venerdì 5 ottobre 2018

Rassegna stampa 05 Ottobre 2018


La Nuova Sardegna

Indipendentisti. Autodeterminatzione punta su Murgia.

Il polo indipendentista di Autodeterminatzione correrà da solo alle Regionali e ha deciso subito quale sarà il suo candidato presidente. All'unanimità l'assemblea delle sette sigle (Rossomori, Sardegna possibile, Liberu, Sardinia Natzione, Irs, Radicali sardos e Gentes) ha designato Andrea Murgia. Nato a Seulo, classe 1971, è un economista e da tempo lavora a Bruxelles come funzionario della Commissione europea.

Dopo aver militato a lungo nel Pd, cinque anni fa si candidò come indipendente alle primarie del centrosinistra per la scelta del candidato presidente, ed essere stato considerato vicino all'eurodeputato Renato Soru, Murgia quest'estate ha aderito ad Autodeterminatzione.

Qualche giorno fa s'era capito che sarebbe stato lui la prima scelta della coalizione indipendentista: su Facebook aveva cambiato la foto del profilo col simbolo del movimento. Il resto è storia fresca, con la designazione ufficiale da parte del coordinamento. Tra l'altro dopo essere uscita malconcia dalle ultime,elezioni politiche e dopo l'addio dell'ex coordinatore Anthony Muroni, Autodeterminatzione ha già centrato un primo obiettivo: sarà il quarto polo in campo, quello indipendentista, alle Regionali.


Unione Sarda

Zedda pronto a sciogliere la riserva

Massimo Zedda sembra sempre più tentato dall'idea di accettare la
sfida di una candidatura alla presidenza della Regione. Mancano ancora
alcuni passaggi che il sindaco di Cagliari reputerebbe fondamentali
per sciogliere definitivamente le riserve. Per questo motivo le
diplomazie si muovono con i piedi di piombo, perché il meccanismo che
dovrà condurre al “sì” è molto delicato.

'imperativo è che nessun partito metta il cappello sull'investitura
che deve avere una radice diversa, rispetto alla consuetudine. Non a
caso già da diversi giorni sono i sindaci (ancora non usciti allo
scoperto anche se si parla di 130 sostenitori) ad assumere il ruolo di
motore di tutta l'operazione che deve avere una forte connotazione
civica. I partiti stanno un passo indietro e, di fatto, dovranno
sostenere un progetto già delineato.

CANDIDATURA Sarà Andrea Murgia il candidato degli indipendentisti di
Autodeterminatzione, scelto all'unanimità da tutte le otto sigle che
ne fanno parte. Murgia nel 2013 aveva partecipato alle primarie del
centrosinistra come indipendente. Ieri sera c'è stata una riunione in
cui si è discusso anche della strategia da adottare in vista delle
elezioni. Ancora non è stato deciso se presentarsi con un solo simbolo
oppure come coalizione.

La differenza sta nel dover superare nel primo caso il 5% di soglia di
sbarramento, nel secondo il 10%. Si tratta di una scelta ancora da
valutare in attesa di avere più chiari gli scenari. (m. s.)

POLITICA.
Solinas è il candidato? Da Berlusconi primo sì all'ipotesi Lega-Psd'Az
La rivolta delle donne: sempre uomini quelli che decidono

C'era Berlusconi al vertice romano di Forza Italia convocato da Tajani
coi parlamentari e consiglieri regionali sardi. Dal tavolo è emerso
che sarà la Lega a esprimere il candidato presidente del centrodestra
in Sardegna. Si rafforza, dunque, il nome di Christian Solinas, anche
se resta in piedi l'opzione Angelo Binaghi. Per Berlusconi la campagna
deve puntare su zona franca e continuità territoriale. Intanto
nell'Isola è battaglia delle donne: «Siamo emarginate».

CENTRODESTRA. Berlusconi conferma: l'ultima parola spetta al Carroccio
Il candidato sarà leghista Solinas in pole position

Al vertice romano con i parlamentari e i consiglieri regionali sardi
c'era anche Silvio Berlusconi. E in Forza Italia il malumore si è
trasformato in euforia, rimasta tale anche quando il Cavaliere ha
confermato l'esistenza di un'opzione della Lega sulla scelta del
candidato governatore per le Regionali di febbraio.

