mancato, mentre le altre
città sono andate avanti. Non solo
Cagliari, ma anche Olbia e la Nuoro.
La città non può continuare a
perdere tempo dietro ai litigi e non
concentrare i suoi sforzi in una
visione.Quale visione?«La
prospettiva della nostra isola è
nell'economia innovativa, in quella
turistica e nella agricoltura più
avanzata, Sassari può essere
protagonista. La nostra città ha
eccellenze nel campo dell'alta
formazione, anche artistica, e nella
cultura. La costituzione dell'Aou è
una sfida fondamentale per la
prospettiva della sanità anche come
occasione di sviluppo e crescita.
In tutti questi campi si registra
solo una normale amministrazione
quando va bene, e scelte scellerate
negli altri casi. Ma è anche nelle
piccole cose che si vede lo scarso
amore verso Sassari, dalla gestione
delle piste ciclabili, al vergognoso
aumento del costo dei parcheggi
che finanziano solo una
multinazionale, non certo i lavoratori, e non
vanno d'accordo con il senso della
giustizia.
Il silenzio dei
sassaresi è solo rassegnazione, che
si trasforma in fischi di
avvertimento alla faradda e voti
contro di noi alle elezioni se non
cambiamo direzione. Il Pd può
farcela ancora a recuperare ma se non
insegue i tentativi d scaricare la
propria responsabilità e fa un
esame profondo, quando doloroso
della situazione».Ma è proprio vero
che nel partito comanda solo
lei?«Discutere non è mai comandare».
Fico
cerca il patto M5S-Pd
Gelo dei
renziani, ma il reggente Martina vuole «dialogare con serietà
e
coerenza» Tocca al presidente della Camera, Di Maio scarica la Lega
ROMA Mattarella tira fuori dal
freezer il Pd: dopo il flop della
presidente del Senato, la forzista
Maria Elisabetta Casellati, ieri il
presidente della Repubblica ha dato
un mandato esplorativo al
presidente della Camera, il
pentastellato Roberto Fico, che dialogherà
con i Dem per tentare di formare la
maggioranza di governo che manca
dal 4 marzo.
IL VIA LIBERA La prima apertura al
tentativo istituzionale (ma anche
molto politico, visto che Fico è
sempre stato considerato leader
dell'ala sinistra pentastellata) è
il capo politico del MoVimento,
Luigi Di Maio, che seppellisce le
prove d'intesa con la Lega in poche
righe sul Blog delle Stelle: «Dal
suo comportamento ho capito che
Salvini non vuole assumersi
responsabilità di governo. Perché
sinceramente non riesco proprio a
capire come mai preferisca stare
all'opposizione per il bene dei suoi
alleati, invece di andare al
governo per il bene degli italiani».
Quanto al mandato conferito a Fico,
«per l'Italia è un'occasione
storica per fare quello che si
aspetta da 30 anni e io non ho nessuna
intenzione di perdere questa
opportunità straordinaria».
LO SPIRAGLIO I contatti saranno
avviati ufficialmente oggi, ma uno
spiraglio in casa Dem si vede già: è
il segretario reggente ad
aprirlo, con cautela e sotto
condizione: «Ci confronteremo con il
presidente Fico con spirito di leale
collaborazione secondo il mandato
conferitogli dal presidente
Mattarella. Lo faremo con serietà e
coerenza a partire da una questione
fondamentale e prioritaria: la
fine di ogni ambiguità e di
trattative parallele con noi e con Lega e
centrodestra. Per rispetto degli
italiani, dopo 50 giorni di tira e
molla, occorre su questo totale
chiarezza».
FRONTE DEL NO Ma nel partito il
fronte renziano fa subito muro: «Un
accordo politico con i 5 Stelle è
impossibile», avvisano Alessia
Morani e Simona Malpezzi. I
renzianissimi Dario Parrini, il capogruppo
al Senato Andrea Marcucci, il
presidente dem Matteo Orfini: è un fuoco
di fila che stoppa ogni illazione su
un possibile accordo con M5S.
«Eravamo, siamo e resteremo
alternativi ai Cinque Stelle», dice
Orfini. E Marcucci: «Non ci sono le
condizioni minime per una
maggioranza politica tra 5 stelle e
Pd».
Nelle scorse settimane a muoversi
contro la chiusura ai 5 Stelle era
stato Dario Franceschini. Anche
l'area Orlando non è del tutto
impermeabile all'ipotesi di un
confronto mentre sostenitore del
dialogo, da tempo, è Michele
Emiliano. Ma, a quanto viene riferito, il
bacino dei dialoganti resta
minoranza nei gruppi parlamentari.
