Il crollo
di Leu, Piras: «Sinistra di nuovo all'anno zero» Il parlamentare uscente di
Art.1-Mdp rilancia la costruzione di un campo progressista
Non solo aveva messo in conto la
sconfitta, ma anche la disfatta. «È stata una vera catastrofe ma
sapevamo che sarebbe andata così», dice. Lo aveva previsto in tempi non
sospetti Michele Piras, deputato uscente di Art.1-Mdp, quando il 26
gennaio aveva deciso di non candidarsi nelle file di Leu. «Non sono un
veggente, ma quando il gruppo dirigente ha fatto quella scelta scellerata di
riprodurre se stesso senza proporre una valida alternativa, era inevitabile che
sarebbe finita in questo modo», dice.
UNA PUNIZIONE ATTESA Il voto dei
sardi ha punito Liberi e Uguali, più che nel resto del Paese. Cominciamo dal
risultato: 3,1% alla Camera, meno quindi del 3,3% ottenuto a livello nazionale,
sì appena sopra la soglia di salvezza che, però, non è stata sufficiente a
portare a Montecitorio neanche un sardo. «Candidare nel collegio plurinominale
alla Camera un dirigente nazionale, slegato dal territorio, e neppure neanche
così noto come Claudio Grassi, è stato un errore», dice. Giura che non si
tratta di una questione di “etnia”.
«Se al posto di Grassi avessimo
candidato un non sardo che, però, vive in Sardegna da tempo e conosce i
problemi dell'Isola, non sarebbe stato un errore. Il problema, invece, è che il
gruppo dirigente ha scelto di candidare persone da riposizionare in Parlamento,
producendo il disastro che è uscito dalle urne».
AUTOCRITICA E' andata male,
malissimo. Per questo motivo non assolve nessuno, Michele Piras. Né Piero
Grasso, «mi è parso inadeguato e poco efficace sul piano comunicativo», né
Massimo D'Alema, «uno che ha avuto coraggio nel candidarsi nel collegio
uninominale, ma non si può riproporre la solita minestra riscaldata». Non
considera immune da colpe neanche se stesso. «Non mi assolvo, certo, ma chi ha
provocato questo disastro si deve assumere la responsabilità e fare un passo
indietro».
UN DEJA-VU A botta fredda, il
deputato isolano ricorda che «lo stesso disastro l'abbiamo vissuto nel 2008 con
la Sinistra Arcobaleno, un progetto fallimentare che partiva con l'obiettivo di
ottenere almeno il 10% dei consensi e chiuse con il 3%, tenendo la sinistra
addirittura fuori dal Parlamento», quando lo sbarramento era al 4%.
IL FUTURO Ora si riparte. Ma da
dove? «Dal dialogo con le persone, riaggregando e ricostruendo la sinistra,
riappropiandosi di temi come il lavoro, i diritti, etc. Obiettivo: «Evitare che
si ripeta lo stesso scenario alle elezioni regionali del prossimo anno».
Ma. Mad.
La
Nuova
Il Pd
sempre più nel caos tra rimpasto e segretario
Oggi in
segreteria Cucca a rischio sfiducia. E c'è chi chiede cambi in giunta
di Umberto Aime
CAGLIARIÈ tutto nelle mani del Pd.
Dal futuro della segreteria
regionale, è ovvio, all'improbabile
o poco probabile, secondo i punti
di vista, rimpasto in giunta.
Rimpasto oggi voluto più dagli alleati,
molto meno dal governatore Pigliaru,
per lui è irricevibile, e da gran
parte dello stesso Pd. Sembra
assurdo, ma è così: chi domenica, nei
seggi, ha preso una batosta senza
precedenti, continua ad aver in mano
le carte del mazzo. La prima è
questa: il segretario regionale
Giuseppe Luigi Cucca deve dimettersi
subito, senza nessun'altra
sollecitazione, o essere sfiduciato
dalla maggioranza che lo ha eletto
nove mesi fa?
Poi la seconda: in quest'ultimo anno
di legislatura, chi
dovrà governare, gli assessori
tecnici, o quelli politici? Sono
interrogativi difficili e pesanti su
cui il Pd, sotto choc, ha chiesto
due o tre giorni prima di dare le
risposte. Così è saltato
l'annunciato vertice di maggioranza,
col Pd che ha scelto invece di
riunirsi in gruppi e gruppetti. Non
poteva essere diversamente vista
l'aria: il rientro in Consiglio
degli sconfitti è stato mesto e di
molti anche a testa china. Ci vorrà
ancora del tempo prima che la
sconfitta sia metabolizzata e decise
soprattutto le contromisure,
almeno quelle più urgenti.