LA FORMULA Ma Berlusconi - impegnato nelle trattative con Matteo
Salvini e Giorgia Meloni sul fronte della scelta degli aspiranti
presidenti per le elezioni nell'Isola, in Abruzzo, in Basilicata e in
Piemonte - ha indorato la pillola: il nome sarà fatto dal Carroccio,
però dovrà passare il vaglio del resto della coalizione, quindi gli
azzurri resteranno in partita nella misura in cui saranno in grado di
esprimere nomi di spessore.

A questo livello delle interlocuzioni, è evidente che il senatore e
segretario del Psd'Az, Christian Solinas, fortissimo dell'accordo con
la Lega, si trova più che mai in pole position. Una conferma potrebbe
arrivare già nei prossimi giorni, magari in occasione del vertice
della coalizione che il coordinatore Eugenio Zoffili ha convocato per
il 15 mattina a Cagliari, nella sede di Fratelli d'Italia.

Resta anche in piedi l'ipotesi di una corsa del presidente della
Federtennis, il cagliaritano Angelo Binaghi, che dalla sua ha l'ottimo
rapporto che lo lega al sottosegretario alla presidenza del Consiglio,
Giancarlo Giorgetti. Esce dal totonomi, invece, quello di Ines Pisano,
magistrata e consigliera del Tar Lazio: «Il ruolo istituzionale che
ricopro mi impone di precisare che non mi risulta essere un possibile
candidato di alcun partito politico», scrive in una nota, «svolgo la
mia attività da magistrato con soddisfazione ma, innegabilmente, non
ho alcuna esperienza “politica”, se intesa nella sua accezione
tradizionale».

LE SUPPLETIVE Se la Lega ha messo la sua ipoteca sulle regionali,
Forza Italia potrà rivendicare la sua nella scelta del nome che
correrà per conquistare il collegio di Cagliari. Ieri mattina si è
riunita la Giunta delle elezioni di Montecitorio che ha preso atto
delle dimissioni del velista Andrea Mura votate dall'Aula. Ora la
palla passa al presidente della Camera, Roberto Fico, che dovrà
trasmettere tutto al ministero dell'Interno dando comunicazione che un
collegio è rimasto vacante.

A quel punto sarà il Viminale a mettere in moto tutta la procedura,
compresa la decisione sulla data delle suppletive. Non un dato
secondario: il centrodestra, e Forza Italia in particolare,
preferirebbero la concomitanza con le elezioni di febbraio, il 17 o il
24, oppure una data successiva. In questo caso, soprattutto per il
numero di consensi di cui gode nell'area metropolitana di Cagliari, la
candidata ideale potrebbe essere la capogruppo di Forza Italia in
Consiglio regionale, Alessandra Zedda.

Le suppletive sono state oggetto della discussione anche ieri sera, al
tavolo convocato dal vicepresidente di FI Antonio Tajani. E anche su
questo fronte Berlusconi ha chiesto la massima coesione in vista del
miglior risultato possibile. Per la verità il Cavaliere ha invitato
gli esponenti sardi all'unità su tutti i temi, e a confrontarsi di
continuo. «Ha anche dato suggerimenti sui punti cardine che dovranno
caratterizzare il programma di Forza Italia per le regionali - ha
spiegato il coordinatore regionale Ugo Cappellacci - insistendo in
particolare sulla continuità territoriale e sulla zona franca,
dimostrando di stare sul pezzo».

LA CAMPAGNA ELETTORALE Riunione molto positiva - ha commentato il
deputato Pietro Pittalis - e il presidente ha confermato che si
spenderà in prima persona in campagna elettorale». Anzi, non è esclusa
una sua visita in Sardegna. «Ho trovato un presidente in grande forma
- ha detto Alessandra Zedda - affettuoso e disponibile a lavorare con
entusiasmo per le prossime sfide elettorali, a partire dalle
Regionali». Nella riunione, durata due ore, si è parlato infine della
riorganizzazione del partito a livello regionale: la fase congressuale
partirà a gennaio.
Roberto Murgia

Congiu (Pds): si può intervenire sullo sbarramento
Scontro sulla legge elettorale Puddu (5S): ora non si cambi più

La legge elettorale non si tocca. Qualcuno vorrebbe un'aggiustatina,
senza causare l'accusa di golpe istituzionale, ma a ridurre
drasticamente le possibilità è il presidente del Consiglio regionale,
Gianfranco Ganau: «Non ci sono più i tempi tecnici e una variazione
della legge non è possibile».

