mercoledì 11 luglio 2018

Rassegna stampa 11 Luglio 2017


La Nuova Sardegna

«Ritorniamo a fare politica Silvio ha un lutto elettorale»

CAGLIARI Cosa è accaduto ad Abbasanta? Sembrava emotivamente coinvolto. «Sì, ma sono stato assolutamente entro i limiti del buon comportamento. Ho cercato di difendere il ruolo della presidente. E ho cercato di difendere una donna mite e minuta. Non meritava il trattamento di urla, insulti e aggressione fisica. Io e altre persone ci siamo frapposti a chi la minacciava. Non ho sollevato le mani su nessuno. Non ho nulla di cui pentirmi».

Ma si aspettava che sarebbe finita così? «No. Si deve stare all'interno di un confronto, anche aspro, ma civile. Da quando è nato il Pd sono stato in minoranza, con Cabras, con Lai, con Cucca. E sono sempre stato sereno. Non mi spaventa essere in minoranza. Ma la questione è un'altra. Lunedì si doveva decidere se c'erano i numeri per eleggere un segretario. Le regole sono del 2010 e le dovrebbero conoscere tutti. Non mi aspettavo né quell'epilogo, né le sceneggiate».

Ma venerdì andrà all'assemblea? «Quale? L'assemblea c'è stata lunedì. La presidente l'ha sciolta per mancanza di numero legale dopo avere atteso oltre un'ora. La sceneggiata successiva non ha parole. Se poi qualcuno si vuole riunire a parlare di politica può farlo. Ma non è un'assemblea».

La via sembra quella del commissariamento «Il partito ha regole precise. Credo che si occuperanno del caso l'organismo di garanzia nazionale e il segretario Martina. Decideranno loro quale sarà la via da seguire. Io credo che serva un congresso per iniziare a discutere nel merito. Per ritornare a parlare di politica. E confrontarci sull'analisi della situazione sarda. Delle emergenze, delle difficoltà, delle cose da fare e di quali sono le prospettive per il futuro. Quello di lunedì per me è un incidente di percorso. Io voglio continuare a fare politica tra la gente. Nel solo modo in cui la so fare. Confrontandomi con il mondo intorno. Dal 4 marzo abbiamo intensificato gli incontri nelle piazze dell'isola. E abbiamo discusso con tutti. Non solo politici o militanti. Ma anche con le persone comuni, con i disoccupati, i sacerdoti, i dirigenti scolastici, i sindaci , gli agricoltori. Io non voglio fare guerra, ma la pace. Prima con la società sarda, poi al nostro interno. Ma la pace non è trovare equilibri precari tra i gruppi dirigenti, che nulla hanno a che fare con i bisogni della gente e del suo futuro».

Silvio Lai sostiene che lei sia il carceriere del Pd, l'elemento divisivo. «Silvio lo dice da quando mi dimisi da presidente della Regione. E lo feci anche per un certo suo attivismo sulla discussione della legge urbanistica. Trovo singolare che si dia la colpa a me se una sedicente maggioranza non riesce a trovare i numeri per eleggere un segretario. Ma io non voglio continuare. Non voglio fare polemica. Credo che Silvio in questo momento debba elaborare ancora il lutto elettorale. Lo capisco e non sono interessato a fare polemiche con lui. Mi accusa di cose che non riesco a riconoscere. Mi rimane una simpatia personale per lui, e ho sempre riconosciuto i suoi meriti. L'ho anche sostenuto nella sua candidatura».

Ha detto che ha pensato di smettere di fare politica? «Siamo tutti esseri umani, le scene di lunedì e le aggressioni verbali e fisiche verso una donna mi hanno colpito. Comportamenti che sono estranei alla vita di una comunità politica e danno amarezza. Ma il giorno dopo si riparte»

Qual è la via di uscita per il Pd? «Le sue regole. E una notte di riflessione in più per tutti noi». Teme che le tensioni possano mettere a rischio leggi importanti come quella urbanistica?«No. Tornati a Cagliari tutti i consiglieri agiscono in modo responsabile». (l.roj)


Il Pd ancora dilaniato commissariamento vicino
Oggi il segretario Martina dovrà decidere se inviare un suo delegato nell'isola
Pusceddu contro la presidente Pulga: non conosce le regole o è in malafede

CAGLIARI
All'indomani dell'assemblea-rissa di Abbasanta, il Pd è ancora nel
caos. La presidente del partito Lalla Pulga, che lunedì ha sciolto la
riunione perché secondo lei non c'era il numero legale, ha inviato una
lettera al segretario nazionale e chiesto l'arrivo di un commissario.
Chi invece dopo il caos è rimasto ancora in sala, ha inviato allo
stesso segretario un'altra lettera esattamente opposta. Secondo loro,
una novantina, servirebbe invece «un garante che venerdì verifichi la
regolarità del voto».

