La
Nuova Sardegna
Indipendentisti.
Autodeterminatzione punta su Murgia.
Il polo indipendentista di
Autodeterminatzione correrà da solo alle Regionali e ha deciso subito quale
sarà il suo candidato presidente. All'unanimità l'assemblea delle sette sigle (Rossomori,
Sardegna possibile, Liberu, Sardinia Natzione, Irs, Radicali sardos e Gentes)
ha designato Andrea Murgia. Nato a Seulo, classe 1971, è un economista e da
tempo lavora a Bruxelles come funzionario della Commissione europea.
Dopo aver militato a lungo nel Pd,
cinque anni fa si candidò come indipendente alle primarie del centrosinistra
per la scelta del candidato presidente, ed essere stato considerato vicino
all'eurodeputato Renato Soru, Murgia quest'estate ha aderito ad
Autodeterminatzione.
Qualche giorno fa s'era capito che
sarebbe stato lui la prima scelta della coalizione indipendentista: su Facebook
aveva cambiato la foto del profilo col simbolo del movimento. Il resto è storia
fresca, con la designazione ufficiale da parte del coordinamento. Tra l'altro
dopo essere uscita malconcia dalle ultime,elezioni politiche e dopo l'addio
dell'ex coordinatore Anthony Muroni, Autodeterminatzione ha già centrato un
primo obiettivo: sarà il quarto polo in campo, quello indipendentista, alle
Regionali.
Unione
Sarda
Zedda
pronto a sciogliere la riserva
Massimo Zedda sembra sempre più
tentato dall'idea di accettare la
sfida di una candidatura alla
presidenza della Regione. Mancano ancora
alcuni passaggi che il sindaco di
Cagliari reputerebbe fondamentali
per sciogliere definitivamente le
riserve. Per questo motivo le
diplomazie si muovono con i piedi di
piombo, perché il meccanismo che
dovrà condurre al “sì” è molto
delicato.
'imperativo è che nessun partito
metta il cappello sull'investitura
che deve avere una radice diversa,
rispetto alla consuetudine. Non a
caso già da diversi giorni sono i
sindaci (ancora non usciti allo
scoperto anche se si parla di 130
sostenitori) ad assumere il ruolo di
motore di tutta l'operazione che
deve avere una forte connotazione
civica. I partiti stanno un passo
indietro e, di fatto, dovranno
sostenere un progetto già delineato.
CANDIDATURA Sarà Andrea Murgia il
candidato degli indipendentisti di
Autodeterminatzione, scelto
all'unanimità da tutte le otto sigle che
ne fanno parte. Murgia nel 2013
aveva partecipato alle primarie del
centrosinistra come indipendente.
Ieri sera c'è stata una riunione in
cui si è discusso anche della
strategia da adottare in vista delle
elezioni. Ancora non è stato deciso
se presentarsi con un solo simbolo
oppure come coalizione.
La differenza sta nel dover superare
nel primo caso il 5% di soglia di
sbarramento, nel secondo il 10%. Si
tratta di una scelta ancora da
valutare in attesa di avere più
chiari gli scenari. (m. s.)
POLITICA.
Solinas è
il candidato? Da Berlusconi primo sì all'ipotesi Lega-Psd'Az
La
rivolta delle donne: sempre uomini quelli che decidono
C'era Berlusconi al vertice romano
di Forza Italia convocato da Tajani
coi parlamentari e consiglieri
regionali sardi. Dal tavolo è emerso
che sarà la Lega a esprimere il
candidato presidente del centrodestra
in Sardegna. Si rafforza, dunque, il
nome di Christian Solinas, anche
se resta in piedi l'opzione Angelo
Binaghi. Per Berlusconi la campagna
deve puntare su zona franca e
continuità territoriale. Intanto
nell'Isola è battaglia delle donne:
«Siamo emarginate».
CENTRODESTRA. Berlusconi conferma:
l'ultima parola spetta al Carroccio
Il candidato sarà leghista Solinas
in pole position
Al vertice romano con i parlamentari
e i consiglieri regionali sardi
c'era anche Silvio Berlusconi. E in
Forza Italia il malumore si è
trasformato in euforia, rimasta tale
anche quando il Cavaliere ha
confermato l'esistenza di un'opzione
della Lega sulla scelta del
candidato governatore per le
Regionali di febbraio.
LA FORMULA Ma Berlusconi - impegnato
nelle trattative con Matteo
Salvini e Giorgia Meloni sul fronte
della scelta degli aspiranti
presidenti per le elezioni
nell'Isola, in Abruzzo, in Basilicata e in
Piemonte - ha indorato la pillola:
il nome sarà fatto dal Carroccio,
però dovrà passare il vaglio del
resto della coalizione, quindi gli
azzurri resteranno in partita nella
misura in cui saranno in grado di
esprimere nomi di spessore.