Fior di pelle. I nervi tesi nella
prima
giornata post elezioni si sono
materializzati sin dall'inizio della
seduta del Consiglio. E non solo
perché una decina di
consiglieri-candidati sono usciti
con le ossa rotte dalle Politiche,
appena in quattro ce l'hanno fatta,
e non solo perché una delle
battute più pepate raccolte nei
corridoi è stata questa: «Altro che
Roma, sono rimasti inchiodati in via
Roma», la strada cagliaritana
dove si affacciano le finestre
dell'Assemblea. Perché c'è stato anche
dell'altro seppure sotto traccia.
Per ben due volte, in poco più di
un'ora, in aula è mancato il numero
legale. È vero che all'ordine del
giorno c'era la legge sugli appalti,
che parte della maggioranza pare
aver subito dopo la recente e giusta
levata di scudi del Partito dei
sardi: era ferma da troppo tempo.
È vero anche che gli auguri, ai
pochi eletti, e le pacche compassionevoli
sulle spalle dei molti
sconfitti hanno riempito più il bar
interno che l'aula dimezzata. A
mezzogiorno è stata una votazione
elettronica a certificare il
disinteresse: solo ventotto presenti
su sessanta. Con la maggioranza
dei consiglieri, a quel punto,
impegnata in tutt'altro. In che cosa?
Nelle annunciate e interminabili
riflessioni elettorali. La giornata è
andata avanti così fino alle 20.30,
ora d'inizio della diretta di
Champions Tottenham-Juventus, col
Consiglio che per fare ancora più in
fretta ha calciato la palla in
tribuna e s'è sciolto in un
battibaleno. Dopo aver svolto però
quanto richiesto: il via libera
alla legge sugli appalti e salvato
una trentina di dipendenti dell'ex
Hydroncontrol, che rischiavano il
licenziamento dopo una sentenza
avversa della Corte costituzionale.
Segreteria ballerina. È sempre più
quella di Giuseppe Luigi Cucca del
Pd. Oggi ha convocato i nove che ne
fanno parte. I tre della corrente di
Renato Soru - Giuseppe Frau,
Antonio Piu e Barbara Cadoni -
dovrebbero presentarsi dimissionari,
per mettere pressione su Cucca. I
tre popolari-riformisti - Pietro
Morittu, Alberta Grudina e Aldo Pili
- vorrebbero fare lo stesso, ma
pare invece che i capocorrente
abbiano deciso di concedere l'onere
delle armi a Cucca dopo aver
contribuito ad eleggerlo nove mesi fa. Il
che vorrebbe dire: a decidere, alla
fine, non saranno i singoli ma
l'assemblea del partito. Gli unici
tre della segreteria ancora al
fianco di Cucca rimangono quelli
della sua corrente, composta da
renziani ed ex Diesse, e in concreto
Giannarita Mele, Sebastiano
Mazzone e Michela Mura. Calcolatrice
alla mano, il segretario non
avrebbe più la maggioranza,
perderebbe sei a quattro. Ma oggi la
segreteria non dovrebbe arrivare
alla conta finale.
Una delle vie
d'uscita per evitare il pericoloso
testa a testa potrebbe essere
questa: convocare la direzione
regionale entro venerdì 16, ascoltare
quel giorno la relazione del
segretario sulla sconfitta elettorale,
aprire il dibattito e poi vedere
cosa accade. In ogni caso la
decisione finale, non dovrebbe
spettare neanche alla direzione. Il
regolamento interno impone che a
votare la sfiducia o ad accettare le
dimissioni sia soltanto l'assemblea
dei 160 delegati eletti a luglio
insieme al segretario.
