La
Nuova
Nell'isola
pronti al voto «ma sarebbe un danno»
la mossa
di Mattarella», le reazioni sarde
Visto dalla Sardegna il rischio di
voto anticipato fa paura. I parlamentari isolani non nascondono i loro dubbi
davanti alla possibilità di una legislatura da record, negativo. Si potrebbe ritornare
alle urne senza neanche convocare le Camere. Ma fa il pieno di dubbi anche la
seconda ipotesi, il governo di tregua. In pochi sembrano convinti della
possibilità della nascita di un esecutivo di responsabili che metta in
sicurezza i conti, cambi la legge elettorale e prepari il Paese a un voto in
tempi stretti. Ma non prima della fine dell'anno.
Il più convinto della necessità di
un nuovo voto immediato è il deputato di Forza Italia Pietro Pittalis, che
boccia qualsiasi ipotesi di governo tecnico. «A dispetto di chi ha voluto
provare a dividere il centrodestra siamo rimasti uniti e compatti – dice Pittalis
-. È il segno evidente che abbiamo una proposta e un progetto per la soluzione
dei problemi del paese. Inutile ipotizzare soluzioni per tirare a campare. I
risultati dei governi tecnici ancora li paghiamo.
L'assenza di responsabilità politica
porta a cose come la legge Fornero. Il centrodestra ha dimostrato senso di
responsabilità e messo in evidenza la necessità di affrontare subito alcuni
temi chiave. Su lavoro, sicurezza, fiscalità è necessario intervenire. In particolare
si deve evitare l'innalzamento dell'iva. Ma tutte queste iniziative passano
solo da un governo di legislatura. Se non ci sono le condizioni penso che il
voto sia unica soluzione percorribile.
Tanto più che oggi gli italiani e i
sardi in particolare hanno capito per chi hanno votato. In particolare hanno
compreso l'immaturità del leader dei 5 Stelle che in questi due mesi ha
mostrato solo opportunismo politico e inconcludenza». Molto più cauto il
senatore del Movimento 5 Stelle, Ettore
Licheri. «Siamo contrari a qualsiasi tipo di governo tecnico - spiega - perché
questo svilirebbe la volontà dei cittadini. Chi ha votato per un partito o una
coalizione non vuole soluzioni differenti. Un governo tecnico va contro le
indicazioni della gente.
Le indicazioni sono andate per un
governo che vedesse un asse 5 Stelle e Lega. Ma Salvini ha mostrato di non
voler chiudere con l'epoca del berlusconismo per ragioni a me ignote. E di
fatto ha impedito la formazione di un governo. Posso dire che noi siamo per iun
governo politico che abbia tre punti principali che possono diventare oggetto
di un contratto tra partiti e non un'alleanza politica. I punti sono il reddito
di cittadinanza, il superamento della legge Fornero e una legge sulla
corruzione».
Il segretario del Pd e senatore Giuseppe
Luigi Cucca predica responsabilità e mette in evidenza come il ritorno alle
urne sarebbe una rovina per il Paese. «Mi auguro e che qualcuno rinsavisca e
trovi un accordo per fare governo - dice Cucca - e che si arrivi a fine anno
per fare legge di bilancio. E mi chiedo anche a cosa serva ritornare al voto
con la stessa legge elettorale. Credo che Mattarella abbia parlato chiaro. Il
governo di tregua lo farà e lo porterà alle Camere».
Cucca scarta anche l'ipotesi di un governo
tra Pd e 5 Stelle. «In questo momento storico è impossibile fare un governo con
loro - dice Cucca -. Forse se ne potrà parlare quando ci sarà un nuovo clima e
si potrà dialogare. Ho in ogni caso una certezza, ritornare al voto con questa
legge e in estate porterà alle urne pochissime persone e un quadro molto simile
a quello attuale». E sulla costosa inutilità del voto insiste molto anche il deputato
Pd Gavino Manca. «Centrodestra e 5 Stelle mostrano grande irresponsabilità -
dice -. Si va al voto per veti ad personam. Noi voteremo anche l'8 luglio e
rivoteremo i nostri programmi, ma vorrei chiedere a chi fa le crociate contro i
vitalizi come riescono a giustificare il loro atteggiamento.