A questo livello delle
interlocuzioni, è evidente che il senatore e
segretario del Psd'Az, Christian
Solinas, fortissimo dell'accordo con
la Lega, si trova più che mai in
pole position. Una conferma potrebbe
arrivare già nei prossimi giorni,
magari in occasione del vertice
della coalizione che il coordinatore
Eugenio Zoffili ha convocato per
il 15 mattina a Cagliari, nella sede
di Fratelli d'Italia.
Resta anche in piedi l'ipotesi di
una corsa del presidente della
Federtennis, il cagliaritano Angelo
Binaghi, che dalla sua ha l'ottimo
rapporto che lo lega al
sottosegretario alla presidenza del Consiglio,
Giancarlo Giorgetti. Esce dal
totonomi, invece, quello di Ines Pisano,
magistrata e consigliera del Tar
Lazio: «Il ruolo istituzionale che
ricopro mi impone di precisare che
non mi risulta essere un possibile
candidato di alcun partito
politico», scrive in una nota, «svolgo la
mia attività da magistrato con
soddisfazione ma, innegabilmente, non
ho alcuna esperienza “politica”, se
intesa nella sua accezione
tradizionale».
LE SUPPLETIVE Se la Lega ha messo la
sua ipoteca sulle regionali,
Forza Italia potrà rivendicare la
sua nella scelta del nome che
correrà per conquistare il collegio
di Cagliari. Ieri mattina si è
riunita la Giunta delle elezioni di
Montecitorio che ha preso atto
delle dimissioni del velista Andrea
Mura votate dall'Aula. Ora la
palla passa al presidente della
Camera, Roberto Fico, che dovrà
trasmettere tutto al ministero
dell'Interno dando comunicazione che un
collegio è rimasto vacante.
A quel punto sarà il Viminale a
mettere in moto tutta la procedura,
compresa la decisione sulla data
delle suppletive. Non un dato
secondario: il centrodestra, e Forza
Italia in particolare,
preferirebbero la concomitanza con
le elezioni di febbraio, il 17 o il
24, oppure una data successiva. In
questo caso, soprattutto per il
numero di consensi di cui gode
nell'area metropolitana di Cagliari, la
candidata ideale potrebbe essere la
capogruppo di Forza Italia in
Consiglio regionale, Alessandra
Zedda.
Le suppletive sono state oggetto
della discussione anche ieri sera, al
tavolo convocato dal vicepresidente
di FI Antonio Tajani. E anche su
questo fronte Berlusconi ha chiesto
la massima coesione in vista del
miglior risultato possibile. Per la
verità il Cavaliere ha invitato
gli esponenti sardi all'unità su
tutti i temi, e a confrontarsi di
continuo. «Ha anche dato
suggerimenti sui punti cardine che dovranno
caratterizzare il programma di Forza
Italia per le regionali - ha
spiegato il coordinatore regionale
Ugo Cappellacci - insistendo in
particolare sulla continuità
territoriale e sulla zona franca,
dimostrando di stare sul pezzo».
LA CAMPAGNA ELETTORALE Riunione
molto positiva - ha commentato il
deputato Pietro Pittalis - e il
presidente ha confermato che si
spenderà in prima persona in
campagna elettorale». Anzi, non è esclusa
una sua visita in Sardegna. «Ho
trovato un presidente in grande forma
- ha detto Alessandra Zedda -
affettuoso e disponibile a lavorare con
entusiasmo per le prossime sfide
elettorali, a partire dalle
Regionali». Nella riunione, durata
due ore, si è parlato infine della
riorganizzazione del partito a
livello regionale: la fase congressuale
partirà a gennaio.
Roberto Murgia
Congiu
(Pds): si può intervenire sullo sbarramento
Scontro
sulla legge elettorale Puddu (5S): ora non si cambi più
La legge elettorale non si tocca.
Qualcuno vorrebbe un'aggiustatina,
senza causare l'accusa di golpe
istituzionale, ma a ridurre
drasticamente le possibilità è il
presidente del Consiglio regionale,
Gianfranco Ganau: «Non ci sono più i
tempi tecnici e una variazione
della legge non è possibile».
L'ipotesi di un blitz sul testo ha
scatenato la protesta del candidato
governatore del Movimento 5
Stelle, Mario Puddu, che ha
annunciato «battaglia su questo inciucio».
