La
Nuova
Matteo
Renzi non arretra «Se il Pd perde non lascio» Il segretario del Partito
Democratico non intende dimettersi in caso di sconfitta. E la Bonino smentisce:
«Io premier per il centrodestra? È soltanto fantascienza» di Serenella Mattera
Questa volta Matteo Renzi non lega
il suo destino politico a una percentuale. «Non ci sarà nessun passo indietro»,
risponde all'ennesima domanda sugli scenari che si apriranno il 5 marzo. Usa una
forma impersonale, ma parla di se stesso: se lo spoglio certificherà una
sconfitta per il Pd, con percentuali ben al di sotto di quelle del 2013 di
Bersani, non farà come al referendum, non si dimetterà da segretario. «Ma il Pd
è già primo in un ramo del Parlamento», assicura nel corso di un comizio a
Brescia. Si riferisce al Senato e ai sondaggi che stimano i Dem più competitivi
presso un elettorato più adulto. Ma invita a non dare per persa la partita. Anzi.
«L'operazione primo posto è alla nostra portata», twitta.
Nel Pd e alla sua sinistra, sugli
scenari del «dopo» già si disegnano posizionamenti e strategie. Tanto che Emma
Bonino si affretta a smentire come «fantascienza» l'ipotesi che Berlusconi la
strappi al centrosinistra indicandola come premier. Nella partita tutta interna
al Pd, i renziani ricordano che il segretario è stato eletto lo scorso anno
dalle primarie e dovrà eventualmente essere sfiduciato da un congresso. Ma
aggiungono che molto dipenderà dalle percentuali e che Renzi non ha tutte le
carte in mano. La minoranza per ora non rompe, nelle dichiarazioni, il fronte
unitario della campagna elettorale. Ma Michele Emiliano, dopo avere a lungo
auspicato l'indicazione di Paolo Gentiloni come candidato premier, invoca una
«nuova fase» il 5 marzo.
E dall'area che fa capo ad Andrea
Orlando, senza negare che una sconfitta potrebbe aprire anche il dossier della
guida del partito, si punta l'attenzione sul tema del governo. Ci si fida poco,
infatti, dell'impegno di Renzi a non fare larghe intese con Berlusconi e la richiesta
è perciò quella di essere nella delegazione del Pd che andrà al Colle. Fin
d'ora il segnale che la minoranza non intende lasciare il «dopo» a Renzi.
Il segretario però, a caccia dei
tanti indecisi tra i moderati, sugli scenari del 5 marzo si limita a ripetere:
«Sarà il presidente della Repubblica ad affrontare il problema» di un eventuale
stallo «ma noi il governo con gli estremisti non lo facciamo, in Europa nessuno
lo capirebbe». E Walter Veltroni lo aiuta, tornando a frenare sulle larghe
intese: «No a governicchi», se nessuno ha la maggioranza serve «un accordo
sulle regole» per poi tornare a votare. «Adesso pensiamo a vincere», afferma
Dario Franceschini. E se Veltroni assicura che intende avere «un peso politico
senza perciò avere un ruolo», il ministro della Cultura nega l'idea di uno
sgambetto a Renzi: «Il segretario? L'ho già fatto».
Oggi, dopo un'iniziativa al Nazareno
sulla sicurezza e contro i «rischi di una deriva pistolera», Renzi parteciperà
a un evento a Roma con Gentiloni. Da lì partirà la volata finale: «La squadra è
il nostro leader», elenca Renzi, «il segretario del Pd sono io, il premier è
Gentiloni, il ministro dell'Economia è Pier Carlo Padoan. Questa è la serietà.
I nostri ministri sono lì, non nella fantapolitica» dei nomi per il governo di Di
Maio. «Se io fossi l'ad di un'azienda, porterei dei risultati economici
positivi: forse mi licenziereste come direttore marketing per come ho
comunicato...», scherza il leader Dem con gli imprenditori di Assolombarda. E
scommette che nei collegi gli elettori voteranno Pd: «Posso stare antipatico ma
chi fa vincere la destra come LeU non è di sinistra».
Cucca: no
all'incompetenza Il Pd unica scelta possibile
Il
segretario regionale dei Dem attacca Movimento 5 stelle e Centrodestra
«Per
governare un Paese serve serietà. Lega-Psd'Az, un'alleanza che rattrista»
di Silvia Sanna
SASSARI
Avanti con una voce sola, perché in
gioco c'è il futuro della Sardegna
e dell'Italia intera. «E non è
pensabile metterlo nelle mani degli
incompetenti o dei parolai». Avanti
uniti, dice il segretario
regionale del Pd Giuseppe Luigi
Cucca, candidato nel collegio
plurinominale per il Senato, «con la
forza dell'esperienza, la
concretezza delle idee e delle cose
fatte: sono questi gli elementi
che ci contraddistinguono e ci
rendono più credibili e affidabili».
