Unione Sarda
Ruspe
negli ex depositi dell'Eni: verso le bonifiche a Santa Gilla
Sono partiti i lavori di messa in
sicurezza dell'ex deposito Agip di via Santa Gilla. Ruspe e operai hanno
varcato i cancelli della vasta area abbandonata nel quartiere di
Sant'Avendrace. C'è voluto un iter lungo e tortuoso per sbloccare un intervento
atteso da tempo.
IL DEPOSITO AGIP «Siamo andati via
da lì nei primi anni Duemila ed erano già cominciati i rilievi della
Soprintendenza per i beni archeologici», ricorda Stefano Arrica, che da agente
dell'Agip aveva gli uffici nel terreno che ospitava i depositi a Santa Gilla,
«stavano cominciando a demolire i vecchi serbatoi e la bonifica conclusiva era già
prevista perché imposta dal decreto Ronchi». All'interno dell'area ci sono
stati ritrovamenti archeologici, monitorati dalla Soprintendenza.
GLI IDROCARBURI Col passare degli
anni si arriva al 2012-2013 quando, durante i lavori, erano scoppiate le
proteste dei residenti per i cattivi odori. Dai controlli era emersa la
presenza di idrocarburi e l'Eni aveva assicurato che avrebbe completato le
bonifiche. Nel frattempo quell'area industriale dismessa di oltre un ettaro è
stata classificata come IC nel Piano urbanistico comunale, è quindi edificabile
ma qualunque intervento potrà arrivare solo dopo le bonifiche.
PIANO DI CARATTERIZZAZIONE Dalla
Syndial, la società dell'Eni che gestisce le questioni ambientali e gli
interventi di bonifica, spiegano «che è stata attualmente completata la
demolizione di un fabbricato e la progettazione esecutiva per la demolizione
dei restanti manufatti fuori terra, finalizzata a dare seguito all'avvio dell'iter
per l'assegnazione dell'appalto e il cui inizio lavori è previsto nel primo semestre
2019». Dalla società dell'Eni spiegano che «è stata ultimata la
caratterizzazione ambientale di tutta l'area» e che la conferenza di servizi
per l'approvazione del piano di caratterizzazione è prevista per il 20
settembre e solo dopo arriveranno «l'elaborazione e approvazione dell'analisi
di rischio».
«UNA VECCHIA STORIA» Conosce bene
quell'area il consigliere regionale Edoardo Tocco. «Mio padre aveva la
carpenteria metallica lì dietro, sono praticamente cresciuto in quella zona -
ricorda l'ex consigliere comunale di Forza Italia - già da quando ero alla
Circoscrizione si affrontava il problema di quell'area abbandonata tra rifiuti
e degrado. Poi si scoprì che c'erano rifiuti tossici ma non si è mai completato
l'iter per la bonifica. Finalmente si muove qualcosa, il quartiere ne ha
bisogno».
BANDO PERIFERIE Il versante più
occidentale della città è destinato a cambiare radicalmente con gli interventi
previsti dal Comune nell'area di via San Paolo (dove nascerà un parco urbano),
nell'area dell'ex mattatoio di via Po (che lascerà spazio a 140 alloggi) e con
la riqualificazione totale di via Sant'Avendrace. Si tratta di progetti previsti
dall'accordo per il bando periferie siglato nel 2017 dal sindaco Massimo Zedda
con l'allora premier Paolo Gentiloni.
Marcello Zasso
Aumentano
in Sardegna gli iscritti a Cgil, Cisl e Uil: «Nessun crollo»
Per Michele Carrus, segretario
generale della Cgil sarda, la crisi del
sindacato «è una rappresentazione
fatta dagli avversari della
dialettica sociale». In altre
parole: una balla.
I NUMERI In effetti i numeri danno
un ritorno di fiamma dei lavoratori
verso le organizzazioni che - al
netto delle critiche - li tutelano.