Oggi il segretario Maurizio Martina dovrebbe
dare una risposta a una parte e all'altra, ma è difficile ipotizzare a
chi darà ragione. In ogni caso, l'assemblea di venerdì ci sarà dopo
essere stata convocata dai popolari-riformisti, dai renziani e dagli
ex Diesse. Sono le correnti che non vogliono il commissariamento: loro
un candidato segretario da eleggere ce l'hanno. È Emanuele Cani.
Bisognerà vedere però come si comporteranno quel giorno, ancora ad
Abbasanta, i soriani, che non riconoscono invece quella candidatura e
puntano dritti al congresso straordinario prima delle elezioni
regionali del 2019.

Nel frattempo su quanto accaduto a Su Baione le
versioni continuano a essere discordanti. La presidente Lalla Pulga ha
scritto: «Dal momento in cui è stato chiaro che non sarebbe stato
raggiunto il numero legale e quindi l'assemblea era nulla, si sono
mossi molti agitatori politici di professione. Sono stati loro a
prendere d'assalto il tavolo della presidenza, con aggressività
calcolata e metodo intimidatorio. La situazione è poi degenerata e
devo ringraziare non solo Soru ma anche le poche persone che hanno
provato farsi largo in questa mischia indegna per tutelarmi da un
attacco assurdo».

Per concludere: «Da quel momento in poi, uno dei
vicepresidenti, interpretando a suo piacimento le regole, ha
dichiarato che il numero legale era stato raggiunto e poi convocato
una nuova assemblea. Ma sia chiaro: io solo posso convocarla e diffido
chiunque a farlo». La risposta del vicepresidente chiamato in causa,
Dino Pusceddu, è stata immediata e con un attacco iniziale molto
chiaro. Per lui Lalla Pulga è ormai è una ex presidente, perché lunedì
è stata sfiduciata dall'assemblea.

Per poi aggiungere: «Ha dimostrato
di non conoscere le regole basilari del diritto o è in malafede. In
primo luogo ha commesso un errore grave sul piano delle regole perché
lo scioglimento dell'assemblea non è nei suoi poteri. In secondo luogo
la presidenza è un organo collegiale e non monocratico, altrimenti mai
potrebbe essere affidato a un esponente della minoranza. E in ogni
caso l'assemblea resta sovrana.

Per questo, pur non essendo necessario
il controllo iniziale del numero legale, per evitare eventuali
contestazioni, lo abbiamo verificato dimostrando che c'era». Fino a
questa conclusione: «Lunedì la minoranza politica interna guidata da
Soru ha costruito una indecorosa gazzarra per portare il Pd a essere
commissariato, ma questo non accadrà». (ua)

silvio Lai

«Il partito deve svegliarsi è in ostaggio di Renato»

CAGLIARI

Silvio Lai è deciso nell'attacco: «C'è chi vuole tenere ancora in
ostaggio il Pd solo per rincorrere obiettivi personali. Basta, è
inaccettabile».Chi è il carceriere?«Soru, che invece ha sbagliato
molto e spesso, anche lui. Se il Pd in Sardegna oggi è così
disastrato, come sostiene lui, peraltro dopo 5 anni di vittorie
elettorali, una parte importante della responsabilità è proprio
sua».Servono le prove.

«Dalla sconfitta del 2008 alla paralisi della
giunta Pigliaru su molte questioni importanti, è stato sempre lui a
scatenare conflitti. Diciamolo fino in fondo, Soru divide e non unisce
il partito e il Pd in questo momento difficile ha bisogno di unità».
Cos'è accaduto lunedì?«Che non abbiamo potuto eleggere il segretario
regionale, perché c'è stata la volontà precisa di creare la rissa
invece dell'apertura del seggio».Poi il patatrac.«Innanzitutto siamo
rimasti sconcertati di fronte alla richiesta di documenti d'identità
ai componenti dell'assemblea e quando qualcuno ne ha chiesto la
ragione, Soru si è scatenato in un atteggiamento intimidatorio e
violento nei confronti di tutti quelli che cercavano di allontanarlo
dal tavolo o si avvicinavano a iscriversi.