Il segretario Pd ribadisce con
convinzione quanto detto
dall'europarlamentare Dem Renato
Soru la settimana scorsa a Iglesias:
in occasione di un incontro
elettorale, l'ex governatore regionale ed
ex segretario del Pd si era espresso
in maniera netta nei confronti
del Movimento 5 stelle e del
centrodestra, contestando da una parte
soprattutto l'incompetenza e
dall'altra la deriva xenofoba
rappresentata dalla Lega nord.
Segretario Cucca, Soru ha detto che
quello per il Pd è l'unico voto
possibile per evitare il pericolo
rappresentato da 5 Stelle e
centrodestra. Che ne pensa? «Impossibile
non essere d'accordo. L'incompetenza
dei grillini è assodata, voglio
ricordare solo uno degli episodi più
recenti, quando un candidato del
Movimento ha detto che nell'isola ci
sono 1300 Comuni. È pensabile
affidare la Sardegna a gente così? E
il problema non è solo la
geografia. C'è molto altro».Si
spieghi meglio.«Quella non è stata una
semplice svista. È in realtà la
conferma del fatto che non sanno
nulla, non hanno alcuna esperienza
di tipo amministrativo: una lacuna
gravissima nel momento in cui ti
candidi per governare un Paese. La
politica è una cosa seria perché
riguarda il destino degli italiani. E
non si può improvvisare: penso alla
Sardegna e ai tanti problemi da
affrontare».
La Lega di Salvini, alleata con il
Psd'Az, dice "prima i
sardi".«Lasciamo stare, ricordo
che gli slogan di Salvini prima erano
ben diversi, sulla Sardegna diceva
ben altro. E l'alleanza con i
sardisti è qualcosa che mi rattrista
profondamente e mi ha fatto
venire in mente un altro episodio,
la consegna della bandiera dei
Quattro Mori. Ai sardi voglio dire
che quella bandiera non è un pezzo
di stoffa ma un patrimonio di tutti.
Rappresenta la sardità che non
può essere svenduta».C'è chi dice
che i politici sono tutti uguali e
fanno promesse che non mantengono.
Che cosa risponde?«Purtroppo
l'antipolitica è un fenomeno
dilagante e preoccupante. Regna un
profondo clima di sfiducia, per
combatterlo è necessario recuperare
umiltà e pacatezza e non illudere la
gente con false promesse. Gli
altri fanno così, noi no».
Perché votare Pd?«Perché siamo
diversi,
siamo seri. Abbiamo dimostrato di
essere in grado di realizzare cose
importanti senza proclami
mirabolanti. La nostra forza è la pacatezza,
il senso della misura. È questo che
ci differenzia dal M5s e dal
centrodestra: il Partito Democratico
non fa promesse che sa di non
poter mantenere. I risultati
raggiunti sono sotto gli occhi di tutti.
Noi siamo pronti ad andare avanti
nella certezza di poter rispettare
gli impegni presi, perché sappiamo
che ci sono le condizioni e
soprattutto le giuste e
indispensabili coperture finanziarie».Che cosa
c'è in ballo il 4 marzo?«C'è il
futuro di un Paese. Una partita
cruciale in un momento storico nel
quale mi preoccupa moltissimo la
deriva antidemocratica. Con il voto
è possibile mettere un argine alle
insidie»
Mattarella
promette: «Starò con l'isola»
Il Capo
dello Stato si impegna: al vostro fianco nella battaglia con il Governo
L'emozione
del doppio inno, quello di Mameli e Procurade 'e moderare
di Umberto Aime
CAGLIARI
Parole, musica ed emozioni: almeno
qui la parità fra l'Italia e la
Sardegna c'è. Finalmente è stata
ottenuta, riconosciuta e persino
celebrata. Sul resto invece, si sa,
c'è e ci sarà ancora molto,
moltissimo, da fare e da lavorare.
Però ascoltare insieme, quasi uno
dopo l'altro, l'Inno di Mameli,
all'inizio, e «Procurade 'e moderare»
del poeta Francesco Ignazio Mannu
alla fine della festa solenne per i
settant'anni dello Statuto, è stato
un evento. Di quelli lieti,
consumato e applaudito, in Consiglio
regionale, alla presenza del Capo
dello Stato. E da Sergio Mattarella
l'inaspettata parità di note è
stata apprezzata con quel suo fare
sobrio, spesso impercettibile nei
gesti, ma sempre significativo. Quel
doppio Inno, uno ufficiale,
l'altro lo diventerà presto della
Sardegna, è stato vissuto come un
piacere diffuso, non solo romantico,
ma come qualcosa di più e in più
rispetto alle attese. Certo, non
basta e ci mancherebbe bastasse che
solo su alcune strofe, seppure
importanti, si tentasse di ricostruire
il nuovo, necessario, ponte ideale
con Roma e Bruxelles. Sarebbero
delle fondamenta troppo leggere, ma
può essere un buon secondo inizio,
dopo quello storico del 26 febbraio
1948, giorno, mese e anno del via
libera, in Parlamento, alla
Costituzione della Sardegna, lo Statuto
speciale.
