Per la seconda volta, i
cittadini sardi sono stati costretti ad andare al voto per l’elezione del
Presidente e per il rinnovo del Consiglio Regionale, con una legge elettorale
indegna di una democrazia. Per la seconda volta,
a causa di innumerevoli artifizi normativi, tutti tesi ad espropriare
rappresentanza ai cittadini elettori, abbiamo un Consiglio regionale che, nella
sua composizione, non rispecchia la volontà espressa dai sardi.
Il primo di questi
artifizi indegni è la doppia quota di sbarramento che non ha eguali in nessun
paese che ambisca a definirsi democratico: il 5% per le liste che si presentano singolarmente, il 10%
per le coalizioni. Per effetto di questo meccanismo imbroglione, ben 60.000
sardi tra quel 53% degli aventi diritto che è andato a votare, non avranno
alcun rappresentante in Consiglio Regionale.
Sono l’8% degli elettori, cittadini che hanno rifiutato
l’astensione, ma ai quali è stato sottratto il diritto fondamentale alla
rappresentanza. Votando la legge elettorale oggi in vigore in Sardegna i due
principali schieramenti, quello di centro-destra e quello di centro-sinistra,
hanno messo a punto un sistema che li vedrà avvicendarsi a lungo al governo
della regione impedendo che altre istanze, pur fortemente presenti nella
società sarda, trovino rappresentanza in Consiglio Regionale.
Con questa legge indegna, nel 2013, si è costruito
sostanzialmente un falso bipolarismo che pur non esistendo nella legittima
complessità che arricchisce il pensiero politico dei sardi, si materializza
artificiosamente nel momento in cui si compone il Consiglio regionale il quale,
al contrario, per conservare l’autorevolezza e la centralità che si addice alle
assemblee legislative, per produrre leggi che guardino al bene comune, per
esercitare le sue funzioni nell’interesse di questa terra, dovrebbe davvero
rappresentare tutti.
Invece, non bastando le
quote di sbarramento e i loro effetti pesantemente distorsivi della volontà
popolare, la legge elettorale sarda prevede anche premi di maggioranza che
consegnano al presidente eletto il 60% dei seggi se raggiunge il 40% dei voti e
il 55% dei seggi se raggiunge il 25% dei voti. Davvero difficile non cogliere lo squilibrio
pericoloso che si determina tra il risultato elettorale e la composizione del
Consiglio, a cui si aggiunge il voto disgiunto, anch’esso contenuto nella legge
elettorale sarda, che apre alla possibilità di votare contemporaneamente
schieramenti contrapposti.
Il voto disgiunto, che
nella legislatura appena conclusa ha determinato l’estremo di un consiglio
regionale a maggioranza di centrosinistra, nonostante le liste di centrodestra
avessero raccolto più voti, è un’altra alchimia normativa incomprensibile,
priva di senso logico e che non trova giustificazione in alcun ragionamento
politico. Contro questa legge
che viola brutalmente il diritto dei cittadini alla rappresentanza nelle
assemblee legislative il Comitato per la Democrazia Costituzionale e Statutaria
sta opponendo ricorso, nella consapevolezza che sia un pressante dovere di
cittadinanza chiedere che sia la Corte Costituzionale a
pronunciarsi e a verificare se le prerogative democratiche dei sardi siano di
fatto limitate dalla legge elettorale oggi vigente in Sardegna.
Una legge che, per
immobile ed interessata ignavia di minoranze arroccate su posizioni di potere,
non si è voluta modificare nel Consiglio appena sciolto che si è limitato ad
introdurre la doppia preferenza di genere la quale, purtroppo, ha dimostrato
nei risultati l’assoluta inefficacia rispetto all’obiettivo di portare, a livelli
minimi di civiltà, la presenza femminile in Consiglio. Noi però pensiamo che l’azione
giudiziaria promossa dal Comitato per la democrazia costituzionale e da diversi
altri soggetti che stanno opponendo ricorsi, non sia purtroppo sufficiente a
superare l’emergenza democratica che si profila a più livelli e interessa la
regione come lo stato.
Un’emergenza che si
concretizza in tanti modi e tra questi la pratica della marginalizzazione delle
assemblee elettive a favore di esecutivi sempre più forti e trasbordanti che
tendono ad occupare impropriamente spazi di potere legislativo attraverso
operazioni pericolose che risultano tanto più facili quanto più i parlamenti
sono resi scarsamente rappresentativi da leggi elettorali incostituzionali. Noi pensiamo che sia ora necessaria
una coscienza diffusa dell’esproprio di democrazia operato a danno dei sardi e
che tale coscienza muova un’azione generalizzata che veda coinvolti tutti
coloro che sono portatori di sani valori di cittadinanza.
Noi pensiamo che una tale
emergenza possa essere affrontata solo attraverso una vera battaglia di popolo
e che sia necessario noi siamo in tanti a chiedere che venga restituita ai
sardi la possibilità di eleggere Consigli Regionali che li rappresentino. Anche perché questa è la condizione
affinché le assemblee elettive, depositarie del potere legislativo, si
riapproprino della centralità che è loro dovuta nelle democrazie.
Di
Lucia Chessa
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