Assemblea dove Cucca dovrebbe avere
ancora la
maggioranza. Dovrebbe perché quella
che lo ha scelto la scorsa estate
pare che, dopo la tranvata di
domenica, si sia dissolta. Se da sempre
i soriani sono all'opposizione dopo
essere usciti sconfitti dalle
primarie per la segreteria, anche i
popolari-riformisti sarebbero
pronti al passo indietro, o comunque
avrebbero fatto arrivare a Cucca
messaggi eloquenti su quello che si
aspettano. Oggi quindi si
comincerà a capire quale potrebbe
essere il futuro del Pd e del
centrosinistra da qui a una
settimana. I bookmaker hanno azzardato: ci
sarà un nuovo segretario, non subito
ma ad aprile . E il rimpasto in
giunta? Si vedrà anche se continua a
essere irricevibile per Pigliaru
e gran parte di un Partito
democratico, che vorrebbe provare a
resuscitare prima di Pasqua.
Sabatini
travolto dal ciclone M5s «C'è un forte malessere verso il Pd»
CAGLIARITrentamila voti di distacco
dalla valanga 5 stelle, novemila
dal centrodestra. Franco Sabatini,
candidato del centrosinistra alla
Camera nel collegio di Nuoro, ha
lottato come un leone, ma è finito
rullato come tutto il Pd. È lui uno
dei bocciati eccellenti. Non gli è
bastato essere consigliere regionale
da tre legislature, o aver
stravinto, in Ogliastra, le
Regionali del 2014, ormai anche quella
vittoria appartiene a un'era
geologica fa.Confessi, il Pd ha sbagliato
tutto.«Esti a bentulai candu tirada
su entu»
Tradotto? «Il vento che
ha soffiato il 4 marzo è stato
quello della rottura radicale, della
discontinuità. Ha travolto il Pd e
premiato i 5 stelle e la Lega». Non
sia reticente, si sente colpevole da
solo o in compagnia.«C'è chi,
incline alla personalizzazione e
alla ricerca del capro espiatorio,
spiega lo tsunami nell'avversione al
gruppo dirigente del Pd».
S'è
consumato un rigetto? «L'avversione
da sola non è sufficiente a
giustificare quanto avvenuto nelle
urne. Bisogna però essere più
profondi».Lo faccia.«Esiste un
malessere diffuso che è di un'evidenza
tale da ridare la vista a un cieco.
Le nostre risposte, quelle del
governo nazionale e regionale, sono
apparse agli elettori come
unguenti insignificanti e
trascurabili»
Un centrosinistra rifiutato.«Ho
macinato chilometri, visitato paesi,
fatto comizi, manifestazioni,
distribuito volantini, parlato con
singoli e gruppi, percorso le
nostre strade, stretto migliaia di
mani, entrato nei bar, ricevuto e
dato pacche sulle spalle».
Non è bastato.«È vero».Si sarà dato
una
spiegazione«Sì, questa: in troppi
sguardi, ho colto la sorpresa nel
vedere un candidato fra la gente».
Pessimo segnale.«Sì, perché più di
una volta mi sono sentito ripetere:
vi fate vedere solo quando c'è una
votazione, e qualcuno ha aggiunto un
ancora più preoccupante siete
assenti sempre
Il distacco è profondo. «Ho capito
ancora di più come i
cittadini vedono i politici e se a
pensarla così sono gli iscritti di
lunga data è peggio».La crisi è
ancora forte.«È reale. Purtroppo molti
politici continuano a voltare la
faccia altrove e a dispensare un
ottimismo ingiustificato. Nel mio
viaggio elettorale, ho toccato con
mano diverse situazioni di crisi».
Quali? «Le aree industriali della
Sardegna centrale sono alla
smobilitazione da anni. Come Pd nazionale
ci siamo inventati l'Industria 4.0.
Bene, è un'ottima misura per aree
ancora vive, ma del tutto inadeguata
per quelle che vivono il declino.
A noi serve un grande progetto per
la reindustrializazione e oggi non
c'è».
Poi l'agricoltura. «Dov'è mancata
una profonda riforma
dell'apparato amministrativo. È
rimasto quello che era: incapace di
dare risposte in tempi accettabili.
Non sono più tollerabili
l'inefficienza e una burocrazia che
blocca persino le pratiche più
semplici».
La sanità ha pesato? «Ho sostenuto
con forza la riforma
sanitaria e so che una
riorganizzazione ha bisogno di tempo per dare
buoni frutti. Se esiste, tuttavia,
una così diffusa irritazione
all'interno degli ospedali, occorre
prenderne atto. Non possiamo
barricarci ancora dietro la
perfezione del disegno, rischiando alla
fine di dover constatare "che
l'operazione è riuscita ma il paziente è
morto". C'è qualcosa che non
sta funzionando, non possiamo far finta
che i problemi non esistano e dunque
dobbiamo correggere quello che
non va».
