Il 26 aprile, una
domenica, a Nuoro, Paskedda Zau, vedova, pastora, con 10 figli a carico, in
strada, all’uscita della messa, si rivolse alle donne che con lei avevano
assistito alla celebrazione. Raggiunta la piazza antistante la chiesa, cominciò
a chiamare anche gli altri nuoresi invitandoli alla ribellione.
Che si trasforma in vera e propria rivolta con più di 300 persone – soprattutto donne – che assaltano il Municipio,
scardinano le porte, asportano i fucili della Guardia nazionale, scaraventano
in piazza i mobili e i documenti dello stato civile ma soprattutto i documenti
catastali (su papiru bullau) sulle lottizzazioni dei terreni demaniali
(dell’Ortobene e di Sa Serra, circa 8 mila ettari), che l’Amministrazione
comunale – espressione degli interessi dei printzipales e della borghesia
intellettuale e professionale, per lo più massonica – aveva deciso di vendere a
famelici possidentes.
Sottraendoli all’uso comunitario di pastori e contadini (che
consentiva legnatico ghiandatico e pascolo per le pecore), viepiù ridotti alla
miseria: uso che costituiva,
per le comunità, un sollievo alla povertà, aggravatasi in seguito alla violenta
carestia, che, nel 1866, li aveva colpiti duramente, mettendoli in ginocchio e
portandoli sull'orlo della catastrofe.
Scriverà Manlio Brigaglia: ”tutti i documenti comunali, i
registri in cui la civiltà scritta dello stato, sopprimeva la civiltà non
scritta della comunità, vennero ammucchiati in piazza e bruciatiti”.
La rivolta di Paskedda Zau rappresenta l’epilogo drammatico di
rivolte decennali contro la privatizzazione delle terre, volute dai tiranni sabaudi, prima
con l’Editto delle Chiudende e poi con l’abolizione dei diritti di ademprivio,
con cui si smantellavano di fatto le strutture tradizionali del comunitarismo e
le secolari basi materiali che avevano permesso l'accesso popolare alla terra
stabilendo un equilibrio sostanziale e reciprocamente vantaggioso tra pastori e
contadini.
L'obiettivo era chiaro fin dall'occupazione cartaginese e dal
dominio romano: distruggere totalmente la libera comunione delle terre e
sostituirla col latifondo. Con l'espulsione dei
Sardi dalla loro terra, fu assestato un colpo decisivo a favore dello sviluppo
dell'immiserimento della Sardegna.
Di Francesco Casula
Storico e saggista
Autore de “Carlo Felice e i tiranni sabaudi”
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