In morte dell’ex presidente USA George Herbert Walker Bush (1924-2018), si stanno già sprecando i commenti giornalistici e istituzionali che ne esaltano la figura. Preparatevi a una scorpacciata di buone parole e santificazioni postume. Molti commentatori che quando parlano di Putin aggiungono sempre in automatico, quasi fosse un secondo cognome, la formula «ex-spia-del-Kgb», trascureranno, altrettanto in automatico, un dettaglio biografico che riguarda Bush, l’essere stato direttore della Cia.
Trascureranno cioè una qualificazione più accurata di uno dei
quadri dirigenti della guerra fredda, un personaggio emblematico di un sistema
che ha plasmato l’infrastruttura imperiale americana. L’appartenenza di Bush ai
settori più opachi delle classi dirigenti statunitensi non è insomma una nota a
margine della Storia, un incidente di percorso, una piccolezza, bensì la chiave
per capire il suo ruolo con sufficiente respiro storico. Ho letto anni fa il
documentatissimo saggio di Russ Baker “Family of Secrets” (Bloomsbury, 2008),
che ripercorre l’incredibile galleria di azioni sporche collegabili in episodi
decisivi della storia USA a quel gruppo patrizio di cui i Bush sono una
componente centrale.
Poiché nei fatti quella dei Bush è una dinastia, come per tutte le dinastie ci si deve muovere dai patriarchi, a partire dal nonno del defunto, ossia Samuel Prescott Bush, tra il 1914 e il 1918 un fedelissimo di Percy A. Rockfeller (padrone della City Bank e della Remington Arms Co.), amministratore della War Industries Board (industria a produzione militare che si espanse moltissimo grazie alla prima guerra mondiale), socio del magnate della finanza Bernard Baruch e del ‘banchiere nero’ Clarence Dillon , habitué dei circoli esclusivi dell’alta finanza che originarono il CFR (Council of Foreign Relations).
Si deve poi passare a suo figlio (e padre del defunto), Prescott Sheldon Bush, amministratore e socio della Union Banking Corporation (UBC) [Ben Aris, Duncan Campbell, “How Bush’s grandfather helped Hitler’s rise to power,” «The Guardian», 25 settembre 2004.
Il suo partner più importante in Germania era l’industriale nazista Fritz
Thyssen: la banca fu fondata per finanziare la riorganizzazione dell’industria
tedesca. Investiva ad esempio nell’Overby Development Company e nella
Silesian-American Corporation (diretta dallo stesso Bush), da cui l’industria
bellica di Hitler si approvvigionava di carbone anche dopo l’entrata in guerra
degli USA.
Investiva inoltre nella compagnia di navigazione
Hamburg-Amerika Line (poi denominata Hapag-Lloyd dopo la fusione con un’altra
società), le cui navi, negli anni trenta, fornivano le milizie naziste di armi
provenienti dagli Stati Uniti. L’attivismo del senatore Prescott Sh. Bush fu
premiato: venne insignito dal regime nazista dell’‘Aquila tedesca’. Il
certificato di attribuzione di questa onorificenza in data 7 marzo 1938 fu
firmato da Adolf Hitler e dal segretario di Stato Otto Meissner, come risulta
dagli archivi del Dipartimento della Giustizia statunitense.
Nel corso del 2001 sono venuti a galla dei documenti
impressionanti sui traffici di Prescott Sh. Bush. Queste recenti ricerche
dimostrano che quel Bush installò una fabbrica nei pressi di Auschwitz, dove
lavorarono, ridotti in schiavitù, i prigionieri dei vicini campi di
concentramento [Gli archivi vennero compulsati da John Loftus, presidente del
Florida Holocaust Museum. Si veda Toby Rodgers, “Heir to the Holocaust, How the
Bush Family Wealth is Linked to the Jewish Holocaust”, in «Clamor Magazine»,
maggio-giugno 2002.]
La nostra attenzione a questo punto può finalmente spostarsi su George Herbert Walker Bush, vicepresidente nell’amministrazione Reagan (1981-1989) e poi 41° presidente degli Stati Uniti (1989-1993). I suoi vasti interessi in zone oscure della morale politica hanno spaziato dalla copertura di certi traffici di droga a quelli di armi e petrolio, solo a stare alla vicenda Iran-Contra.
Citiamo alcuni passaggi di questa sfolgorante e spregiudicata carriera. Seguendo le orme dei suoi familiari, George debutta molto presto nei circoli anticomunisti dell’alta finanza nordamericana. Oltre ad aver occupato le massime cariche alla Casa Bianca, il suo cursus honorum lo vede fra i coordinatori del fallito sbarco nella Baia dei Porci a Cuba nel 1961, poi punto di riferimento del narco-dittatore panamense Noriega, infine superconsulente di Carlyle Group , ossia uno dei principali azionisti di molti fornitori delle forze armate americane.
Ma fu anche direttore della CIA tra il 1976 e il 1977. Tra
il 1981 e il 1986 – da vicepresidente degli Stati Uniti – Bush selezionò decine
di figure chiave dell’amministrazione coinvolte in colossali traffici nel
mercato internazionale della droga.
Nello stesso periodo, e anche questa è cosa ben nota, furono molto fitti e costanti i rapporti tra la famiglia Bush e quella bin Lāden (tanto che entrambe hanno ricoperto posizioni rilevanti nel Carlyle Group). Khalifa, Bin Mafouz, Salem bin Lāden (fratellastro di Osāma) erano nel consiglio di amministrazione della BCCI quando scorrevano immensi flussi di denaro per l’affare Iran-Contra.
Quando, alla fine del 1980, alcuni emissari repubblicani s’incontrarono
in segreto a Parigi con i khomeinisti moderati per far rimandare il rilascio
degli ostaggi americani a Teheran e sconfiggere così Jimmy Carter alle
elezioni, George padre arrivò in tutta fretta al vertice a bordo dell’aereo di
Salem bin Lāden. I bin Lāden investirono nel Carlyle Group circa 1,3 miliardi di dollari e James
Baker, a capo dello staff di Bush Senior, ha ammesso ufficialmente che Bush ha
incontrato i bin Lāden anche nel novembre 1998 e nel gennaio del 2000.
Possiamo dunque cogliere già con pochi cenni che questo pezzo di “patriziato americano” rappresentato dalla dinastia dei Bush si tramanda una grande spregiudicatezza nei rapporti di potere con presunti nemici. Dentro le guerre, dentro i grandi affari dell’industria a produzione militare, dentro le consorterie di petrolieri che brindano all'uccisione dei Kennedy e al trionfo delle petromonarchie.
Sono strutture di potere che durano al di là delle singole persone, al punto che perfino una persona di ridottissime capacità come George W. Bush, figlio di George Herbert Walker Bush, è riuscito poi a diventare anche lui presidente, orgogliosamente dichiaratosi «a president of war» e dunque corresponsabile dei grandi disastri bellici di cui oggi ereditiamo le conseguenze. Non uniamoci perciò alle canonizzazioni di Bush. Misuriamo semmai la serietà dei giornali dalla capacità di farne il vero ritratto
Vincenzo Maria D'Ascanio
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