martedì 8 maggio 2018

Rassegna stampa 08 Maggio 2018


La Nuova

Nell'isola pronti al voto «ma sarebbe un danno»
la mossa di Mattarella», le reazioni sarde

Visto dalla Sardegna il rischio di voto anticipato fa paura. I parlamentari isolani non nascondono i loro dubbi davanti alla possibilità di una legislatura da record, negativo. Si potrebbe ritornare alle urne senza neanche convocare le Camere. Ma fa il pieno di dubbi anche la seconda ipotesi, il governo di tregua. In pochi sembrano convinti della possibilità della nascita di un esecutivo di responsabili che metta in sicurezza i conti, cambi la legge elettorale e prepari il Paese a un voto in tempi stretti. Ma non prima della fine dell'anno.

Il più convinto della necessità di un nuovo voto immediato è il deputato di Forza Italia Pietro Pittalis, che boccia qualsiasi ipotesi di governo tecnico. «A dispetto di chi ha voluto provare a dividere il centrodestra siamo rimasti uniti e compatti – dice Pittalis -. È il segno evidente che abbiamo una proposta e un progetto per la soluzione dei problemi del paese. Inutile ipotizzare soluzioni per tirare a campare. I risultati dei governi tecnici ancora li paghiamo.

L'assenza di responsabilità politica porta a cose come la legge Fornero. Il centrodestra ha dimostrato senso di responsabilità e messo in evidenza la necessità di affrontare subito alcuni temi chiave. Su lavoro, sicurezza, fiscalità è necessario intervenire. In particolare si deve evitare l'innalzamento dell'iva. Ma tutte queste iniziative passano solo da un governo di legislatura. Se non ci sono le condizioni penso che il voto sia unica soluzione percorribile.

Tanto più che oggi gli italiani e i sardi in particolare hanno capito per chi hanno votato. In particolare hanno compreso l'immaturità del leader dei 5 Stelle che in questi due mesi ha mostrato solo opportunismo politico e inconcludenza». Molto più cauto il senatore del Movimento 5 Stelle, Ettore Licheri. «Siamo contrari a qualsiasi tipo di governo tecnico - spiega - perché questo svilirebbe la volontà dei cittadini. Chi ha votato per un partito o una coalizione non vuole soluzioni differenti. Un governo tecnico va contro le indicazioni della gente.

Le indicazioni sono andate per un governo che vedesse un asse 5 Stelle e Lega. Ma Salvini ha mostrato di non voler chiudere con l'epoca del berlusconismo per ragioni a me ignote. E di fatto ha impedito la formazione di un governo. Posso dire che noi siamo per iun governo politico che abbia tre punti principali che possono diventare oggetto di un contratto tra partiti e non un'alleanza politica. I punti sono il reddito di cittadinanza, il superamento della legge Fornero e una legge sulla corruzione».

Il segretario del Pd e senatore Giuseppe Luigi Cucca predica responsabilità e mette in evidenza come il ritorno alle urne sarebbe una rovina per il Paese. «Mi auguro e che qualcuno rinsavisca e trovi un accordo per fare governo - dice Cucca - e che si arrivi a fine anno per fare legge di bilancio. E mi chiedo anche a cosa serva ritornare al voto con la stessa legge elettorale. Credo che Mattarella abbia parlato chiaro. Il governo di tregua lo farà e lo porterà alle Camere».

Cucca scarta anche l'ipotesi di un governo tra Pd e 5 Stelle. «In questo momento storico è impossibile fare un governo con loro - dice Cucca -. Forse se ne potrà parlare quando ci sarà un nuovo clima e si potrà dialogare. Ho in ogni caso una certezza, ritornare al voto con questa legge e in estate porterà alle urne pochissime persone e un quadro molto simile a quello attuale». E sulla costosa inutilità del voto insiste molto anche il deputato Pd Gavino Manca. «Centrodestra e 5 Stelle mostrano grande irresponsabilità - dice -. Si va al voto per veti ad personam. Noi voteremo anche l'8 luglio e rivoteremo i nostri programmi, ma vorrei chiedere a chi fa le crociate contro i vitalizi come riescono a giustificare il loro atteggiamento.

