La
Nuova Sardegna
«Ritorniamo
a fare politica Silvio ha un lutto elettorale»
CAGLIARI Cosa è accaduto ad Abbasanta?
Sembrava emotivamente coinvolto. «Sì, ma sono stato assolutamente entro i
limiti del buon comportamento. Ho cercato di difendere il ruolo della
presidente. E ho cercato di difendere una donna mite e minuta. Non meritava il
trattamento di urla, insulti e aggressione fisica. Io e altre persone ci siamo frapposti
a chi la minacciava. Non ho sollevato le mani su nessuno. Non ho nulla di cui
pentirmi».
Ma si aspettava che sarebbe finita così?
«No. Si deve stare all'interno di un confronto, anche aspro, ma civile. Da
quando è nato il Pd sono stato in minoranza, con Cabras, con Lai, con Cucca. E
sono sempre stato sereno. Non mi spaventa essere in minoranza. Ma la questione
è un'altra. Lunedì si doveva decidere se c'erano i numeri per eleggere un
segretario. Le regole sono del 2010 e le dovrebbero conoscere tutti. Non mi
aspettavo né quell'epilogo, né le sceneggiate».
Ma venerdì andrà all'assemblea? «Quale?
L'assemblea c'è stata lunedì. La presidente l'ha sciolta per mancanza di numero
legale dopo avere atteso oltre un'ora. La sceneggiata successiva non ha parole.
Se poi qualcuno si vuole riunire a parlare di politica può farlo. Ma non è
un'assemblea».
La via sembra quella del commissariamento
«Il partito ha regole precise. Credo che si occuperanno del caso l'organismo di
garanzia nazionale e il segretario Martina. Decideranno loro quale sarà la via
da seguire. Io credo che serva un congresso per iniziare a discutere nel
merito. Per ritornare a parlare di politica. E confrontarci sull'analisi della
situazione sarda. Delle emergenze, delle difficoltà, delle cose da fare e di quali
sono le prospettive per il futuro. Quello di lunedì per me è un incidente di
percorso. Io voglio continuare a fare politica tra la gente. Nel solo modo in
cui la so fare. Confrontandomi con il mondo intorno. Dal 4 marzo abbiamo
intensificato gli incontri nelle piazze dell'isola. E abbiamo discusso con
tutti. Non solo politici o militanti. Ma anche con le persone comuni, con i
disoccupati, i sacerdoti, i dirigenti scolastici, i sindaci , gli agricoltori.
Io non voglio fare guerra, ma la pace. Prima con la società sarda, poi al nostro
interno. Ma la pace non è trovare equilibri precari tra i gruppi dirigenti, che
nulla hanno a che fare con i bisogni della gente e del suo futuro».
Silvio Lai sostiene che lei sia il
carceriere del Pd, l'elemento divisivo. «Silvio lo dice da quando mi dimisi da presidente
della Regione. E lo feci anche per un certo suo attivismo sulla discussione
della legge urbanistica. Trovo singolare che si dia la colpa a me se una
sedicente maggioranza non riesce a trovare i numeri per eleggere un segretario.
Ma io non voglio continuare. Non voglio fare polemica. Credo che Silvio in
questo momento debba elaborare ancora il lutto elettorale. Lo capisco e non
sono interessato a fare polemiche con lui. Mi accusa di cose che non riesco a
riconoscere. Mi rimane una simpatia personale per lui, e ho sempre riconosciuto
i suoi meriti. L'ho anche sostenuto nella sua candidatura».
Ha detto che ha pensato di smettere
di fare politica? «Siamo tutti esseri umani, le scene di lunedì e le aggressioni
verbali e fisiche verso una donna mi hanno colpito. Comportamenti che sono
estranei alla vita di una comunità politica e danno amarezza. Ma il giorno dopo
si riparte»
Qual è la via di uscita per il Pd? «Le
sue regole. E una notte di riflessione in più per tutti noi». Teme che le
tensioni possano mettere a rischio leggi importanti come quella
urbanistica?«No. Tornati a Cagliari tutti i consiglieri agiscono in modo
responsabile». (l.roj)
Il Pd
ancora dilaniato commissariamento vicino
Oggi il
segretario Martina dovrà decidere se inviare un suo delegato nell'isola
Pusceddu
contro la presidente Pulga: non conosce le regole o è in malafede
CAGLIARI
All'indomani dell'assemblea-rissa di
Abbasanta, il Pd è ancora nel
caos. La presidente del partito
Lalla Pulga, che lunedì ha sciolto la
riunione perché secondo lei non
c'era il numero legale, ha inviato una
lettera al segretario nazionale e
chiesto l'arrivo di un commissario.