Cosa accadrà nel Pd? «È
indispensabile aprire una riflessione
profonda. Ma che non si trasformi,
un attimo dopo, nel solito scontro
interno. I nostri iscritti ed
elettori hanno perso la pazienza e non
accettano più il correntismo
degenerato che spinge alla rissa
continua. Hanno detto basta anche ai
personalismi che antepongono le
ambizioni dei singoli all'interesse
del partito».
Risollevarsi sarà
difficile.«Il Pd è ancora un partito
organizzato, radicato nel
territorio, che ha circoli, iscritti
e dirigenti. Ha un patrimonio
umano, prima ancora che politico, e
resistente nonostante tutto».Serve
una terapia choc.«Basterebbe
rivitalizzare il sentimento di
appartenenza, facendone dei circoli
il luogo dove elaborare idee e
azioni. I circoli devono tornare a
essere i nostri occhi e le nostre
orecchie».
Uscite almeno dai Palazzi. «C'è
mancata la capacità di
ascolto delle persone oltre che di
sindacati e imprenditori. Siamo
rimasti chiusi dentro una bolla di
rigidi schemi mentali e
comportamentali che ci ha impedito
di mantenere un contatto autentico
con la realtà. Soprattutto con
quella parte che ha sopportato
maggiormente il peso della crisi. Lo
confermo: c'è stata una nostra
progressiva incapacità di
rapportarci con la società sarda, di dare
quelle risposte che si attende».
È l'ultima occasione per risorgere e
non perdere anche le Regionali del
2019? «Se vogliamo risalire la china
serve un grande lavoro, una
discussione interna franca e senza zone
d'ombra ma anche una grande capacità
di leggere i processi economici e
sociali, le trasformazioni che
attraversano l'economia e la società».
(ua)
Maninchedda
corteggiato. E Fois: «Pensiamo a una coalizione su base sarda»
Pds e
Riformatori verso le Regionali
SASSARILe grandi manovre iniziano
anche tra chi alle Politiche non ha
partecipato. Ma se qualcuno si
illude che i partiti fuori dalla gara
siano rimasti in somno non conosce i
complicati rituali della
politica. In molti si preparano per
le Regionali e il grande Risiko
delle alleanze è già iniziato. Il
Partito dei Sardi è rimasto a
guardare, e ha inviato l'elettorato
a un non voto. Ma in queste
settimane la posizione del leader
Paolo Maninchedda sembra essersi
rafforzata. In particolare dopo il
tracollo elettorale del Pd.
Maninchedda in queste settimane dal
suo blog ha continuato a parlare
di una iniziativa forte, capace di
cambiare e stravolgere gli
equilibri consolidati.
E nel silenzio si tesse la tela
delle alleanze.
Ma anche i Riformatori non sono
scesi in campo in polemica contro una
legge che non dava nessuna
possibilità a partiti su base regionale di
eleggere qualche candidato. E il
commento su come il voto è andato lo
fa il coordinatore regionale dei
Riformatori sardi Pietrino Fois.
«Queste elezioni hanno certificato
il fallimento dei partiti nazionali
- dice Fois -. Hanno pensato di
imporre programmi e persone che poco
rappresentavano i territori. È vero
che figure più autorevoli
avrebbero potuto fare la differenza.
Ma io vado oltre. Per il futuro
si deve iniziare a guardare a
ipotesi di coalizioni straordinarie.
Perché davanti a schemi già
consolidati non si riesce ad avere più
nessun tipo di consenso. Ci vuole
buona volontà da parte dei partiti
che hanno un forte radicamento
regionale.
Ora sono questi ad avere la
maggioranza rispetto a quelli che
hanno impostazioni e imposizioni
nazionali. Si deve essere pronti a
condividere percorsi ed esperienze
per creare una coalizione con una
forte trazione e una forte idea di
sardità. Questo deve essere uno dei
punti su cui noi Riformatori
intendiamo insistere. Ma crediamo
che il punto cardine su cui ci si
debba muovere sia il principio della
condivisione dell'insularità in
Costituzione. Questo ci
consentirebbe di avere risorse certe, di avere
autonomia e certezza dei rapporti
con lo Stato.