SENZA ACCORDO Il problema alla base,
però, è che non c'è accordo sugli
eventuali aspetti della legge da
modificare. In ballo ci sono tre
aspetti: le soglie di sbarramento,
l'ingresso in Consiglio regionale
dei candidati presidenti e il
quoziente interno alla coalizioni.
Realizzare il triplete non è
possibile perché non esiste un accordo
totale. Ganau ripercorre i passaggi
ricordando che «nella bozza era
prevista l'elezione del terzo
candidato presidente se lui, e non la
coalizione, avesse superato il 10%».
LE SOGLIE Il capogruppo del Partito
dei sardi, Gianfranco Congiu,
sottolinea che per una vera riforma
«i tempi non ci sono», ma volendo
intervenire su qualche minuzia «uno
sforzo si potrebbe fare come ad
esempio le soglie di sbarramento».
Congiu fu uno di quelli che fece
saltare il banco tra i capigruppo
perché non accettò l'idea di dare il
via libera anche al terzo presidente
non eletto perché «sembrava
un'apertura troppo indirizzata».
Quindi difficilmente il pacchetto
completo potrebbe arrivare al
traguardo. Questo nonostante «la legge
non sia degna di questo nome», dice
Congiu, «ma per cambiarla
radicalmente se ne sarebbe dovuto
parlare nel 2014, non ora».
LA PROTESTA Il consigliere dei
Rossomori, Emilio Usula, ha cercato di
coinvolgere i colleghi dei piccoli
partiti per riprendere in mano il
testo: «La legge va cambiata, è
un'assurdità tenere queste soglie di
sbarramento e non consentire ai
candidati presidente che superano il 5
per cento di entrare in Consiglio».
L'ATTACCO Puddu lancia un avviso a
chiunque intenda modificare il
testo: «A quattro mesi dalle elezioni,
la legge elettorale non si
cambia». Puddu accusa il Consiglio
regionale di non aver fatto le
modifiche nonostante abbia avuto
tutta la legislatura a disposizione.
«Centrosinistra e centrodestra si
rendono conto che, per effetto di
una legge che noi cambieremo quando
saremo al governo della Regione,
uno tra i candidati alla presidenza
espressi dal centrodestra e dal
centrosinistra resterà fuori dal
Consiglio».
Matteo Sau
Elezioni
regionali e scelte del governo: parla l'ex leader referendario
Segni:
«Temo per l'Isola La lista dei sindaci? Follia»
Mario Segni, lei è considerato il
padre della Seconda Repubblica: le
piace la Terza?
«Le dirò: siamo alla vigilia di
elezioni importanti per la Sardegna,
ma da italiano e da sardo sono
angosciato per quello che una classe
politica irresponsabile sta
preparando per l'Italia».
Sta parlando della manovra?
«Naturalmente. I soli annunci ci
hanno già fatto perdere miliardi di
interessi. E questi festeggiano dal
balcone di Palazzo Chigi, uno
spettacolo indegno. Temo come sardo
perché un'eventuale crisi generale
colpirebbe soprattutto i più deboli.
Mi chiedeva il giudizio sulla
Terza Repubblica? Eccolo».
Ma col deficit il governo intende
finanziare interventi per far
ripartire l'economia.
«Non mi convince, questa manovra non
premia gli investimenti. Dà una
mano ai più poveri, e va bene: una
misura che faccia uscire una quota
di popolazione dalla povertà è
opportuna. Ma devi potertelo
permettere. E comunque questo non
rilancia l'economia, come si è visto
con gli 80 euro di Renzi».
Anche altri governi hanno utilizzato
il deficit. Perché adesso
dovrebbe essere peggio?
«Infatti il problema è antico. Nel
frattempo il debito pubblico è
sempre cresciuto. Insistere ora è
insensato come lo sarebbe, per una
famiglia piena di debiti, comprarsi
la Ferrari. Purtroppo anche
Salvini si è allineato a questa
follia».
Pensava che la Lega fosse un
baluardo di concretezza?
«Sinceramente sulla parte economica
speravo che frenasse certe
tendenze dei 5Stelle. Considero
assurdo l'antieuropeismo di Salvini,
ma apprezzo l'idea di partire da una
ragionata riduzione fiscale per
rilanciare l'economia. Purtroppo
però da 15 giorni anche lui
preferisce fare promesse a tutti e
cercare consenso facile».
Perché pensa già alle Europee?
«Quella è l'occasione attuale, ma
continueranno anche dopo. Non mi
faccio illusioni».
Questo governo durerà a lungo?
«Mi auguro di no, ma li tiene
insieme un collante fortissimo: il
potere. Il M5S sta attuando una
lottizzazione feroce, peggio della
Dc».
Si riferisce alla Rai?
