(17 Maggio1972) Un commando composto da due militanti di
Lotta continua uccide Luigi Calabresi, vice capo della squadra politica della
Mobile di Milano. L’omicidio avviene al culmine di una lunga campagna condotta nei
confronti del commissario e legata alla morte dell’anarchico Giuseppe Pinelli,
precipitato da una finestra della questura di Milano, durante un interrogatorio
sulla strage di piazza Fontana del 12 dicembre 1969. Per l’omicidio del commissario
Calabresi saranno condannati Adriano Sofri e Giorgio Pietrostefani come
mandanti, e Ovidio Bompressi e Leonardo Marino, come esecutori materiali.
In seguito alla "Strage di Piazza Fontana" (di cui
in seguito si accetteranno le responsabilità neofasciste, azione legata alla
famigerata “strategia della tensione”, che intendeva creare uno stato d’insicurezza
del paese in vista di una deriva autoritaria dello Stato) le
indagini sull'attentato terroristico vennero orientate inizialmente nei
confronti di tutti i gruppi in cui potevano esserci estremisti; furono fermate per accertamenti
circa 80 persone, in particolare tre anarchici del circolo anarchico Ponte
della Ghisolfa.
Il giorno della strage vi fu tra i fermati un esponente dei
movimenti anarchici milanesi: Giuseppe Pinelli, ferroviere che lavorava nella
stazione di Porta Garibaldi, e con lui Pietro Valpreda (assolto dopo alcuni anni,
come tutti gli altri imputati). Pinelli fu convocato in
Questuraper accertamenti e qui si svolse un interrogatorio estenuante, per verificarne l'alibi, che
all'inizio appariva impreciso.
Il 15 dicembre
l'anarchico precipitò dalla finestra dell'ufficio del commissario Calabresi,
uno tra gli incaricati delle indagini sul caso di piazza Fontana, morendo ore
dopo all'ospedale Fatebenefratelli: Pinelli era stato trattenuto per ben tre giorni
consecutivi, in evidente violazione dei limiti allora previsti dalla legge.
L'inchiesta sulla morte
di Pinelli fu condotta dal magistrato Gerardo D'Ambrosio, che nell'ottobre del
1975 escluse sia l'ipotesi del suicidio – emersa nei primi tempi dalle
testimonianze dei poliziotti, ma che si rivelò infondata quando si verificò la
solidità dell'alibi di Pinelli – sia quella dell'omicidio. La sentenza definì la morte come
accidentale, a causa di un malore che provocò uno slancio attivo e
«l'improvvisa alterazione del centro di equilibrio».
Sempre nel dispositivo di sentenza, D'Ambrosio scrisse:
«L'istruttoria lascia tranquillamente ritenere che il commissario Calabresi non
era nel suo ufficio al momento della morte di Pinelli». Il
fatto che la sentenza escludesse la responsabilità delle forze dell'ordine
suscitò reazioni polemiche di vario tono, principalmente nel mondo sociale,
politico e culturale facente capo alla sinistra.
Il 17 maggio 1972 alle
ore 9:15 il commissario Luigi Calabresi fu assassinato in via Francesco
Cherubini, di fronte al civico nº 6, nei pressi della sua abitazione, mentre si
avviava verso la sua auto per andare in ufficio. Il killer attese Calabresi sul marciapiedi
fingendo di leggere il giornale, dunque prese la pistola (una rivoltella a canna lunga Smith
& Wesson, con proiettili calibro 38) sparando un colpo alla schiena e uno
alla testa.
Secondo una perizia tecnica del 1999, è possibile che i
proiettili provenissero da due pistole diverse. Calabresi fu soccorso ma venne
dichiarato morto all'ospedale. Lasciò la moglie Gemma Capra, incinta, e due
figli: Mario (che diventerà noto giornalista e scrittore e che ha raccontato la
storia della sua famiglia nel libro “Spingendo la notte più in là”) e Paolo. Il
terzo figlio, Luigi, nascerà pochi mesi dopo la sua morte
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