Chi invece dopo il caos è rimasto
ancora in sala, ha inviato allo
stesso segretario un'altra lettera
esattamente opposta. Secondo loro,
una novantina, servirebbe invece «un
garante che venerdì verifichi la
regolarità del voto».
Oggi il segretario Maurizio Martina
dovrebbe
dare una risposta a una parte e
all'altra, ma è difficile ipotizzare a
chi darà ragione. In ogni caso,
l'assemblea di venerdì ci sarà dopo
essere stata convocata dai
popolari-riformisti, dai renziani e dagli
ex Diesse. Sono le correnti che non
vogliono il commissariamento: loro
un candidato segretario da eleggere
ce l'hanno. È Emanuele Cani.
Bisognerà vedere però come si
comporteranno quel giorno, ancora ad
Abbasanta, i soriani, che non
riconoscono invece quella candidatura e
puntano dritti al congresso
straordinario prima delle elezioni
regionali del 2019.
Nel frattempo su quanto accaduto a
Su Baione le
versioni continuano a essere
discordanti. La presidente Lalla Pulga ha
scritto: «Dal momento in cui è stato
chiaro che non sarebbe stato
raggiunto il numero legale e quindi
l'assemblea era nulla, si sono
mossi molti agitatori politici di
professione. Sono stati loro a
prendere d'assalto il tavolo della
presidenza, con aggressività
calcolata e metodo intimidatorio. La
situazione è poi degenerata e
devo ringraziare non solo Soru ma
anche le poche persone che hanno
provato farsi largo in questa
mischia indegna per tutelarmi da un
attacco assurdo».
Per concludere: «Da quel momento in
poi, uno dei
vicepresidenti, interpretando a suo
piacimento le regole, ha
dichiarato che il numero legale era
stato raggiunto e poi convocato
una nuova assemblea. Ma sia chiaro:
io solo posso convocarla e diffido
chiunque a farlo». La risposta del
vicepresidente chiamato in causa,
Dino Pusceddu, è stata immediata e
con un attacco iniziale molto
chiaro. Per lui Lalla Pulga è ormai
è una ex presidente, perché lunedì
è stata sfiduciata dall'assemblea.
Per poi aggiungere: «Ha dimostrato
di non conoscere le regole basilari
del diritto o è in malafede. In
primo luogo ha commesso un errore
grave sul piano delle regole perché
lo scioglimento dell'assemblea non è
nei suoi poteri. In secondo luogo
la presidenza è un organo collegiale
e non monocratico, altrimenti mai
potrebbe essere affidato a un
esponente della minoranza. E in ogni
caso l'assemblea resta sovrana.
Per questo, pur non essendo
necessario
il controllo iniziale del numero
legale, per evitare eventuali
contestazioni, lo abbiamo verificato
dimostrando che c'era». Fino a
questa conclusione: «Lunedì la
minoranza politica interna guidata da
Soru ha costruito una indecorosa
gazzarra per portare il Pd a essere
commissariato, ma questo non
accadrà». (ua)
silvio Lai
«Il
partito deve svegliarsi è in ostaggio di Renato»
CAGLIARI
Silvio Lai è deciso nell'attacco:
«C'è chi vuole tenere ancora in
ostaggio il Pd solo per rincorrere
obiettivi personali. Basta, è
inaccettabile».Chi è il
carceriere?«Soru, che invece ha sbagliato
molto e spesso, anche lui. Se il Pd
in Sardegna oggi è così
disastrato, come sostiene lui,
peraltro dopo 5 anni di vittorie
elettorali, una parte importante
della responsabilità è proprio
sua».Servono le prove.
«Dalla sconfitta del 2008 alla
paralisi della
giunta Pigliaru su molte questioni
importanti, è stato sempre lui a
scatenare conflitti. Diciamolo fino
in fondo, Soru divide e non unisce
il partito e il Pd in questo momento
difficile ha bisogno di unità».
Cos'è accaduto lunedì?«Che non
abbiamo potuto eleggere il segretario
regionale, perché c'è stata la
volontà precisa di creare la rissa
invece dell'apertura del seggio».Poi
il patatrac.«Innanzitutto siamo
rimasti sconcertati di fronte alla
richiesta di documenti d'identità
ai componenti dell'assemblea e quando
qualcuno ne ha chiesto la
ragione, Soru si è scatenato in un
atteggiamento intimidatorio e
violento nei confronti di tutti
quelli che cercavano di allontanarlo
dal tavolo o si avvicinavano a
iscriversi.