BASE IN RIVOLTA Chi per ora sembra
lontanissimo dall'asse col Pd è
gran parte della base pentastellata,
che sul blog si scatena. Per
molti attivisti «l'unico governo
possibile è con Salvini», e c'è chi è
pronto anche ad accettare l'apporto
di «FI ridimensionata».
«Attenzione - scrive una militante -
che a demonizzare più di tanto
Berlusconi lo si rafforza, come si è
visto anche ieri in Molise (poi
non dite che sono gli altri a
tenerlo in vita)». «Mai con il Pd -
scrive Massimo - servi, traditori
per antonomasia, venduti e venditori
di nulla.
ASSEMINI.
Campagna
elettorale, primi veleni tra candidati
Problemi
in casa Pd, ancora in alto mare per la scelta del capolista
Si infiamma la campagna elettorale
in vista delle elezioni comunali. A
innescare la miccia è Sabrina
Licheri, candidata di 5 stelle: «Sono
preoccupata per quello che potrebbe
essere il futuro della città con
un governo composto da un calderone
di persone di diversa provenienza
politica, contrapposte per obiettivi
e priorità». Il riferimento è
alla candidatura a sindaco di
Antonio Scano, scelto dalla coalizione
di centrodestra, composta da Forza
Italia, Riformatori, Fratelli
d'Italia, Partito dei sardi,
Psd'Az-Lega e Proposta civica.
«La scelta di Scano (in Comune dal
2001) con la variegata coalizione
non mi ha stupita», dice Licheri.
«L'unica curiosità era capire in
quante fette avrebbero diviso la
torta.
La voglia di abbatterci è
l'unico punto di accordo che porta
la maschera di un'improvvisa
convergenza di valori. D'altra parte
sono fiduciosa quando penso a 5
anni fa: gli asseminesi avevano
saputo scindere dalla canzoncina di
slogan sempre uguali cantata dai
soliti noti, con la volontà di
cambiamento confermata dai numeri
delle politiche». La lista
pentastellata è pronta: «Abbiamo
candidati provenienti da vari
settori. E un programma di obiettivi
concreti, volto a proseguire il
processo di cambiamento i cui
risultati sono sotto gli occhi di
tutti». Scano si dice «non
intenzionato a entrare in polemica: abbiamo
un altro modo di concepire la politica
e siamo concentrati sul
programma per Assemini. Non siamo
autoreferenziali ma aperti al
dialogo, uniti da un programma ben
definito e condiviso: la nostra
coalizione è del fare, proponiamo le
idee ai cittadini e non siamo
interessati a diatribe da stadio».
Per Irene Piras, candidata a sindaca
di Progetto LiberAssemini,
«quella di Scano è un'armata: per
chi contava di vincere al primo
turno, 7 liste e 150 candidati sono
un bell'ostacolo. Mi chiedo come
abbiano potuto trovare una sintesi:
la storia ci insegna che il
centrodestra non ha mai avuto vita
lunga con le grandi ammucchiate.
Noi abbiamo scelto un'altra strada
e, senza bisogno di attaccare
nessuno, lavoriamo su idee
condivise».
Ha ben altro su cui concentrarsi il
Pd che ancora non scioglie le
riserve sul quarto candidato a
sindaco in città: «Siamo in fase di
trattative ma abbiamo un'idea di
lista che vorremmo condividere con
l'altra corrente del partito», dice
il segretario Antonio Caddeo. «Si
arriverà al candidato non prima
della prossima settimana».
Lorenzo Ena
IGLESIAS.
Dopo la scelta di Forza Italia di sostenere la candidata di
Cas@Iglesias
Il no
alla Pistis compatta il Pci: «Noi mai con il centrodestra»
L'ingresso di Forza Italia nella
coalizione che sostiene Valentina
Pistis “ricompatta” il Pci locale
con quello regionale.
LO STRAPPO «Abbiamo atteso dalla
candidata una smentita di
quest'alleanza e poiché non è
arrivata, abbiamo deciso di non
sostenerla più con i nostri
candidati nella lista Iglesias in Comune».
Le parole di Antonello Pinna,
segretario federale del partito, sono
arrivate nella tarda serata di ieri
a diverse ore di distanza dalla
dura presa di posizione dei vertici
Pci.
I quali, attraverso il
Comitato regionale, avevano diffuso
(già dal primo pomeriggio) un
comunicato stampa che faceva
emergere un'autentica presa di distanza
dalla decisione - assunta dalla
lista “Iglesias in Comune” nata per
volontà dell'assemblea cittadina del
Pci - di appoggiare la
candidatura di Valentina Pistis, la
capogruppo di Cas@Iglesias
sostenuta anche da Riformatori
iglesienti e (da sabato) anche Forza
Italia, dopo che gli “azzurri” hanno
abbandonato il tavolo con Piazza
Sella-Udc; partito, quest'ultimo,
che ha poi avviato interlocuzioni
con il Pd.
