A me, da qualche anno, le
Cortes Apertas mettono tristezza. Mi colpisce quell’abbandono che, per un
giorno torna fintamente vitale e, travestito di folklore, si offre a visitatori che attraversano,
curiosi e insieme distratti, un amaro resistere a fatica, che non rende
giustizia al diritto di sopravvivere che aveva la cultura e l’identità di
queste piccole comunità. Poi però, qualche volta, può capitare che tra le Cortes fai incontri
straordinari.
Attraversi il portale di una casa aragonese restaurata con generosa
ed inusuale cura, ed entri nella storia. Ogni dettaglio è stato studiato
rifuggendo da brutti e consueti stereotipi attraverso i quali, sbagliando, a
volte pensiamo di raccontare la Sardegna ed il suo popolo. I
materiali del restauro, le tecniche di lavorazione, gli strumenti di lavoro
sono stati oggetto di studio instancabile.
Gli arredi, gli oggetti, il pavimento in terra battuta, i
colori, il rame, il letto “alla moda araba” ottenuto con strati di tappeti…
tutto è stato recuperato e ricostruito attraverso una instancabile ricerca. Si
entra e si intuisce cosa è stata la vita in quella casa, nel 1500, 5 secoli fa, e si percepisce il filo che lega la
Sardegna di oggi alla sua storia e le vite di oggi alle vite di allora.
Ho chiesto ad Antonio Forma perché di tanto lavoro, tanto
studio, tanta caparbia determinazione a recuperare, conservare e restituire a
questo tempo tanta autentica testimonianza. Ho trovato nella risposta un’
idealità generosa, il sentimento di un dovere verso chi è stato prima e chi verrà dopo.
Sarule 2019
Di Lucia Chessa
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