Nell'Isola la Cgil nel 2017 guadagna
quasi 9000 tesserati rispetto
all'anno precedente, la Cisl 1700,
la Uil 572. Merito dei pensionati?
«No», sostiene Carrus, «gli attivi
sono di più, gli anziani, per
effetto della riforma del sistema
previdenziale, diminuiscono».
Dunque, «con la disoccupazione che
non arretra e un governo che si
spaccia per progressista mentre ci
sta riportando indietro di 50 anni,
ad esempio con il ritorno dei
voucher, vediamo una vitalità vera, la
richiesta di invertire la tendenza
alla liberalizzazione selvaggia e
alla riduzione dei diritti fino
all'abbrutimento».
Insomma, alla Cgil (176mila iscritti
in Sardegna, 5 milioni 518mila a
livello nazionale) le provocazioni
del neo ministro del Lavoro Luigi
Di Maio - prima di salire al governo
“o si riformano o ci penseremo
noi”, dopo, “possono essere utili ma
la loro rappresentatività è tutta
da verificare” - non fanno paura.
«Loro votano in mille e scelgono un
candidato presidente della Regione
con 240 preferenze, se noi
convochiamo due comitati direttivi
mettiamo assieme molta più gente»,
dice Carrus.
«Certo, dobbiamo usare meglio gli strumenti di
comunicazione e entrare in un
rapporto più strutturato con i
lavoratori “nuovi”, ingranaggi dello
sfruttamento messo in atto dalle
multinazionali “virtuali”. Persone
che hanno gli stessi problemi di
salute di chi stava alle catene di
montaggio quando è nata
l'industria, che all'inizio pensano
di farcela da soli, o sono
spaventati perché minacciati, ma
quando si trovano alle strette
cercano protezione e scoprono il
sindacato».
LE RSU Dice Gavino Carta, segretario
della Cisl, che «sono anni che
sento parlare di crisi del
sindacato, invece la domanda di
intermediazione è alta, e lo
dimostrano anche le recenti elezioni
delle Rsu nel Pubblico impiego, in
cui i confederali sono usciti
largamente vincitori. C'è una certa
politica che evidentemente punta
ad altri modelli, ma le persone
reali hanno bisogno di punti di
riferimento reali.
È vero, oggi si fa più fatica, la
frammentazione
del mercato del lavoro aumenta, il
lavoratore spesso dobbiamo
raggiungerlo a casa sua, c'è troppo
individualismo e talvolta abbiamo
anche siglato in buona fede accordi
che poi si sono rivelati
vantaggiosi esclusivamente per le
imprese. Ma non è facendo saltare il
sistema di regole che si facilitano
le relazioni e si crea occupazione
duratura».
L'INDUSTRIA CHIUSA Secondo Gianni
Olla, segretario Feneal Uil, «la
richiesta è quella di un sindacato
forte. Oggi, se crisi esiste -
anche se la si vuol raccontare più
grave di quello che è - la causa
sta nella chiusura dei grandi poli
industriali, come Ottana e
Villacidro, e nella perdita di tanti
posti di lavoro. Solo l'edilizia,
per dire, conta il 60% di addetti in
meno in pochi anni. Noi siamo
cresciuti nonostante la disoccupazione,
ma siccome il problema esiste
e guardiamo al futuro, facciamo rete
e cerchiamo di raggiungere le
Rsu, le rappresentanze nei luoghi di
lavoro, la nostra sveglia e la
nostra coscienza critica. Anche i
sindacalisti, come i politici,
devono riavvicinarsi al mondo del
lavoro e non imborghesirsi».
L'USB Omar Trudu, licenziato da
Meridiana, sindacalista dell'Usb (2500
iscritti in Sardegna, oltre 100mila
in Italia) racconta che «quando le
sigle confederali e qualche
associazione professionale firmarono nel
2016 l'accordo per Qatar Airways»,
con centinaia di dipendenti della
compagnia mandati a casa, «chiedemmo
un referendum, che ci fu negato
da Cgil, Cisl e Uil, perché
avrebbero perso».