Abbiamo poi saputo che il
boicottaggio era cominciato molto prima, con diverse telefonate al
mattino».Per litigare bisogna essere in due o più di due?«Non siamo
stati certo noi a cominciare. C'era chi voleva interpretare in modo
distorto una norma che si applica sempre. In caso di votazione, e
l'assemblea era convocata per eleggere un segretario. Dunque, il
numero legale va verificato alla fine, come esito della votazione, non
all'inizio».È sicuro?«È sempre stato così a livello nazionale, ma
anche in Sardegna la prassi seguita è stata questa, lo dice persino
una sentenza. In parole povere non serve la maggioranza degli aventi
diritto per eleggere il segretario in assemblea, altro che numero
legale che peraltro poi è stato raggiunto».

Un caos inutile, quindi?«Di
sicuro. Per questo, al di là di Soru, ad essere responsabile è anche
la presidente Lalla Pulga. Al netto dell'immagine di lei che fugge
portandosi via i verbali».Come sarebbe dovuta andare invece?«Avremmo
dovuto votare ma il voto è stato impedito».È vero che il suo gruppo
aveva già il nome del candidato?«Eravamo pronti a presentare una
proposta e a confrontarla anche con altre. La nostra era Emanuele
Cani. Sia chiaro: c'è una larga maggioranza del partito che non vuole
il congresso straordinario, come pretende invece Soru, e che invece
vuole riappacificare gli animi, riprendere a dialogare al suo interno
e con i partiti e i movimenti, e con la gente ma sotto la guida di una
nuova segreteria regionale. Esattamente come è successo sabato a Roma
per il Pd nazionale».

Cosa accadrà?«Che il Pd sardo avrà un
segretario, venerdì o riconvocando l'assemblea in accordo con la
segreteria nazionale».Finirà bene o male?«Io spero che gli animi si
raffreddino e si possa riprendere a ragionare. Non ci sono le
condizioni per arrivare al commissariamento e poi a un congresso prima
delle elezioni regionali. Chiudiamo in fretta questa triste pagina,
riconvochiamo insieme l'assemblea per consentire che elegga
liberamente un segretario. Che, collegialmente sostenuto, possa
proporre una coalizione ampia e innovativa, oltre i confini
tradizionali, e capace di confrontarsi con le tensioni che
attraversano il Paese e la Sardegna. Il populismo di Salvini e Di Maio
può farci deragliare e noi abbiamo la responsabilità di impedirlo,
chiamando a raccolta tutti coloro che si oppongono a raccolta. Non è
fra di noi l'avversario». (ua)

REnato Soru

Il pm: un anno all'ex sindaco Puddu
L'esponente del M5s accusato di abuso d'ufficio. La difesa: scelte legittime

di Mauro Lissia
CAGLIARI
Il sindaco di Assemini Mario Puddu è colpevole di abuso d'ufficio per
aver sollevato arbitrariamente dal suo incarico una funzionaria
comunale a vantaggio di altre due, tra cui la moglie del collaboratore
e sindaco-ombra Francesco Murtas, ex esponente del Pd, responsabile in
concorso dello stesso reato. Per entrambi il pm Marco Cocco ha chiesto
al gup Roberto Cau la condanna a un anno di reclusione, una pena che
senza lo sconto previsto per il giudizio abbreviato sarebbe stata di
un anno e mezzo.

Se la sentenza dovesse allinearsi alla richiesta del
pubblico ministero sfumerebbe per Puddu la possibilità di candidarsi a
governatore a febbraio dell'anno prossimo: la legge Severino gli
darebbe il via libera ma a sbarrargli la strada verso la massima
carica politica sarda sarebbe lo statuto del M5s. Per conoscere
l'esito del giudizio bisognerà però attendere fino al 18 ottobre,
quando il giudice Cau darà spazio alle repliche per poi andare al una
decisione che a quel punto sarà molto attesa.