L'ipotesi di un blitz sul testo ha
scatenato la protesta del candidato governatore del Movimento 5
Stelle, Mario Puddu, che ha annunciato «battaglia su questo inciucio».
SENZA ACCORDO Il problema alla base, però, è che non c'è accordo sugli
eventuali aspetti della legge da modificare. In ballo ci sono tre
aspetti: le soglie di sbarramento, l'ingresso in Consiglio regionale
dei candidati presidenti e il quoziente interno alla coalizioni.
Realizzare il triplete non è possibile perché non esiste un accordo
totale. Ganau ripercorre i passaggi ricordando che «nella bozza era
prevista l'elezione del terzo candidato presidente se lui, e non la
coalizione, avesse superato il 10%».

LE SOGLIE Il capogruppo del Partito dei sardi, Gianfranco Congiu,
sottolinea che per una vera riforma «i tempi non ci sono», ma volendo
intervenire su qualche minuzia «uno sforzo si potrebbe fare come ad
esempio le soglie di sbarramento». Congiu fu uno di quelli che fece
saltare il banco tra i capigruppo perché non accettò l'idea di dare il
via libera anche al terzo presidente non eletto perché «sembrava
un'apertura troppo indirizzata».

Quindi difficilmente il pacchetto
completo potrebbe arrivare al traguardo. Questo nonostante «la legge
non sia degna di questo nome», dice Congiu, «ma per cambiarla
radicalmente se ne sarebbe dovuto parlare nel 2014, non ora».
LA PROTESTA Il consigliere dei Rossomori, Emilio Usula, ha cercato di
coinvolgere i colleghi dei piccoli partiti per riprendere in mano il
testo: «La legge va cambiata, è un'assurdità tenere queste soglie di
sbarramento e non consentire ai candidati presidente che superano il 5
per cento di entrare in Consiglio».

L'ATTACCO Puddu lancia un avviso a chiunque intenda modificare il
testo: «A quattro mesi dalle elezioni, la legge elettorale non si
cambia». Puddu accusa il Consiglio regionale di non aver fatto le
modifiche nonostante abbia avuto tutta la legislatura a disposizione.
«Centrosinistra e centrodestra si rendono conto che, per effetto di
una legge che noi cambieremo quando saremo al governo della Regione,
uno tra i candidati alla presidenza espressi dal centrodestra e dal
centrosinistra resterà fuori dal Consiglio».
Matteo Sau

Elezioni regionali e scelte del governo: parla l'ex leader referendario
Segni: «Temo per l'Isola La lista dei sindaci? Follia»

Mario Segni, lei è considerato il padre della Seconda Repubblica: le
piace la Terza?
«Le dirò: siamo alla vigilia di elezioni importanti per la Sardegna,
ma da italiano e da sardo sono angosciato per quello che una classe
politica irresponsabile sta preparando per l'Italia».

Sta parlando della manovra?
«Naturalmente. I soli annunci ci hanno già fatto perdere miliardi di
interessi. E questi festeggiano dal balcone di Palazzo Chigi, uno
spettacolo indegno. Temo come sardo perché un'eventuale crisi generale
colpirebbe soprattutto i più deboli. Mi chiedeva il giudizio sulla
Terza Repubblica? Eccolo».

Ma col deficit il governo intende finanziare interventi per far
ripartire l'economia.
«Non mi convince, questa manovra non premia gli investimenti. Dà una
mano ai più poveri, e va bene: una misura che faccia uscire una quota
di popolazione dalla povertà è opportuna. Ma devi potertelo
permettere. E comunque questo non rilancia l'economia, come si è visto
con gli 80 euro di Renzi».

Anche altri governi hanno utilizzato il deficit. Perché adesso
dovrebbe essere peggio?
«Infatti il problema è antico. Nel frattempo il debito pubblico è
sempre cresciuto. Insistere ora è insensato come lo sarebbe, per una
famiglia piena di debiti, comprarsi la Ferrari. Purtroppo anche
Salvini si è allineato a questa follia».

Pensava che la Lega fosse un baluardo di concretezza?
«Sinceramente sulla parte economica speravo che frenasse certe
tendenze dei 5Stelle. Considero assurdo l'antieuropeismo di Salvini,
ma apprezzo l'idea di partire da una ragionata riduzione fiscale per
rilanciare l'economia. Purtroppo però da 15 giorni anche lui
preferisce fare promesse a tutti e cercare consenso facile».

Perché pensa già alle Europee?
«Quella è l'occasione attuale, ma continueranno anche dopo. Non mi
faccio illusioni».

Questo governo durerà a lungo?
«Mi auguro di no, ma li tiene insieme un collante fortissimo: il
potere. Il M5S sta attuando una lottizzazione feroce, peggio della
Dc».