«La Rai, le minacce ai tecnici del
Tesoro... dietro il buonismo
dell'uno vale uno si cela
l'intolleranza per chi non la pensa come
loro».
Ma il M5S nasce proprio come
risposta all'immoralità della politica.
«Anche nel Manifesto di Marx c'è un
profondo afflato umanitario, poi
il comunismo reale è stato ben
altro. Il guaio è quando si perde la
ragione per voler centrare i propri
obiettivi a tutti i costi».
Le scelte del governo
sull'immigrazione, invece, come le valuta?
«Non apprezzo i toni e i modi di Salvini,
ma devo dire che sul tema
bisognava prendere delle decisioni
forti. Salvini ha fatto qualcosa di
brutto e inevitabile».
Non pensa che l'Europa abbia
lasciato sola l'Italia su quel fronte?
«Non c'è dubbio. Ha peccato di
egoismo. L'Europa è un bellissimo
ideale, ma non ogni cosa che fa è
necessariamente corretta».
Crede ancora in quell'ideale?
«Certamente. Il rapporto con
l'Europa è il vero crinale su cui si
deciderà il nostro futuro. Fuori
dall'Europa, l'Italia sarebbe una
zattera alla deriva senza nocchiero».
Regionali sarde: saranno in campo 4
o 5 poli, al padre del bipolarismo
italiano sembrerà assurdo.
«Sarebbe opportuna una
semplificazione, ma per fortuna è rimasto in
piedi almeno uno dei nostri
traguardi: l'elezione diretta del
presidente della Regione».
Basta a tranquillizzarci?
«Si figuri se non ci fosse neppure
quella. Nella sera delle elezioni
avremo già il presidente dei sardi,
e chiunque sarà dovrà occuparsi
subito di poche cose ma chiare».
Quali? L'insularità? Lei ci lavorò
da europarlamentare.
«Mi ha tolto le parole di bocca: è
una battaglia cruciale. E poi
l'istruzione; l'arrivo della banda
larga; la valorizzazione di alcune
eccellenze sarde. Anche nelle nostre
due università. In generale,
vorrei un presidente che si
occupasse di pochi grandi temi e che
tenesse conto dei due grandi difetti
dei sardi».
Quali sarebbero?
«Il grande pessimismo e la tendenza
a dare ad altri le colpe dei
propri guai. Vorrei un presidente
che convincesse i sardi del fatto
che, se ci si rimboccano le maniche,
si possono fare grandi cose».
Preferirebbe che fosse un presidente
di centrodestra?
«Sì. Mi sembra, anche in campo
nazionale, l'unica alternativa allo
sconquasso. E da quando c'è
l'elezione diretta del presidente abbiamo
sempre avuto un'alternanza: la trovo
una cosa positiva».
Però ha comportato a volte troppa
discontinuità amministrativa, si
riparte sempre da zero.
«Non si può avere tutto».
Ha un nome da suggerire al
centrodestra?
«No, me ne guardo bene».
L'alleanza locale con la Lega, che
al governo sta col M5S, non la disturba?
«Dopo la Dc sognavo una destra
liberale, europea, che non si è
realizzata. La destra di Salvini è
ben diversa. Ma se, dopo
l'esperienza coi 5Stelle, governasse
con una coalizione di
centrodestra, credo che vedremmo
cose migliori».
L'allarme sui rischi di
autoritarismo o neofascismo è fuori luogo?
«Autoritarismo e neofascismo possono
arrivare se precipita la
situazione economica. Se il Paese
riprende a crescere, non vedo grandi
problemi istituzionali».
Nell'Isola tutti corteggiano i
sindaci. Anche il suo progetto di
riforma voleva responsabilizzare gli
amministratori locali.
«È vero, e la riforma sull'elezione
dei sindaci credo sia una delle
cose che ha funzionato meglio. Ora è
frequente che una carriera
politica parta dai territori, come
accade negli Stati Uniti».
Quindi le farebbe piacere una lista
di sindaci?
«No. Un conto è candidare sindaci
come Massimo Zedda, o ex come Mario
Puddu: questa è una dinamica sana.
Invece una lista di sindaci mi
sembra una follia, loro rappresentano
tutti i sardi».