Il procedimento ruota
tutto attorno alla scelta, contestata dall'accusa, di modificare la
pianta organica del Comune emarginando una dipendente anziana a favore
di Stefania Picciau, moglie di Murtas, che venne scelta da lui stesso
a marzo del 2014 per il ruolo di responsabile di posizione
organizzativa all'ufficio Suap-Urp-sviluppo economico, mentre Anna
Paola Mameli venne incaricata di seguire i servizi tributi e
contenzioso in danno di una funzionaria interna all'amministrazione
che aveva tutti i titoli per ricoprire gli incarichi. 

Grazie a questa
scelta, avallata da Puddu con un atto di nomina, le due dirigenti - è
scritto nel capo d'imputazione - avrebbero beneficiato di vantaggi
economici illegali: 27.234 euro la Picciau e 18.302 la
Mameli.L'inchiesta era partita dall'esposto firmato da tre consigliere
comunali del M5s - Rita Piano, Irene Piras e Stefania Frau - che in
seguito a questa iniziativa vennero espulse dal movimento.

Le tre
dissidenti, dopo una serie di contrasti in assemblea civica, decisero
di denunciare il sindaco Puddu descrivendo nell'esposto una situazione
a loro dire inaccettabile: il capo dell'esecutivo comunale avrebbe
scelto di affiancarsi l'avvocato Murtas, con un passato nel Pd, come
una sorta di sindaco-ombra. 

Fra l'altro il legale ricevette l'incarico
di elaborare il nuovo assetto organizzativo del Comune di Assemini e
una delle prime decisioni assunte in quel ruolo fu quella di affidare
alla propria moglie un ruolo di alta responsabilità, lautamente
retribuito.

Per il pm Cocco non ci sono dubbi: quelle nomine erano
contro la legge, un abuso d'ufficio classico anche per l'avvocato di
parte civile Francesco Marongiu, che ha ricordato nella sua arringa
come la decisione di rimuovere la dipendente non sia stata mai
motivata se non a procedimento penale avviato. Per Cocco e Marongiu
agli atti del processo emerge con chiarezza il dolo intenzionale, la
violazione di legge e l'ingiusto vantaggio patrimoniale realizzato con
la promozione sul campo delle due funzionarie.

Tesi contestata con
forza dai difensori Gigi Sanna e Matteo Perra, per i quali sono stati
rispettati pienamente norme e regolamenti: «Il parere del segretario
comunale, massimo riferimento giuridico per il sindaco, ha confermato
la legittimità di quelle scelte - ha sostenuto l'avvocato Perra - così
come è emerso che la dipendente sostituita non avesse le attitudini
per realizzare il programma dell'amministrazione sull'organizzazione
dell'ufficio Urp». Le nomine, hanno sostenuto i due legali, erano
state peraltro discusse in giunta e coi sindacati, tutti i passaggi
tecnici sono stati rispettati nei dettagli.

Unione Sarda

ASSEMINI. Per la nomina di due dirigenti sotto accusa anche l'avvocato Murtas
«Un anno per l'ex sindaco» Abuso d'ufficio: il pm chiede la condanna di Puddu

Per modificare il quadro dirigenziale di un ufficio pubblico, in
questo caso comunale, è necessario «spiegare» su quali presupposti sia
arrivata la decisione e anche «motivare» certe iniziative. L'ex
sindaco di Assemini avrebbe dovuto chiarire il perché Adele Solinas,
alla guida del servizio Tributi, Attività produttive, Suap e Polizia
amministrativa, non era più adeguata a svolgere la funzione e come mai
viceversa Anna Paola Mameli e Stefania Picciau lo fossero. «Doveva
dare spiegazioni e invece non l'ha fatto».

«CONDANNA» Su questi presupposti ieri a Cagliari il pm Marco Cocco ha
chiesto la condanna a un anno per Mario Puddu, esponente di punta del
Movimento 5 Stelle in Sardegna e primo cittadino sino allo scorso
giugno, per il presunto abuso d'ufficio commesso in quanto, secondo
gli investigatori, il riordino dell'ente era stato portato a termine
«non per seguire l'interesse» del Municipio ma per sistemare i nuovi
funzionari. Il magistrato inquirente ha chiesto la medesima pena per
l'avvocato Francesco Murtas, ritenuto molto vicino all'ex sindaco in
Comune e marito di Picciau.