Si riferisce alla Rai?
«La Rai, le minacce ai tecnici del Tesoro... dietro il buonismo
dell'uno vale uno si cela l'intolleranza per chi non la pensa come
loro».

Ma il M5S nasce proprio come risposta all'immoralità della politica.
«Anche nel Manifesto di Marx c'è un profondo afflato umanitario, poi
il comunismo reale è stato ben altro. Il guaio è quando si perde la
ragione per voler centrare i propri obiettivi a tutti i costi».
Le scelte del governo sull'immigrazione, invece, come le valuta?
«Non apprezzo i toni e i modi di Salvini, ma devo dire che sul tema
bisognava prendere delle decisioni forti. Salvini ha fatto qualcosa di
brutto e inevitabile».

Non pensa che l'Europa abbia lasciato sola l'Italia su quel fronte?
«Non c'è dubbio. Ha peccato di egoismo. L'Europa è un bellissimo
ideale, ma non ogni cosa che fa è necessariamente corretta».
Crede ancora in quell'ideale?
«Certamente. Il rapporto con l'Europa è il vero crinale su cui si
deciderà il nostro futuro. Fuori dall'Europa, l'Italia sarebbe una
zattera alla deriva senza nocchiero».

Regionali sarde: saranno in campo 4 o 5 poli, al padre del bipolarismo
italiano sembrerà assurdo.
«Sarebbe opportuna una semplificazione, ma per fortuna è rimasto in
piedi almeno uno dei nostri traguardi: l'elezione diretta del
presidente della Regione».

Basta a tranquillizzarci?
«Si figuri se non ci fosse neppure quella. Nella sera delle elezioni
avremo già il presidente dei sardi, e chiunque sarà dovrà occuparsi
subito di poche cose ma chiare».

Quali? L'insularità? Lei ci lavorò da europarlamentare.
«Mi ha tolto le parole di bocca: è una battaglia cruciale. E poi
l'istruzione; l'arrivo della banda larga; la valorizzazione di alcune
eccellenze sarde. Anche nelle nostre due università. In generale,
vorrei un presidente che si occupasse di pochi grandi temi e che
tenesse conto dei due grandi difetti dei sardi».

Quali sarebbero?
«Il grande pessimismo e la tendenza a dare ad altri le colpe dei
propri guai. Vorrei un presidente che convincesse i sardi del fatto
che, se ci si rimboccano le maniche, si possono fare grandi cose».
Preferirebbe che fosse un presidente di centrodestra?
«Sì. Mi sembra, anche in campo nazionale, l'unica alternativa allo
sconquasso. E da quando c'è l'elezione diretta del presidente abbiamo
sempre avuto un'alternanza: la trovo una cosa positiva».

Però ha comportato a volte troppa discontinuità amministrativa, si
riparte sempre da zero.
«Non si può avere tutto».

Ha un nome da suggerire al centrodestra?
«No, me ne guardo bene».

L'alleanza locale con la Lega, che al governo sta col M5S, non la disturba?
«Dopo la Dc sognavo una destra liberale, europea, che non si è
realizzata. La destra di Salvini è ben diversa. Ma se, dopo
l'esperienza coi 5Stelle, governasse con una coalizione di
centrodestra, credo che vedremmo cose migliori».

L'allarme sui rischi di autoritarismo o neofascismo è fuori luogo?
«Autoritarismo e neofascismo possono arrivare se precipita la
situazione economica. Se il Paese riprende a crescere, non vedo grandi
problemi istituzionali».

Nell'Isola tutti corteggiano i sindaci. Anche il suo progetto di
riforma voleva responsabilizzare gli amministratori locali.
«È vero, e la riforma sull'elezione dei sindaci credo sia una delle
cose che ha funzionato meglio. Ora è frequente che una carriera
politica parta dai territori, come accade negli Stati Uniti».