Dice: «I nostri iscritti
sono militanti, partecipano, la
missione di un sindacato di base è
riportare i lavoratori a essere
protagonisti. Non ci danno una delega
in bianco, intervengono sulle
scelte, ed è l'unico modo di
riavvicinare lavoratori e giovani al
sindacato. Quello che è successo
ai partiti tradizionali, la
disaffezione e la fuga, sta succedendo ai
sindacati “vecchi”, anche se ci
vorrà ancora un po' di tempo».
Cristina Cossu
Gianni
Loy, docente all'Università di Cagliari: c'è un ritorno
all'organizzazione. «I nuovi
lavoratori senza garanzie
come gli operai dell'Ottocento»
«La quarta rivoluzione industriale
che la nostra società sta vivendo,
quella delle intelligenze
artificiali e della robotica, ricorda per
molti versi la prima. È vero, la
crisi del sindacato è innegabile, è
iniziata tempo fa, ma oggi, con i
nuovi lavori che danno sempre meno
garanzie e dignità, con contratti
fumosi o addirittura senza alcun
contratto, le persone si sentono
sfruttate e cercano aiuto o nelle
sigle tradizionali o in altre forme
di aggregazione», dice Gianni Loy,
professore di Diritto del lavoro
all'Università di Cagliari.
Dunque, il declino.
«Sì, per diverse ragioni.
Innanzitutto per i cambiamenti del Paese e
della nostra regione. Poi per i
ripetuti attacchi da parte delle forze
politiche, che cercano di
ridimensionare il ruolo dei sindacati,
dicendo che frenano il libero
sviluppo dell'economia e ostacolano i
margini di manovra dell'impresa. I
diritti fondamentali della persona,
soprattutto quelli legati allo
status di lavoratore, sono stati
retrocessi. In più, le moderne
società sono individualiste, egoiste,
c'è un crollo dei valori culturali
della solidarietà. Il tutto
alimentato dai social e dalle fake
news . Molta gente si è convinta
che ce la fa meglio da sola».
Inoltre, alcune imprese moderne
hanno cercato di cambiare radicalmente
il sistema delle relazioni con i
dipendenti.
«Le multinazionali costruite
sull'informatica - che hanno la sede
legale dove si pagano meno tasse -
trattano i lavoratori in maniera
anomala, anzi, spesso nemmeno come
lavoratori, ma come “imprenditori”
di se stessi. Penso, ad esempio, a
Uber, il servizio di taxi privati
diffuso in molti Paesi europei. E
hanno una vera e propria avversione
per le forme associative: i
lavoratori, non soltanto quelli precari,
sono sempre più esposti al rischio,
o al ricatto, di perdere qualche
beneficio, o perfino il posto, per
l'affiliazione ad un sindacato o
perché aderiscono a uno sciopero».
Dice che ci sono molte similitudini
con quello che succedeva nell'Ottocento?
«Sì, gli elementi in comune
purtroppo sono parecchi. Oggi come allora
il lavoratore può essere facilmente
espulso dal processo produttivo
ogni volta che la sua prestazione
non risulti conveniente per il
datore di lavoro. Ancora, c'è la
subordinazione personale, sotto forma
di evanescenti tipologie
contrattuali firmate in nome di un'equivoca
autonomia».
Però abbiamo visto i primi scioperi
a Ryanair e ad Amazon.