È la chiave
fondamentale per ridurre il gap che
la Sardegna ha rispetto alle altre
regioni italiane ed europee. Siamo
pronti a parlare con chi sostiene
con noi la rottura di vecchi schemi
che non portano più a nulla. Si
può anche parlare alla pancia della
gente. Ma si deve passare dalla
testa. Altrimenti le forze populiste
avranno la meglio rispetto alla
buona politica».
Renzi si
è dimesso Lettera formale al Pd
Lo ha
rivelato Orfini, il presidente del partito. Assemblea entro un mese
Ora alla
guida c'è il vice Martina. Calenda contro l'accordo con il M5s
di Serenella MatterawROMAC'è una
lettera di dimissioni firmata da
Matteo Renzi all'indomani della
debacle elettorale. Lo rivela, tre
giorni dopo, il presidente del Pd
Matteo Orfini per stoppare il
pressing di maggioranza e minoranza
del partito, con tanto di
documenti di esponenti locali, sulla
necessità di un passo indietro
«vero» del segretario.
L'assemblea che sarà convocata entro
un mese
deciderà se eleggere un nuovo
segretario o indire il congresso.
Intanto, precisa Orfini, «lo statuto
non consente margini
interpretativi né soluzioni
creative»: resta a guidare il Pd fino
all'assemblea il vice Maurizio
Martina, spiegano i renziani, come
quando si dimise Veltroni e i poteri
passarono a Franceschini. Un no
netto dunque, ad ora, alla richiesta
della minoranza di un organo
collegiale per governare questa
fase.
E così gli animi restano
infiammati, la convivenza faticosa.
Il tentativo in corso è arrivare
in direzione lunedì - alla quale
alla fine Renzi potrebbe partecipare
- se non a una pace, a una tregua
armata. Ma il livello di fiducia
reciproca è ai minimi termini e le
«truppe» sono pronte alla conta: i
renziani assicurano di avere il
pieno controllo (circa il 70%) della
direzione, gli oppositori sostengono
che i singoli (si cita ad esempio
il nome di Debora Serracchiani) sono
in movimento, la situazione è
fluida. Su un punto, per il momento,
si trovano tutti formalmente
d'accordo: no a un governo con i Cinque
stelle. «La mia area e la
maggioranza, in tutto il 90% del
gruppo dirigente Pd, è contrario»,
assicura Andrea Orlando, riunendo la
sua corrente.
E se la presidente
dell'Umbria Catiuscia Marini invoca
un referendum tra gli iscritti e
il presidente della Puglia Michele
Emiliano un'apertura a Di Maio,
Orlando assicura che sono una
minoranza. Anche Carlo Calenda, che
prende la tessera Pd e lancia la
leadership di Paolo Gentiloni,
assicura che quella tessera la
straccerebbe in caso di intese con il
M5s. E si guadagna un duro attacco
di Emiliano: «Bisogna liberarsi di
quelli come Calenda». Ma, chiosano
fonti renziane, per il sostegno a
M5s ci vorrebbero almeno 90 deputati
Dem, ma su un gruppo di 104,
un'ottantina di eletti sarebbero di
provata fede renziana: chi volesse
votare l'intesa fallirebbe.
Diverso il discorso su un'intesa con
la
destra, ragionano le stesse fonti.
Renzi è contrario e anche Orlando
dice no, ma servirebbero numeri più
bassi e non è escluso che con il
passare delle settimane le truppe alla
Camera si assottiglino (più
difficile al Senato, dove la
compagine renziana sarebbe solida). Ma il
discorso del governo è di là da
venire e la stessa Anna Finocchiaro
che nella riunione dell'area Orlando
tiene ferma la linea del no a
destra e M5s, spiega ai colleghi che
in caso di stallo non ci si
potrebbe sottrarre in partenza ad
ascoltare eventuali altre soluzioni
proposte da Sergio Mattarella.
Il tema si pone prima, spiegano
renziani e non, e riguarda
presidenze delle Camere e guida dei gruppi
Dem. È per questo che la minoranza,
ma anche un pezzo di maggioranza,
sono in pressing per una gestione
collegiale della fase che si apre:
servono soluzioni condivise, è la
richiesta, passo dopo passo. Ma al
dunque, spiegano gli iper-renziani,
decidono i numeri. A dimostrare
buona volontà si spiega che per i
gruppi saranno scelti nomi renziani
ma non «pasdaran» (si cita Lorenzo
Guerini alla Camera, Teresa
Bellanova al Senato).