Abbiamo poi saputo che il
boicottaggio era cominciato molto
prima, con diverse telefonate al
mattino».Per litigare bisogna essere
in due o più di due?«Non siamo
stati certo noi a cominciare. C'era
chi voleva interpretare in modo
distorto una norma che si applica
sempre. In caso di votazione, e
l'assemblea era convocata per
eleggere un segretario. Dunque, il
numero legale va verificato alla
fine, come esito della votazione, non
all'inizio».È sicuro?«È sempre stato
così a livello nazionale, ma
anche in Sardegna la prassi seguita
è stata questa, lo dice persino
una sentenza. In parole povere non
serve la maggioranza degli aventi
diritto per eleggere il segretario
in assemblea, altro che numero
legale che peraltro poi è stato
raggiunto».
Un caos inutile, quindi?«Di
sicuro. Per questo, al di là di
Soru, ad essere responsabile è anche
la presidente Lalla Pulga. Al netto
dell'immagine di lei che fugge
portandosi via i verbali».Come
sarebbe dovuta andare invece?«Avremmo
dovuto votare ma il voto è stato
impedito».È vero che il suo gruppo
aveva già il nome del
candidato?«Eravamo pronti a presentare una
proposta e a confrontarla anche con
altre. La nostra era Emanuele
Cani. Sia chiaro: c'è una larga
maggioranza del partito che non vuole
il congresso straordinario, come
pretende invece Soru, e che invece
vuole riappacificare gli animi,
riprendere a dialogare al suo interno
e con i partiti e i movimenti, e con
la gente ma sotto la guida di una
nuova segreteria regionale.
Esattamente come è successo sabato a Roma
per il Pd nazionale».
Cosa accadrà?«Che il Pd sardo avrà
un
segretario, venerdì o riconvocando
l'assemblea in accordo con la
segreteria nazionale».Finirà bene o
male?«Io spero che gli animi si
raffreddino e si possa riprendere a
ragionare. Non ci sono le
condizioni per arrivare al
commissariamento e poi a un congresso prima
delle elezioni regionali. Chiudiamo
in fretta questa triste pagina,
riconvochiamo insieme l'assemblea
per consentire che elegga
liberamente un segretario. Che,
collegialmente sostenuto, possa
proporre una coalizione ampia e
innovativa, oltre i confini
tradizionali, e capace di
confrontarsi con le tensioni che
attraversano il Paese e la Sardegna.
Il populismo di Salvini e Di Maio
può farci deragliare e noi abbiamo
la responsabilità di impedirlo,
chiamando a raccolta tutti coloro
che si oppongono a raccolta. Non è
fra di noi l'avversario». (ua)
REnato Soru
Il pm: un
anno all'ex sindaco Puddu
L'esponente
del M5s accusato di abuso d'ufficio. La difesa: scelte legittime
di Mauro Lissia
CAGLIARI
Il sindaco di Assemini Mario Puddu è
colpevole di abuso d'ufficio per
aver sollevato arbitrariamente dal
suo incarico una funzionaria
comunale a vantaggio di altre due,
tra cui la moglie del collaboratore
e sindaco-ombra Francesco Murtas, ex
esponente del Pd, responsabile in
concorso dello stesso reato. Per
entrambi il pm Marco Cocco ha chiesto
al gup Roberto Cau la condanna a un
anno di reclusione, una pena che
senza lo sconto previsto per il
giudizio abbreviato sarebbe stata di
un anno e mezzo.
Se la sentenza dovesse allinearsi
alla richiesta del
pubblico ministero sfumerebbe per
Puddu la possibilità di candidarsi a
governatore a febbraio dell'anno
prossimo: la legge Severino gli
darebbe il via libera ma a
sbarrargli la strada verso la massima
carica politica sarda sarebbe lo
statuto del M5s. Per conoscere
l'esito del giudizio bisognerà però
attendere fino al 18 ottobre,
quando il giudice Cau darà spazio
alle repliche per poi andare al una
decisione che a quel punto sarà
molto attesa.
