L’incontro con Conte è fissato per le quattro, in
prefettura, ma lui non si vede. Parecchi sindaci sono qui dalle tre e mezza.
Passano anche le cinque, poi le sei. Niente. Nervosismo e irritazione. Alle sei
e mezza qualcuno si avvia all’uscita. Una funzionaria, vedendomi con la fascia
in mano e pronto ad andarmene, mi dice: «Il Presidente sarà qui tra dieci
minuti».
Restiamo. Fremono i giornalisti, che hanno passato ore al
vento freddo di Piazza Palazzo. Si agitano le forze dell’ordine. Mai vista
tanta polizia in vita mia. I sindaci discutono e si accalorano sulle prossime
elezioni. In anticamera stazionano anche Pigliaru e Paci. Fanno ora e cercano
qualcuno con cui chiacchierare, come due garzoni in attesa di nuove
commissioni.
Conte entra nel salone della prefettura alle sette e dieci.
Si siede mentre tutti sono ancora in piedi, nel chiacchiericcio generale. Ressa
della stampa e della televisione. Poi le porte si chiudono. Parla per prima la
prefetta Tafuri: venti minuti. Tratteggia la situazione sociale ed economica
della Sardegna e infila una sfilza di perle memorabili. Dice che la Saras è «la
Fiat sarda». Parla in tono laudatorio della RWM, affermando che ha grandi
progetti di sviluppo e che l’avversano «ambientalisti, antimilitaristi e
anarco-insurrezionalisti».
Accenna alle servitù militari solo per rilevare che gli
ambientalisti ce l’hanno anche con queste. Carta vetrata sui nostri cuori.
Conte parla per un quarto d’ora: meno della prefetta. Racconta dell’incontro
con i pastori e spiega che è venuto qui a lanciare un “Contratto istituzionale
di sviluppo” per il sud Sardegna. Ci sono i miliardi del fondo strutturale
europeo, che l’Italia non riesce a impegnare.Bisogna spenderli, lui li mette
sul piatto.
Parla di «progetti di rilevanza strategica», ma non va oltre
perché, sostiene, tocca a noi proporre idee d’investimento tra cui scegliere
poi cosa trasformare in realtà. Gli stessi concetti vengono ripetuti dalla
ministra Lezzi e dall’uomo di Invitalia, l’agenzia di proprietà del Ministero
dell’Economia che si occuperà operativamente di tutto. Capiamo veramente solo
questo: da domani sarà attiva una casella di posta elettronica dedicata, alla
quale trasmettere suggerimenti, idee e progetti, appunto. Alle otto e cinque è
tutto finito. Meno di un’ora.
È un potere senz’anima, che parla attraverso il volto glabro
e il discorso informale di Conte, ma non suscita emozione, non emana calore,
non sa regalare un pezzetto di sogno. E nasconde questo deserto sotto un
diluvio asettico di dati e statistiche. Dalla sala si levano quattro applausi
in tutto, uno per ciascun intervento. Applausi di circostanza, così scarsi e
stentati da far pensare a una vera e propria ripulsa verso gli ospiti.
A mezzanotte sentirò un giornalista televisivo dire che
Conte «ha ascoltato» i rappresentanti degli enti locali. Falso. All’Anci, in
prima fila, non viene data parola. Ai sindaci non è concesso di aprire bocca.
Alla RAS men che meno. Pigliaru e Paci, assiepati in platea, pubblico comune
tra pubblico comune, sono lontani dal tavolo governativo.
Hanno incontrato il Presidente del Consiglio per pochi
minuti, prima del suo ingresso in sala, e la loro esclusione dal cerimoniale
della serata appare marchiano, assume un sapore punitivo. Ma d’altro canto: la
Regione doveva proprio lasciare che arrivasse il governo a mettere mano alla
vertenza pastori?
Possibile che noi, con le nostre forze, con la nostra
“specialità”, non fossimo capaci di abbozzare una soluzione? Comunque parlano
solo Conte e i suoi sodali. Noi non siamo parte in causa, ma ospiti a casa
nostra. Alla fine ringraziano, salutano e se ne vanno, sbrigativi, veloci come
sono apparsi.
È stata un’esperienza grottesca, ma utile. Perché chi c’era
ha toccato con mano l’evidenza: la Sardegna non è Italia. È la periferia
guardata in tralice dal centro, tollerata, assistita perché rimanga tranquilla,
niente di più. E noi continuiamo a lasciare che tutto questo accada.
Di
Maurizio Onnis
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