E Maria Elena Boschi si tira fuori
dalla
partita, smentendo di essere
interessata al ruolo di capogruppo o a
una vicepresidenza di Montecitorio.
Ma il braccio di ferro è destinato
a proseguire. E la minoranza non
esclude di presentare lunedì in
direzione un documento per ottenere
che, come vuole anche parte della
maggioranza, una cabina di regia
affianchi Martina.
Unione
Sarda
Massimo
Zedda: serve un centrosinistra più unito
«Bisogna
ripartire ascoltando i cittadini»
Guai a perder tempo per dare la
caccia al colpevole: «Sarebbe un
errore con altre conseguenze
pesanti». Ben più efficace «la ricerca di
unità per rispondere alle esigenze
dei cittadini, per ricreare un
legame col Paese». Lo tsunami delle
Politiche raggiunge Massimo Zedda
a Fort Lauderdale in Florida dove è
in corso il più grande evento
mondiale sul turismo crocieristico,
che sta premiando Cagliari.
«Il risultato del voto è pesante, ma
si può ripartire dalle cose buone. E
sono tante, soprattutto a livello
locale, dove un centrosinistra coeso
è in grado di intercettare meglio i
bisogni dei cittadini. Non va
sottovalutata che è una crisi di
livello europeo. Le forze politiche
di centrosinistra, di sinistra sono
in crisi in tutta Europa».
I Dem sono sotto choc, travolti dal
voto e dal caos interno.
«Non ha senso cercare
responsabilità, capri espiatori. Le
contrapposizioni a oltranza hanno
contribuito alla sconfitta. È l'ora
di ragionare, di ripensare, di non
disperdere il lavoro fatto. Perché
ne è stato fatto tanto».
Quale lavoro?
«L'azione del centrosinistra ha
permesso a un Paese lasciato sull'orlo
del baratro dal centrodestra di rimettersi
in corsa. C'è ancora tanto
da fare perché la crisi ha colpito
tanti. È evidente però che non
siamo stati in grado di far
comprendere la drammaticità della
situazione che il Paese ha vissuto
L'Italia ha cominciato a crescere
in tutti i settori, gli indicatori
economici l'hanno confermato. È
evidente, però, che se i cittadini
non hanno compreso fino in fondo
cosa è stato messo in campo, più di
un errore è stato commesso».
Qual è l'elemento fondamentale della
vittoria del Movimento Cinque
Stelle, che è andata al di là di
ogni previsione.
«Le vittorie e le sconfitte non sono
mai casuali e figlie di un solo
fattore. Ci sono molti elementi ad
aver determinato questo scenario.
Gli effetti della crisi economica
hanno fatto la loro parte: c'è il
problema del lavoro dei giovani, ci
sono le difficoltà delle fasce più
deboli».
Di Maio ha fatto breccia tra tanti
delusi di centrosinistra.
«Negli ultimi anni l'astensionismo è
cresciuto di molti punti. È segno
che l'M5S ha pescato molto nel
centrosinistra e nel centrodestra. A
Cagliari ho avuto la percezione di
questi spostamenti».
Perché?
«Perché tanti cittadini mi hanno
raccontato come la pensavano: ho
votato per lei nel 2011 e nel 2016,
ma a quelli lì a Roma il voto non
glielo do. È la dimostrazione che
gli scenari locali sono diversi da
quelli nazionali. Il consenso si
manifesta in tante modalità diverse
come è successo nel Lazio».
Dove Zingaretti è stata l'eccezione
nella disfatta.
«Appunto. Il singolo elettore ha
votato schieramenti diversi,
scegliendo il centrosinistra alle
regionali e cambiando strada alle
politiche. È stato mandato un
messaggio ben preciso».
Quale?
«Dove il centrosinistra è compatto
riesce a trasmettere un'idea di
governo convincente e ottiene
risultati. Come è accaduto in tante
amministrazioni locali».
Ma i segnali di divisione sono stati
una costante.
«Dove ci si è consumati in litigi
sterili, senza parlare di argomenti
che riguardano da vicino l'elettore
non si è certo raggiunto il
risultato sperato. È successo in
Lombardia, è successo e a livello
nazionale».
In Sardegna il crollo del Pd e di
tutto il centrosinistra è stato
ancora più pesante.