Il procedimento ruota
tutto attorno alla scelta,
contestata dall'accusa, di modificare la
pianta organica del Comune
emarginando una dipendente anziana a favore
di Stefania Picciau, moglie di
Murtas, che venne scelta da lui stesso
a marzo del 2014 per il ruolo di
responsabile di posizione
organizzativa all'ufficio
Suap-Urp-sviluppo economico, mentre Anna
Paola Mameli venne incaricata di
seguire i servizi tributi e
contenzioso in danno di una
funzionaria interna all'amministrazione
che aveva tutti i titoli per
ricoprire gli incarichi.
Grazie a questa
scelta, avallata da Puddu con un
atto di nomina, le due dirigenti - è
scritto nel capo d'imputazione -
avrebbero beneficiato di vantaggi
economici illegali: 27.234 euro la
Picciau e 18.302 la
Mameli.L'inchiesta era partita
dall'esposto firmato da tre consigliere
comunali del M5s - Rita Piano, Irene
Piras e Stefania Frau - che in
seguito a questa iniziativa vennero
espulse dal movimento.
Le tre
dissidenti, dopo una serie di
contrasti in assemblea civica, decisero
di denunciare il sindaco Puddu
descrivendo nell'esposto una situazione
a loro dire inaccettabile: il capo
dell'esecutivo comunale avrebbe
scelto di affiancarsi l'avvocato
Murtas, con un passato nel Pd, come
una sorta di sindaco-ombra.
Fra
l'altro il legale ricevette l'incarico
di elaborare il nuovo assetto
organizzativo del Comune di Assemini e
una delle prime decisioni assunte in
quel ruolo fu quella di affidare
alla propria moglie un ruolo di alta
responsabilità, lautamente
retribuito.
Per il pm Cocco non ci sono dubbi:
quelle nomine erano
contro la legge, un abuso d'ufficio
classico anche per l'avvocato di
parte civile Francesco Marongiu, che
ha ricordato nella sua arringa
come la decisione di rimuovere la
dipendente non sia stata mai
motivata se non a procedimento
penale avviato. Per Cocco e Marongiu
agli atti del processo emerge con
chiarezza il dolo intenzionale, la
violazione di legge e l'ingiusto
vantaggio patrimoniale realizzato con
la promozione sul campo delle due
funzionarie.
Tesi contestata con
forza dai difensori Gigi Sanna e
Matteo Perra, per i quali sono stati
rispettati pienamente norme e
regolamenti: «Il parere del segretario
comunale, massimo riferimento
giuridico per il sindaco, ha confermato
la legittimità di quelle scelte - ha
sostenuto l'avvocato Perra - così
come è emerso che la dipendente
sostituita non avesse le attitudini
per realizzare il programma
dell'amministrazione sull'organizzazione
dell'ufficio Urp». Le nomine, hanno
sostenuto i due legali, erano
state peraltro discusse in giunta e
coi sindacati, tutti i passaggi
tecnici sono stati rispettati nei
dettagli.
Unione
Sarda
ASSEMINI. Per la nomina di due
dirigenti sotto accusa anche l'avvocato Murtas
«Un anno per l'ex sindaco» Abuso
d'ufficio: il pm chiede la condanna di Puddu
Per modificare il quadro
dirigenziale di un ufficio pubblico, in
questo caso comunale, è necessario
«spiegare» su quali presupposti sia
arrivata la decisione e anche
«motivare» certe iniziative. L'ex
sindaco di Assemini avrebbe dovuto
chiarire il perché Adele Solinas,
alla guida del servizio Tributi,
Attività produttive, Suap e Polizia
amministrativa, non era più adeguata
a svolgere la funzione e come mai
viceversa Anna Paola Mameli e
Stefania Picciau lo fossero. «Doveva
dare spiegazioni e invece non l'ha
fatto».
«CONDANNA» Su questi presupposti
ieri a Cagliari il pm Marco Cocco ha
chiesto la condanna a un anno per
Mario Puddu, esponente di punta del
Movimento 5 Stelle in Sardegna e
primo cittadino sino allo scorso
giugno, per il presunto abuso
d'ufficio commesso in quanto, secondo
gli investigatori, il riordino
dell'ente era stato portato a termine
«non per seguire l'interesse» del
Municipio ma per sistemare i nuovi
funzionari. Il magistrato inquirente
ha chiesto la medesima pena per
l'avvocato Francesco Murtas,
ritenuto molto vicino all'ex sindaco in
Comune e marito di Picciau.