SOLO A SINISTRA «Noi componenti del
Comitato regionale Pci Sardegna
dichiariamo di non avere nulla a che
fare politicamente con qualsiasi
lista civica, in particolare con
quelle in cui palesemente si
individuano esponenti di partiti
dichiaratamente di centrodestra», si
legge nel comunicato firmato da
Davide Meloni, Antonella Licheri,
Sandro Puliga, Paolo Garau,
Giampaolo Usala, Giovanni Floris, Valerio
Sartini, Yanexi Ponce Gonzales,
Lucio Giganti, Matteo Contu. Una secca
bocciatura - da parte dell'organismo
al quale sono rimesse le
decisioni attinenti il partito
stesso - delle scelte portate avanti a
livello iglesiente nell'ultimo
periodo. Il Comitato regionale rende
note anche le scelte che saranno
fatte per le imminenti votazioni. «Il
Pci - è scritto nel documento - si
presenterà con propria o con lista
fortemente caratterizzata a
sinistra, come non potrebbe essere
altrimenti».
GLI ISCRITTI Al lavoro c'è già un
gruppo pronto a candidarsi, come
conferma anche Giuliano Marongiu,
storico militante comunista. «Io e
altri compagni, molti dei quali
giovanissimi, abbiamo deciso di
tesserarci di nuovo al Pci proprio a
seguito degli ultimi fatti.
Episodi - evidenzia Marongiu - che
non esitiamo a definire innaturali:
è del tutto fuori da qualsiasi
logica che un partito, come il Pci,
nato per stare alla sinistra del Pd,
vada a far parte di una
coalizione di centrodestra». Ma ora
- alla luce degli eventi delle
ultime ore - è assai probabile che
le incomprensioni tra i “compagni”
possano sfociare in un'intesa.
Cinzia Simbula
La
Nuova
La
«missione» di Fico È il turno di M5s e Pd
di Fabrizio FinziwROMADal Quirinale
trapela «irritazione» per i
traccheggiamenti di Matteo Salvini
ed anche, in misura ridotta, di
Luigi Di Maio che per settimane
hanno chiesto tempo reiterando «stop
and go» intollerabili di fronte alla
serietà della situazione.
Irritazione che uscendo dai saloni
affrescati del Colle si può
tradurre in umana arrabbiatura. Da
ieri Sergio Mattarella ha chiuso
formalmente le porte all'ipotesi di
un accordo tra Lega e Cinque
stelle. Il che ovviamente non
significa che ove mai si materializzasse
questo benedetto accordo il
presidente lo ignorerebbe. Anzi, potrebbe
anche congelare l'esplorazione di
Roberto Fico per vedere le carte. Ma
basta comizi, dichiarazioni e tweet.
Ora il percorso è istituzionale e
il credito esaurito: servono
«eventuali novità pubbliche, esplicite e
significative», ha detto al suo
secondo esploratore, il grillino
Roberto Fico. In sostanza, se hanno
novità chiamino il Quirinale ma si
presentino solo se portano in dote
una maggioranza parlamentare
blindata e un premier chiaro per
guidare l'esecutivo. Quindi per il
capo dello Stato ora l'accordo
Salvini-Di Maio è su un binario morto.
Si passa quindi alla seconda scelta
del Movimento Cinque stelle, che è
il Pd. Il presidente della Camera ha
ricevuto un incarico esplorativo
«mirato», speculare a quello
affidato a Casellati per un Governo
Centrodestra-M5s che, si ricorda al
Quirinale, è quello che avrebbe la
più ampia maggioranza parlamentare.
Sergio Mattarella procede con
linearità razionale e vuole che
tutto avvenga con la massima
trasparenza: valgono solo le cose
che vengono dette al Quirinale. Il
chiacchiericcio esterno serva per le
elezioni regionali, o per le
comunali che si avvicinano. E che
per il presidente non contano e non
devono contare: «Ormai si vota ogni
due settimane», chiosano dal
Colle. Il tempo stringe e così
Mattarella invia Fico a esplorare
l'ipotesi spericolata di un accordo
M5s-Pd che, a sorpresa, riceve un
primo via libera dal reggente
Maurizio Martina. Si resta in attesa di
capire la linea del silente Renzi e
se - e quanto - le contraddizioni
tra i Dem esploderanno dopo la chiamata
in scena del presidente. Oltre
Fico al momento c'è il buio
siderale.