Si buttano 600 milioni di euro, tanto costano due elezioni ravvicinate, per veti reciproci su nomi. Perché di politico ci vedo poco. Dobbiamo essere chiari con gli italiani. Il governo di tregua è percorribile, ma sta alla responsabilità politica portarlo avanti. Noi vogliamo evitare guai finanziari per il Paese». (l.roj)

Unione Sarda

Il presidente Anci Deiana rispolvera l'idea di un congresso del popolo sardo
«Partito dei sindaci? Chissà La politica ci ha dimenticato»

L'ultimatum ai partiti è già stato inviato e a spedirlo sono i
sindaci, avamposto delle istituzioni nelle comunità. Il messaggio è
molto chiaro: e se nessuno sarà in grado di coglierlo «ci
organizzeremo e continueremo a stare in trincea». Il presidente
dell'Anci Sardegna, Emiliano Deiana, propone «un nuovo congresso del
popolo sardo» e non esclude che, davanti al silenzio della politica, i
sindaci decidano di rappresentarsi in maniera autonoma.

Può nascere il partito dei sindaci?
«Al momento no. Non esiste, ma ci sono le condizioni perché possa
accadere, al di là della volontà mia o dei vari singoli».

È una fase embrionale?
«Sta crescendo, in maniera del tutto spontanea, un fronte comune sui
temi e le questioni aperte della Sardegna. Noi stiamo facendo delle
riflessioni. Vedremo come reagiscono i partiti alle nostre
sollecitazioni».

Quando vi siete resi conto della necessità di un fronte unitario?
«Nel 2016, in occasione della manifestazione sui bilanci dei Comuni».

Sarete corteggiati in campagna elettorale. Quali saranno le doti che i
partiti dovranno possedere per avere la vostra fiducia?
«Tutti i governi che si sono succeduti, dal 2008 sino al 2013, sono
stati caratterizzati da un attacco indiscriminato alle autonomie
locali. Questo fenomeno ha coinvolto tutti i partiti e movimenti
sull'accorpamento dei piccoli Comuni. Ammettere l'errore e dimostrare,
con atti concreti, di voler cambiare rotta sarebbe il segnale che la
guerra è finita».

Se ciò non accadesse?
«Continueremo a stare in trincea e ci organizzeremo».
I partiti hanno perso il contatto con i territori?
«Fatte le dovute eccezioni, per partiti e sindacati, in generale
stanno perdendo l'aderenza con le comunità. Spesso manca la capacità
di individuare i luoghi simbolo, come nel caso di Ottana, dove non è
andato nessuno a fare campagna elettorale per le Politiche».

Le cause?
«I motivi sono molteplici. Certo è che i sistemi elettorali con le
liste bloccate non hanno agevolato il contatto: è successo col
Porcellum e anche con il Rosatellum».

I temi possono essere un collante per chiudere il capitolo sulle
coalizioni consuete?
«Di sicuro dobbiamo fare qualcosa che vada oltre i confini. Dal 1994
anche in Regione abbiamo assistito al bipolarismo e all'alternanza,
con la conseguenza che le nuove maggioranze distruggevano ciò che i
predecessori avevano fatto. Significa che non c'è unità sulle regole
fondamentali».

Magari un eccesso di riformismo?
«È stata una fase che ha caratterizzato un'epoca e forse riforme ne
sono state fatte abbastanza. Magari servirebbe più manutenzione, una
cura della norma o del particolare».

Lei ha lanciato la proposta di un nuovo congresso del popolo sardo.
Cosa significa?
«Riproporre ciò che è successo nel 1950, quando tutto il mondo
politico mise le basi per la rinascita della Sardegna. In questo
momento in cui i partiti e i corpi intermedi sono indeboliti, dobbiamo
andare oltre. E la rinascita della Sardegna può generarsi solo dalle
comunità».

Sabato scorso a Tempio c'è stato un confronto tra primi cittadini
proprio su questi temi. Sono i primi passi concreti?
«È stato tutto molto spontaneo, un dibattito utile che ha permesso a
tanti di ritrovarsi sulle cose che ci sono da fare».