Quindi le farebbe piacere una lista di sindaci?
«No. Un conto è candidare sindaci come Massimo Zedda, o ex come Mario
Puddu: questa è una dinamica sana. Invece una lista di sindaci mi
sembra una follia, loro rappresentano tutti i sardi».
Giuseppe Meloni

La Nuova

Il partito dei sindaci punta tutto su Zedda
In 130 firmano un documento manifesto, ma si punta a raccogliere altre adesioni
Chiedono al primo cittadino di guidare una coalizione di
centrosinistra allargata

CAGLIARI
Centotrenta sindaci sono tutti per la candidatura presidenziale, alle
Regionali, di Massimo Zedda, che come loro indossa la fascia
tricolore, a Cagliari. Gli hanno scritto una lettera aperta da
"collega a collega" e che comincia così: «Caro Massimo». Non si sa
ancora chi abbia firmato l'invito ufficiale, i nomi sono stati
secretati per «questioni di opportunità» - è stata la risposta data al
tentativo di scoprire la lista - ma di certo 130 sono tanti. I Comuni,
in Sardegna, sono 377 e quindi è come se oltre un terzo dei Municipi
si fosse schierato. È una novità assoluta, il blocco unico: potrebbe
addirittura stravolgere le delicate trattative pre elettorali fra i
partiti e soprattutto nel centrosinistra.

Al di là di quanto potrebbe
accadere nei prossimi giorni, l'altra mattina la lettera è stata
consegnata a Massimo Zedda. Però da parte del prescelto pare non sia
arrivata per ora l'attesa risposta ufficiale, questa: «Sono onorato,
accetto».Caro Massimo. Firmata dai «Sindaci della Sardegna», testuale,
la lettera comincia come se fosse indirizzata a un vecchio amico. Ecco
il testo: «Le consultazioni regionali sono alle porte e il senso di
mobilitazione che avvertiamo e di cui vogliamo farci interpreti, vuole
avere attraverso noi sindaci una declinazione inedita, segnata
fortemente da chi vive il territorio tutti i giorni, con le difficoltà
e le attese di tutti i giorni».

Poi, nel secondo capoverso, «Siamo
sindaci della Sardegna, sindaci come te e come te ci riconosciamo in
quei valori sociali e politici che hanno reso viva la migliore
tradizione di governo nella storia della nostra autonomia». Quindi, in
estrema sintesi: è la gente a chiederti di candidarti.Oltre gli
schemi. La lettera contiene diversi passaggi politici e forse fra i
più incisivi c'è quello in cui la matrice di essere 130 "sindaci del
centrosinistra" diventa palese. «Oggi - scrivono - non basta più
parlare di vecchie appartenenze. Abbiamo bisogno di guardare oltre:
avendo capito la lezione del 4 marzo, siamo tutti chiamati a costruire
un nuovo progetto per la Sardegna.

Oggi, in questa società globale che
cambia in fretta, non sopporta appartenenze e non ammette differenze,
c'è bisogno di ribadire i valori che sono il sale della democrazia, e
praticarli con umiltà e capacità di dialogo». E ancora: «Oggi non
basta più nemmeno essere sindaci. Che significa farsi carico dei
problemi, mettersi al servizio dei cittadini per risolvere i loro
problemi.

Noi siamo le storie che viviamo, noi siamo quel che
facciamo, ed è su quel che facciamo che veniamo giudicati». In una
frase sola: siamo noi sindaci a essere in prima fila.Scelto da noi. Ed
ecco l'appello: «La tua esperienza amministrativa parla chiaro. È una
chiara esperienza di buongoverno, è il caso unico nazionale di chi è
stato giudicato bene perché ha fatto bene. Non c'è antagonismo che
tenga, se non dettato dal più bieco disfattismo.

E la Sardegna oggi
non ha bisogno di disfattisti, avventurieri e viceré: la Sardegna ha
bisogno di governanti coscienti del proprio ruolo, capaci di guardare
avanti e di guardarsi intorno, in Europa e in Italia, a partire da
noi, anche da noi, anche da qua, dai territori della Sardegna». Cioè:
sei uno di noi.L'appello finale. «Forti del tuo e del nostro impegno -
è scritto nell'ultimo capoverso della lettera - vogliamo essere
insieme strumenti di un buon governo per la nostra Isola, portatori di
buone pratiche e di esperienze estendibili e replicabili, nel segno
del dialogo e della partecipazione, della condivisione e
dell'inclusione, al di fuori delle distinzioni storiche e geografiche
che sinora hanno diviso il centro dalle periferie».