Giuseppe Meloni
La
Nuova
Il
partito dei sindaci punta tutto su Zedda
In 130
firmano un documento manifesto, ma si punta a raccogliere altre adesioni
Chiedono
al primo cittadino di guidare una coalizione di
centrosinistra
allargata
CAGLIARI
Centotrenta sindaci sono tutti per
la candidatura presidenziale, alle
Regionali, di Massimo Zedda, che
come loro indossa la fascia
tricolore, a Cagliari. Gli hanno
scritto una lettera aperta da
"collega a collega" e che
comincia così: «Caro Massimo». Non si sa
ancora chi abbia firmato l'invito
ufficiale, i nomi sono stati
secretati per «questioni di
opportunità» - è stata la risposta data al
tentativo di scoprire la lista - ma
di certo 130 sono tanti. I Comuni,
in Sardegna, sono 377 e quindi è
come se oltre un terzo dei Municipi
si fosse schierato. È una novità
assoluta, il blocco unico: potrebbe
addirittura stravolgere le delicate
trattative pre elettorali fra i
partiti e soprattutto nel
centrosinistra.
Al di là di quanto potrebbe
accadere nei prossimi giorni,
l'altra mattina la lettera è stata
consegnata a Massimo Zedda. Però da
parte del prescelto pare non sia
arrivata per ora l'attesa risposta
ufficiale, questa: «Sono onorato,
accetto».Caro Massimo. Firmata dai
«Sindaci della Sardegna», testuale,
la lettera comincia come se fosse
indirizzata a un vecchio amico. Ecco
il testo: «Le consultazioni
regionali sono alle porte e il senso di
mobilitazione che avvertiamo e di
cui vogliamo farci interpreti, vuole
avere attraverso noi sindaci una
declinazione inedita, segnata
fortemente da chi vive il territorio
tutti i giorni, con le difficoltà
e le attese di tutti i giorni».
Poi, nel secondo capoverso, «Siamo
sindaci della Sardegna, sindaci come
te e come te ci riconosciamo in
quei valori sociali e politici che
hanno reso viva la migliore
tradizione di governo nella storia
della nostra autonomia». Quindi, in
estrema sintesi: è la gente a
chiederti di candidarti.Oltre gli
schemi. La lettera contiene diversi
passaggi politici e forse fra i
più incisivi c'è quello in cui la
matrice di essere 130 "sindaci del
centrosinistra" diventa palese.
«Oggi - scrivono - non basta più
parlare di vecchie appartenenze.
Abbiamo bisogno di guardare oltre:
avendo capito la lezione del 4
marzo, siamo tutti chiamati a costruire
un nuovo progetto per la Sardegna.
Oggi, in questa società globale che
cambia in fretta, non sopporta
appartenenze e non ammette differenze,
c'è bisogno di ribadire i valori che
sono il sale della democrazia, e
praticarli con umiltà e capacità di
dialogo». E ancora: «Oggi non
basta più nemmeno essere sindaci.
Che significa farsi carico dei
problemi, mettersi al servizio dei
cittadini per risolvere i loro
problemi.
Noi siamo le storie che viviamo, noi
siamo quel che
facciamo, ed è su quel che facciamo
che veniamo giudicati». In una
frase sola: siamo noi sindaci a
essere in prima fila.Scelto da noi. Ed
ecco l'appello: «La tua esperienza
amministrativa parla chiaro. È una
chiara esperienza di buongoverno, è
il caso unico nazionale di chi è
stato giudicato bene perché ha fatto
bene. Non c'è antagonismo che
tenga, se non dettato dal più bieco
disfattismo.
E la Sardegna oggi
non ha bisogno di disfattisti,
avventurieri e viceré: la Sardegna ha
bisogno di governanti coscienti del
proprio ruolo, capaci di guardare
avanti e di guardarsi intorno, in
Europa e in Italia, a partire da
noi, anche da noi, anche da qua, dai
territori della Sardegna». Cioè:
sei uno di noi.L'appello finale.
«Forti del tuo e del nostro impegno -
è scritto nell'ultimo capoverso
della lettera - vogliamo essere
insieme strumenti di un buon governo
per la nostra Isola, portatori di
buone pratiche e di esperienze
estendibili e replicabili, nel segno
del dialogo e della partecipazione,
della condivisione e
dell'inclusione, al di fuori delle
distinzioni storiche e geografiche
che sinora hanno diviso il centro
dalle periferie».
Poi un'altra farse
forte: «Noi siamo periferia che
vuole diventare centro, noi vogliamo
una Sardegna che continui sui passi
della crescita e dello sviluppo,
con un governo che senta forte il
sale della democrazia, che è il sale
del dialogo, dell'ascolto, della
partecipazione. Vogliamo una Sardegna
sarda e democratica, con un
governatore di provata capacità. Un
governatore scelto da noi, qui, in
Sardegna, non nei palazzi romani».
