(15 Dicembre 2000) Viene
spento il terzo reattore dell’impianto nucleare di Cernobyl. Lo stop definitivo giunge durante
una cerimonia ufficiale che si svolge a Kiev, nel corso della quale il
presidente ucraino, Leonid Kuchma, ordina di premere il pulsante d'arresto
della centrale. L'incidente accadde nella notte tra il 25 e il 26 aprile 1986,
quando si verificò l’esplosione al reattore numero 4 della centrale atomica
mentre era in corso un test ( nel corso del quale erano stati staccati i
sistemi di sicurezza). Durante una prova per verificare il funzionamento della turbina in
caso di mancamento improvviso di corrente elettrica, errori umani e tecnica difettosa
crearono le condizioni per il disastro. L’orologio segnava l’una, 23 minuti e
44 secondi.
In conseguenza dell’incidente
furono immesse nell’ambiente grandi quantità di materiale radioattivo e si
formò una nube tossica che si estese su gran parte dell’Europa. L’incendio sprigiona una grande
nuvola, densa di materiale radioattivo, che contamina l’area attorno alla
centrale. 336mila persone devono essere evacuate. A cominciare da Pripyat, la città più vicina: 47mila
abitanti, nel giro di poche ore, devono abbandonare per sempre le loro case.
Nei giorni successivi il
vento fa percorrere centinaia di chilometri alla nuvola. Prima verso la Bielorussia e i
Paesi Baltici, poi Svezia e Finlandia, e ancora Polonia, Germania
settentrionale, Danimarca, Paesi Bassi, Mare del Nord e Regno Unito. Tra il 29
aprile e il 2 maggio è la volta di Cecoslovacchia, Ungheria, Jugoslavia,
Austria, Italia settentrionale, Svizzera, Francia sud-orientale, Germania
meridionale e ancora Italia, stavolta centrale. Tra il 4 e il 6 maggio la nube
torna verso l’Ucraina, poi Russia meridionale, Romania, Moldavia, Balcani,
Grecia e Turchia.
Tutte le aree dove è piovuto sono da
considerarsi a rischio, il suolo potrebbe essere contaminato. L’emissione di vapore radioattivo
si interrompe soltanto il 10 maggio. Lo stesso giorno, a Roma, 200mila persone
scendono in piazza e si gettano le basi per il referendum che l'anno successivo
porterà all'abbandono dell'energia nucleare in Italia.
Negli anni successivi al
disastro, circa 600mila persone si occuparono della rimozione dei detriti, della decontaminazione del sito e
delle strade intorno. Furono i cosiddetti "liquidatori", reclutati in
Bielorussia, Russia e Ucraina tra militari e civili, a cui vennero consegnati
speciali certificati e una medaglia al valore. Furono loro a occuparsi anche
della costruzione del "sarcofago" per sigillare il nocciolo
radioattivo. Buona parte di loro (si stima 240mila persone) lavorarono a
stretto contatto con il luogo dell'esplosione, esponendosi a radiazioni molto
alte: alcuni liquidatori rimossero personalmente blocchi di grafite dal tetto
per gettarli a braccia nel punto dove sarebbe stato seppellito il reattore.
Il sarcofago venne
costruito in pochi mesi, per l'urgenza di
coprire 180 tonnellate di combustibile, pulviscolo radioattivo e 740mila metri
cubi di macerie contaminate. Ma ogni anno, a causa della povertà dei materiali
usati, nuove falle si aprivano nella struttura. Nel febbraio 2013,
sotto il peso della neve, è crollata una parte del tetto del locale turbine
adiacente al reattore numero 4, provocando un'immediata evacuazione degli
operai. Nel 2016, scaduti i
termini di sicurezza, è stata costruita una nuova struttura più sicura che ha
sostituito il vecchio sarcofago.
Cifre non ufficiali
alzano il numero dei morti sino a 25 mila in tutti e tre i Paesi (Ucraina,
Bielorussia e Russia) investiti dalla nube radioattiva. Ma certezze non ve ne sono, nemmeno
per i numeri delle persone colpite da malattie e disturbi psicologici che
possono aver interessato cinque milioni di persone che, anche per un breve
periodo, furono esposte a radiazioni sopra la norma. Attualmente la zona
proibita è diventata meta per le gite organizzate che offrono ai turisti la
possibilità di arrivare sino sotto il reattore numero 4 di Chernobyl e di
visitare la città fantasma di Pripyat
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