"Non sapevo che i fratelli d'Italia arrivati dal Nord
svuotarono le ricche banche meridionali, regge, musei, case private (rubando
persino le posate), per pagare i debiti del Piemonte e costituire immensi
patrimoni privati. E mai avrei immaginato che i Mille fossero quasi tutti
avanzi di galera. Non sapevo che, a Italia così unificata, imposero una tassa
aggiuntiva ai meridionali, per pagare le spese della guerra di conquista del Sud, fatta senza
nemmeno dichiararla.
Ignoravo che l’occupazione del Regno delle Due Sicilie fosse stata decisa, progettata, protetta da Inghilterra e Francia, e parzialmente finanziata dalla massoneria detto da Garibaldi, sino al gran maestro Armando Corona nel 1988). Non sapevo che il Regno delle Due Sicilie fosse, fino al momento dell'aggressione, uno dei paesi più industrializzati del mondo (terzo, dopo Inghilterra e Francia, prima di essere invaso).
E non c'era la "burocrazia borbonica", intesa quale caotica e inefficiente: lo specialista inviato da Cavour nelle Due per rimettervi ordine, riferì di un «mirabile organismo finanziario» e propose di copiarla, in una relazione che è «una ode sincera e continua». Mentre «il modello che presiede alla nostra amministrazione», dal 1861, «è quello napoleonico, la cui versione sabauda è stata modulata dall’unità in avanti in adesione a una miriade di pressioni localistiche e corporative» (Marco Meriggi, Breve storia dell’Italia settentrionale).
Ignoravo che lo stato unitario tassò ferocemente i milioni di disperati meridionali che emigravano in America, per assistere economicamente gli armatori delle navi che li trasportavano e i settentrionali che andavano a "far le stagioni” per qualche mese in Svizzera.
Non potevo immaginare che l'Italia unita facesse pagare più tasse a chi stentava e moriva di malaria nelle caverne di Matera, rispetto ai proprietari delle ville sul lago di Como. Avevo già esperienza delle ferrovie peggiori al Sud che al Nord, ma non che, alle soglie del 2000, col resto d'Italia percorso da treni ad alta velocità, il Mezzogiorno avesse quasi mille chilometri di ferrovia in meno che prima della Seconda Guerra mondiale (7.958 contro 8.871), quasi sempre ancora a binario unico e con gran parte della rete non elettrificata.
Come potevo immaginare che stessimo così male, nell’inferno del Borbone, che per obbligarci a entrare nel paradiso portatoci dai piemontesi ci vollero orribili rappresaglie, una dozzina di anni di combattimenti, leggi speciali, stati d'assedio, lager? E che, quando riuscirono a farci smettere di preferire la morte al loro paradiso, scegliemmo piuttosto di emigrare a milioni (e non era mai successo?)
Ignoravo che avrei dovuto studiare il francese, per apprendere di essere italiano: «Le Royaume d’Italie est aujourd’hui un fait» annunciò Cavour al Senato. «Le Roi notre auguste Soverain prend pour lui même e et pour ses successeurs le titre de Roi d’Italie»”*
*[Pino Aprile, Terroni, Piemme, Milano, 2010, pagine 9-10, ora anche in "Carlo Felice e i tiranni sabaudi" di Francesco Casula]
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