Poi un'altra farse
forte: «Noi siamo periferia che vuole diventare centro, noi vogliamo
una Sardegna che continui sui passi della crescita e dello sviluppo,
con un governo che senta forte il sale della democrazia, che è il sale
del dialogo, dell'ascolto, della partecipazione. Vogliamo una Sardegna
sarda e democratica, con un governatore di provata capacità. Un
governatore scelto da noi, qui, in Sardegna, non nei palazzi romani».
Manca solo un «a presto», perché da oggi sono in 130 ad attendere una
risposta da Massimo Zedda. (ua)

Berlusconi al vertice Fi: «Sarò in prima linea»
Il Cavaliere conferma: in base agli accordi nazionali il candidato
spetta alla Lega
Ma gli azzurri presenteranno un loro nome come potenziale governatore

ROMA La carica arriva dal presidente. È Silvio Berlusconi ad
accogliere il pattuglione di esponenti sardi di Forza Italia in
trasferta a Roma. Al centro dell'incontro la strategia per le
Regionali nell'isola. Al summit doveva partecipare solo, si fa per
dire, Antonio Tajani. Ma quando Berlusconi ha saputo che si parlava di
Sardegna ha scelto di partecipare all'incontro. «L'isola è sempre nel
mio cuore e per me è fondamentale essere in prima fila», ha detto agli
azzurri. Berlusconi ha anche assicurato la sua presenza in Sardegna
durante la campagna elettorale per le Regionali.

Tanta carica, ma
anche la conferma da parte del Cavaliere che sulla base del maxi
risiko nazionale la Sardegna spetterebbe alla Lega. E in qualche modo
ha dato ossigeno a una possibile candidatura di Christian Solinas.
Anche se ha ribadito che Fi debba esprimere un proprio candidato
governatore. I giochi sono ancora aperti. Chi c'era. Al vertice hanno
partecipato i parlamentari sardi: Ugo Cappellacci, Pietro Pittalis,
Emilio Floris. Con loro l'europarlamentare Salvatore Cicu. Nella
pattuglia tutti i consiglieri regionali, tranne Edoardo Tocco, assente
per impegni personali.

Con loro anche il sindaco di Olbia Settimo
Nizzi.Il candidato. Nell'incontro non si è parlato in modo preciso di
nomi, o di una rosa. Il cavaliere ha cercato di responsabilizzare al
massimo i vertici locali di Forza Italia, in pratica ha detto loro di
cercare un accordo sui nomi e di tornare con un'indicazione condivisa.
Ma i tempi sono strettissimi. Le coalizioni sembrano già esprimere i
loro candidati e gli alleati di centrodestra hanno già presentato i
loro governatori. Resta da capire se dovrà essere Forza Italia a
indicare il candidato.

Sembrerebbe dagli accordi su base nazionale che
la Sardegna sia finita nelle mani della Lega, ma sembra complicato per
i seguaci di Salvini trovare un nome che riesca a catalizzare
l'attenzione popolare e che metta d'accordo tutta la coalizione. Fi
cerca di fare leva proprio su questo punto, ma dovrà mostrare un
candidato unitario di grande richiamo. Il centrodestra sa che i
sondaggi danno la coalizione davanti a tutti, ma la corsa è ancora
lunga.Suppletive.

Nel pacchetto delle trattative è evidente che avrà
un peso anche il nome da scegliere per rappresentare il centrodestra
alle elezioni suppletive per la circoscrizione di Cagliari. Oggi la
giunta per le elezioni ha formalizzato la rinuncia di Andrea Mura allo
scranno da deputato. E di fatto ha fissato il voto nella stessa data
delle Regionali. Questo contribuisce ancora di più a mettere insieme i
due aspetti. E nella scelta dei candidati peserà la logica dei
contrappesi.Mani libere.

Berlusconi non ha messo vincoli sulle
alleanze, né sui contenuti. Ha cercato di responsabilizzare i vertici
azzurri, anche nel tentativo di ricomporre le fratture all'interno del
partito. Nessuno lo dice in modo chiaro, ma la spaccatura dentro Forza
Italia potrebbe portare alla guida della coalizione un candidato della
Lega. E questo dovrebbe servire come colla magica dei cocci azzurri.
(l.roj)


Prende slancio l'ipotesi Pisano
Salgono le quotazioni del magistrato bosano gradito al ministro Salvini

SASSARIPer la seconda volta ribadisce di non avere ricevuto proposte
di candidatura da parte di alcuna forza politica. Per la seconda volta
non dice che non accetterebbe e ammette di sentirsi profondamente
lusingata da tanta attenzione da parte della Sardegna, la sua terra,
nei suoi confronti. Ines Pisano, magistrato di 48 anni, bosana
residente a Roma da molto tempo per lavoro, in una lettera inviata
alla Nuova spiega come ci si sente a ricoprire il ruolo di outsider in
vista delle elezioni regionali di febbraio.