«Sì, quelle masse di lavoratori che
sembravano destinati a chinare la
testa per sempre e a costituire la
nuova plebe del XXI secolo, danno
segni di ribellione, incominciano ad
organizzarsi. Non importa se
sotto l'egida dei sindacati storici
o di altre organizzazioni,
riscoprono la tradizionale arma
dello sciopero che, piaccia o non
piaccia, continua a costituire in
molti casi, uno dei pochi strumenti
di lotta efficaci. Proprio come nel
passato. La decisione di Ryanair
di accettare il confronto con i
sindacati, o meglio la capacità di
piloti e assistenti di volo - che un
tempo erano categorie
privilegiate e adesso non lo sono
più - di riuscire a imporglielo, ha
un grande valore simbolico».
Anche il sindacato ha avuto grosse
responsabilità, si è fatto male da solo.
«Certo, ma non perché si è opposto
alla modernizzazione o alla
flessibilità del lavoro, cosa che
non ha fatto, a mio parere. Il
sindacato si è burocratizzato,
quello del sindacalista è diventato un
mestiere a sé, che poi ha portato
inevitabilmente alla carriera
politica. Andate a vedere quanti ex
segretari generali sono diventati
consiglieri regionali o
parlamentari. E tutto ciò Cgil, Cisl e Uil lo
hanno pagato, in parte con
l'emorragia di tesserati, e poi con la
nascita e il successo dei Cobas. Ma
pur con tutti i suoi difetti, guai
se mancasse il sindacato. Difendiamo
la sua sopravvivenza in ogni
modo». Cr. Co.
La
Nuova Sardegna
Lunedì 3
settembre la prima direzione regionale a guida Cani: si
parlerà
di alleanze e programmi
Il Pd
apre ai sindaci: uniti contro il populismo
SASSARIIl Pd non si dà per vinto.
Nonostante il flop elettorale delle
politiche del 4 marzo i dem sono
convinti che a febbraio le regionali
possano terminare con un risultato
diverso. Perlomeno, questo è
l'impegno che si è assunto il nuovo
segretario Emanuele Cani. Un
traguardo che il successore di Cucca
vuole raggiungere cercando di
mettere insieme la coalizione più
ampia possibile. Ed è anche con
questo obiettivo che Cani ha
convocato la prima direzione regionale
della sua segreteria. L'appuntamento
è fissato per lunedì 3 settembre
nella sede provinciale del partito
in via Canepa a Oristano.
All'ordine del giorno fissato nella
convocazione ci sono «la proposta
della segreteria regionale, la
situazione politica e il bilancio
2017». Durante il confronto sarà
organizzato il lavoro del partito in
vista della conferenza programmatica
di ottobre, e si cominceranno ad
analizzare i temi su possibili
alleanze e relazioni in vista delle
elezioni di febbraio. L'idea di Cani
resta quella di costruire una
coalizione che sia la più larga
possibile, che vada oltre i confini
del classico centrosinistra e si
apra al mondo del civismo e dei
sindaci, comprendendo tutto ciò che
nell'ambito della società sarda
possa essere funzionale per opporsi
a una «deriva populista» dannosa
per il Paese e la Sardegna.Alla
chiamata di Cani risponderanno
sicuramente i partiti che oggi
compongono la maggioranza che sostiene
Pigliaru, da Campo progressista - il
cui leader Massimo Zedda, sindaco
di Cagliari, è uno dei più gettonati
candidati governatori - a Mdp,
dall'Upc al Psi, al Centro
democratico.
Ma l'obiettivo è anche quello
di coinvolgere il mondo dei sindaci
- a partire dall'Italia i Comune
di Federico Pizzarotti, che sta
mettendo radici anche in Sardegna - e
al mondo di quel sardismo che non si
riconosce nell'abbraccio con la
Lega di Salvini. Più incerta la
posizione del Partito dei sardi, che
lavora a un progetto di convergenza
tra forze autonomiste con a capo
Paolo Maninchedda. La coalizione
progressista presumibilmente, e salvo
colpi di scena, se la dovrà vedere
con un solitario Movimento 5 stelle
guidato da Mario Puddu e un
centrodestra a trazione sardo-leghista.
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Federico
Marini
skype:
federico1970ca
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