Importante scoperta di due studiosi
sardi Roberto Copparoni e Gian Marco Farci, che dopo mesi di ricerche hanno
ritrovato l’aerea in cui sorgeva l’aeroporto di Capoterra, meglio conosciuto
come “S’aeroportu de Maria Luisa”. In verità l’area oggi ricade fra i Comuni di
Assemini, Capoterra e Uta.
Ecco la loro testimonianza…
Da anni sentivo parlare di un aeroporto militare segreto fra
i comuni di Assemini e Capoterra. Questo aeroporto aveva anche un nome
”Aeroporto di Maria Luisa”. Ho cercato un po’ dappertutto ma non ho trovato
elementi significativi per saperne di più. Pensate che ho chiesto anche a dei
sottoufficiali dell’aeronautica militare senza avere alcuna notizia. Essi
ignoravano l’esistenza di questo aeroporto.
Poi come per incanto ritrovai un mio amico, Gian Marco
Farci, Presidente dell’Associazione Archeo Labor, anche lui impegnato nella
ricerca di questa fantomatica struttura e cosi’ abbiamo unito gli sforzi e
fatto dei sopralluoghi nell’area della birreria di Macchiareddu a
Grogastu dove le poche informazioni ci riportavano a un aeroporto “segreto”,
noto come “S’aeroportu ‘e Maria Luisa” in quanto ubicato in terreno di
proprietà di Maria Luisa
Grottanelli, che effettivamente fu realizzato in agro di Assemini a
ridosso della zona industriale.
Ci siamo recati sul luogo e trovammo una specie di Bunker e
poco lontano una vecchia fattoria che, per posizione e tipologia, abbiamo
ritenuto che in origine fosse il comando con annessa foresteria dell’aeroporto.
Nel frattempo abbiamo continuato le ricerche bibliografiche iniziando a trovare
qualche incoraggiante riscontro.
Il Bunker paraschegge
Fra le novità che abbiamo scoperto ce ne è una che merita
una menzione. Si riferisce a uno strano atterraggio di un P 38 aeroplano
americano che un pilota statunitense, per sbaglio fece atterrare nel nostro
aeroporto.
P-38 Americano. Le foto sono state scattate da un militare
del 51° stormo il giorno dopo l’atterraggio presso l’aeroporto di Capoterra
Ecco il documento… Una
pagina di storia italiana non molto nota…
La foto dell'aereo P38 americano, fotografato da un militare del 51° stormo appena atterrato nell'aeroporto di Capoterra.
La storia: All’inizio
della primavera del 1943 un P-38 delle forze alleate, ritrovatosi a corto di
carburante, tentò un atterraggio di emergenza a ridosso delle coste sarde. Il
pilota, però, venne fatto prigioniero dagli italiani prima che avesse modo di
distruggere il suo aereo.
Un
pilota italiano, il sottotenente Guido Rossi, suggerì di utilizzare il P-38
catturato (ed ancora operativo) contro i bombardieri americani: la strategia
era di aspettare fino all’inizio del bombardamento, decollare, ed attaccare di
sorpresa. Nelle settimane successive un discreto numero di bombardieri
americani (per lo più B-17) fu
abbattuto con questo semplice sistema. Credendo di trovarsi accanto un P-38
delle forze alleate, e rassicurati dal contatto radio (Rossi parlava
correntemente l’inglese), dai B-17 nessuno si preoccupava del suo
avvicinamento. Una volta giunto a distanza ravvicinata Guido Rossi apriva il
fuoco e abbatteva rapidamente il bombardiere.
Nella
gerarchia delle forze alleate nessuno si preoccupava troppo dei bombardieri
abbattuti – era normale amministrazione che qualche aereo partisse per non
tornare più; dopotutto nel linguaggio bellico angloamericano il termine usato
per indicare perdite, morti, abbattimenti, è casualties (letteralmente:
“casualità”).
Le
operazioni di Rossi su questo P-38 andarono avanti per parecchie settimane,
fino al 4 giugno 1943. Quel giorno, all’altezza dell’isola di Pantelleria, un
B-17 si preparava al bombardamento, quando notò un P-38 in avvicinamento.
Avendolo riconosciuto dalla forma, pensarono trattarsi di forze alleate, ed
iniziarono come previsto a sganciare le loro bombe. Ma prima che potessero
rendersi conto di cosa stava succedendo, il P-38 aprì il fuoco ed abbatté il
B-17.
La
storia del P-38 “fantasma” ha qui una svolta poiché per la prima volta ci fu un
sopravvissuto, il pilota del B-17 abbattuto, sottotenente Harold Fisher, che
gli americani riuscirono a mettere in salvo. Sulle prime, quando Fisher
raccontava di essere stato colpito da un P-38 alleato, non gli credettero.
Convinti
i capi, e pensando che si trattasse di un P-38 solitario sempre in volo, Fisher
propose ed ottenne di far volare un B-17 modificato (con più armi per reggere
al confronto aereo) allo scopo di intercettare il P-38 “fantasma”. Dato che
dopo parecchi voli ancora non era riuscito ad incrociarlo, si decise che era
ora di abbandonare il progetto.