LA VICENDA La sentenza è prevista
per il 18 ottobre, ieri hanno
discusso anche il legale Francesco
Marongiu (che rappresenta la parte
civile Solinas) e i difensori Luigi
Sanna e Matteo Perra. La vicenda
riguarda la riorganizzazione di
quell'ufficio comunale (in origine
guidato da una sola dirigente) con
la nomina a «responsabile di
posizione organizzativa» di altre
due persone.
Il sindaco aveva tenuto
per sé la Polizia amministrativa
assegnando Tributi e contenzioso a
Mameli e Suap e ufficio Relazioni
col pubblico a Picciau, e qui era
nato il sospetto degli investigatori
(sulla base di un esposto di
alcuni dissidenti pentastellati):
l'incarico le era stato assegnato
per fare un favore al marito.
Sarebbe stato proprio quest'ultimo,
per
gli inquirenti, a indicare le donne
come responsabili di posizione
organizzativa. Oltre ad aver
argomentato i motivi per i quali Puddu
andrebbe condannato, il pm ha
criticato il comportamento dell'ex primo
cittadino il quale «non ha mai dato
la sua versione dei fatti».
LA PARTE CIVILE Anche l'avvocato
Marongiu ha insistito perché sia
riconosciuta la responsabilità
dell'ex sindaco: a suo dire «la nomina
di Picciau e Mameli era stata decisa
senza criterio, verifica,
motivazione né comparazione con gli
altri», e «la mia assistita» ha
riferito che «nel 2014» l'imputato,
pur ammettendo «che era
bravissima», le avrebbe detto di
voler nominare Picciau «perché la
conosceva da sempre».
LA DIFESA Tesi respinte dai
difensori, i quali ieri (anche con una
memoria di otto pagine) hanno
ribadito che la riorganizzazione
dell'ente «era prevista nel
programma dei 5 Stelle» e le nomine erano
«assolutamente legittime».
Il piano di riordino era stato
predisposto
«dalla Giunta» e poi «prospettato a
sindacati e segretario comunale»
per essere in seguito «approvato con
una delibera di Giunta»
accompagnata da una «relazione
esplicativa». Si trattava di «far
ruotare il personale», finalità
espressa già nel «programma
elettorale» dei 5 Stelle. Del resto
«Solinas era lì da nove anni». Lo
spostamento «era in regola, nessuno
ha avuto danni ingiusti».
An. M.
Pd
all'ombra di Roma: garante o commissario
Scontro
aperto dopo l'assemblea. Deiana (Anci): «Gazzarra ignobile»
Garante o commissario, il futuro del
Pd sardo dovrà passare per Roma.
La presidente dell'assemblea, Lalla
Pulga, ha inviato una lettera al
segretario nazionale, Maurizio
Martina, per chiedere l'arrivo di un
commissario (sarebbe la terza volta)
e avviare la fase congressuale,
tesi questa sostenuta anche dai
soriani. Di contro, 90 componenti
hanno contrattaccato chiedendo a
Martina di inviare un garante che
vigili sull'elezione di un
segretario regionale, dopodomani, in una
nuova assemblea.
NEL BARATRO Segretario o
commissario: il Pd sardo è davanti a un
bivio. Qualunque sia l'epilogo,
nessuno dei due possiede l'antidoto
per il veleno che scorre nelle vene
del partito, a un passo dal
baratro. Un virus che è riuscito ad
annientare il confronto politico
interno per lasciare spazio a
scontri (anche fisici) e attriti
personali. Quello che è successo
durante l'assemblea a Su Baione è la
fotografia non più del confronto tra
correnti, ma di due partiti che
si sono formati sotto lo stesso
simbolo.
LO SCONTRO Il muro contro muro
continua, la presidente Lalla Pulga ha
scritto al segretario nazionale,
Maurizio Martina, per chiedere di
rendere nulla l'assemblea e avviare
le procedure per il congresso
regionale. La contromossa di
renziani e Popolari-Riformisti è
contenuta in un'altra lettera,
sottoscritta da 90 componenti
dell'assemblea, per chiedere a
Martina di non mandare un commissario,
ma un garante per lo svolgimento
dell'elezione di un segretario
dopodomani.
NEL CICLONE Lalla Pulga è finita nel
mirino per aver chiuso
l'assemblea per mancanza di numero
legale. Accusata di aver perso
l'imparzialità e giocato a favore
dei soriani (area di cui fa parte),
la presidente contrattacca:
«L'istituzione che rappresento è stata
deturpata dal noto gruppetto di capi
bastone». Pulga parla di
«agitatori politici di professione»
che avrebbero agito con
«aggressività calcolata e metodo
intimidatorio».