Il suo nome come candidato
governatore alla presidenza della coalizione di centrodestra è stato
avanzato dalla Lega-Psd'Az (a cui spetterà la scelta) con benedizione
del leader e ministro dell'Interno Salvini. L'intesa non c'è, almeno
non per ora, anche perché la Pisano non è sostenuta dall'area del
partito più vicina al senatore Christian Solinas che in una intervista
alla Nuova Sardegna suggerì ironicamente di "non sottrarre l'ottimo
magistrato dal nobile ruolo ricoperto".

Lei, contattata non appena il
suo nome iniziò a circolare in maniera più insistente, mise le mani
avanti. Spiegò di non avere avuto contatti con alcuna forza politica e
precisò di non poter confessare eventuali simpatie o vicinanze a
questa o quell'area: «Sono un giudice terzo e imparziale. Non parlo
delle mie idee politiche, non sarebbe eticamente corretto». Disse
invece di essere innamorata della Sardegna e dei sardi, e di essere
pronta a fare qualunque cosa utile a garantire maggiore benessere
all'isola e ai suoi abitanti. Aggiunse anche di avvertire un forte
bisogno di cambiamento, la sensazione di un malessere diffuso.

Concetti che ribadisce nella lettera pubblicata qui a fianco, nella
quale sottolinea come l'attenzione mostrata verso di lei, che non ha
mai fatto politica, sia la prova della necessità da parte delle
persone di essere ascoltate da chi ha dimostrato competenze nella vita
attiva lontana dalla politica e per questo non le consideri
semplicemente elettori ed elettrici. Se sarà Ines Pisano a instaurare
questo nuovo rapporto, è presto per dirlo. Lei sta dietro una finestra
con le persiane aperte. (si. sa.)

7 miliardi per la Fornero e 9 per il reddito e pensioni di cittadinanza
Ma per tutto il giorno c'è stato il duello Di Maio-Salvini sulle risorse
Il Def alle Camere. Ma restano tensioni

Cambia ancora la platea del reddito di cittadinanza.
Il sostegno raggiungerà 5 milioni di persone, secondo il presidente
del Consiglio Giuseppe Conte (un pò meno dei 6,5 milioni annunciati da
Luigi Di Maio la scorsa settimana), sarà elargito probabilmente su una
carta bancomat, per due anni e non oltre le tre offerte di lavoro, e
contribuirà da una parte a risollevare dalla povertà e dall'altra «ad
offrire un'opportunità di lavoro» a chi non ce l'ha.

Per i furbi però
non ci saranno sconti: chi imbroglia o lavora in nero, ha annunciato
il leader Cinquestelle, dovrà fare i conti con il massimo della pena,
il carcere. Il reddito di cittadinanza «non dà un solo euro a chi sta
sul divano», ha tenuto a ribadire ancora una volta Di Maio: i
beneficiari «avranno tutta la giornata impegnata per la formazione e
lavori di pubblica utilità e non avranno il tempo di lavorare in
nero». Tanto più che «se imbrogliano si beccano 6 anni di galera per
dichiarazioni non conformi alla legge».

Una linea dura con cui il
vicepremier ha voluto mettere a tacere le polemiche sollevate da chi,
come Silvio Berlusconi, finora ha giudicato il reddito «disastroso e
ingiusto», una forma di sussidio assistenziale che finirebbe per
favorire chi lavora nel sommerso o chi a lavorare non ci pensa
affatto. A rinfoltire la schiera dei dubbiosi ha contribuito del resto
ancora una volta Tito Boeri, e non solo per il forte sbilanciamento
geografico della misura verso il Sud.

«Non è trasferendo risorse da
chi lavora a chi non lavora che si sostiene la crescita», ha
sottolineato il presidente dell'Inps non nuovo a battibecchi, se non a
veri e propri scontri, con il governo. «La crescita si sostiene con più
lavoro e più alta produttività», quindi ad esempio «alleggerendo gli
oneri su chi lavora».

Allo stesso modo «non è aumentando la spesa
pensionistica che si può far crescere l'economia del nostro Paese, -
ha insistito - è esattamente il contrario». Il Movimento difende però
la sua creatura, ribadisce la portata dei finanziamenti di fronte alla
cifre diverse fornite dalla Lega (9 miliardi a cui se ne aggiungerebbe
uno per il potenziamento dei centri per l'impiego) e smentisce l'idea
di una misura «a tempo», da sperimentare per un anno, in attesa di
trovare altre coperture. In più fa trapelare il giudizio del ministro
per gli Affari europei tedesco Michael Roth, «assolutamente a favore -
secondo il il presidente della Commissione Politiche Ue della Camera
Sergio Battelli - di una manovra espansiva come il reddito di
cittadinanza».