Manca solo un «a presto», perché da
oggi sono in 130 ad attendere una
risposta da Massimo Zedda. (ua)
Berlusconi
al vertice Fi: «Sarò in prima linea»
Il
Cavaliere conferma: in base agli accordi nazionali il candidato
spetta
alla Lega
Ma gli
azzurri presenteranno un loro nome come potenziale governatore
ROMA La carica arriva dal
presidente. È Silvio Berlusconi ad
accogliere il pattuglione di
esponenti sardi di Forza Italia in
trasferta a Roma. Al centro
dell'incontro la strategia per le
Regionali nell'isola. Al summit
doveva partecipare solo, si fa per
dire, Antonio Tajani. Ma quando
Berlusconi ha saputo che si parlava di
Sardegna ha scelto di partecipare
all'incontro. «L'isola è sempre nel
mio cuore e per me è fondamentale
essere in prima fila», ha detto agli
azzurri. Berlusconi ha anche
assicurato la sua presenza in Sardegna
durante la campagna elettorale per
le Regionali.
Tanta carica, ma
anche la conferma da parte del
Cavaliere che sulla base del maxi
risiko nazionale la Sardegna
spetterebbe alla Lega. E in qualche modo
ha dato ossigeno a una possibile
candidatura di Christian Solinas.
Anche se ha ribadito che Fi debba
esprimere un proprio candidato
governatore. I giochi sono ancora
aperti. Chi c'era. Al vertice hanno
partecipato i parlamentari sardi: Ugo
Cappellacci, Pietro Pittalis,
Emilio Floris. Con loro
l'europarlamentare Salvatore Cicu. Nella
pattuglia tutti i consiglieri
regionali, tranne Edoardo Tocco, assente
per impegni personali.
Con loro anche il sindaco di Olbia
Settimo
Nizzi.Il candidato. Nell'incontro
non si è parlato in modo preciso di
nomi, o di una rosa. Il cavaliere ha
cercato di responsabilizzare al
massimo i vertici locali di Forza
Italia, in pratica ha detto loro di
cercare un accordo sui nomi e di
tornare con un'indicazione condivisa.
Ma i tempi sono strettissimi. Le
coalizioni sembrano già esprimere i
loro candidati e gli alleati di
centrodestra hanno già presentato i
loro governatori. Resta da capire se
dovrà essere Forza Italia a
indicare il candidato.
Sembrerebbe dagli accordi su base
nazionale che
la Sardegna sia finita nelle mani
della Lega, ma sembra complicato per
i seguaci di Salvini trovare un nome
che riesca a catalizzare
l'attenzione popolare e che metta
d'accordo tutta la coalizione. Fi
cerca di fare leva proprio su questo
punto, ma dovrà mostrare un
candidato unitario di grande
richiamo. Il centrodestra sa che i
sondaggi danno la coalizione davanti
a tutti, ma la corsa è ancora
lunga.Suppletive.
Nel pacchetto delle trattative è
evidente che avrà
un peso anche il nome da scegliere
per rappresentare il centrodestra
alle elezioni suppletive per la
circoscrizione di Cagliari. Oggi la
giunta per le elezioni ha
formalizzato la rinuncia di Andrea Mura allo
scranno da deputato. E di fatto ha
fissato il voto nella stessa data
delle Regionali. Questo contribuisce
ancora di più a mettere insieme i
due aspetti. E nella scelta dei
candidati peserà la logica dei
contrappesi.Mani libere.
Berlusconi non ha messo vincoli
sulle
alleanze, né sui contenuti. Ha
cercato di responsabilizzare i vertici
azzurri, anche nel tentativo di
ricomporre le fratture all'interno del
partito. Nessuno lo dice in modo
chiaro, ma la spaccatura dentro Forza
Italia potrebbe portare alla guida
della coalizione un candidato della
Lega. E questo dovrebbe servire come
colla magica dei cocci azzurri.
(l.roj)
Prende
slancio l'ipotesi Pisano
Salgono
le quotazioni del magistrato bosano gradito al ministro Salvini
SASSARIPer la seconda volta
ribadisce di non avere ricevuto proposte
di candidatura da parte di alcuna
forza politica. Per la seconda volta
non dice che non accetterebbe e
ammette di sentirsi profondamente
lusingata da tanta attenzione da
parte della Sardegna, la sua terra,
nei suoi confronti. Ines Pisano,
magistrato di 48 anni, bosana
residente a Roma da molto tempo per
lavoro, in una lettera inviata
alla Nuova spiega come ci si sente a
ricoprire il ruolo di outsider in
vista delle elezioni regionali di
febbraio.