Al Quirinale sono consapevoli
delle difficoltà di ogni altra
ipotesi: da quella del Governo del
Presidente, al Governo di emergenza.
O di qualsiasi cosa diversa da un
Governo politico di legislatura.
Sergio Mattarella però è
profondamente contrario all'idea di
elezioni anticipate a breve. Già a
luglio sono praticamente impossibili
per tempi tecnici; ad ottobre
significherebbe non fare la Legge di
Bilancio 2019 e andare
all'esercizio provvisorio. Il caos,
insomma. di Serenella Matteraw
ROMAA Roberto Fico il mandato a
verificare, entro giovedì, se ci sono
i margini per formare un governo del
M5s con il Pd.
È questo il nuovo
passo del presidente della
Repubblica Sergio Mattarella per porre fine
allo stallo sulla formazione del
nuovo governo. Un passo che spiazza
il centrodestra, coglie di sorpresa
il Pd e irrita Matteo Salvini. «È
una presa in giro», si indigna il
leader della Lega, che punta a
un'intesa M5s-centrodestra. Ma il
tavolo Dem è aperto: la condizione
per un dialogo, dice il Pd compatto,
è che Luigi Di Maio chiuda il
«forno» con la Lega. E il leader del
M5s risponde con un lungo post in
cui a Salvini dice: «Ci ho provato,
buona fortuna». Un fatto
importante, ammettono i Dem vicini a
Matteo Renzi, ma l'accordo è
«pressoché impossibile». Dopo aver
concesso a M5s e centrodestra un
fine settimana per registrare
eventuali novità, Mattarella convoca
alle 17 Fico al Quirinale.
Quelle novità - osserva - non ci
sono
state, neanche per un accordo tra
M5s e Lega. E «a distanza di quasi
due mesi dalle elezioni» c'è «il
dovere di dare al più presto un
governo all'Italia», dice il capo
dello Stato al presidente della
Camera.Il mandato è sondare
l'ipotesi finora sullo sfondo: una
maggioranza parlamentare (al Senato
i voti dei due gruppi fanno in
totale 161) che porti Movimento e Pd
a governare insieme. Lo farò «a
partire dai programmi per il Paese»,
dice Fico. L'inizio del nuovo
tentativo di formare un governo
arriva all'indomani del voto in
Molise, che consegna la vittoria al
centrodestra unito (ma con Fi che
scavalca la Lega) e il M5s in calo.
I risultati sembrano segnalare uno
stop ai principali «azionisti» delle
trattative per il governo, M5s e
Lega. Ma Di Maio sottolinea il
risultato in positivo: «Siamo prima
forza». Forte del risultato di Fi in
Molise, Silvio Berlusconi torna a
invocare un governo di centrodestra
con un leader della Lega, che
cerchi in Parlamento i voti: i
Cinque stelle «non sono credibili». Ma
Salvini, che ribadisce di non voler
per forza fare il premier, si
butta nella campagna elettorale in
Friuli Venezia Giulia e invita Di
Maio e Berlusconi a «smetterla di
litigare» e trovare un'intesa.
Il leader della Lega - ma anche FI -
vive perciò come una doccia fredda
il mandato di Mattarella a Fico per
sondare solo il Pd: «Loro hanno
perso, è una presa in giro - insorge
- Se provano a farlo ci troviamo
a fare una passeggiata a Roma». Di
Maio, però, segue la via tracciata
dal Colle. In mattinata aveva
pubblicato sul blog una bozza di
contratto di programma da presentare
a Lega o Pd. Perciò, quando Fico
riceve il suo mandato, tutto il Pd
osserva che così è impossibile
sedersi al tavolo: il presidente
Matteo Orfini ribadisce che «eravamo,
siamo e resteremo alternativi ai
Cinque Stelle per cultura politica,
programmi e idea della democrazia».
E il reggente Maurizio Martina
spiega che «Ci confronteremo con
Fico», solo «a partire dalla fine di
ogni ambiguità e trattative
parallele anche con Lega e centrodestra».
E a stretto giro, in un post, Di
Maio chiude -il «forno» con Salvini:
«Non vuole assumersi responsabilità
di governo. Non si dica che non
c'ho provato fino alla fine». Oggi
Fico riceverà le delegazioni di M5s
e Pd, che si presenteranno con i
rispettivi programmi. Tra i Dem la
chiusura dei dirigenti vicini a
Matteo Renzi non sembra lasciare molti
margini. Ma governisti e minoranza
insorgono, chiedendo un confronto
in direzione.
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Federico
Marini
skype:
federico1970ca
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