Giudizio, questo, che però lo stesso ministro in serata
smentisce di aver pronunciato: «Nell'incontro con i parlamentari
italiani non abbiamo parlato di reddito di cittadinanza. Non mi voglio
immischiare in una discussione politica interna»,

***

Alla fine di un'altra giornata di tensioni e polemiche, il
Def è approdato nella tarda serata di ieri alle Camere. Secondo
Palazzo Chigi vengono confermati «gli obiettivi, i tempi di attuazione
delle riforme e le cifre».Secondo le prime informazioni del Governo,
sono previsti 9 miliardi per il reddito e le pensioni di cittadinanza
e 7 per la quota cento della riforma della legge Fornero.

La presidenza
del Consiglio ha indicato le risorse per le altre misure: centri per
impiego (1 miliardo), flat tax (2 miliardi), assunzioni straordinarie
per le forze dell'ordine (1 miliardo), truffati per le banche (1,5
miliardi). La manovra garantirà la «stabilità complessiva del
sistema», ha spiegato, in una lettera alla Commissione europea, il
ministro Giovanni Tria, nel tentativo di evitare una inedita
bocciatura, con procedura d'infrazione e rischio di sanzioni, della
prima legge di bilancio del governo M5s-Lega, e ha chiesto a Bruxelles
di tenere un «dialogo aperto e costruttivo». Fonti Ue ribadiscono che
il giudizio verterà sul 2019: il problema resta l'asticella del
deficit fissata al 2,4%. Ma il ministro, che assicura di parlare a
nome di un governo «compatto e fiducioso», spiega che la manovra si
baserà su una «strategia di crescita» che porterà il Pil all'1,5% nel
2019, all'1,6% nel 2020 e all'1,4% nel 2021.

A testimoniare le
difficoltà dell'esecutivo, c'è però il ritardo con cui il Def è
arrivato alle Camere, accompagnato da una guerra di cifre tra M5s e
Lega, in una continua rincorsa di numeri e smentite. Tanto che nei
corridoi delle Camere si rincorrono le suggestioni di parlamentari di
maggioranza e opposizione preoccupati che il deflagrare dello scontro
possa portare a realizzare l'auspicio di Silvio Berlusconi: «La fine
prossima del governo e il voto». Ci prova Giuseppe Conte a dare
un'immagine di solidità: «Avanti con il coraggio di sostenere le
proprie azioni, il cambiamento non va temuto», dichiara da Assisi
ispirandosi a San Francesco.

Il premier difende «l'equità» portata da
una manovra che garantirà «il reddito di cittadinanza a 5 milioni» di
poveri e invita anche le «istituzioni europee a essere più populiste»
per colmare «la frattura» che si è creata con i cittadini. L'idea che
alla base della manovra del governo ci saranno le «reali esigenze dei
cittadini e delle imprese, tenendo conto del ruolo delle Istituzioni»,
viene ribadita anche da Tria nella lettera all'Ue.Il ministro, che una
settimana fa sembrava a un passo dalle dimissioni in dissenso sul Def
(Di Maio nega però ancora l'idea di un rimpasto), si prepara alla
trattativa con Bruxelles correggendo le parole bellicose dei suoi
vicepremier e spiegando che «non ci si può offendere» se la
commissione chiede di rispettare le regole.

Poi nella sua lettera
all'Ue sostiene che il deficit sarà sì al 2,4% nel 2019 ma scenderà al
2,1% nel 2020 per chiudere all'1,8% del 2021. Se si combinano questi
dati con la crescita stimata del Pil, il governo assicura la discesa
del debito, sostenuta soprattutto da «maggiori risorse per gli
investimenti pubblici e privati». Ma i timori per l'andamento dei
mercati e il giudizio, a fine mese, delle agenzie di rating, non viene
celato, soprattutto tra i Cinque stelle.Preoccupati anche dal fatto
che sulle misure - e le relative risorse - prosegua il braccio di
ferro con la Lega, che non ha mai nascosto le sue perplessità di
pensioni e reddito di cittadinanza («Creerà un buco nero nel
bilancio», attacca dal centrodestra Berlusconi).

Così si è andati
avanti per tutta la giornata, con il duello tra Di Maio e Salvini a
tirare ciascuno l'acqua al proprio mulino.Fino alla tarda serata,
quando il Def è finalmente giunto alla Camere. Ma qualcuno scommette
che da oggi le polemiche ricomiceranno.

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Federico Marini
skype: federico1970ca



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