La presidente
ricostruisce gli avvenimenti
concitati dell'assemblea, ricordando di
aver chiuso la riunione «dopo oltre
un'ora dalla convocazione». Un
ringraziamento a «Renato Soru e le
poche persone che hanno provato a
farsi largo in questa mischia
indegna per tutelarmi da un attacco che
stava trascendendo».
L'ATTACCO Il vice presidente, Dino
Pusceddu, ha aperto l'assemblea
quando Lalla Pulga non era più in
sala. Pusceddu, oltre a ribattere
punto per punto sugli aspetti
strettamente tecnici, si concentra sulla
mancata elezione di un segretario
con la «complicità della ex
presidente non più garante
dell'assemblea». Una stoccata alla
minoranza guidata da Renato Soru,
colpevole di aver «costruito una
indecorosa gazzarra per portare il
Pd della Sardegna ad essere
commissariato».
Rincara la dose, il consigliere
regionale, Cesare Moriconi: «È stato
impedito all'assemblea di votare
ricorrendo a pretestuose
interpretazioni dello statuto». Poi,
l'affondo nei confronti di Soru
che «per paura che la maggioranza
esercitasse il suo diritto di voto,
si è portato via il registro dei
presenti e la presidente».
IL BIVIO Sulla scrivania del
segretario Martina, le lettere con
mittente il Pd sardo saranno due.
Entrambe riportano la ricostruzione
degli eventi che hanno fatto saltare
il banco, ma le richieste sono
diverse. E si tratta di posizioni
inconciliabili che oltre non trovare
un punto di incontro, causano
scintille ogni volta che entrano in
contatto.
I soriani chiedono di
avviare immediatamente le procedure
per il congresso, sotto la guida di
un commissario inviato dal Pd
nazionale. Di contro, 90 esponenti
dell'assemblea chiedono, anche in
questo caso, facendo riferimento al
regolamento, di inviare un garante
per vigilare sulla votazione del
nuovo segretario.
IL POPOLO DEM A soffrire
maggiormente questa situazione e ad assistere
alla caduta libera del partito ci
sono tanti militanti. Gli stessi che
dopo i fatti di Su Baione hanno
abbandonato la sala con la promessa di
«non partecipare più a nessun
incontro». Il presidente dell'Anci,
Emiliano Deiana, con un post su
Facebook, definisce «ignobile
gazzarra» quello che è accaduto tra
i componenti del partito.
L'analisi è impietosa: «Dal 2007
litigano e ci fanno litigare sulle
loro brighe personali e sulle loro
divisioni segrete che non hanno
nulla di politico».
L'effetto di tutto questo è «far
vergognare
un'intera comunità che c'è sempre
stata a difendere l'indifendibile.
Hanno fatto un deserto e lo chiamano
Pd». Duro anche il sindaco di
Tergu, Gian Franco Satta, che
definisce il Pd «un partito avvitato su
se stesso, incapace di cogliere un
mondo esterno che invece coltiva
altri obiettivi e speranze».
Matteo Sau
Pigliaru:
«Ora basta con i conflitti e i personalismi»
Il
presidente, che non ha partecipato all'assemblea, lancia un invito al dialogo
Il presidente della Regione,
Francesco Pigliaru, iscrittosi di recente
al Pd, ha deciso di non partecipare
all'assemblea. «Sapevo che si
sarebbe risolta in conflitti,
contrapposizioni e personalismi - dice -
senza alcuno spazio per parlare di
problemi reali, soluzioni e
proposte». Il governatore punta a un
dibattito aperto, lontano dai
luoghi formali e quindi anche dal
congresso, «in cui prevalgono sempre
logiche di schieramento, conflitti
dannosissimi, misurazioni
esasperate del peso di ognuno».
Pigliaru, all'indomani dello scontro
a Su Baione, non risparmia un
giudizio severo sul partito, e tende
una mano ai volenterosi: «Chi
spera, come me, che il Pd sia molto
di più e molto meglio di ciò che
si è visto nel disastro di
Abbasanta, si faccia sentire, ora». La
situazione è sempre più critica e
dall'appuntamento del referendum
costituzionale, il Partito
democratico raccoglie soltanto le briciole
dell'elettorato (salvo casi
sporadici).