Si buttano 600 milioni di euro, tanto
costano due elezioni ravvicinate, per veti reciproci su nomi. Perché di
politico ci vedo poco. Dobbiamo essere chiari con gli italiani. Il governo di
tregua è percorribile, ma sta alla responsabilità politica portarlo avanti. Noi
vogliamo evitare guai finanziari per il Paese». (l.roj)
Unione
Sarda
Il
presidente Anci Deiana rispolvera l'idea di un congresso del popolo sardo
«Partito
dei sindaci? Chissà La politica ci ha dimenticato»
L'ultimatum ai partiti è già stato
inviato e a spedirlo sono i
sindaci, avamposto delle istituzioni
nelle comunità. Il messaggio è
molto chiaro: e se nessuno sarà in
grado di coglierlo «ci
organizzeremo e continueremo a stare
in trincea». Il presidente
dell'Anci Sardegna, Emiliano Deiana,
propone «un nuovo congresso del
popolo sardo» e non esclude che,
davanti al silenzio della politica, i
sindaci decidano di rappresentarsi
in maniera autonoma.
Può nascere il partito dei sindaci?
«Al momento no. Non esiste, ma ci
sono le condizioni perché possa
accadere, al di là della volontà mia
o dei vari singoli».
È una fase embrionale?
«Sta crescendo, in maniera del tutto
spontanea, un fronte comune sui
temi e le questioni aperte della
Sardegna. Noi stiamo facendo delle
riflessioni. Vedremo come reagiscono
i partiti alle nostre
sollecitazioni».
Quando vi siete resi conto della
necessità di un fronte unitario?
«Nel 2016, in occasione della
manifestazione sui bilanci dei Comuni».
Sarete corteggiati in campagna
elettorale. Quali saranno le doti che i
partiti dovranno possedere per avere
la vostra fiducia?
«Tutti i governi che si sono
succeduti, dal 2008 sino al 2013, sono
stati caratterizzati da un attacco
indiscriminato alle autonomie
locali. Questo fenomeno ha coinvolto
tutti i partiti e movimenti
sull'accorpamento dei piccoli
Comuni. Ammettere l'errore e dimostrare,
con atti concreti, di voler cambiare
rotta sarebbe il segnale che la
guerra è finita».
Se ciò non accadesse?
«Continueremo a stare in trincea e
ci organizzeremo».
I partiti hanno perso il contatto
con i territori?
«Fatte le dovute eccezioni, per
partiti e sindacati, in generale
stanno perdendo l'aderenza con le
comunità. Spesso manca la capacità
di individuare i luoghi simbolo,
come nel caso di Ottana, dove non è
andato nessuno a fare campagna
elettorale per le Politiche».
Le cause?
«I motivi sono molteplici. Certo è
che i sistemi elettorali con le
liste bloccate non hanno agevolato
il contatto: è successo col
Porcellum e anche con il
Rosatellum».
I temi possono essere un collante
per chiudere il capitolo sulle
coalizioni consuete?
«Di sicuro dobbiamo fare qualcosa
che vada oltre i confini. Dal 1994
anche in Regione abbiamo assistito
al bipolarismo e all'alternanza,
con la conseguenza che le nuove
maggioranze distruggevano ciò che i
predecessori avevano fatto.
Significa che non c'è unità sulle regole
fondamentali».
Magari un eccesso di riformismo?
«È stata una fase che ha
caratterizzato un'epoca e forse riforme ne
sono state fatte abbastanza. Magari
servirebbe più manutenzione, una
cura della norma o del particolare».
Lei ha lanciato la proposta di un
nuovo congresso del popolo sardo.
Cosa significa?
«Riproporre ciò che è successo nel
1950, quando tutto il mondo
politico mise le basi per la
rinascita della Sardegna. In questo
momento in cui i partiti e i corpi
intermedi sono indeboliti, dobbiamo
andare oltre. E la rinascita della
Sardegna può generarsi solo dalle
comunità».
Sabato scorso a Tempio c'è stato un
confronto tra primi cittadini
proprio su questi temi. Sono i primi
passi concreti?
«È stato tutto molto spontaneo, un
dibattito utile che ha permesso a
tanti di ritrovarsi sulle cose che
ci sono da fare».
Le più urgenti quali sono?
«Innanzitutto verificare se ci siano
le condizioni per riscrivere lo
Statuto e avere nuove regole nei
rapporti tra la Sardegna e lo Stato».
Cosa dovrebbe cambiare, invece, nei
rapporti tra Regione ed enti locali?
