(19 Marzo 1994) Casal di Principe. Nella sacrestia della
chiesa di San Nicola Due killer uccidono, con 4 colpi di pistola, Don Giuseppe
Diana, dove il parroco stava per celebrare la Messa. Aveva 36 anni. Don Peppe Diana fu affrontato
da un camorrista che gli sparò 5 proiettili ammazzandolo all'istante, freddato
come l’Arcivescovo di San Salvador dalla dittatura militare del suo Paese
mentre stava celebrando messa trentanove anni or sono.
Il killer fu dunque arrestato anche grazie al contributo di
un testimone. Don Giuseppe si era fatto conoscere nella roccaforte dei casalesi
per il suo grande impegno contro la camorra, esemplificato dalla lettera
“Per amore del mio popolo non tacerò”, diffusa proprio a Casale nel Natale del
1991 per sensibilizzare le coscienze della popolazione contro il sistema
criminale, specifico, della Camorra, che si differenza delle altre
organizzazioni criminali ed ha Chiara differenze al suo interno.
Don Giuseppe Diana non si è limitato a denunciare il male
della Camorra, ma ne ha messo in luce le basi e le possibili vie di risanamento,
con una forza e una lucidità uniche e rarissime in quel periodo in cui a
Casal di Principe imperversava il feroce clan dei Casalesi. Scriveva: “La
camorra rappresenta uno Stato deviante parallelo rispetto a quello ufficiale,
privo però di burocrazia e d’intermediari che sono la piaga dello Stato legale.
L’inefficienza delle politiche occupazionali, della sanità,
ecc., non possono che creare sfiducia negli abitanti dei nostri paesi; un
preoccupato senso di rischio che si va facendo più forte ogni giorno che passa,
l’inadeguata tutela dei legittimi interessi e diritti dei liberi cittadini; le
carenze anche della nostra azione pastorale ci devono convincere che l’azione
di tutta la Chiesa deve farsi più tagliente e meno neutrale per permettere alle
parrocchie di riscoprire quegli spazi per una “ministerialità” di liberazione,
di promozione umana e di servizio. Forse le nostre comunità avranno
bisogno di nuovi modelli di comportamento: certamente di realtà, di
testimonianze, di esempi, per essere credibili. ”
La
Camorra.
A differenza di Cosa nostra la Camorra non ha una
configurazione unitaria e verticistica, ma piuttosto “pulviscolare”,
orizzontale ed improntata su dimensioni rionali. Si distingue nettamente dalla
camorra napoletana, dove invece prevalgono altri criteri organizzativi e dove i
clan protagonisti restano la famiglia Lauro ed il cosiddetto clan degli “scissionisti”,
di cui parleremo in altra sede. Il clan delle famiglie di Casal di Principe,
detto appunto clan dei Casalesi, è gerarchicamente strutturato, compatto e, al
momento, tra i più potenti della Campania e del sistema criminale
transnazionale.
Le famiglie della provincia, napoletana e casertana, hanno
un controllo più stabile e capillare del territorio che, negli anni, le ha portate
a mediare direttamente con la società, le imprese, la politica. Il clan dei
Casalesi ha una struttura meno legata al traffico di droga e questo lo ha reso
meno vulnerabile all’azione di contrasto dello Stato; al contrario dei clan
napoletani, è notevolmente più presente nel sistema economico nazionale (su
tutto possiamo ricordare il traffico delle scorie) ed è in grado di ottenere
consenso sociale nelle zone in cui domina. Secondo le risultanze investigative,
tutto l’agro aversano è attualmente sotto il suo controllo. Sono i responsabili
dello smaltimento nazionale e internazionale dei rifiuti tossici e nocivi delle
industrie del Nord.
Con il business dei rifiuti in Campania, la camorra ha
avvelenato irreparabilmente i terreni del basso casertano e del napoletano,
determinando l’aumento di patologie tumorali ben oltre la media nazionale
nell’area di Nola, Marigliano ed Acerra (il tutto dimostrato da puntuali
risultanze scientifiche) Non si può ottenere una stima dei decessi, anche
perché quei prodotti hanno avuto una diffusione nazionale. Spesso erano
utilizzate anche le cave, oppure terreni in cui si stavano eseguendo dei lavori
pubblici.
Nel 2010 lo stesso clan dei Casalesi è stato pesantemente
colpito dalla sentenza del maxiprocesso Spartacus, che ha decretato la condanna
all’ergastolo per i capi Francesco Schiavone, Francesco Bidognetti, Mario
Caterino, Antonio Iovine e Michele Zagaria. Nel 2006 il bestseller Gomorra,
romanzo-inchiesta del giornalista e scrittore napoletano Roberto Saviano, ha
portato la Camorra alla ribalta mediatica.
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