LA VICENDA La sentenza è prevista per il 18 ottobre, ieri hanno
discusso anche il legale Francesco Marongiu (che rappresenta la parte
civile Solinas) e i difensori Luigi Sanna e Matteo Perra. La vicenda
riguarda la riorganizzazione di quell'ufficio comunale (in origine
guidato da una sola dirigente) con la nomina a «responsabile di
posizione organizzativa» di altre due persone. 

Il sindaco aveva tenuto
per sé la Polizia amministrativa assegnando Tributi e contenzioso a
Mameli e Suap e ufficio Relazioni col pubblico a Picciau, e qui era
nato il sospetto degli investigatori (sulla base di un esposto di
alcuni dissidenti pentastellati): l'incarico le era stato assegnato
per fare un favore al marito.

Sarebbe stato proprio quest'ultimo, per
gli inquirenti, a indicare le donne come responsabili di posizione
organizzativa. Oltre ad aver argomentato i motivi per i quali Puddu
andrebbe condannato, il pm ha criticato il comportamento dell'ex primo
cittadino il quale «non ha mai dato la sua versione dei fatti».

LA PARTE CIVILE Anche l'avvocato Marongiu ha insistito perché sia
riconosciuta la responsabilità dell'ex sindaco: a suo dire «la nomina
di Picciau e Mameli era stata decisa senza criterio, verifica,
motivazione né comparazione con gli altri», e «la mia assistita» ha
riferito che «nel 2014» l'imputato, pur ammettendo «che era
bravissima», le avrebbe detto di voler nominare Picciau «perché la
conosceva da sempre».

LA DIFESA Tesi respinte dai difensori, i quali ieri (anche con una
memoria di otto pagine) hanno ribadito che la riorganizzazione
dell'ente «era prevista nel programma dei 5 Stelle» e le nomine erano
«assolutamente legittime».

Il piano di riordino era stato predisposto
«dalla Giunta» e poi «prospettato a sindacati e segretario comunale»
per essere in seguito «approvato con una delibera di Giunta»
accompagnata da una «relazione esplicativa». Si trattava di «far
ruotare il personale», finalità espressa già nel «programma
elettorale» dei 5 Stelle. Del resto «Solinas era lì da nove anni». Lo
spostamento «era in regola, nessuno ha avuto danni ingiusti».
An. M.

Pd all'ombra di Roma: garante o commissario
Scontro aperto dopo l'assemblea. Deiana (Anci): «Gazzarra ignobile»

Garante o commissario, il futuro del Pd sardo dovrà passare per Roma.
La presidente dell'assemblea, Lalla Pulga, ha inviato una lettera al
segretario nazionale, Maurizio Martina, per chiedere l'arrivo di un
commissario (sarebbe la terza volta) e avviare la fase congressuale,
tesi questa sostenuta anche dai soriani. Di contro, 90 componenti
hanno contrattaccato chiedendo a Martina di inviare un garante che
vigili sull'elezione di un segretario regionale, dopodomani, in una
nuova assemblea.

NEL BARATRO Segretario o commissario: il Pd sardo è davanti a un
bivio. Qualunque sia l'epilogo, nessuno dei due possiede l'antidoto
per il veleno che scorre nelle vene del partito, a un passo dal
baratro. Un virus che è riuscito ad annientare il confronto politico
interno per lasciare spazio a scontri (anche fisici) e attriti
personali. Quello che è successo durante l'assemblea a Su Baione è la
fotografia non più del confronto tra correnti, ma di due partiti che
si sono formati sotto lo stesso simbolo.

LO SCONTRO Il muro contro muro continua, la presidente Lalla Pulga ha
scritto al segretario nazionale, Maurizio Martina, per chiedere di
rendere nulla l'assemblea e avviare le procedure per il congresso
regionale. La contromossa di renziani e Popolari-Riformisti è
contenuta in un'altra lettera, sottoscritta da 90 componenti
dell'assemblea, per chiedere a Martina di non mandare un commissario,
ma un garante per lo svolgimento dell'elezione di un segretario
dopodomani.

NEL CICLONE Lalla Pulga è finita nel mirino per aver chiuso
l'assemblea per mancanza di numero legale. Accusata di aver perso
l'imparzialità e giocato a favore dei soriani (area di cui fa parte),
la presidente contrattacca: «L'istituzione che rappresento è stata
deturpata dal noto gruppetto di capi bastone». Pulga parla di
«agitatori politici di professione» che avrebbero agito con
«aggressività calcolata e metodo intimidatorio».