Poi intravvedere il presidente della
Repubblica che, con un
inchino appena accennato ma
percepito, rende omaggio al canto
rivoluzionario contro la tirannia
dei baroni del Settecento, chissà se
molto diversa da quella di oggi, è
stato un altro riconoscimento
ufficiale alla storia, alla lingua e
alla specialità della Patria dei
Quattro Mori. Che non si distacca,
non taglia il cordone con la
capitale d'Italia, almeno per ora.
Anzi, per la seconda volta in pochi
mesi, la prima ad ottobre nell'aula
magna dell'università
cagliaritana, ha richiesto al Capo
dello Stato di «essere accompagnata
e sostenuta in Europa dal governo
italiano nella pretesa d'avere pari
opportunità con le altre regioni», comprese
quelle oltre il confine
nazionale delle Alpi.
«Siamo un territorio ultraperiferico
e la nostra
insularità è pesante, va azzerata e
risarcita», diranno i presidenti
del Consiglio, Gianfranco Ganau, e
della Regione Francesco Pigliaru.
Mattarella ha ascoltato, memorizzato
la rivendicazione, non le
lamentele, di una Terra che ha
voglia di rialzarsi. Allora, era il
'48, dalle macerie della Seconda
guerra mondiale, oggi dalla peggiore
crisi dal Dopoguerra. Con poi anche
un'altra metafora consegnata agli
ospiti: a cantare Fratelli d'Italia,
sono stati i bambini della scuola
elementare Puxeddu di Villasor,
diretti dal maestro Valter Agus.
Proprio l'interpretazione soave di
queste voci bianche da tutti stata
raccolta come un segno di speranza.
Un voler credere, grandi e
piccoli, che il futuro sarà migliore
e ci sono già i primi spiragli di
luce. Invece a intonare l'Inno sardo
è stato il coro «Nugoro Amada»
del maestro Gianni Garau.
È composto da voci potenti, che
hanno un
passato alle spalle e semmai vivono
un presente complicato ma anche
loro convinti, sono padri di
famiglia, escluso un ragazzo intorno ai
diciott'anni, nel credere e
nell'essere pronti a lottare per qualcosa
di migliore. Anche questo passaggio
generazionale fra i due inni, fra
i due cori è piaciuto al presidente
della Repubblica, faranno
trapelare dal suo entourage. In
Consiglio, come prevedeva il
cerimoniale, Mattarella non è
intervenuto e neanche ha commentato
quanto aveva appena sentito dire e
denunciare da Ganau e Pigliaru.
Anche se, in un o colloquio
personale sui titoli di coda della
cerimonia, con curiosità s'è
avvicinato al maestro del coro nuorese,
per avere la conferma di quanto
aveva immaginato: «Procurare 'e
moderare» è un canto rivoluzionario.
Di una rivoluzione pacifica ma
forte nei toni che Mattarella,
regionalista convinto, mai ha nascosto
di sostenere quando può servire
soprattutto a mettere fine alle
diseguaglianze fra le regioni del
Mezzogiorno e il resto d'Italia.
Forse neanche questa volta lo
avrebbe fatto di ascoltare e basta se
non ci fosse in corso una delle
campagne elettorali più delicate per
l'Italia. E infatti dovunque il
Presidente s'è mosso con molta
attenzione, anche quando - è stato
l'unico fuori programma - s'è
avvicinato alla gente abbastanza
numerosa che lo aspettava al di là
delle transenne di via Roma, davanti
al Consiglio, e poi all'ingresso
della mostra, molto suggestiva, in
cui sono raccontati i settant'anni
dell'Autonomia.
Anche se poi, a Villa Devoto, dopo
aver partecipato
alla cerimonia con cui la sala grande
è stata intitolata ad Emilio
Lussu, dirà qualcos'altro
d'importante. Al governatore questo: «La
vostra è una terra fantastica e
merita di più», mentre ad altri
rivelerà un desiderio: «Vorrei
visitare la Sardegna, tutta la
Sardegna». Finora c'è stato due
volte, sempre a Cagliari, con una
tappa anche a Ghilarza, nella casa
natale di Antonio Gramsci, ma fra
non molto potrebbe ritornare per una
visita ufficiale forse a Nuoro, o
perché no a Sassari, la città di due
suoi predecessori, Antonio Segni
e Francesco Cossiga. Non c'è per ora
una data neanche immaginata per
un suo terzo viaggio, ma ha preso
l'impegno e lo manterrà. Come con
Pigliaru s'è impegnato, rivelerà il
presidente della Regione, ad
«essere al fianco della Sardegna
nelle richieste che proporrete al
governo che ci sarà dopo il 4
marzo».
