Sette anni fa, mi ricorda Facebook e per
questo mi piace, nello stesso giorno ero ricoverato in osservazione nel pronto
soccorso del Brotzu. Allora ci andai, accompagnato da Luca, per una brutta
caduta in kitesurf perché il gancio del trapezio aveva cercando di sfondarmi
costole e diaframma.
Questa volta ci sono entrato con l'ambulanza del 118 dopo
aver avuto un incidente in bici contro una macchina che, di nuovo, cercava di
sfondarmi le costole. Ma questo non è ne un post sulle mie disavventure
imbranate e tanto meno sul fatto che sia pericoloso andare in bici, questo
post è sulla nostra sanità e più in generale sul modo di affrontare le prove
che a volte ci mettiamo da soli.
Per la seconda volta, ho
ricevuto cure e attenzioni di prim'ordine, dal tanto vituperato Pronto Soccorso
dell'Ospedale Brotzu. Ho trovato personale
del 118, infermieri, capo infermiere, dottori e dottoresse che con scrupolo e
professionalità si sono presi cura di me, sempre con attenzione e con un
sorriso. Io, che lavoro, so bene come tutto questo non sia né scontato né
dovuto sopratutto quando lavori in condizioni critiche e con tutta quella
pressione addosso. A causa dei tagli alla sanità, delle mancate nuove
assunzioni e quindi del turn over bloccato, della mancanza di materiale e delle
scarse manutenzioni.
A tutto questo si aggiunga l'enorme mole di lavoro a causa della
chiusura degli ospedali periferici che portano tre quarti di Isola a confluire
nella stessa struttura. In queste condizioni tutto questo personale sanitario è talmente
abituato a lamentele, dolenze e spesso litigi che non può che essere,
giustamente prevenuto nei confronti del paziente. Quando invece che fare il dottore
devi far parte di una catena di montaggio è molto facile che, anche per difesa,
ti crei un distacco che non ti mette nelle condizioni di fare il tuo lavoro al
meglio.
Quindi puoi finire al Pronto Soccorso del Brotzu e metterti
in modalità "tutto mi è dovuto" e rischiare a volte di prendere pesci
in faccia, o mettere gli altri, con pazienza ed educazione, nelle condizioni di
fare al meglio il loro lavoro. Con un sorriso, nonostante il dolore, salutando
cortesemente quando entri e quando esci, chiedendo, nonostante tu sia pestato e
legato in una lettiga da due ore, come stanno o come va la giornata.
Se ci si pone nella
maniera giusta e si fa davvero il paziente educato e collaborativo si può
vivere una bella esperienza e uscire certo che ti sia stato fatto tutto quello
che si doveva fare nel migliore dei modi. Tra le due opzioni capirete che io preferisca scegliere la
seconda e cosi, in questo modo, ho trovato persone gentili e disponibili che si
sono fatte in quattro per curarmi e oltre alla loro professionalità mi hanno
sempre dato una parola gentile e un sorriso. Oltre un checkup
completo per i prossimi sette anni! Vivete in gentilezza, diffondete pazienza e
prendetevi sempre le vostre responsabilità, anche quando tutti potrebbero
essere convinti che non le abbiate. La vita vi restituirà tutto in fortuna, benessere e
felicita. Siamo quello che seminiamo.
Di
Alessandro Mura
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