La presidente
ricostruisce gli avvenimenti concitati dell'assemblea, ricordando di
aver chiuso la riunione «dopo oltre un'ora dalla convocazione». Un
ringraziamento a «Renato Soru e le poche persone che hanno provato a
farsi largo in questa mischia indegna per tutelarmi da un attacco che
stava trascendendo».

L'ATTACCO Il vice presidente, Dino Pusceddu, ha aperto l'assemblea
quando Lalla Pulga non era più in sala. Pusceddu, oltre a ribattere
punto per punto sugli aspetti strettamente tecnici, si concentra sulla
mancata elezione di un segretario con la «complicità della ex
presidente non più garante dell'assemblea». Una stoccata alla
minoranza guidata da Renato Soru, colpevole di aver «costruito una
indecorosa gazzarra per portare il Pd della Sardegna ad essere
commissariato».

Rincara la dose, il consigliere regionale, Cesare Moriconi: «È stato
impedito all'assemblea di votare ricorrendo a pretestuose
interpretazioni dello statuto». Poi, l'affondo nei confronti di Soru
che «per paura che la maggioranza esercitasse il suo diritto di voto,
si è portato via il registro dei presenti e la presidente».
IL BIVIO Sulla scrivania del segretario Martina, le lettere con
mittente il Pd sardo saranno due.

Entrambe riportano la ricostruzione
degli eventi che hanno fatto saltare il banco, ma le richieste sono
diverse. E si tratta di posizioni inconciliabili che oltre non trovare
un punto di incontro, causano scintille ogni volta che entrano in
contatto. 

I soriani chiedono di avviare immediatamente le procedure
per il congresso, sotto la guida di un commissario inviato dal Pd
nazionale. Di contro, 90 esponenti dell'assemblea chiedono, anche in
questo caso, facendo riferimento al regolamento, di inviare un garante
per vigilare sulla votazione del nuovo segretario.

IL POPOLO DEM A soffrire maggiormente questa situazione e ad assistere
alla caduta libera del partito ci sono tanti militanti. Gli stessi che
dopo i fatti di Su Baione hanno abbandonato la sala con la promessa di
«non partecipare più a nessun incontro». Il presidente dell'Anci,
Emiliano Deiana, con un post su Facebook, definisce «ignobile
gazzarra» quello che è accaduto tra i componenti del partito.
L'analisi è impietosa: «Dal 2007 litigano e ci fanno litigare sulle
loro brighe personali e sulle loro divisioni segrete che non hanno
nulla di politico».

L'effetto di tutto questo è «far vergognare
un'intera comunità che c'è sempre stata a difendere l'indifendibile.
Hanno fatto un deserto e lo chiamano Pd». Duro anche il sindaco di
Tergu, Gian Franco Satta, che definisce il Pd «un partito avvitato su
se stesso, incapace di cogliere un mondo esterno che invece coltiva
altri obiettivi e speranze».
Matteo Sau


Pigliaru: «Ora basta con i conflitti e i personalismi»
Il presidente, che non ha partecipato all'assemblea, lancia un invito al dialogo

Il presidente della Regione, Francesco Pigliaru, iscrittosi di recente
al Pd, ha deciso di non partecipare all'assemblea. «Sapevo che si
sarebbe risolta in conflitti, contrapposizioni e personalismi - dice -
senza alcuno spazio per parlare di problemi reali, soluzioni e
proposte». Il governatore punta a un dibattito aperto, lontano dai
luoghi formali e quindi anche dal congresso, «in cui prevalgono sempre
logiche di schieramento, conflitti dannosissimi, misurazioni
esasperate del peso di ognuno».

Pigliaru, all'indomani dello scontro a Su Baione, non risparmia un
giudizio severo sul partito, e tende una mano ai volenterosi: «Chi
spera, come me, che il Pd sia molto di più e molto meglio di ciò che
si è visto nel disastro di Abbasanta, si faccia sentire, ora». La
situazione è sempre più critica e dall'appuntamento del referendum
costituzionale, il Partito democratico raccoglie soltanto le briciole
dell'elettorato (salvo casi sporadici).