«A Cagliari città, se si guardano
anche i dati di Leu e Potere al
popolo abbiamo ottenuto un risultato
migliore, non solo di quello
nazionale, ma anche di quello dei
capoluoghi di provincia sardi».
Che responsabilità ha il governo
regionale?
«La Giunta regionale ha messo in
campo molti interventi, penso al
progetto Lavoras, ma ancora non sono
partiti i cantieri e
l'occupazione. In altri casi però si
è sottovalutato l'effetto dei
tagli: mi riferisco alla sanità,
sulla quale sono intervenuto l'anno
scorso. Ho ricevuto pochi giorni
prima del voto una delegazione di
cittadini di Stampace, che avevano
una petizione con 1500 firme
raccolte in tre giorni. Chiedono di
avere un presidio di assistenza
sanitaria nel centro storico e sono
preoccupati del futuro
dell'ospedale civile che si sta
svuotando, senza che parta un progetto
di riutilzzo immediato».
Tra meno di un anno si andrà al
voto: il M5S sembra non avere rivali.
«In un anno possono cambiare tante
cose, bisogna avere un altro passo.
Servono interventi rapidi, la
chiusura delle vertenze aperte, ad
esempio continuità territoriale e
sistema di trasporti interno. Si
devono consegnare risultati ai
sardi, al tessuto economico produttivo
e aiutare lo sviluppo locale con
progetti e risorse per i Comuni, le
Province e i capoluoghi, la Rete
metropolitana di Sassari, la città
metropolitana di Cagliari Insomma
consegnare risultati ai sardi».
L'esperienza di Campo progressista
andrà avanti?
«Certamente. Andrà avanti il
progetto. Potrà essere la coalizione di
domani, il punto di riferimento di
un centrosinistra che può ritrovare
l'unità e una spinta che porti
sviluppo e occupazione in Sardegna».
Servirà una rincorsa a perdifiato.
«Si può recuperare e si può vincere,
stando insieme, con un programma
di governo che dia la certezza per
un futuro migliore alle imprese,
alle famiglie, ai giovani e a tutti
i sardi».
Ci sono da fare i conti anche con la
Lega: in poco tempo si è
ritagliata una fetta importante
nell'Isola.
«Salvini è un imbroglia-popoli. È
riuscito ad approfittare delle
debolezze legate alla crisi. Ha
spostato l'obiettivo, ha fatto credere
che i problemi siano legati ai
migranti. Perché non racconta che la
più grande crisi italiana nel
Dopoguerra è arrivata tra il 2008 e il
2011, quando al governo c'era anche
la Lega».
Tra i tanti effetti del voto di
domenica c'è il rischio ingovernabilità.
«È un rischio serio per il Paese».
È concreta l'ipotesi che il Pd si
avvicini all'M5S?
«Dubito che accada. Sapremo qualcosa
di più dopo gli incontri tra il
presidente della Repubblica
Mattarella e le delegazioni dei partiti».
I Dem devono stare all'opposizione?
«I risultati parlano chiaro: gli
elettori hanno detto che si deve fare
opposizione. Ogni altra strada
sarebbe sbagliata. Un po' di purgatorio
farà bene e servirà per elaborare
idee e progetti per il Paese»
Per ora il paradiso sembra lontano.
«Di sicuro si dovrà partire dal
livello locale, dove stiamo insieme
superano ostilità, divisioni,
contrapposizioni. Così si potrà
ricostruire anche a livello
nazionale».
Serve una cura robusta.
«È fondamentale il dialogo con la
gente, si deve puntare sui diritti,
sulla scuola, sul lavoro.
L'istruzione è un passaggio fondamentale:
tutti i ragazzi devono poter
scegliere di andare all'università, e ai
genitori spetta la libertà economica
di assicurare una crescita
intellettuale ai propri figli».
Perché il centrosinistra si è
allontanato dalla parte debole della
società? Si è ritirato dalle periferie?
«Io posso parlare di Cagliari: nel
2011 e nel 2016 il centrosinistra
ha vinto anche nei quartieri
popolari. Certo, è fondamentale che il
rapporto coi cittadini sia vero,
sincero».
Quando non è sincero?
«Di sicuro non si può andare nelle
periferie solo a fare volantinaggio
nei periodi preelettorali. Bisogna
portare prima risposte, lavoro,
sviluppo. Altrimenti arriva la
contestazione, non il consenso».
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Federico
Marini
skype:
federico1970ca
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