Il suo nome come candidato
governatore alla presidenza della
coalizione di centrodestra è stato
avanzato dalla Lega-Psd'Az (a cui
spetterà la scelta) con benedizione
del leader e ministro dell'Interno
Salvini. L'intesa non c'è, almeno
non per ora, anche perché la Pisano
non è sostenuta dall'area del
partito più vicina al senatore
Christian Solinas che in una intervista
alla Nuova Sardegna suggerì
ironicamente di "non sottrarre l'ottimo
magistrato dal nobile ruolo
ricoperto".
Lei, contattata non appena il
suo nome iniziò a circolare in
maniera più insistente, mise le mani
avanti. Spiegò di non avere avuto
contatti con alcuna forza politica e
precisò di non poter confessare
eventuali simpatie o vicinanze a
questa o quell'area: «Sono un
giudice terzo e imparziale. Non parlo
delle mie idee politiche, non
sarebbe eticamente corretto». Disse
invece di essere innamorata della
Sardegna e dei sardi, e di essere
pronta a fare qualunque cosa utile a
garantire maggiore benessere
all'isola e ai suoi abitanti.
Aggiunse anche di avvertire un forte
bisogno di cambiamento, la
sensazione di un malessere diffuso.
Concetti che ribadisce nella lettera
pubblicata qui a fianco, nella
quale sottolinea come l'attenzione
mostrata verso di lei, che non ha
mai fatto politica, sia la prova
della necessità da parte delle
persone di essere ascoltate da chi
ha dimostrato competenze nella vita
attiva lontana dalla politica e per
questo non le consideri
semplicemente elettori ed elettrici.
Se sarà Ines Pisano a instaurare
questo nuovo rapporto, è presto per
dirlo. Lei sta dietro una finestra
con le persiane aperte. (si. sa.)
7 miliardi
per la Fornero e 9 per il reddito e pensioni di cittadinanza
Ma per
tutto il giorno c'è stato il duello Di Maio-Salvini sulle risorse
Il Def
alle Camere. Ma restano tensioni
Cambia ancora la platea del reddito
di cittadinanza.
Il sostegno raggiungerà 5 milioni di
persone, secondo il presidente
del Consiglio Giuseppe Conte (un pò
meno dei 6,5 milioni annunciati da
Luigi Di Maio la scorsa settimana),
sarà elargito probabilmente su una
carta bancomat, per due anni e non
oltre le tre offerte di lavoro, e
contribuirà da una parte a
risollevare dalla povertà e dall'altra «ad
offrire un'opportunità di lavoro» a
chi non ce l'ha.
Per i furbi però
non ci saranno sconti: chi imbroglia
o lavora in nero, ha annunciato
il leader Cinquestelle, dovrà fare i
conti con il massimo della pena,
il carcere. Il reddito di
cittadinanza «non dà un solo euro a chi sta
sul divano», ha tenuto a ribadire
ancora una volta Di Maio: i
beneficiari «avranno tutta la
giornata impegnata per la formazione e
lavori di pubblica utilità e non
avranno il tempo di lavorare in
nero». Tanto più che «se imbrogliano
si beccano 6 anni di galera per
dichiarazioni non conformi alla
legge».
Una linea dura con cui il
vicepremier ha voluto mettere a
tacere le polemiche sollevate da chi,
come Silvio Berlusconi, finora ha
giudicato il reddito «disastroso e
ingiusto», una forma di sussidio
assistenziale che finirebbe per
favorire chi lavora nel sommerso o
chi a lavorare non ci pensa
affatto. A rinfoltire la schiera dei
dubbiosi ha contribuito del resto
ancora una volta Tito Boeri, e non
solo per il forte sbilanciamento
geografico della misura verso il
Sud.
«Non è trasferendo risorse da
chi lavora a chi non lavora che si
sostiene la crescita», ha
sottolineato il presidente dell'Inps
non nuovo a battibecchi, se non a
veri e propri scontri, con il
governo. «La crescita si sostiene con più
lavoro e più alta produttività»,
quindi ad esempio «alleggerendo gli
oneri su chi lavora».
Allo stesso modo «non è aumentando
la spesa
pensionistica che si può far crescere
l'economia del nostro Paese, -
ha insistito - è esattamente il
contrario». Il Movimento difende però
la sua creatura, ribadisce la
portata dei finanziamenti di fronte alla
cifre diverse fornite dalla Lega (9
miliardi a cui se ne aggiungerebbe
uno per il potenziamento dei centri
per l'impiego) e smentisce l'idea
di una misura «a tempo», da
sperimentare per un anno, in attesa di
trovare altre coperture. In più fa
trapelare il giudizio del ministro
per gli Affari europei tedesco
Michael Roth, «assolutamente a favore -
secondo il il presidente della
Commissione Politiche Ue della Camera
Sergio Battelli - di una manovra
espansiva come il reddito di
cittadinanza».