Le più urgenti quali sono?
«Innanzitutto verificare se ci siano le condizioni per riscrivere lo
Statuto e avere nuove regole nei rapporti tra la Sardegna e lo Stato».
Cosa dovrebbe cambiare, invece, nei rapporti tra Regione ed enti locali?
«Serve uno snellimento del pachiderma regionale, puntando su un
federalismo interno e garantendo maggiori poteri, investimenti e più
risorse per le comunità».

Attualmente c'è un indebolimento degli enti locali?
«La macchina regionale è articolata in maniera centralistica. Basti
pensare alla Asl unica, a Forestas, ad Abbanoa o all'Anas sarda.
Organizzazione che causa difficoltà nella gestione della vita
quotidiana dei cittadini».

Oltre l'organizzazione burocratica, qual è l'elenco delle priorità?
«Serve un'alleanza tra i paesi e le periferie urbane. C'è un'emergenza
demografica per cui la Sardegna rischia di perdere 500mila abitanti
nei prossimi anni. Ulteriore tema è la necessità di continuare
l'investimento su cultura e su conoscenza e, vista la particolare
posizione geografica dell'Isola, occorre puntare su un'economia di
pace piuttosto che di guerra. Dobbiamo tutelare la figura del pastore
come presidio economico e insediativo, salvaguardare agricoltura e
paesaggio. Infine, dare più poteri ai Comuni sull'acqua pubblica e
garantire la presenza della sanità di base nelle periferie».
Matteo Sau

Comuni al voto, i partiti contano sempre meno
Oltre 140mila sardi alle urne il 10 giugno, entro sabato le liste

L'attenzione dei partiti è soprattutto per Assemini e Iglesias, gli
unici Comuni con oltre 15mila abitanti dove si voterà il 10 giugno e
nei quali ci sarà l'eventuale ballottaggio. I soli nei quali contano
le alleanze e il cui risultato, più che in altri centri, ha un
significato politico. Ma non sono trascurabili nemmeno Macomer,
Decimomannu, Oliena, Cabras, Senorbì, Budoni, Teulada e Palau, i più
popolosi tra i 43 centri nei quali si andrà alle urne che, sommati,
mettono assieme 140.734 sardi, più o meno un decimo dell'elettorato
totale.

Se è vero che le amministrative, soprattutto nei centri più piccoli,
rispondono a logiche diverse dalle politiche e sono ampiamente
maggioritarie le alleanze trasversali che confluiscono in liste
civiche, per i partiti è comunque l'occasione per testare l'indice di
gradimento nei territori dopo lo tsunami del quattro marzo. Uno dei
pericoli è l'astensione.

IL CENTRODESTRA «Per quanto le amministrative si svolgano dentro un
sistema differente, ci auguriamo che, così come è stato in Molise e in
Friuli, ci sia conferma della tendenza di crescita del centrodestra,
del crollo del Pd e del ridimensionamento del Movimento Cinquestelle»,
commenta il leader di Forza Italia Ugo Cappellacci. Ancora da
sciogliere il nodo dell'alleanza Psd'Az-Lega, almeno nei Comuni più
importanti, prefigurata dopo le Politiche dal segretario sardista
Christian Solinas ma ancora non ufficializzata a pochi giorni dalla
scadenza della presentazione delle liste, prevista tra venerdì (dalle
8 alle 20) e sabato (dalle 8 alle 12).

CINQUESTELLE SOLO IN 4 COMUNI I pentastellati, esplosi alle Politiche,
vogliono verificare se l'ampio voto di opinione di due mesi fa possa
tradursi in un consenso anche alle comunali. Mario Puddu, sindaco
uscente (e non ricandidato) di Assemini e personaggio di spicco del
Movimento, è ottimista anche se, dice, «potremmo non avere le
percentuali ottenute per il Parlamento».

Ma ciò che conta, evidenzia,
«è che i nostri movimenti territoriali si sono impegnati per fare
scelte di qualità perché alle amministrative i candidati hanno un peso
maggiore», premette. «Sappiamo di essere, per i partiti, il nemico da
abbattere tanto che Forza Italia ad Assemini sostiene un candidato
civico e non ne presenta uno suo», aggiunge. Il Movimento - informa
Puddu - ha scelto di presentarsi solo in quattro Comuni: Assemini,
Iglesias, Macomer e Decimomannu. «Abbiamo sempre detto che non ci si
deve presentare per forza dappertutto».