È quella una data spartiacque
per il Paese, lo sanno tutti,
soprattutto Mattarella, che sul dopo
elezioni non ha detto una parola.
Nemmeno nei brevi colloqui che, in
aula, ha avuto, con i parlamentari
uscenti, molti sono candidati,
insieme a diversi consiglieri
regionali, per cui ha scelto di tenere
tutto per sé, senza mai uscire dal
ruolo di primo garante della
Repubblica. Particolare fondamentale
e istituzionale però dimenticato
da deputati e senatori del Movimento
5 stelle, che hanno disertato in
massa la cerimonia senza poi far
sapere neanche il perché del loro
gran rifiuto.
Unione
Sarda
Renzi
avverte il Pd: se perdiamo resto il leader
Salvini:
«Ha capito anche lui che prenderà una batosta storica»
MILANO Un errore che non fa più è
annunciare che se perde va via.
Matteo Renzi ha ancora nitido il
ricordo di quando puntò tutto sul
referendum costituzionale e perse, e
a Sky Tg24 consegna un pronostico
e un'assicurazione. Vale a dire: «Il
Pd sarà primo partito e primo
gruppo parlamentare», ma se così non
fosse, se il partito andasse male
«sono pronto a parlare di programmi
ma non ci sarà alcun passo
indietro».
«STOP ESTREMISTI» È una battuta
secca, ma molto del dibattito politico
di ieri ruotava intorno a quelle
poche parole. È vero, Renzi ha
sparato a palle incatenate un po' su
tutti i suoi avversari, da
Berlusconi («Di innovativo ha
soltanto i capelli») a Di Maio («Noi,
centrosinistra di governo, ci
troviamo di fronte a due destre
estremiste e complementari, guidate
da irresponsabili che
strumentalizzano le paure delle
persone con proposte economiche
irrealizzabili o dannose»), passando
per l'abituale stoccata a D'Alema
(«Chi lo vota fa vincere la Lega nei
collegi. Chi mette croce sul
partito di D'Alema sostiene Salvini
e non l'Internazionale
socialista») e una al leader
leghista («Salvini estremista? È il
Matteo con la barba vero? Beh in
Europa sta con Le Pen»). Infine un
impegno per il futuro prossimo: «Il
problema di un governo ampio è la
presenza di Salvini? Il 5 marzo i
problemi della formazione saranno in
testa a Mattarella. Noi non faremo
il governo con gli estremisti».
«VENITE DA NOI» Ma se a Berlusconi -
a parte la battutaccia sulla
chioma - manda un garbato «in bocca
al lupo» per le elezioni, tanto
fair-play non è ricambiato.
Addirittura il leader di Forza Italia
prova a rubargli l'elettorato sotto
il naso: «Il Pd è rimasto una
scatola vuota, senza ideali, senza
valori, senza progetto politico. E
in più, si è anche diviso - scandiva
ieri Berlusconi a “Studio aperto”
- Non ha alcuna possibilità di
vincere e né di fare da argine ai
Cinque Stelle che sono davvero una
setta pericolosa, per questo mi
rivolgo a chi in passato ha votato
per il Pd: oggi l'unica possibilità
di una maggioranza in Parlamento è
il centrodestra, è Forza Italia».
DOPPIO FRONTE D'ATTACCO E se Salvini
lo sbeffeggia («Dice che se perde
non si ritira? Gli italiani sono
abituati alle sue bugie, ma anche lui
ha capito che il Pd domenica
prenderà una batosta storica»), l'ultimo
attacco gli arriva da sinistra:
«Renzi - dice Nicola Fratoianni di
Liberi e Uguali - ha fatto di più e
meglio di Berlusconi, giocando sul
suo stesso terreno. Berlusconi non è
riuscito a togliere l'articolo
18, la sua riforma della scuola è
arrivata fino a un certo punto. E
l'offensiva alla Costituzione non
era mai stata portata così avanti».
Unione
Sarda
Lite tra
Puddu (M5S) e il segretario Dem Cucca Stadio, polemica sullo spot Pd
Ha creato polemiche e qualche
imbarazzo la pubblicità elettorale del
Pd sul nuovo stadio di Cagliari.
