E' un po' di tempo che
leggo e ascolto la musica di molti giovani artisti italiani, figli di migranti,
con vite difficili e la giusta inquietudine nel cuore. Li trovo davvero
preziosi. Un segno di vita in un mondo di plastica.
Al cuore del trionfo dell'ego individualista, mentre tutti si
raccontano vincenti, si fingono forti e belli e sono ossessionati dalla cura
del continuo flusso comunicativo organizzato intorno alla costruzione della
propria immagine, questi artisti hanno il coraggio di rompere l'ipocrisia e
rovesciare la narrazione.
Nell'epoca in cui
persino l'emancipazione femminile è raccontata come l'epopea individuale delle
donne che ce l'hanno fatta e di quelle che ce la faranno, nell'epoca in cui le
scuole di politica offrono le competenze per arrivare in alto e non quelle per
sviluppare un pensiero critico sul mondo,
nell'epoca
iper-competitiva in cui ogni giorno ti insegnano che per avere successo devi
essere disposto a calpestare non solo la tua gente ma anche le persone più
care,
Ghali, padre in carcere
e come casa una sola stanza da condividere con la madre, stamattina regala
un'intervista ad HuffigtonPost, in cui ricorda che il fallimento è umano,
l'imperfezione è umana, i 'giorni no' sono umani, la tristezza, la sconfitta,
l'errore sono umani.
Dice 'capita a tutti, e nessuno ne parla mai. Perché è come se fosse
una cosa di cui vergognarsi, ma il fallimento è umano'. Grazie Ghali. Il cuore della vita non è vincere,
è condividere.
Elisabetta Piccolotti.
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