«Serve uno snellimento del
pachiderma regionale, puntando su un
federalismo interno e garantendo
maggiori poteri, investimenti e più
risorse per le comunità».
Attualmente c'è un indebolimento
degli enti locali?
«La macchina regionale è articolata
in maniera centralistica. Basti
pensare alla Asl unica, a Forestas,
ad Abbanoa o all'Anas sarda.
Organizzazione che causa difficoltà
nella gestione della vita
quotidiana dei cittadini».
Oltre l'organizzazione burocratica,
qual è l'elenco delle priorità?
«Serve un'alleanza tra i paesi e le
periferie urbane. C'è un'emergenza
demografica per cui la Sardegna
rischia di perdere 500mila abitanti
nei prossimi anni. Ulteriore tema è
la necessità di continuare
l'investimento su cultura e su
conoscenza e, vista la particolare
posizione geografica dell'Isola,
occorre puntare su un'economia di
pace piuttosto che di guerra.
Dobbiamo tutelare la figura del pastore
come presidio economico e
insediativo, salvaguardare agricoltura e
paesaggio. Infine, dare più poteri
ai Comuni sull'acqua pubblica e
garantire la presenza della sanità
di base nelle periferie».
Matteo Sau
Comuni al
voto, i partiti contano sempre meno
Oltre
140mila sardi alle urne il 10 giugno, entro sabato le liste
L'attenzione dei partiti è
soprattutto per Assemini e Iglesias, gli
unici Comuni con oltre 15mila
abitanti dove si voterà il 10 giugno e
nei quali ci sarà l'eventuale
ballottaggio. I soli nei quali contano
le alleanze e il cui risultato, più
che in altri centri, ha un
significato politico. Ma non sono
trascurabili nemmeno Macomer,
Decimomannu, Oliena, Cabras,
Senorbì, Budoni, Teulada e Palau, i più
popolosi tra i 43 centri nei quali
si andrà alle urne che, sommati,
mettono assieme 140.734 sardi, più o
meno un decimo dell'elettorato
totale.
Se è vero che le amministrative,
soprattutto nei centri più piccoli,
rispondono a logiche diverse dalle
politiche e sono ampiamente
maggioritarie le alleanze
trasversali che confluiscono in liste
civiche, per i partiti è comunque
l'occasione per testare l'indice di
gradimento nei territori dopo lo
tsunami del quattro marzo. Uno dei
pericoli è l'astensione.
IL CENTRODESTRA «Per quanto le
amministrative si svolgano dentro un
sistema differente, ci auguriamo
che, così come è stato in Molise e in
Friuli, ci sia conferma della
tendenza di crescita del centrodestra,
del crollo del Pd e del
ridimensionamento del Movimento Cinquestelle»,
commenta il leader di Forza Italia
Ugo Cappellacci. Ancora da
sciogliere il nodo dell'alleanza
Psd'Az-Lega, almeno nei Comuni più
importanti, prefigurata dopo le
Politiche dal segretario sardista
Christian Solinas ma ancora non
ufficializzata a pochi giorni dalla
scadenza della presentazione delle
liste, prevista tra venerdì (dalle
8 alle 20) e sabato (dalle 8 alle
12).
CINQUESTELLE SOLO IN 4 COMUNI I
pentastellati, esplosi alle Politiche,
vogliono verificare se l'ampio voto
di opinione di due mesi fa possa
tradursi in un consenso anche alle
comunali. Mario Puddu, sindaco
uscente (e non ricandidato) di
Assemini e personaggio di spicco del
Movimento, è ottimista anche se,
dice, «potremmo non avere le
percentuali ottenute per il
Parlamento».
Ma ciò che conta, evidenzia,
«è che i nostri movimenti
territoriali si sono impegnati per fare
scelte di qualità perché alle
amministrative i candidati hanno un peso
maggiore», premette. «Sappiamo di
essere, per i partiti, il nemico da
abbattere tanto che Forza Italia ad
Assemini sostiene un candidato
civico e non ne presenta uno suo»,
aggiunge. Il Movimento - informa
Puddu - ha scelto di presentarsi
solo in quattro Comuni: Assemini,
Iglesias, Macomer e Decimomannu.
«Abbiamo sempre detto che non ci si
deve presentare per forza
dappertutto».