«Grazie alla nuova legge sugli stadi
approvata dal Pd la Sardegna avrà
l'impianto che attende da molto
tempo», è scritto negli spot diffusi
in tutti i mezzi di
comunicazione.
Si tratta di una coniugazione locale
della strategia di comunicazione
nazionale del partito che punta
tutto sulle cose fatte.
I social si sono scatenati. Ad
inaugurare le critiche è Mario Puddu,
sindaco di Assemini coordinatore
della campagna elettorale del
Movimento Cinquestelle in Sardegna:
«Cosa penso del Pd (e del Pdl
pure) è risaputo», ha scritto sulla
sua pagina Facebook. «Ma con
questo spot il Pd sta oltrepassando
lo squallore. Vergognoso. Il
Cagliari è di tutti i suoi tifosi.
Il Cagliari è dei sardi. Non
azzardatevi a sporcare il suo nome e
la nostra bandiera rossoblù con
la politica», ha concluso Puddu.
Per il coordinatore regionale del Pd
Giuseppe Luigi Cucca «non c'è
alcun tentativo di appropriarsi del
Cagliari calcio. Il manifesto
elettorale del PD, sul tema dello
sport, racconta semplicemente una
delle tante cose fatte nella scorsa
legislatura. Nella querelle è
entrato anche il leader sardo di
Forza Italia. «Per colpa del Partito
Democratico lo stadio nuovo non c'è
ancora ed esistono solo le tribune
provvisorie come a Is Arenas», ha
commentato Ugo Cappellacci, secondo
cui «la prima delibera che dava il
via libera al nuovo impianto risale
alla mia Giunta regionale».
L'urlo
della Sardegna, il silenzio di Mattarella
Ma la
presenza del capo dello Stato stoppa gli attacchi allo Statuto
Meno male che i taciturni erano i
sardi: Sergio Mattarella allora
meriterebbe la cittadinanza
onoraria. Nella sua visita a Cagliari
osserva rigidamente la consegna del
silenzio, assistendo senza
intervenire alla seduta del
Consiglio regionale per i 70 anni dello
Statuto speciale. Ma la sua presenza,
benché avara di parole
ufficiali, nel codice delle
istituzioni assume un senso preciso.
Partecipare alle celebrazioni
dell'autonomia sarda, dopo averlo fatto
(sempre in silenzio) per quella
siciliana, serve a stoppare gli
attacchi alle regioni speciali, che
oggi molti vorrebbero cancellare.
E poi, per l'Isola, c'è la
rassicurazione che Mattarella spende nei
colloqui privati inseriti nella
visita. Specie con Francesco Pigliaru.
A pochi giorni da un voto che
potrebbe stravolgere gli assetti di
governo del Paese (e che è anche la
ragione vera del silenzio
ufficiale), il Quirinale promette di
garantire la continuità dei
ragionamenti avviati da tempo tra
Stato e Regione: dal riconoscimento
dell'insularità alla battaglia sugli
accantonamenti.
BLITZ Come durata, la visita di
Mattarella è tra le più fulminee della
storia. Due ore scarse tra
atterraggio a Elmas e ripartenza (entrambi
sotto gli occhi del prefetto di
Cagliari Tiziana Giovanna Costantino,
il direttore Enac Marco Di Giugno e
il presidente Sogaer Gabor Pinna),
con uno scarto di pochi minuti sulla
tabella di marcia per via della
neve a Roma.
Arrivato in Consiglio, il presidente
getta uno sguardo alla mostra
sullo Statuto e brinda con gli ex
presidenti, accompagnato - oltre che
da Pigliaru - dal presidente del
Consiglio Gianfranco Ganau e dal
sindaco di Cagliari Massimo Zedda.
Poi subito in aula dove lo
attendono anche vari parlamentari
(nessuno del M5S), gli eurodeputati
Salvatore Cicu e Renato Soru,
l'arcivescovo di Cagliari Arrigo Miglio,
il rettore Maria Del Zompo e un
bouquet assortito di notabili. Il
cerimoniale gli riserva uno scranno
di fronte ai banchi della Giunta,
con vista privilegiata su un antico
tappeto di Sarule (altri, di
Ulassai su disegni di Maria Lai e di
Samugheo, vengono disposti nelle
sale interne). L'onore di sedergli
accanto va alla deputata Caterina
Pes e al senatore Silvio Lai,
entrambi Pd.
I DISCORSI La protesta
indipendentista verso lo Stato si limita, in
aula, alla scelta di Augusto Cherchi
e Gianfranco Congiu (consiglieri
del Partito dei sardi) di non
alzarsi in piedi per l'inno di Mameli.
Per il resto, nessuno strappo al
programma: il microfono pronto sul
podio lascia pensare che Mattarella
possa alla fine decidere di
parlare, invece si limita ad
ascoltare i discorsi di Ganau e Pigliaru.
