venerdì 18 gennaio 2019

Pimpirias subra s’Iscola Qualche suggerimento per la campagna elettorale. Di Francesco Casula.



La Letteratura sarda Esiste e sempre è esistita una letteratura sarda che risulta autonoma, distinta e diversa dalle altre letterature. E dunque non una sezione di quella italiana: magari gerarchicamente inferiore. Nasce anche da qui l’esigenza di un’autonoma trattazione delle vicende letterarie sarde: ad iniziare da quelle scritte in lingua sarda. Da considerare non “dialettali” ma autonome, nazionali sarde, vale a dire. Dalle origini del volgare sardo fino a oggi, non vi è stato periodo nel quale la lingua sarda non abbia avuto una produzione letteraria.

Certo, qualcuno potrebbe obiettare, che essa, rispetto ad altre lingue romanze, ha prodotto pochi frutti: può darsi, ma – dato e non concesso – si poteva pensare che un cavallo per troppo tempo tenuto a freno, legato e imbrigliato potesse correre?

La lingua sarda, dopo essere stata lingua curiale e cancelleresca nei secoli XI e XII, lingua dei Condaghi e della Carta De Logu, con la perdita dell’indipendenza giudicale, viene infatti ridotta al rango di dialetto paesano, frammentata ed emarginata, cui si sovrapporranno prima i linguaggi italiani di Pisa e Genova e poi il catalano e il castigliano e infine di nuovo l’italiano.

Ma anche prescindendo dal codice linguistico usato – molti hanno scritto appunto in catalano, in castigliano e in Italiano – pare difficile non ritrovare in tale produzione letteraria, una specifica e particolare sensibilità locale, “una appartenenza totale alla cultura sarda, separata e distinta da quella italiana” diversa dunque e “irrimediabilmente altra” come scrive il critico sardo Giuseppe Marci: pur senza escludere tratti di assimilazione e di integrazione e pur in presenza di “imitatori” di movimenti e stili d’oltre tirreno e non solo. Pensiamo – per esempio – a due “grandi” del Primo Novecento: Sebastiano Satta e Grazia Deledda.

Il primo vanta robuste ascendenze carducciane e pascoliane; la seconda è copiosamente influenzata sia dal Verismo oltrechè dai romanzieri russi di fine ottocento: eppure ambedue sono soprattutto i cantori della “sardità” e pongono al centro della loro scrittura la Sardegna e i Sardi.

Ma anche quando la Sardegna non è “protagonista” – pensiamo a “Un anno sull’altipiano” e “Marcia su Roma e dintorni” – emerge comunque l’identità etno-nazionale sarda. Nel caso di Lussu, è evidente nella sua scrittura che, come ha sostenuto autorevolmente il linguista sardo Leonardo Sole, si incardina nella cultura orale e in particolare perfino nel ritmo narrativo della fiaba sarda: fortemente ritmizzata e caratterizzata da un giro di parole essenziale e rapido.

Riferendosi in modo particolare al romanzo sardo, Nereide Rudas, una degli intellettuali sardi più lucidi e colti scrive nel suggestivo e brillante saggio l’Isola dei coralli: ”il romanzo sardo pur collocandosi all’interno dell’universo linguistico e culturale italiano, se ne discosta per molti aspetti. Leggendo le opere di Grazia Deledda, di salvatore Satta, di Emilio Lussu e, a ben guardare anche di Antonio Gramsci, cogliamo subito una specificità e una diversità. Confrontate con le altre opere letterarie italiane esse ci appaiono in un certo senso omogenee fra loro e nel contempo “irrimediabilmente altre”.

Di Francesco Casula.

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