(09 Dicembre 1987) Comincia la Prima "Intifada" palestinese
contro l’occupazione israeliana. La rivolta scoppia inizialmente nel campo profughi di
Jabaliyya e si estende velocemente fino a Gerusalemme. Le immagini dei giovani
palestinesi che lanciano pietre contro l’esercito israeliano fanno rapidamente
il giro del mondo. Naturalmente le informazioni sono pressappochiste, se
non deliberatamente fuorvianti. Si continua a parlare di “scontri”, quando in
realtà un popolo privato della propria terra, con l’ausilio di pietre e di
rudimentali razzi, affronta uno degli eserciti più equipaggiati del mondo,
provvisto inoltre di una forza aerea e del servizio Intelligence più efficace e preparato del pianeta (insieme all'allora KGB e la CIA). Purtroppo le menzogne dei giornali occidentali, sono un qualcosa
che ci accompagna ancora oggi.
Intifada significa "scuotersi" (rivolta) per
liberarsi di un peso, di un’oppressione. L’ondata fu scatenata da un
banale incidente d’auto: una dozzina di operai palestinesi che da Gaza
viaggiava verso i cantieri di Tel Aviv rimase uccisa. Il loro bus aveva avuto
un frontale con una jeep blindata dei soldati israeliani, a quanto pare
"fortuito". Corse veloce la voce che lo scontro non era stato un incidente,
ma una vendetta in nome di un israeliano, accoltellato a morte alcuni giorni
prima nel mercato di Gaza. Perpetrata da decenni, l'aggressività degli
israeliani sul popolo palestinese aveva oltrepassato ogni ragionevole
sopportazione.
La rivolta fu caratterizzata da scontri con le forze
occupanti, azioni di disobbedienza civile, boicottaggio delle merci israeliane
e pubblica esposizione di bandiere palestinesi. Organizzata da comitati
popolari spontanei e dal neo costituito Comando nazionale unificato
dell’intifada. La rivolta coinvolse soprattutto giovani, adolescenti (persino bambini) e diede
luogo a forme di autogestione della vita quotidiana, riuscendo a porre la
questione palestinese all'attenzione della comunità internazionale.
Il 22 dicembre il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite
condannò Israele per avere violato la Convenzione di Ginevra, a causa del
numero di morti palestinesi nelle prime poche settimane di intifada. Nel 1988
(Novembre) dello stesso anno e nell'ottobre del successivo, l'Assemblea
Generale delle Nazioni Unite approvò risoluzioni di condanna contro Israele,
che tuttavia non cambiarono molto, anche per il pieno sostegno degli Stati
Uniti e dell’Inghilterra (e di tutti quegli stati che gravano intorno al cosiddetto mondo libero, dove dominava una fitta rete di accordi commerciali),
Gli israeliani, sul campo, si rivelarono assolutamente
impreparati. Le loro truppe non disponevano di lacrimogeni o proiettili di
gomma. I soldati mandati a controllare le piazze sparavano, ad altezza d’uomo,
proiettili d’ordinanza, che causavano nuove vittime. Così ogni funerale, ogni
lutto, si trasformava in occasioni per nuove proteste. Tutto questo, salvo
alcune testate, nell'assoluto silenzio dei principali giornali e televisioni
del mondo.
L’allora premier israeliano Ytzhak Shamir promise al suo
Paese che tutto ciò sarebbe durato poche settimane. «Entro il 31 dicembre tutto
questo sarà finito», diceva. Ma le rivolte continuarono per mesi, anni. Solo la
Prima Guerra del Golfo nel 1991 avrebbe posto fine a quel movimento, che
comunque aveva lasciato un’impronta profonda nella storia del conflitto israelo
- palestinese e del Medio Oriente intero. Israele, infatti, aveva tremato dinanzi alla rabbia di un popolo che poteva disporre delle più potente arma: quella della ragione.
L’Intifada riuscì ad affermare il ruolo di soggetto politico
autonomo dei palestinesi e l’impossibilità di prescindere dall’OLP per avviare
un’effettiva prospettiva di pace. Tra le sue conseguenze più immediate vanno
ricordate la rinuncia da parte del re Husain di Giordania alle rivendicazioni
sui territori della Cisgiordania e la proclamazione unilaterale da parte
dell’OLP dello Stato di Palestina nel novembre 1988.
Vincenzo
Maria D’Ascanio.
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