Il problema, il grande problema, è ciò
che noi stiamo diventando. Perché la legge sulla suinicoltura è solo un segnale tra i
tanti. Una legge con tanti aspetti positivi e buone intuizioni, ma con la
fregatura dentro – parlo dell’art. 4 - che si poteva/potrebbe benissimo
rivedere. Ma che non si rivede perché i Sardi non hanno più capacità di
ribellione.
Non mi si venga a dire che la questione
è sanitaria, perché è una questione economica e non sanitaria la proibizione di
produrre i maialetti in regime familiare. Se questa classe politica avesse avuto premuta di fermare le malattie avrebbe dovuto lavorare ai controlli sanitari ai porti, non alla fecondazione tra capi di bestiame sani. Invece nei porti ci può arrivare (e ci arriva) qualsiasi malattia del bestiame senza nessun controllo e col silenzio della Regione. Che mica può pestare i piedi ai potenti.
E basta anche con l’ossessione del
“bisogna mettersi in regola” che vale solo per il povero, che una politica
anche appena sensibile alla situazione economica disastrosa avrebbe dovuto
chiudere un occhio e permettere che, a Natale, possa “fare a scambio” tra un
mio porcetto e un tuo agnello anche senza necessariamente dovermi trasformare
in azienda, e che alla cresima di mio figlio vorrei fare uno spuntino a buon
mercato svuotandomi il freezer senza per forza dover passare per dirigente
d’azienda suinicola.
E dire – e diciamocelo, và – che buona
parte dei partiti che oggi criminalizzano la produzione suinicola familiare,
hanno colleghi di partito nella vecchia legislatura che sono sotto processo per
peculato, con traffici di maialetti per gli spuntini fatti coi soldi pubblici.
Forse hanno avuto un ravvedimento, ma sulle spalle del povero però,
criminalizzando i maialetti anziché i colleghi.
Oggi la politica, quella che purtroppo
voi, miei cari compatrioti sardi avete voluto, è quella che si accanisce sui
disgraziati nelle spiagge per “merce contraffatta”, ma non vede le centrali
della camorra che li riforniscono di merce, né tantomeno vede i produttori
italiani che quella merce fanno produrre agli schiavi all’estero.
Dell'illegalità colpisce gli spiccioli, perdona i miliardi.
Siamo nella giungla in cui si va a
mettere in croce la motocarrozzella dei carciofi all’angolo di strada e si
chiude un occhio su un mercato agroalimentare occupato all’80% da mondezza
straniera a base di pesticidi, OGM e antibiotici. Perché ci stiamo piegando alla volontà dei
potenti, stiamo diventando asini obbedienti, accettando e preferendo la
mondezza legale (legale per le legge che i potenti si fanno) al prodotto
genuino ridotto ormai a clandestino.
Stiamo smettendo di essere popolo di
pastori per diventare popolo di pecore. Siamo tutti rapiti dai
mezzi di informazione e replichiamo sui social la visione che essi ci danno.
E’ giusto pretendere che venga
ricostruito davvero entro otto mesi il ponte di Genova, come promesso. Ma ci
dimentichiamo che è inagibile da cinque anni il ponte di Oloè – che pure il suo
morto anche lui ce l’ha avuto, se proprio serve il morto per porre l’attenzione
sui problemi – punto di passaggio nevralgico per la vita e per l’economia di
diecimila persone.
E’ giusto essere preoccupati dall’Ilva
di Taranto, ma ci dimentichiamo che ciò che rimane di quelle polveri diventate
ancora più sottili viene portato in Sardegna, e permettiamo che lo si faccia
respirare ai bambini del Sulcis. Stiamo perdendo noi stessi. Stiamo
scomparendo dal nostro immaginario, non siamo più punto di riferimento di noi stessi
e la stiamo finendo a difendere gli interessi dei nostri aguzzini. Ebbene diamoci una svegliata una buona volta, rimettiamo i
nostri interessi al centro dei nostri pensieri e del nostro agire!
Quale è la questione, quella di mettere
in regola le minuscole aziende familiari? Benissimo. Se i governanti – a Roma
come a Cagliari – ci tengono tanto a fare le cose in regola e a rispettare per
filo e per segno la legge e le buone pratiche, noi siamo d’accordo: ma che
inizino loro a dare il buon esempio e a mettersi in regola, anziché mettere in
croce i poveracci.
Allora magari che inizino a smettere di
fare i riproduttori nella pubblica amministrazione e di ripopolare di loro
figlioletti gli uffici, la sanità e gli enti regionali. E preferiremmo tutti di
buon grado che sia lì, e non nelle porcilaie familiari, che si limitasse il
numero dei maiali all’ingrasso.
Che inizino loro a dare il buon esempio. Poi ne riparliamo.
Di Pier
Franco Devias
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