Alle elezioni regionali
mancano pochi mesi e ai nastri di
partenza il Pd ha uno svantaggio
molto difficile da recuperare
rispetto agli avversari. Per il
governatore il partito potrà
salvarsi se «sarà in grado di aprire un
vero e diffuso dibattito per capire
come possiamo contrastare il
crescente consenso raccolto da forze
politiche della destra
populista». Pigliaru chiede un
confronto aperto «per lavorare
urgentemente sulla nostra proposta
politica, riprendere il dialogo con
chi abbiamo deluso, capendo a fondo
le ragioni di quella delusione».
L'obiettivo è avviare un dibattito
«liberamente, senza schemi e senza
schieramenti», perché il tempo corre
inesorabile e l'elettorato è
sempre più distante e disinteressato
alle vicende del Partito
democratico. «Non sono in gioco i
destini di quella o questa
corrente», sottolinea il presidente,
«qui è in gioco il Pd, nostro
bene comune».
Non solo un invito, ma anche la
voglia di mettersi in gioco offrendo
il proprio contributo a tutti coloro
che «condividono la necessità e
l'urgenza di un dibattito sui
contenuti, non sulle persone. Questa è
la vera urgenza oggi». (m. s.)
La Lega a
Forza Italia: «Se non vi rinnovate, noi alle regionali da soli»
Parlare di ultimatum sarebbe
eccessivo, ma il messaggio che arriva
dalla Lega agli alleati di Forza
Italia, in vista delle regionali, è
netto: «Rinnovamento oppure meglio
andare da soli». Eugenio Zoffili,
coordinatore regionale del Carroccio
in Sardegna, senza troppi
complimenti avverte: «Se le proposte
sono i soliti nomi è meglio
affrontare le elezioni da soli».
Nessun dubbio sul metodo anche perché
«siamo perfettamente in grado di
esprimere un candidato all'altezza di
guidare la Regione».
IN CORSA Una presa di posizione
forte, che rischia di causare una
frattura. Per questo motivo
l'esponente della Lega tende la mano agli
alleati, ottimista sulla possibilità
di «trovare una convergenza sul
nome che rappresenti un vero
cambiamento». La competizione di febbraio
sta particolarmente a cuore ai
rappresentanti del Carroccio, forti
dell'alleanza con il Psd'Az. La
campagna elettorale sarà dura e quasi
sicuramente a tirare la volata alla
Lega verrà il vice premier Matteo
Salvini.
RADICI La Lega ha deciso che la
Sardegna deve diventare una regione in
cui mettere radici. Lo dimostra il
fatto che sono stati nominati i
commissari che avranno il compito di
gestire i rapporti con i
territori. I due vice di Zoffili
sono Dario Giagoni e il deputato
Guido De Martini che si occuperà
anche del Sud Sardegna e della
Provincia di Oristano. Giovanni
Nurra, invece, è il coordinatore del
nord Sardegna e della Provincia di
Nuoro.
L'obiettivo è riuscire a
organizzare numerosi appuntamenti in
giro per l'Isola, come quello di
venerdì, alle 11.30, al mercato di
Alghero. Nell'occasione dovrebbe
essere ufficializzato il passaggio
del consigliere comunale, Michele
Pais, da Forza Italia alla Lega.
IN ALTO MARE Il centrodestra è la
casa naturale della Lega, quindi
anche in Sardegna la situazione
dovrebbe essere la stessa. Al momento,
però, non ci sono stati incontri
ufficiali tra i rappresentanti dei
partiti per mettere sul tavolo
strategie, programma e nomi. Solo
qualche incontro sporadico nel
Transatlantico della Camera tra
Zoffili, il coordinatore regionale
di Forza Italia Ugo Cappellacci e
il deputato di Fratelli d'Italia
Salvatore Deidda.
AUTONOMI Eppure la Lega e il Psd'Az
il programma lo stanno preparando.
A breve ci saranno altri
appuntamenti costruiti sulla falsariga di
quello che ha portato a Olbia il
deputato Claudio Borghi e il senatore
Andrea Bagnai per discutere di
economia.
LA GUIDA Il clima di attesa nel
centrodestra è dovuto al fatto che
ancora non è sicuro quale partito
guiderà la coalizione. I numeri (a
livello nazionale) dicono Lega, ma
le ambizioni sono di Forza Italia
che non ha mai nascosto di voler
riprendere in mano la guida del
centrodestra. Ma la facilità con cui
questo è accaduto negli anni
passati difficilmente si potrà
ripresentare e quindi anche questo
aspetto sarà una prova di forza tra
i due maggiori partiti della
coalizione.