«Dobbiamo essere orgogliosi di
quanto fatto nei 70 anni di autonomia»,
dice il primo, «un periodo di
straordinario progresso.
La storia
sarda, pur con le sue peculiarità,
si intreccia inestricabilmente con
la storia d'Italia». Ma nel percorso
di crescita comune «la differenza
nord e sud non si è attenuata»,
anzi. Nel ripercorrere i punti chiave
dello Statuto, Ganau ricorda le
attuali carenze (dalla mobilità alla
scuola) che richiedono una
revisione. Ma anche i contenuti tuttora
validi: come l'articolo 13 sul piano
di Rinascita, che «non è un
residuato storico, ma è ancora
attuale».
L'INSULARITÀ Pigliaru ricalca in
parte i concetti già espressi a
Mattarella a ottobre a Ghilarza,
nella precedente visita: la Sardegna
ha avviato le riforme, è il senso
della riflessione, ma lo Stato deve
fare la sua parte per compiere
l'ultimo tratto. Anzitutto
sull'insularità, che «è la ragione
della nostra specialità», osserva
il governatore: «Un vero e proprio
costo di cittadinanza che noi
abbiamo calcolato». Facendo
riferimento al comitato Stato-Regione,
previsto da una norma inserita
nell'ultima legge di stabilità, che
deve istruire con l'Ue la pratica
per riconoscere l'insularità,
Pigliaru - ringraziando anche i
promotori del referendum sullo stesso
tema - chiede che il governo non si
rimangi la promessa di
accompagnare l'Isola in quel
percorso.
Nodi di cui i due presidenti hanno
parlato anche in privato, nei pochi
momenti concessi dal ritmo serrato
del blitz in terra sarda. «Il capo
dello Stato - rivela Pigliaru dopo
l'inaugurazione della sala Lussu a
Villa Devoto - ha assicurato il suo
impegno per il futuro, comunque
vadano le cose per il governo. C'è
l'impegno del presidente, e questa
per noi è una garanzia».
Giuseppe Meloni
Il
presidente si emoziona per il coro in limba contro i baroni feudali
La manina destra è immobile, ferma
sul cuore che batte all'impazzata.
L'altra, irrequieta, stropiccia il
lembo della maglietta bianca scelta
come divisa dalla scuola per dare il
benvenuto al presidente Sergio
Mattarella.
IN PIEDI PER L'INNO Un nonno un po'
taciturno per Giorgia, 7 anni, la
più piccola del coro dell'istituto
Puxeddu di Villasor che alle 11.04
di ieri mattina ha intonato l'inno
di Mameli. «Fratelli d'Italia,
l'Italia s'è desta dell'elmo di
Scipio s'è cinta la testa» ha
attaccato Giorgia insieme a tutti i
bambini che per giorni e giorni
hanno mandato a mente il testo,
ripetendolo allo sfinimento insieme a
Floriana Atzori e Walter Agus i due
insegnanti che hanno accompagnato
gli studenti in questo viaggio nella
celebrazione dei 70 anni della
Carta dell'autonomia sarda.
«Ai ragazzi più grandi abbiamo
spiegato e
insegnato anche lo Statuto» assicura
la professoressa che è impegnata
nell'amministrazione del paese
insieme al sindaco Massimo Pinna, ieri
in aula a mostrare tutto l'orgoglio
per i bambini canterini. Durante
l'inno, Mattarella «non ha sorriso
per niente e non ha messo neppure
la mano sul petto» assicurano
Giorgia e la sua compagna di classe
Giada, un fiocchetto rosa a tenere
fermo un ciuffo ribelle. È stata la
musica a dare ritmo alla cerimonia
di ieri. Sessanta minuti scarsi
durante i quali il presidente
Mattarella ha dischiuso le labbra solo
per salutare l'arcivescovo Arrigo
Miglio e il direttore del coro
Nugoro Amada di Nuoro che con “Su
patriotu sardu a sos feudatarios” ha
fatto calare il sipario sulla seduta
nell'aula del Consiglio
regionale.
LA STRETTA DI MANO Dalla stretta di
mano del Capo dello Stato sono
passati venti minuti buoni ma Gianni
Garau ancora non ci crede. Il
presidente silenzioso voleva sapere
di più di quel testo patriottico e
rivoluzionario e così, unico fuori
programma di un protocollo
rigidissimo, è andato a chiedere
informazioni al direttore venuto
dalla Barbagia e vestito con l'abito
tradizionale. «È stata
un'emozione grandissima, proprio non
me l'aspettavo. Quando ho visto
che si alzava per venirmi incontro,
mi stavo sistemando al centro del
coro per salutare, per fare
l'inchino tradizionale che si fa dopo il
concerto, lui si è alzato e non ci
credevamo. Non sapevo cosa fare».