IL CENTROSINISTRA Per il
centrosinistra sarebbe un'occasione per
rimediare alla pesante sconfitta e
riavviare il cantiere della
coalizione. Ma probabilmente
bisognerà attendere un'altra opportunità.
Da questo punto di vista nell'Isola
la situazione è difficile quanto
quella nazionale con una segreteria
formalmente nei pieni poteri ma
delegittimata da una parte del
partito.
Infatti Giuseppe Luigi Cucca,
senatore e segretario regionale Dem,
a pochi giorni dalla scadenza
della presentazione dei nomi non si
sbilancia ancora. «Ci sono
difficoltà», ammette. «Vedremo, dopo
la presentazione delle liste,
quale sarà il panorama poi avremo un
quadro più preciso sulle
strategie da adottare. Certo»,
aggiunge, «qualche significato politico
ce l'hanno anche le amministrative
per quanto da tempo abbiamo preso
una piega civica. Noi avremo liste
nostre ad Assemini e Iglesias negli
altri centri ci saranno situazioni
differenti».
I PROBLEMI REALI Il fatto è che i
Comuni hanno problemi concreti e
reali. «Fare il sindaco di questi
tempi è molto difficile», ama
ripetere il presidente dell'Anci Emiliano
Deiana che più volte ha
denunciato le difficoltà legate
soprattutto ai bilanci, ma anche alla
gestione di cantieri lavoro e
programmi per l'occupazione come
Lavoras. «L'aspetto più importante
delle prossime amministrative è
verificare l'eventuale diminuzione
della partecipazione democratica»,
aggiunge Deiana.
Anche per questo Omar Hassan,
presidente dell'Anci
piccoli Comuni, ha ribadito che
«sono elezioni fondamentali perché i
centri più periferici soffrono una
situazione in cui la percezione dei
cittadini è che nulla possa
cambiare. Servono candidati riconosciuti e
capaci di interpretare i bisogni dei
cittadini».
Fabio Manca
Tra
Cagliaritano e Sud Sardegna quasi 92mila elettori
Assemini:
i Cinquestelle cercano il bis, il centrodestra sceglie un
civico,
Pd in affanno
Nel Sud Sardegna e nell'area
metropolitana di Cagliari, in 14 Comuni
si concentrano 91.835 elettori, tre
quarti dei sardi che il dieci
giugno andranno alle urne. Iglesias
è il più popoloso con 26.988
elettori, solo 210 in più di Assemini,
che ne conta 26.778 ed è
l'unico, tra tutti i centro in cui
si andrà alle urne. Gli altri
centri di una certa rilevanza, sul
piano squisitamente numerico, sono
Maracalagonis, Senorbì, Decimomannu
e Teulada, questi ultimi gravati
da servitù militari.
IL PUNTO SU ASSEMINI A quattro
giorni dalla scadenza dei termini per
la presentazione delle liste, la
situazione più ingarbugliata è ad
Iglesias (vedi articolo a lato)
mentre ad Assemini Mario Puddu,
sindaco uscente di Assemini, non si
ripresenterà e sarà,
probabilmente, il candidato del
Movimento alle Regionali di inizio
2019. Ma a rappresentare i
Cinquestelle ad Assemini, da cinque anni
solida roccaforte pentastellata,
come hanno confermato le Politiche,
ci sarà Sabrina Licheri.
La sfideranno Irene Piras (Progetto
LiberAssemini), Antonio Scano,
scelto dal centrodestra, un candidato
da definire del Pd e uno del Pci. Il
Pd è l'unico partito che non ha
ancora indicato il candidato sindaco
ad Assemini come a Decimomannu.
Il segretario provinciale Dem,
Francesco Lilliu, è costretto d a
settimane a un superlavoro di
tessitura e mediazione.
GLI ALTRI COMUNI Ci sarà un nuovo
sindaco anche a Collinas, Donori,
Fluminimaggiore, Furtei, Gesturi,
Ortacesus, Seui e Villaspeciosa.
Dei 14 Comuni che andranno alle urne
tra Cagliaritano e Sud Sardegna solo
Assemini è governato da una forza
politica, gli altri sono in mano a
sindaci civici che in un solo caso,
Iglesias, sostenuti dal
centrosinistra. Gesturi è l'unico
Comune commissariato del Sud
Sardegna: la Giunta regionale aveva
sciolto il Consiglio comunale il
17 ottobre scorso perché l'assemblea
civica non era riuscita ad
approvare il conto consuntivo nei
tempi previsti dalla legge.
