L’unione
Sarda
Il
giornalista di Repubblica mette nel mirino i dogmi del politically correct «Il
primo passo è essere meno arroganti nel trattare le paure dei più deboli»
«Nella notte della sinistra trionfano i populismi Come si può ricominciare»
di Angiola Bellu
La sinistra del ventunesimo secolo
ha cambiato DNA. Ne deriva un suo crollo dovuto alla fuga del suo elettorato
tradizionale, che non vede più in essa alcuno strumento di lettura dei propri
bisogni e interessi e si rifugia nel populismo. Perché?
La notte della sinistra (Mondadori, 16 euro) è il nuovo libro del
giornalista e saggista Federico Rampini, in cui l'autore analizza
senza pregiudizi dettati dal pensiero politicamente corretto, il
declino dell'identità e della cultura
delle sinistre occidentali. Un saggio coraggioso e libero, che
invita a osservare il nuovo mondo globalizzato, le nuove paure dei suoi
abitanti, le nuove povertà, senza fermarsi ossequiosamente davanti ai totem
fino a ora intoccabili del pensiero progressista.
Ne abbiamo parlato con l'autore. Che cosa succede quando la sinistra considera
mal riposte le paure della gente comune? «Un luogo comune politically correct è quello
di sostenere che in questo momento hanno successo i personaggi populisti perché
cavalcano le paure. Come se la paura fosse una cosa orrenda di cui bisogna
vergognarsi. Invece è un sentimento legittimo e la sinistra dovrebbe essere un
po' meno arrogante nel trattare le paure dei più deboli.
La sinistra per molti anni ha chiuso
gli occhi di fronte al degrado di interi quartieri periferici delle città; a
quelli che hanno paura della criminalità, gli opinionisti di sinistra
rispondono citando statistiche secondo cui i reati scendono. Non è questa la
risposta giusta alla paura».
Quali sono
le altre paure che non affronta la sinistra?
«Quella dall'impoverimento. Abbiamo in Italia, come in America, un ceto medio che si sente franare la terra sotto i piedi, che non ha condiviso l'ottimismo di tanta sinistra di governo sugli effetti benefici della globalizzazione. Sono temi molto scomodi, ma finché la sinistra non li affronta difficilmente tornerà a essere capace di rappresentare vaste maggioranze».
E la
grande ondata migratoria?
«Questo è un libro che non parla
solo della crisi della sinistra italiana; mi occupo di tutte le sinistre
occidentali, che hanno problemi molto simili. Fa impressione guardare i numeri
del tracollo della socialdemocrazia tedesca e del Partito socialista francese,
ancora più antichi della nostra sinistra. L'immigrazione è uno dei grandi temi.
Lo affronto parlando dei tempi in cui ero a Parigi negli anni Ottanta, quando cominciò
lo spostamento elettorale.
La banlieue parigina, operaia, che aveva
sempre votato comunista cominciò a votare Fronte nazionale a causa
dell'immigrazione. Per la sinistra agiata dei quartieri chic di Parigi gli immigrati erano utili: fanno le pulizie, lavorano nei ristoranti etc. Per l'operaio della Renault, l'emigrato era il vicino di casa del pianerottolo che, alimentato da una cultura di vedetta nei confronti del colonialismo, cominciava ad incendiare le macchine, non quelle del centro ma quelle del vicino. Negli ultimi anni tutto questo ha
generato fenomeni come Salvini in Italia e Trump negli Usa».
Lei scrive
che la sinistra buonista sull'immigrazione ha voltato le spalle ad alcune delle
sue visioni. In che modo? «Marx nel 1870, analizzando la fuga degli irlandesi da
un'isola diventata un luogo di fame e di morte, scrisse da Londra
sull'uso che i capitalisti inglesi facevano di questi disperati: erano manodopera
disposta a lavorare per molto meno dei salari degli
inglesi. Questo è il meccanismo dell'immigrazione, da
sempre. Non è vera la formuletta che sbandiera la sinistra: vengono a fare
i lavori che non vogliono più fare gli italiani. Spesso fanno lavori
che alcuni di noi continuano a fare e ci si trova in concorrenza».
Lei parla
anche di Agnelli che importava operai dal sud per indebolire la politica della
Cgil del tempo. A cosa porta questo paragone nell'oggi? «Che l'emigrazione
impoverisca i paesi di partenza è una realtà che noi
italiani abbiamo sperimentato sulla nostra pelle. Molti dei
nostri emigrati sono diventati classe dirigente negli Usa o in
Germania o in Francia. In Africa, la metà dei medici formati nel
poverissimo stato del Malawi lavora negli ospedali di Londra. Non li stiamo aiutando ma saccheggiando le loro risorse migliori. Non si capisce perché "aiutarli a casa loro" sia
diventato uno slogan di destra. E' quello che
la maggioranza di loro desidera: avere un futuro a casa
propria senza essere costretti ad emigrare».
Perché
scrive che se Obama avesse fatto in politica estera quanto fa
Trump
avrebbe un altro Nobel, mentre Trump è la bestia nera? «A me Trump non piace: ho
votato Bernie Sanders prima e la Clinton dopo. Tuttavia Trump è stato accusato
di scatenare guerre protezioniste senza vedere che le ha iniziate la Cina prima
dell'Occidente e le ha stravinte usando a proprio vantaggio le regole
asimmetriche disegnate a suo favore dall'Organizzazione mondiale del commercio.
Trump l'ha detto in modo rozzo e volgare, ma resta vero. E' stato accusato di essere
dottor Stranamore, ma spesso sono le stesse cose dette da Obama. Questo si
estende anche al tema dell'immigrazione».
La
politica di Trump sull'immigrazione si riassume nella costruzione di un muro. Perché
la sinistra dovrebbe accettarlo? «Il primo pezzo di muro l'ha costruito Bill Clinton, altri pezzi li ha tirati su Bush, con i voti democratici. L'idea che l'immigrazione vada controllata la sinistra americana l'ha condivisa e praticata fino a poco tempo fa».
Articolo
tratto da “L’Unione Sarda” del 15 Aprile 2019
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Federico
Marini
skype:
federico1970ca
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