IL CENTROSINISTRA Per il centrosinistra sarebbe un'occasione per
rimediare alla pesante sconfitta e riavviare il cantiere della
coalizione. Ma probabilmente bisognerà attendere un'altra opportunità.
Da questo punto di vista nell'Isola la situazione è difficile quanto
quella nazionale con una segreteria formalmente nei pieni poteri ma
delegittimata da una parte del partito.

Infatti Giuseppe Luigi Cucca,
senatore e segretario regionale Dem, a pochi giorni dalla scadenza
della presentazione dei nomi non si sbilancia ancora. «Ci sono
difficoltà», ammette. «Vedremo, dopo la presentazione delle liste,
quale sarà il panorama poi avremo un quadro più preciso sulle
strategie da adottare. Certo», aggiunge, «qualche significato politico
ce l'hanno anche le amministrative per quanto da tempo abbiamo preso
una piega civica. Noi avremo liste nostre ad Assemini e Iglesias negli
altri centri ci saranno situazioni differenti».

I PROBLEMI REALI Il fatto è che i Comuni hanno problemi concreti e
reali. «Fare il sindaco di questi tempi è molto difficile», ama
ripetere il presidente dell'Anci Emiliano Deiana che più volte ha
denunciato le difficoltà legate soprattutto ai bilanci, ma anche alla
gestione di cantieri lavoro e programmi per l'occupazione come
Lavoras. «L'aspetto più importante delle prossime amministrative è
verificare l'eventuale diminuzione della partecipazione democratica»,
aggiunge Deiana.

Anche per questo Omar Hassan, presidente dell'Anci
piccoli Comuni, ha ribadito che «sono elezioni fondamentali perché i
centri più periferici soffrono una situazione in cui la percezione dei
cittadini è che nulla possa cambiare. Servono candidati riconosciuti e
capaci di interpretare i bisogni dei cittadini».
Fabio Manca

Tra Cagliaritano e Sud Sardegna quasi 92mila elettori
Assemini: i Cinquestelle cercano il bis, il centrodestra sceglie un
civico, Pd in affanno

Nel Sud Sardegna e nell'area metropolitana di Cagliari, in 14 Comuni
si concentrano 91.835 elettori, tre quarti dei sardi che il dieci
giugno andranno alle urne. Iglesias è il più popoloso con 26.988
elettori, solo 210 in più di Assemini, che ne conta 26.778 ed è
l'unico, tra tutti i centro in cui si andrà alle urne. Gli altri
centri di una certa rilevanza, sul piano squisitamente numerico, sono
Maracalagonis, Senorbì, Decimomannu e Teulada, questi ultimi gravati
da servitù militari.

IL PUNTO SU ASSEMINI A quattro giorni dalla scadenza dei termini per
la presentazione delle liste, la situazione più ingarbugliata è ad
Iglesias (vedi articolo a lato) mentre ad Assemini Mario Puddu,
sindaco uscente di Assemini, non si ripresenterà e sarà,
probabilmente, il candidato del Movimento alle Regionali di inizio
2019. Ma a rappresentare i Cinquestelle ad Assemini, da cinque anni
solida roccaforte pentastellata, come hanno confermato le Politiche,
ci sarà Sabrina Licheri.

La sfideranno Irene Piras (Progetto
LiberAssemini), Antonio Scano, scelto dal centrodestra, un candidato
da definire del Pd e uno del Pci. Il Pd è l'unico partito che non ha
ancora indicato il candidato sindaco ad Assemini come a Decimomannu.
Il segretario provinciale Dem, Francesco Lilliu, è costretto d a
settimane a un superlavoro di tessitura e mediazione.
GLI ALTRI COMUNI Ci sarà un nuovo sindaco anche a Collinas, Donori,
Fluminimaggiore, Furtei, Gesturi, Ortacesus, Seui e Villaspeciosa.

Dei 14 Comuni che andranno alle urne tra Cagliaritano e Sud Sardegna solo
Assemini è governato da una forza politica, gli altri sono in mano a
sindaci civici che in un solo caso, Iglesias, sostenuti dal
centrosinistra. Gesturi è l'unico Comune commissariato del Sud
Sardegna: la Giunta regionale aveva sciolto il Consiglio comunale il
17 ottobre scorso perché l'assemblea civica non era riuscita ad
approvare il conto consuntivo nei tempi previsti dalla legge.