VENTO NUOVO Non è escluso che il
vento del cambiamento possa trovare
sponsor importanti tra i partiti del
centrodestra. Il primo motto in
questa direzione era arrivato da
Ignazio Locci, sindaco azzurro di
Sant'Antioco, che chiedeva alla
generazione del 1994 di lasciare
spazio ai giovani. Da allora, come
per effetto domino, le richieste
per ringiovanire i nomi sono state
diverse.
Cappellacci ha sposato la
causa dei volti nuovi tanto che ha
chiesto un passo di lato alla
vecchia generazione durante
l'incontro organizzato a Selargius,
dall'eurodeputato Salvatore Cicu.
Chiede volti nuovi e «schemi
diversi» anche il coordinatore
regionale di Fratelli d'Italia Paolo
Truzzu così come è stato ribadito
anche dal leader dell'Udc Giorgio
Oppi.
M. S.
Savona
torna sull'addio all'euro: «Potrebbero deciderlo gli altri»
Il
ministro evoca il “cigno nero” e avverte: bisogna essere pronti a
ogni
eventualità
ROMA Aver messo nero su bianco un
piano per l'uscita dall'euro e
averlo pubblicato su un sito gli era
costato la poltrona di ministro
delle Finanze e la delega di
consolazione (un po' paradossale) agli
Affari europei.
Ieri, ascoltato proprio dalle
commissioni Affari Ue di Camera e
Senato, Paolo Savona è tornato a
parlare di Italexit o per dire meglio
di Quitaly, visto che il primo
nomignolo indica l'uscita dell'Italia
dall'Unione europea sull'esempio
della Gran Bretagna mentre il secondo
indica la cacciata del nostro Paese
dall'Unione e dal sistema della
moneta unica.
«OGNI EVENIENZA» Ed è proprio lo
scenario che il ministro ha -
nuovamente - evocato ieri: «Mi
dicono, tu vuoi uscire dall'euro?
Badate che potremmo trovarci in
situazioni in cui sono altri a
decidere. La mia posizione - ha
detto alla domande nel corso
dell'audizione - è di essere pronti
a ogni evenienza». E poi, a
ribadire che l'addio all'euro non
sarebbe comunque una sua scelta ma
un'eventualità da cui non farsi
sorprendere: «Una delle mie case,
Banca d'Italia, mi ha insegnato a
essere pronti non ad affrontare la
normalità ma il cigno nero: è lo
choc straordinario che bisogna essere
pronti ad affrontare».
Il riferimento è a un'immagine
coniata dal filosofo libanese Nassim
Nicholas Taleb, che usa il cigno
nero come esempio di un evento (in
questo caso biologico) raro ma
possibile, così come è possibile il
verificarsi di eventi unici in grado
di modificare strutturalmente le
vite individuali e collettive.
IRONIA PD E il riferimento sollecita
l'ironia del deputato Pd Filippo
Sensi, che twitta: «Roma, 10 lug.
(LaPresse) - «L'audizione del
Ministro Savona alle Commissioni
Affari Europei Camera e Senato in a
nutshell: il canto del cigno nero».
RIFORMA “FEDERAL” Compatto invece il
sostegno al ministro dal M5s, che
non commentano l'ipotesi di uscita
dall'euro ma approvano la riforma
“americana” che Savona ha
prospettato per la Banca centrale europea.
«Se alla Bce non vengono affidati
compiti pieni sul cambio - ha detto
il ministro in commissione - ogni
azione esterna all'eurozona si
riflette sull'euro senza che
l'Unione europea abbia gli strumenti per
condurre un'azione diretta di
contrasto.
L'assenza di pieni poteri
della Bce sul cambio causa una
situazione in cui la crescita
dell'economia dell'eurozona risulta
influenzata, se non determinata,
da scelte o vicende che accadono
fuori dall'Europa».
IL SÌ M5S «Tutto già scritto nel
nostro contratto di governo -
confermano i pentastellati - È
necessario cambiare la Bce, in modo che
possa operare come le altre banche
centraliSul cambio deve avere pieni
poteri e soprattutto deve poter
essere prestatore di ultima istanza».
Ipotesi di riforma che Savona ieri
ha potuto ilustrare al diretto
interessato, visto che dopo
l'audizione in commissione aveva
appuntamento col presidente della
Banca centrale europea Mario Draghi.
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Federico
Marini
skype:
federico1970ca
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