Ma
l’intelligence americana era nel frattempo riuscita a scoprire il segreto di
Pulcinella, ossia l’identità di Guido Rossi e di sua moglie Gina. Fecero
disegnare a scopo provocatorio sul muso di un B-17 il volto di Gina, B-17 che
il 31 agosto 1943 decollò assieme ad altri aerei per bombardare Pisa. Il B-17
in questione era pilotato proprio da Fisher.
Dopo il
bombardamento di Pisa – da cui subì diversi danni a causa del contrattacco
italiano – la squadra di bombardieri notò un P-38 avvicinarsi. Guido
Rossi, come sempre, contattò via radio Fisher; sulle prime Fisher non era
sicuro che si trattasse di Rossi e lo provocò parlandogli di Gina. Questo,
ancor più che l’aver notato il volto di Gina approssimativamente disegnato sul
muso del B-17, fece innervosire Rossi, che attaccò immediatamente.
Fisher
ordinò ai suoi uomini a bordo di fare fuoco sul P-38, riuscendo a danneggiarlo;
Rossi tentò di distruggere il B-17 provando ad abbattervi sopra il suo P-38, ma
il caccia non poteva più reggere il volo e quindi fu costretto ad ammarare.
Guido Rossi fu fatto prigioniero, e a Fisher venne riconosciuta una medaglia.
Fisher morì poco dopo la fine della guerra, a causa di un incidente aereo. Ed
al suo funerale, in lutto tra gli altri, c’era proprio Guido Rossi. (Fonte: http://www.alfonsomartone.itb.it/vxjimn.html)
Di certo in questo aeroporto stanziava il 51° stormo che ha
utilizzato i Macchi C 205 e C 202.
In questo aeroporto furono utilizzati anche i Fiat G.55. Nel
corso del loro breve, ma intenso impiego operativo, svolto quasi interamente
sotto la bandiera dell’Aeronautica Nazionale Repubblicana, si rivelarono degli
intercettori interessanti, soprattutto ad alta quota.
Il Fiat G.55 Centauro era un aereo da caccia diurno,
monoposto, monomotore, da intercettazione e superiorità aerea impiegato dalla
Regia Aeronautica e dall’Aeronautica Nazionale Repubblicana (A.N.R.) tra il
1943 e il 1945. Progettato sin dal
1940 all’ingegnere Giuseppe Gabrielli, da cui la “G” della sigla,
il Fiat G.55 è stato definito “il
miglior caccia prodotto in Italia durante la guerra”.
Questo aereo, in
volo dall’aprile del 1942, nel corso del suo breve servizio operativo, svolto
quasi esclusivamente sotto le insegne dell’aviazione della Repubblica Sociale
Italiana, si dimostrò un intercettore assai efficace in quota. Nelle battaglie
aeree svoltesi nei cieli dell’Italia del Nord, nell’ultimo anno di guerra, il
Centauro si scontrò con avversari come il Supermarine Spitfire e gli americani
P-38, P-47 e P-51, dimostrandosi in ogni occasione un potente avversario.
Negli scontri con il britannico Spitfire e con gli americani
P-38 Lighting, P-51 Mustang e P-47 Thunderbolt, si rivelò in ogni occasione un
avversario molto temibile. Prima dell’armistizio, ebbe un impiego molto
limitato. Il primo Centauro ad avere impiego operativo fu il terzo prototipo.
L’esemplare venne assegnato il 21 marzo 1943 al 20º Gruppo del 51º Stormo CT a
Roma-Ciampino, per valutazioni in condizioni reali. A maggio, il terzo G.55 seguì il reparto a
Capoterra, vicino Cagliari.
Il G.55 ebbe il suo battesimo del fuoco il 5 giugno 1943
quando contribuì, insieme ai Macchi 202 e 205 del 51º Stormo, ad abbattere uno
dei B-26 Marauder che avevano attaccato l’aeroporto di Capoterra. In seguito
partecipò a diversi altri combattimenti contro gli alleati. Sempre a maggio
volò uno dei due primi aerei di preserie, preceduto il 10 aprile da un altro
esemplare. I due esemplari furono assegnati alla 353ª Squadriglia CT di stanza
a Foligno dove, entro agosto, vennero raggiunti da altri nove aerei.
Nel corso dei nostri sopralluoghi siamo riusciti a
incontrare il proprietario della fattoria PlaneMesu che si chiama, Sig. Loche,
il quale ci ha accolto gentilmente e ci ha permesso di visitare le strutture
tanto studiate solo dall’esterno. La visita ci ha permesso di conoscere una
struttura principale che in tempo di guerra doveva accogliere gli ufficiali
(probabile foresteria) e una serie di monolocali forse destinati ai
sottoufficiali. Ma la cosa più interessante è stata quella di scoprire e
visitare, in prossimità della palazzina principale, un rifugio antiaereo in
perfetto stato di conservazione, riportante ancora sulle pareti dei simboli
realizzati a matita in fase di costruzione.
Nella prima foro: Gian Marco Farci e Roberto Copparoni, a cui dobbiamo dire grazie per averci regalato un pezzo della nostra storia, per altro romantica seppur bellica.
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