Una stretta di mano decisa e qualche
parola bastano per la felicità.
Sorriso largo e occhi umidi dietro
gli occhiali.
«Mi ha chiesto
dell'autore, del periodo storico e
del significato del canto. Gli ho
risposto che è un canto
rivoluzionario scritto durante i moti di
Sardegna del 1794-1796 su una poesia
di Francesco Ignazio Mannu contro
i feudatari che arrivavano in epoca
sabauda dal Piemonte. Comunque è
stata davvero troppo bella la
stretta di mano, alla fine ha parlato
solo con noi».
GLI ASSENTI Eppure per la formazione
nuorese gli appuntamenti
ufficiali non sono una novità. «Ci
siamo esibiti davanti ad altri
presidenti all'estero ma mai in
Italia di fronte a un Capo dello
Stato. È stato bellissimo e di
un'emozione indescrivibile». Una prima
volta che difficilmente si ripeterà,
un'occasione mancata per chi ha
dovuto rinunciare. «Oggi ci siamo
esibiti solo in 27 perché è lunedì e
alcuni purtroppo erano impegnati con
il lavoro. Un vero peccato».
Mariella Careddu
Ma l'inno
nazionale divide: il Pds non si alza in piedi
La
protesta indipendentista: «Sull'attenti da secoli, mentre l'Italia
rimane
seduta»
«Lo Statuto è ancora un testo
fondamentale. Sta a noi renderlo
concreto ogni giorno, esercitare i
poteri dell'autonomia speciale con
intelligenza e far valere le nostre
specificità nei rapporti con lo
Stato e con l'Europa». Per il
sindaco di Cagliari, Massimo Zedda,
serve una nuova fase, eppure la
visita del presidente Mattarella
divide la politica sarda, in parte
delusa per il silenzio del Capo
dello Stato.
LA POLEMICA Botta e risposta tra il
Partito dei sardi e il capogruppo
del Pd in Consiglio regionale,
Pietro Cocco, dopo che gli esponenti
del Pds sono rimasti seduti durante
l'inno nazionale: «In genere ci si
alza anche quando vengono intonati
gli inni stranieri». Il capogruppo
del Pds, Gianfranco Congiu, ribatte:
«La Sardegna si alza da secoli,
mentre l'Italia rimane seduta». Il
consigliere Paolo Zedda si è alzato
«solo per il rispetto del ruolo», ma
per l'indipendentista il vero
inno è «Procurade 'e moderare».
L'OCCASIONE Per il segretario
regionale del Pd, Giuseppe Luigi Cucca,
la Sardegna deve «applicare
pienamente princìpi e norme dello Statuto
a partire da entrate e fiscalità».
L'eurodeputato di Forza Italia,
Salvatore Cicu, è convinto che serva
«uno Statuto più forte, capace di
esprimere concretamente la
specialità della nostra Isola e la
necessità di svincolarsi dal
centralismo». Franco Siddi, membro del
Cda Rai, sottolinea che «lo Stato
conferma il valore dell'autonomia
speciale e i sardi devono viverla in
maniera più profonda».
CRITICI Il capogruppo di Forza
Italia, Pietro Pittalis, accusa
Pigliaru: «Il rispetto per il
presidente della Repubblica non avrebbe
dovuto impedirgli di rappresentare
la rabbia della gente sarda».
Critico anche il portavoce di Autodeterminatzione,
Anthony Muroni: «Il
nostro Statuto è stato trascurato,
ignorato, calpestato, sia dalle
istituzioni, sia da una classe
politica scollegata dalla realtà
sarda». Paolo Truzzu ha disertato
l'Aula perché «una seduta senza
diritto di parola è solo una
passerella». (m. s.)
Paola
Pinna ora sfida il M5S «Il Pd ha un volto più umano»
Alla
Camera a Cagliari: la continuità dev'essere fatta valere a livello europeo
«Io grillina non lo sono mai stata,
e nemmeno attivista: lì dentro ci
sono finita per caso, forse per
questo non ho mai avuto alcun timore
reverenziale». Per Paola Pinna, 43
anni, scrollarsi di dosso il
passato nel movimento non è
semplice. Eletta alla Camera nel 2013 con
il M5S, viene espulsa nel novembre
2014. Una breve parentesi di
assestamento in Scelta civica e poi
l'approdo finale nel Pd, nel
febbraio 2016. Oggi è una dem a
tutti gli effetti, candidata nel
listino del Sud Sardegna dietro
Romina Mura e Francesco Sanna.
Una buona posizione, considerato che
nomi eccellenti sono rimasti fuori.