La
Nuova
«Un
governo neutrale» Barricate di M5s e Lega la mossa di mattarella
di Chiara
Scalise
ROMA
Un governo «neutrale, di servizio,
di garanzia» ma nella pienezza dei
poteri: sono questi i termini che il
presidente della Repubblica
Sergio Mattarella sceglie per
descrivere la natura dell'Esecutivo a
cui è pronto a dar vita nell'estremo
tentativo di evitare nuove
elezioni, che pure sembrano
avvicinarsi a grandi passi. Il Capo dello
Stato, alla fine del terzo giro di
Consultazioni, si rivolge
direttamente ai partiti,
visibilmente contrariato, constatandone la
persistente incapacità di siglare
intese dopo il voto del 4 marzo e
mettendo però in evidenza anomalie e
rischi di urne in «estate piena»
o peggio ancora in autunno, con la
legge di Bilancio da approvare,
l'aumento dell'Iva da disinnescare e
i mercati finanziari da tenere a
bada. Se dal Pd il sostegno al Colle
è pieno, Lega e M5S non aspettano
l'appuntamento in Parlamento e poco
dopo il discorso del presidente
fanno sapere di non essere
disponibili a offrire i propri voti a un
Esecutivo di tregua.
Luigi Di Maio, il capo politico dei
pentastellati
salito al Colle per primo in questa
lunga giornata, ribadisce le
posizioni del Movimento: sì al
dialogo con Salvini, contemplando anche
un passo indietro sulla leadership,
no a Forza Italia; in alternativa,
si voti a luglio, continuano a
ribadire i 5S anche a sera, sancendo la
chiusura a qualsiasi opzione di
salvataggio della Legislatura. Stessa
linea dal leader del Carroccio, che
insiste nel sostenere un governo
di centrodestra o il ritorno alle
urne «il prima possibile».
Centrodestra che dopo 60 giorni di
trattative e «forni» arriva
sfibrato dai sospetti reciproci e
dai litigi sempre più manifesti:
«Contiamo che Berlusconi - dice
ancora Salvini - mantenga la parola
data e abbia la nostra stessa
coerenza, poi gli italiani ci daranno la
maggioranza assoluta e cambieremo
l'Italia da soli». Forza Italia,
come anche il Cavaliere mostra al
termine delle consultazioni con un
atteggiamento compito ma imbronciato
nei confronti dei compagni di
coalizione, si trova in difficoltà e
pur assicurando di cercare la
condivisione prende ufficialmente
posizione contro un ritorno alle
urne in estate.
Elezioni bis a giugno sono comunque
escluse, chiarisce
il Colle, e dunque chi vuole
accelerare punta sull'inedito scenario di
chiamare i cittadini a un nuovo voto
il mese successivo. Calendario
alla mano la data più probabile,
osservano fonti parlamentari, non
sarebbe neanche la domenica 8, come
invocato da Lega e 5S al termine
di un vertice tra i leader alla
Camera, bensì quella addirittura del
22 luglio con una campagna
elettorale dunque da fare sotto gli
ombrelloni. L'alternativa d'altro
canto forse è anche peggiore: nuove
elezioni in autunno portano con sé
il rischio dell'esercizio
provvisorio e di esporre il Paese
alla speculazione finanziaria.
Due scenari che Mattarella non
nasconde di voler scongiurare ed è per
questo che si assume la
responsabilità di proporre un governo che
possa traghettare il Paese in questa
difficile fase senza rinunciare
all'idea che, settimana dopo
settimana, possa maturare in Parlamento
quell'intesa che finora non si è
consumata fra le forze politiche. A
quel punto, la squadra di governo
formata su input del Colle andrebbe
a casa e nascerebbe un nuovo governo
politico. Altrimenti, ci
sarebbero comunque le urne ma nel
2019.
Tra i big, gli unici a essere
apertamente a favore di questo
progetto sono i dirigenti Dem:
l'appoggio al capo dello Stato nel
tentativo di dare intanto un
Esecutivo nella pienezza dei propri
poteri al Paese, dunque in grado
di assolvere i compiti delicati
anche a livello internazionale, viene
infatti sostenuto un po' da tutte le
correnti, Renzi compreso.
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Federico
Marini
skype:
federico1970ca
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