Quando ho deciso di “ritirarmi” l'ho fatto non solo per via
del fallimento che sentivo sulle spalle ma anche per un personale profondo
senso di inadeguatezza nel fare politica. E’ come se quest'epoca non mi
appartenesse più. Il contesto è difficile e drammatico ma non è per questo,
anzi... in altre fasi della mia vita sarebbe stato senz'altro più stimolante.
Il punto è un altro. E' che faccio fatica a riconoscermi in questa ricerca di
"sinistra".
C'è uno legittimo smarrimento collettivo accompagnato
però dall'individuazione spasmodica di un altro populismo da contrapporre a
quello delle destre. Ci sono responsabilità antiche e nessuno lo nega.
L'accusa di essere stati radical chic
non è infondata ma purtroppo adesso si è
passati all'eccesso opposto. Rifiuto l'idea di dovermi vergognare per essere
un'amante della cultura. Di dovermi vergognare per aver studiato, letto qualche
libro e per amare alla follia il cinema.
Ricordo ancora quando le sezioni, i circoli, erano ancora
abitati da quelle persone che oggi non ci votano più: operai, povera gente,
lavoratori. La maggior parte di loro partecipava e ricercava nel fare politica,
non solo soluzioni alla propria condizione materiale di vita ma anche
un'emancipazione culturale e sociale. Il partito comunista ha avuto questa
funzione. Il punto non era rimanere uguali a se stessi per dimostrare di essere
autentici. O addirittura rivendicare la mediocrità per essere vicini al popolo.
Oggi Massimo Gramellini sulla sua rubrica scrive: “Mentre i
politici di destra parlano come i loro elettori, quelli di sinistra non parlano
più come Ivano né soprattutto a Ivano. Per questo parlano invano”.
Quelli di sinistra. Chi sono quelli di sinistra? Io sono come Ivano. Certo, lo so pure io che le cose sono cambiate. Ma altre invece non cambieranno mai. Ci sarà sempre qualche figlia della Banca d'Italia a scroccarmi le sigarette e a spiegarmi come si fa la rivoluzione.
Celeste
Costantino
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