Giudizio, questo, che però lo stesso
ministro in serata
smentisce di aver pronunciato:
«Nell'incontro con i parlamentari
italiani non abbiamo parlato di
reddito di cittadinanza. Non mi voglio
immischiare in una discussione
politica interna»,
***
Alla fine di un'altra giornata di
tensioni e polemiche, il
Def è approdato nella tarda serata
di ieri alle Camere. Secondo
Palazzo Chigi vengono confermati
«gli obiettivi, i tempi di attuazione
delle riforme e le cifre».Secondo le
prime informazioni del Governo,
sono previsti 9 miliardi per il
reddito e le pensioni di cittadinanza
e 7 per la quota cento della riforma
della legge Fornero.
La presidenza
del Consiglio ha indicato le risorse
per le altre misure: centri per
impiego (1 miliardo), flat tax (2
miliardi), assunzioni straordinarie
per le forze dell'ordine (1
miliardo), truffati per le banche (1,5
miliardi). La manovra garantirà la
«stabilità complessiva del
sistema», ha spiegato, in una
lettera alla Commissione europea, il
ministro Giovanni Tria, nel
tentativo di evitare una inedita
bocciatura, con procedura
d'infrazione e rischio di sanzioni, della
prima legge di bilancio del governo
M5s-Lega, e ha chiesto a Bruxelles
di tenere un «dialogo aperto e
costruttivo». Fonti Ue ribadiscono che
il giudizio verterà sul 2019: il
problema resta l'asticella del
deficit fissata al 2,4%. Ma il
ministro, che assicura di parlare a
nome di un governo «compatto e
fiducioso», spiega che la manovra si
baserà su una «strategia di
crescita» che porterà il Pil all'1,5% nel
2019, all'1,6% nel 2020 e all'1,4%
nel 2021.
A testimoniare le
difficoltà dell'esecutivo, c'è però
il ritardo con cui il Def è
arrivato alle Camere, accompagnato
da una guerra di cifre tra M5s e
Lega, in una continua rincorsa di
numeri e smentite. Tanto che nei
corridoi delle Camere si rincorrono
le suggestioni di parlamentari di
maggioranza e opposizione
preoccupati che il deflagrare dello scontro
possa portare a realizzare
l'auspicio di Silvio Berlusconi: «La fine
prossima del governo e il voto». Ci
prova Giuseppe Conte a dare
un'immagine di solidità: «Avanti con
il coraggio di sostenere le
proprie azioni, il cambiamento non
va temuto», dichiara da Assisi
ispirandosi a San Francesco.
Il premier difende «l'equità»
portata da
una manovra che garantirà «il
reddito di cittadinanza a 5 milioni» di
poveri e invita anche le
«istituzioni europee a essere più populiste»
per colmare «la frattura» che si è
creata con i cittadini. L'idea che
alla base della manovra del governo
ci saranno le «reali esigenze dei
cittadini e delle imprese, tenendo
conto del ruolo delle Istituzioni»,
viene ribadita anche da Tria nella
lettera all'Ue.Il ministro, che una
settimana fa sembrava a un passo
dalle dimissioni in dissenso sul Def
(Di Maio nega però ancora l'idea di
un rimpasto), si prepara alla
trattativa con Bruxelles correggendo
le parole bellicose dei suoi
vicepremier e spiegando che «non ci
si può offendere» se la
commissione chiede di rispettare le
regole.
Poi nella sua lettera
all'Ue sostiene che il deficit sarà
sì al 2,4% nel 2019 ma scenderà al
2,1% nel 2020 per chiudere all'1,8%
del 2021. Se si combinano questi
dati con la crescita stimata del
Pil, il governo assicura la discesa
del debito, sostenuta soprattutto da
«maggiori risorse per gli
investimenti pubblici e privati». Ma
i timori per l'andamento dei
mercati e il giudizio, a fine mese,
delle agenzie di rating, non viene
celato, soprattutto tra i Cinque
stelle.Preoccupati anche dal fatto
che sulle misure - e le relative
risorse - prosegua il braccio di
ferro con la Lega, che non ha mai
nascosto le sue perplessità di
pensioni e reddito di cittadinanza
(«Creerà un buco nero nel
bilancio», attacca dal centrodestra
Berlusconi).
Così si è andati
avanti per tutta la giornata, con il
duello tra Di Maio e Salvini a
tirare ciascuno l'acqua al proprio
mulino.Fino alla tarda serata,
quando il Def è finalmente giunto
alla Camere. Ma qualcuno scommette
che da oggi le polemiche
ricomiceranno.
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Federico
Marini
skype:
federico1970ca
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