Alle elezioni regionali
mancano pochi mesi e ai nastri di partenza il Pd ha uno svantaggio
molto difficile da recuperare rispetto agli avversari. Per il
governatore il partito potrà salvarsi se «sarà in grado di aprire un
vero e diffuso dibattito per capire come possiamo contrastare il
crescente consenso raccolto da forze politiche della destra
populista». Pigliaru chiede un confronto aperto «per lavorare
urgentemente sulla nostra proposta politica, riprendere il dialogo con
chi abbiamo deluso, capendo a fondo le ragioni di quella delusione».

L'obiettivo è avviare un dibattito «liberamente, senza schemi e senza
schieramenti», perché il tempo corre inesorabile e l'elettorato è
sempre più distante e disinteressato alle vicende del Partito
democratico. «Non sono in gioco i destini di quella o questa
corrente», sottolinea il presidente, «qui è in gioco il Pd, nostro
bene comune».

Non solo un invito, ma anche la voglia di mettersi in gioco offrendo
il proprio contributo a tutti coloro che «condividono la necessità e
l'urgenza di un dibattito sui contenuti, non sulle persone. Questa è
la vera urgenza oggi». (m. s.)


La Lega a Forza Italia: «Se non vi rinnovate, noi alle regionali da soli»

Parlare di ultimatum sarebbe eccessivo, ma il messaggio che arriva
dalla Lega agli alleati di Forza Italia, in vista delle regionali, è
netto: «Rinnovamento oppure meglio andare da soli». Eugenio Zoffili,
coordinatore regionale del Carroccio in Sardegna, senza troppi
complimenti avverte: «Se le proposte sono i soliti nomi è meglio
affrontare le elezioni da soli». Nessun dubbio sul metodo anche perché
«siamo perfettamente in grado di esprimere un candidato all'altezza di
guidare la Regione».

IN CORSA Una presa di posizione forte, che rischia di causare una
frattura. Per questo motivo l'esponente della Lega tende la mano agli
alleati, ottimista sulla possibilità di «trovare una convergenza sul
nome che rappresenti un vero cambiamento». La competizione di febbraio
sta particolarmente a cuore ai rappresentanti del Carroccio, forti
dell'alleanza con il Psd'Az. La campagna elettorale sarà dura e quasi
sicuramente a tirare la volata alla Lega verrà il vice premier Matteo
Salvini.

RADICI La Lega ha deciso che la Sardegna deve diventare una regione in
cui mettere radici. Lo dimostra il fatto che sono stati nominati i
commissari che avranno il compito di gestire i rapporti con i
territori. I due vice di Zoffili sono Dario Giagoni e il deputato
Guido De Martini che si occuperà anche del Sud Sardegna e della
Provincia di Oristano. Giovanni Nurra, invece, è il coordinatore del
nord Sardegna e della Provincia di Nuoro.

L'obiettivo è riuscire a
organizzare numerosi appuntamenti in giro per l'Isola, come quello di
venerdì, alle 11.30, al mercato di Alghero. Nell'occasione dovrebbe
essere ufficializzato il passaggio del consigliere comunale, Michele
Pais, da Forza Italia alla Lega.

IN ALTO MARE Il centrodestra è la casa naturale della Lega, quindi
anche in Sardegna la situazione dovrebbe essere la stessa. Al momento,
però, non ci sono stati incontri ufficiali tra i rappresentanti dei
partiti per mettere sul tavolo strategie, programma e nomi. Solo
qualche incontro sporadico nel Transatlantico della Camera tra
Zoffili, il coordinatore regionale di Forza Italia Ugo Cappellacci e
il deputato di Fratelli d'Italia Salvatore Deidda.

AUTONOMI Eppure la Lega e il Psd'Az il programma lo stanno preparando.
A breve ci saranno altri appuntamenti costruiti sulla falsariga di
quello che ha portato a Olbia il deputato Claudio Borghi e il senatore
Andrea Bagnai per discutere di economia.

LA GUIDA Il clima di attesa nel centrodestra è dovuto al fatto che
ancora non è sicuro quale partito guiderà la coalizione. I numeri (a
livello nazionale) dicono Lega, ma le ambizioni sono di Forza Italia
che non ha mai nascosto di voler riprendere in mano la guida del
centrodestra. Ma la facilità con cui questo è accaduto negli anni
passati difficilmente si potrà ripresentare e quindi anche questo
aspetto sarà una prova di forza tra i due maggiori partiti della
coalizione.