«I posti erano pochi, e poi
bisognava garantire l'alternanza di genere».
È passata dal M5S a un partito dove
la battaglia per le candidature è
stata all'ultimo sangue.
«Il M5S è altrettanto litigioso,
solo che non lo dà a vedere perché il
dissenso viene soffocato. Nel Pd
invece la discussione si sviluppa con
una dialettica interna che alla fine
porta a delle soluzioni, non si
espelle nessuno e tutto avviene alla
luce del sole. La posizione di
leadership è sempre contendibile,
non è mai per sempre».
Che cosa farà se non verrà rieletta?
«Continuerò a impegnarmi in
politica, con il Pd».
E se verrà confermata?
«Tengo molto alla mia proposta sulla
ratifica della Carta europea
delle lingue minoritarie. Era
assegnata alla commissione competente ma
non calendarizzata. Ricomincerei da
qui. Penserei alla Sardegna,
cercherei di stabilire un rapporto
più forte con il territorio».
Quali sono i temi sardi di questa
campagna elettorale?
«Il principio di insularità che va
fatto valere a livello europeo,
specie quando andiamo a trattare
sulle convenzioni con le compagnie
aeree per la continuità
territoriale».
Vuole dire che sinora il livello
europeo è stato sottovalutato?
«È da lì che partono le procedure di
infrazione sugli aiuti di Stato.
In alcuni casi è rimasta danneggiata
la nostra industria. Adesso, per
fortuna, le produzioni - penso ad
Alcoa - stanno ripartendo e noi
dobbiamo agevolare questa nuova
direzione».
Più consapevolezza e meno
chiacchiere?
«Dobbiamo evitare di fare male cose
che potrebbero essere contestate
dall'Europa, e nello stesso tempo
liberarci di un certo atteggiamento
vittimistico che ho riscontrato
anche a Roma tra i miei colleghi:
abbiamo sempre rivendicazioni da
fare e stiamo sempre peggio degli
altri».
Quando è entrata nel Pd ha parlato
di un «partito dal volto umano»,
due anni dopo la pensa ancora così ?
«Trovare umanità è molto facile
soprattutto se faccio un paragone
rispetto al mondo da cui provenivo.
In ogni caso a volte bisogna fare
scelte di campo e io sono convinta
della mia».
Lei proveniva da un mondo con regole
ben precise .
«Le regole, come ha detto qualcuno
dei recenti epurati, per gli amici
si interpretano e per i nemici si
applicano rigorosamente».
Nel suo caso come andò?
«Prima di me, nel giugno 2013, venne
espulsa la senatrice Adele
Gambaro che aveva criticato Grillo,
nel giugno 2013. Io la difesi ed
entrai nella lista nera, volevano
mandarmi via fin da allora. Lo
fecero con un post diffamatorio nel
novembre 2014 perché io non
pubblicavo la mia rendicontazione
sul loro sito tirendiconto.it».
Perché non la pubblicava?
«La pubblicavo, ed ero anche
puntualissima, ma sul mio blog. D'altra
parte quando fui eletta non esisteva
alcuna regola che imponesse la
pubblicazione su un sito che allora
neanche esisteva».
Se pubblicava i versamenti, cosa le
contestavano?
«Versavo una parte al fondo delle
piccole e medie imprese, un'altra
parte alla Caritas perché volevo che
rimanessero in Sardegna. A loro
questa cosa della Caritas proprio
non andava giù, ma non potevano
chiedermi di non versare alla Caritas
perché si sarebbero messi contro
un mondo, così trovarono un pretesto
per espellermi: scrissero che
impedivo ai giovani di avviare start
up. Una cosa falsa, mi pento di
non aver fatto causa per
diffamazione».
Cosa le costava usare
tirendiconto.it?
«Lo facevo, ma un giorno loro
modificarono i miei dati. Chiesi
delucidazioni, anche con altri
colleghi, anche su chi gestiva il sito.
Non l'abbiamo mai saputo».
Ma loro chi sono?
«Il sistema M5S è ben studiato per
esternalizzare le responsabilità:
tu non sai mai con chi parlare, se
c'è un problema non sai con chi
risolverlo, non c'è mai un
responsabile. Ti fermi sempre allo staff,
ma non sai chi sia lo staff, a
Rousseau e non sai chi c'è dietro
Rousseau».
A cosa le fa pensare adesso l'affare
“rimborsopoli”?
«Alla disonestà prima di tutto
intellettuale di persone che non hanno
avuto il coraggio di dire a me
questa cosa non va bene ».
Che consigli darebbe a chi volesse
seguire il suo percorso?
«Di partire dalle amministrazioni
comunali, a me è mancato».
Roberto Murgia
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Federico
Marini
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