(30 Dicembre2006) All’alba è impiccato l’ex rais iracheno
Saddam Hussein. “La condanna del criminale è stata eseguita”: con queste parole,
la TV di stato irachena comunica la notizia dell’esecuzione di Saddam Hussein.
Prima di diventare Presidente e Primo ministro dell'Iraq
(carica che conservava dal 1979, ovvero quasi quarant’anni or sono), il dittatore
arabo ha avuto una vita ribelle. Nato ad Auja il 28 aprile 1937 si dedicò presto
alla politica, unendosi al ramo iracheno del partito socialista arabo (il
"Bath"). Condannato a morte per un attentato al leader politico Qasim
nel 1959, ripara in Siria, poi al Cairo.
Rientrato in Iraq nel 1963, è stato eletto vicesegretario
del Bath nel 1964 e, grazie alle sue carismatiche doti oratorie e di
organizzatore politico, diventa il protagonista della rivoluzione
del 1968, tesa a rovesciare il governo in carica. I tentativi per
rovesciare lo "status quo" sono molteplici ma, in particolare, Saddam
prende parte a due colpi di stato, assumendo il ruolo di responsabile della
sicurezza.
Il Partito Baʿth aveva un programma
progressista e socialista che puntava alla modernizzazione dell'Iraq. Saddam si attenne alla linea del suo partito e proseguì
le riforme modernizzatrici completando diverse riforme che per il tempo ed il
luogo possono definirsi storiche: la concessione alle donne di diritti pari a
quelli degli uomini, l'introduzione di un codice civile modellato su quelli dei
paesi occidentali (che sostituì la Sharīʿa) e la creazione di un apparato
giudiziario laico, che comportò l'abolizione delle corti islamiche.
Dopo aver modernizzato il Paese negli anni di presidenza
al-Bakr principalmente grazie ai profitti derivanti dalla nazionalizzazione
dell'industria petrolifera, gran parte di tali proventi confluirono negli
apparati di sicurezza iracheni, responsabili della repressione di ogni
opposizione interna (Hussein è sopravvissuto a numerosi colpi di Stato,
tentativi di assassinio e complotti), e nell'esercito. Tuttavia, il giudizio
sulla sua dittatura è da considerarsi netto: egli ordinò numerosi massacri nei
confronti dei suoi oppositori, e le carceri irachene diventarono famose per la
loro durezza, chi vi entrava, spesso non ne usciva vivo. Comunque, molti
sostengono che invadere l’Iraq per far cadere Saddam fu un grave errore
strategico.
L’occidente, capitanato da George W. Bush e sull’onda dei
grammatico 11 Settembre, in realtà puntava ai giacimenti petroliferi, anche
perché le inchieste hanno dimostrato un dato certo: Saddam non possedeva nessun’arma
atomica, non furono trovati siti in cui si preparava e non aveva nessun’arma di
distruzione dei massa. A Bush si unirono anche Blair (Inghilterra), Aznar
(Spagna) e Berlusconi (Italia), che furono i principali alleati degli americani.
La caduta di Saddam provocò una guerra civile tra diverse formazioni armate
presenti in Iraq (sunniti contro sciiti), guerriglia che continua ancora,
mentre il dittatore era sempre riuscito a mantenere l’ordine, anche con atti
criminali che tutti conosciamo. In breve, in Iraq accadde qualcosa simile alla
morte di Tito in Jugoslavia.
L'ex presidente iracheno fu catturato da soldati
statunitensi in un villaggio nelle vicinanze di Tikrīt il 13 dicembre 2003
in un piccolo bunker scavato sottoterra durante l'Operazione Alba Rossa.
Sottoposto a processo dal 19 ottobre 2005 da un tribunale iracheno assieme ad
altri sette imputati, fra cui il fratellastro, tutti ex gerarchi del suo
regime, per crimini contro l'umanità in relazione alla strage di Dujail del
1982 (148 sciiti uccisi), il 5 novembre 2006 fu condannato a morte per
impiccagione, ignorando la sua richiesta di essere fucilato.
Il 26 dicembre 2006 la condanna fu confermata dalla Corte
d'appello.
In Occidente si ebbero giudizi fortemente contrastanti.
George W. Bush, presidente degli Stati Uniti, espresse la sua completa
soddisfazione, definendo la sentenza «una pietra miliare sulla strada della
democrazia». Al contrario i governi dei Paesi dell'Unione europea, pur
approvando il verdetto di colpevolezza, ribadirono la loro contrarietà di
principio alla pena capitale, incluso quello italiano: Massimo D'Alema dichiarò
«Siamo contro la pena di morte sia come italiani che come europei». Molti
governi europei suggerirono all'Iraq di non eseguire la sentenza, una posizione
non lontana da quella russa.
Numerose e autorevoli organizzazioni umanitarie, tra le
quali Amnesty International e Human Rights Watch, criticarono la condanna a
morte e lo stesso svolgimento del processo, che non avrebbe sufficientemente
tutelato i diritti della difesa e che sarebbe stato sottoposto a forti
pressioni da parte del governo iracheno e, indirettamente, da parte
dell'Amministrazione statunitense.
Vincenzo M. D'Ascanio
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