VENTO NUOVO Non è escluso che il vento del cambiamento possa trovare
sponsor importanti tra i partiti del centrodestra. Il primo motto in
questa direzione era arrivato da Ignazio Locci, sindaco azzurro di
Sant'Antioco, che chiedeva alla generazione del 1994 di lasciare
spazio ai giovani. Da allora, come per effetto domino, le richieste
per ringiovanire i nomi sono state diverse.

Cappellacci ha sposato la
causa dei volti nuovi tanto che ha chiesto un passo di lato alla
vecchia generazione durante l'incontro organizzato a Selargius,
dall'eurodeputato Salvatore Cicu. Chiede volti nuovi e «schemi
diversi» anche il coordinatore regionale di Fratelli d'Italia Paolo
Truzzu così come è stato ribadito anche dal leader dell'Udc Giorgio
Oppi.
M. S.

Savona torna sull'addio all'euro: «Potrebbero deciderlo gli altri»
Il ministro evoca il “cigno nero” e avverte: bisogna essere pronti a
ogni eventualità

ROMA Aver messo nero su bianco un piano per l'uscita dall'euro e
averlo pubblicato su un sito gli era costato la poltrona di ministro
delle Finanze e la delega di consolazione (un po' paradossale) agli
Affari europei.

Ieri, ascoltato proprio dalle commissioni Affari Ue di Camera e
Senato, Paolo Savona è tornato a parlare di Italexit o per dire meglio
di Quitaly, visto che il primo nomignolo indica l'uscita dell'Italia
dall'Unione europea sull'esempio della Gran Bretagna mentre il secondo
indica la cacciata del nostro Paese dall'Unione e dal sistema della
moneta unica.

«OGNI EVENIENZA» Ed è proprio lo scenario che il ministro ha -
nuovamente - evocato ieri: «Mi dicono, tu vuoi uscire dall'euro?
Badate che potremmo trovarci in situazioni in cui sono altri a
decidere. La mia posizione - ha detto alla domande nel corso
dell'audizione - è di essere pronti a ogni evenienza». E poi, a
ribadire che l'addio all'euro non sarebbe comunque una sua scelta ma
un'eventualità da cui non farsi sorprendere: «Una delle mie case,
Banca d'Italia, mi ha insegnato a essere pronti non ad affrontare la
normalità ma il cigno nero: è lo choc straordinario che bisogna essere
pronti ad affrontare».

Il riferimento è a un'immagine coniata dal filosofo libanese Nassim
Nicholas Taleb, che usa il cigno nero come esempio di un evento (in
questo caso biologico) raro ma possibile, così come è possibile il
verificarsi di eventi unici in grado di modificare strutturalmente le
vite individuali e collettive.

IRONIA PD E il riferimento sollecita l'ironia del deputato Pd Filippo
Sensi, che twitta: «Roma, 10 lug. (LaPresse) - «L'audizione del
Ministro Savona alle Commissioni Affari Europei Camera e Senato in a
nutshell: il canto del cigno nero».

RIFORMA “FEDERAL” Compatto invece il sostegno al ministro dal M5s, che
non commentano l'ipotesi di uscita dall'euro ma approvano la riforma
“americana” che Savona ha prospettato per la Banca centrale europea.
«Se alla Bce non vengono affidati compiti pieni sul cambio - ha detto
il ministro in commissione - ogni azione esterna all'eurozona si
riflette sull'euro senza che l'Unione europea abbia gli strumenti per
condurre un'azione diretta di contrasto.

L'assenza di pieni poteri
della Bce sul cambio causa una situazione in cui la crescita
dell'economia dell'eurozona risulta influenzata, se non determinata,
da scelte o vicende che accadono fuori dall'Europa».

IL SÌ M5S «Tutto già scritto nel nostro contratto di governo -
confermano i pentastellati - È necessario cambiare la Bce, in modo che
possa operare come le altre banche centraliSul cambio deve avere pieni
poteri e soprattutto deve poter essere prestatore di ultima istanza».
Ipotesi di riforma che Savona ieri ha potuto ilustrare al diretto
interessato, visto che dopo l'audizione in commissione aveva
appuntamento col presidente della Banca centrale europea Mario Draghi.

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Federico Marini
skype: federico1970ca


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