I
sistemi complessi, così come i problemi complessi, hanno comunque alla base
unità semplici, quindi anche i casi che sembrano ormai disperati hanno ampi
margini di soluzione: pertanto , se non altro per ragioni di logica, anche il
PD ce la può fare.
Serve fiducia. Quella fiducia che dobbiamo ispirare alle persone, ma che
innanzitutto dobbiamo esercitare tra noi. Come possiamo pensare che qualcuno
possa riporre in noi la propria, se siamo i primi e le prime a esprimere
diffidenza al nostro interno? Chiusi dentro dispute correntizie, ci
dimentichiamo che là fuori il mondo avanza senza di noi, a prescindere da noi. Devono finire le finte tattiche e le presunte strategie: ora
dobbiamo pensare a ricostruirci partendo subito da una nuova stagione di
pensiero che si trasformi in contenuti operativi e sociali.
Dobbiamo comprendere prima – con una discussione seria e profonda, senza riserve - e condividere poi, quale debba essere oggi il pensiero e l'agire di una forza politica progressista, mondializzata e innovativa che, con una nuova classe dirigente, possa trainare lo sviluppo sostenibile delle comunità nei loro territori.
Ho l'impressione che operiamo, in una realtà mutata, con
strumenti e prospettive vecchi, incapaci di declinare in chiave contemporanea i
nostri valori tradizionali, che pure sono ancora modernissimi. E' inutile spiegare le cose nuove con gli schemi vecchi. Subiamo e seguiamo a
fatica i cambiamenti, anziché anticiparli e interpretarli.
La storia insegna che esistono momenti cruciali, che purtroppo vengono compresi solamente a posteriori, in cui piccole scelte che possono apparire banali... in cui elementi apparentemente insignificanti... in cui opportunità sfiorate ma non afferrate, non restano isolati ma divengono, al contrario, tasselli di un mosaico più grande della cui composizione in tanti hanno o avranno la responsabilità, grande o piccola che sia.
L'Italia oggi ha preso una direzione che a me non piace per
niente. Mentre noi eravamo impegnati a litigare, è avvenuto un mutamento repentino del
sentire comune, e abbiamo assistito, nel giro di pochi mesi, al fenomeno per
cui opinioni o frasi che fino a poco tempo fa ci si sarebbe vergognati di
pronunciare tra amici in un bar, ora vengono tuonate orgogliosamente da parte
di Ministri della Repubblica.
Le azioni politiche sono state sostituite con semplici
slogan o messaggi propagandistici, in cui la soluzione proposta per il
superamento di tutti i problemi passa quasi sempre per la contrapposizione a
qualcosa o qualcuno. L'antagonismo viene prospettato come l'unica strada
percorribile e la paura, usata e strumentalizzata senza ritegno, sta sradicando
quei valori su cui pensavamo che fosse fondata la nostra società, innanzitutto
quello della solidarietà e della difesa nei confronti degli emarginati e degli
esclusi.
Ora, qui non si tratta di avere la responsabilità
semplicemente delle sorti del nostro partito, qui si tratta di essere
consapevoli della responsabilità che abbiamo nei confronti del nostro paese. Se delle sorti di quegli emarginati e di quegli esclusi non ce ne occupiamo
noi, chi se ne occupa? Può forse farlo chi promuove la schedatura su base
etnica?
Se non spieghiamo noi alle giovani generazioni l'importanza
della conoscenza, dell'istruzione e della crescita personale quale strumento
per il raggiungimento dei propri obiettivi e dei propri sogni, chi lo fa? Può
forse farlo chi propone di sorteggiare i componenti del Senato come se fosse
una lotteria?
Se non recuperiamo noi le comunità territoriali, innanzitutto del mezzogiorno e delle isole, e non ci occupiamo del loro sviluppo attraverso la proficua collaborazione tra realtà urbane, produttive e rurali, chi se ne fa carico? Chi ha fatto del divario territoriale il proprio cavallo di battaglia?
Se non divulghiamo noi proposte sostenibili di rilancio del
mercato del lavoro, quale strumento non solo di sostentamento ma di dignità
personale, in un contesto in cui ciascuno contribuisca secondo i propri mezzi
al benessere della società, chi lo fa? Chi propone la flat tax, il reddito di
cittadinanza e ha elaborato il Decreto Dignità, nome pomposo, per definire un
calderone in cui c'è di tutto un po'? Se non mettiamo noi al centro del dibattito politico la
persona... la persona come motore del cambiamento nella società, nelle
istituzioni, nel lavoro e nelle organizzazioni, chi lo fa?
Spetta a noi parlare di queste cose, far sentire che ci siamo e che l'esistenza del Pd non è un'esigenza nostra, non è fine a se stessa o il mezzo per la nostra perpetuazione; il Pd non è autosufficiente ma deve diventare lo strumento, innanzitutto di dialogo e confronto con la società e le altre forze politiche, con cui si può e si deve fare un percorso comune, attraverso cui veicolare e affermare un'idea di Italia diversa da quella propagandata da chi è al governo. Perché ancor prima di pensare a vincere le elezioni, dobbiamo preoccuparci di far vincere i valori! E impedire che l'Italia crolli in un nuovo prefascismo.
E se non inseguire la pancia degli elettori, non appiattire
la nostra proposta politica al botta e risposta, vuol dire perdere oggi qualche
voto, pazienza, lo recupereremo: l'importante è non perdere l'idea, non perdere
il progetto, non perderci e diventare il vuoto cosmico.
Il partito si può ricostruire, non solamente dentro i social network, ma valorizzando l'immensa intelligenza e competenza che c'è nella nostra gente. Che attende solamente di essere coinvolta, ma su cose concrete. Quando stiamo uniti e assumiamo il ruolo di forza coesiva, che ci è connaturato, noi vinciamo. E governiamo bene. E' così in molte parti d'Italia e anche a Cagliari, da cui provengo.
In chiusura mi permetto di citare le parole pronunciate da
Nelson Mandela quando si è insediato Presidente del Sudafrica: ”È giunta l’ora
di rimarginare le ferite. È giunta l’ora di colmare i divari che ci dividono.
Questo è il tempo di costruire."
Di Chiara Cortese
Nessun commento:
Posta un commento