La Nuova

«Un governo neutrale» Barricate di M5s e Lega la mossa di mattarella
di Chiara Scalise

ROMA
Un governo «neutrale, di servizio, di garanzia» ma nella pienezza dei
poteri: sono questi i termini che il presidente della Repubblica
Sergio Mattarella sceglie per descrivere la natura dell'Esecutivo a
cui è pronto a dar vita nell'estremo tentativo di evitare nuove
elezioni, che pure sembrano avvicinarsi a grandi passi. Il Capo dello
Stato, alla fine del terzo giro di Consultazioni, si rivolge
direttamente ai partiti, visibilmente contrariato, constatandone la
persistente incapacità di siglare intese dopo il voto del 4 marzo e
mettendo però in evidenza anomalie e rischi di urne in «estate piena»
o peggio ancora in autunno, con la legge di Bilancio da approvare,
l'aumento dell'Iva da disinnescare e i mercati finanziari da tenere a
bada. Se dal Pd il sostegno al Colle è pieno, Lega e M5S non aspettano
l'appuntamento in Parlamento e poco dopo il discorso del presidente
fanno sapere di non essere disponibili a offrire i propri voti a un
Esecutivo di tregua.

Luigi Di Maio, il capo politico dei pentastellati
salito al Colle per primo in questa lunga giornata, ribadisce le
posizioni del Movimento: sì al dialogo con Salvini, contemplando anche
un passo indietro sulla leadership, no a Forza Italia; in alternativa,
si voti a luglio, continuano a ribadire i 5S anche a sera, sancendo la
chiusura a qualsiasi opzione di salvataggio della Legislatura. Stessa
linea dal leader del Carroccio, che insiste nel sostenere un governo
di centrodestra o il ritorno alle urne «il prima possibile».

Centrodestra che dopo 60 giorni di trattative e «forni» arriva
sfibrato dai sospetti reciproci e dai litigi sempre più manifesti:
«Contiamo che Berlusconi - dice ancora Salvini - mantenga la parola
data e abbia la nostra stessa coerenza, poi gli italiani ci daranno la
maggioranza assoluta e cambieremo l'Italia da soli». Forza Italia,
come anche il Cavaliere mostra al termine delle consultazioni con un
atteggiamento compito ma imbronciato nei confronti dei compagni di
coalizione, si trova in difficoltà e pur assicurando di cercare la
condivisione prende ufficialmente posizione contro un ritorno alle
urne in estate.

Elezioni bis a giugno sono comunque escluse, chiarisce
il Colle, e dunque chi vuole accelerare punta sull'inedito scenario di
chiamare i cittadini a un nuovo voto il mese successivo. Calendario
alla mano la data più probabile, osservano fonti parlamentari, non
sarebbe neanche la domenica 8, come invocato da Lega e 5S al termine
di un vertice tra i leader alla Camera, bensì quella addirittura del
22 luglio con una campagna elettorale dunque da fare sotto gli
ombrelloni. L'alternativa d'altro canto forse è anche peggiore: nuove
elezioni in autunno portano con sé il rischio dell'esercizio
provvisorio e di esporre il Paese alla speculazione finanziaria.

Due scenari che Mattarella non nasconde di voler scongiurare ed è per
questo che si assume la responsabilità di proporre un governo che
possa traghettare il Paese in questa difficile fase senza rinunciare
all'idea che, settimana dopo settimana, possa maturare in Parlamento
quell'intesa che finora non si è consumata fra le forze politiche. A
quel punto, la squadra di governo formata su input del Colle andrebbe
a casa e nascerebbe un nuovo governo politico. Altrimenti, ci
sarebbero comunque le urne ma nel 2019.

Tra i big, gli unici a essere
apertamente a favore di questo progetto sono i dirigenti Dem:
l'appoggio al capo dello Stato nel tentativo di dare intanto un
Esecutivo nella pienezza dei propri poteri al Paese, dunque in grado
di assolvere i compiti delicati anche a livello internazionale, viene
infatti sostenuto un po' da tutte le correnti, Renzi compreso.

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Federico Marini
skype: federico1970ca


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