È enorme la sproporzione tra la gravità delle questioni
storiche che la fase ci consegna e la mediocrità della politica quotidiana
nella quale siamo immersi. Ho provato imbarazzo in questi giorni leggendo molti
degli articoli con cui la stampa ha dato spazio alla discussione sulla lista
per le elezioni europee.
La politica è ridotta a
chiacchiera di corridoio, a gossip. Dobbiamo dire però che abbiamo sbagliato anche noi. Abbiamo impostato il confronto in
ritardo, apparendo in attesa, in difesa. Avremmo dovuto presentare con più
forza il nostro documento sull’Europa, quello scritto ai Frentani, e chiedere a
tutti un confronto a partire da quello: al Pd e alle forze alla nostra
sinistra. Prima dei candidati, prima delle formule c’è la politica: cosa pensa
il Pd del salario minimo europeo? Cosa pensa della riforma della Bce e dei
trattati? Che cosa pensa dei grandi patrimoni da tassare?
Le difficoltà di oggi,
enormi, sono figlie dei ritardi e dei tentennamenti di ieri. Oggi occorre uno scatto. Questa
attesa è insopportabile. Perché fuori da quei giornali e da quel chiacchiericcio c’è il mondo
grande e terribile, c’è la Cina, la Libia, la guerra. E insieme ci sono le
sofferenze, le contraddizioni, le lotte, le gioie e i desideri di ciascuno e di
tutti.
Basta percorrere in auto
le strade statali e provinciali, da Nord a Sud, e guardare fuori dal
finestrino: capannoni vuoti, fabbriche chiuse, crisi industriali. La misuri così, la tocchi con mano,
l’assenza di una politica industriale, di un piano per l’occupazione e per la
crescita. Ilva, Piaggio, Piombino, Alcoa, Iperdì, Alitalia, Honeywell,
Acciaierie di Terni e migliaia di altre aziende di distribuzione, logistica,
agroalimentare, trasporti, manifattura. Un paese in ginocchio. E dietro i numeri (-5,5% di
produzione industriale nel 2018, crescita zero nel primo trimestre del 2019), i
salari fermi a dieci anni fa, la disoccupazione all’11%, quella giovanile al
32%, dietro i numeri ci sono le vite, le storie di uomini e donne in carne e
ossa cui la crisi e le politiche di questi anni hanno tolto lavoro, serenità,
dignità.
Abbiamo tutti condiviso in questi giorni il video di Simone,
il ragazzo di 15 anni di Torre Maura che ha sfidato da solo, con grande
coraggio, i fascisti di Casa Pound, dicendo che il problema non sono i rom, che
non si può speculare sulla rabbia del quartiere, che il pane non si calpesta. A
un certo punto però Simone, quasi giustificandosi, dice: “io non ho fazione
politica, io sono di Torre Maura”.
A me questa cosa toglie il sonno,
perché dieci, venti, trent’anni fa Simone avrebbe avuto fazione politica. Una sezione, un partito, che trovava
con lui le parole giuste, organizzava solidarietà, coscienza, conflitto. Oggi
non ce l’ha. E la colpa è di una sinistra e di una classe dirigente che Torre
Maura non sa neppure dove sia. E
però conosce bene le terrazze del centro di Roma, da cui Zingaretti,
Gentiloni e Calenda presentano il simbolo della lista che dovrebbe fermare
l’avanzata delle destre!
Guardate:
la politica è una cosa semplice. Vuol dire parteggiare, prendere parte,
prendere fazione. Gramsci lo chiamava “spirito di scissione”, è la coscienza
della propria personalità storica. Dimmi con che
occhi guardi il mondo e ti dirò chi sei. Le terrazze del centro di Roma o Torre
Maura. E non vengano a dirci che siamo settari, minoritari. Non ce
lo vengano a dire qui in Emilia-Romagna. La lezione di Togliatti del 1946 a
Regio Emilia (Ceto medio ed Emilia Rossa) l’abbiamo imparata bene! Il patto tra
i produttori, il dialogo tra le forze dinamiche e virtuose del Paese come
architrave della democrazia e del progresso, della modernità… l’abbiamo
imparato bene: per questo siamo unitari. Ma il punto è che quella
terrazza romana non rappresenta il dialogo ma soltanto il punto di vista delle
classi alte, di chi guarda dall’alto e in questi anni ha vessato e impoverito
con le politiche d’austerità le classi popolari.
Una élite per giunta
arrogante. Ho sentito Calenda
dettare condizioni, dire “fuori da casa mia”, “o firmate il mio manifesto o
fuori da casa mia”. Caro Calenda,
una casa ce l’abbiamo, è questa qui! Maggiore umiltà e meno arroganza
servirebbe anche a Zingaretti, a cui vorrei ricordare che buona parte di chi
l’ha votato ai gazebo ha votato “no” al referendum e che se avesse vinto il sì
oggi Salvini e Di Maio avrebbero una prateria per stravolgere e comprimere la democrazia
nel nostro Paese!
Di Vittorio ci ha
insegnato a non toglierci il cappello davanti ai padroni, figuriamoci se ce lo
togliamo davanti a chi ci dipinge con il gettone per l’i-phone in mano. Nessuno vuole entrare o rientrare nel
Pd. Abbiamo soltanto la lucidità di capire che la destra è pericolosa, in
Italia e in Europa, e va combattuta con l’unità delle forze democratiche.
Abbiamo l’ambizione di volere dare a questo Paese un’alternativa di governo, un
nuovo campo democratico e progressista, diverso da quello fallimentari di
questi anni.
Unità e autonomia,
allora. Unità per il bene dell’Europa, per non consegnare l’Europa ai
nazionalisti, per non consegnare i Comuni alle destre e ai Cinque Stelle. Ma
autonomia. Autonomia di un soggetto che da oggi – ce lo possiamo promettere –
non rincorre più papi stranieri e che con la propria forza, il proprio orgoglio, le proprie
donne e i propri uomini sta in campo, fa politica, lotta, costruisce relazioni.
Non per qualche strapuntino a Bruxelles ma perché crede e lotta
per il socialismo del XXI secolo. Per le idee di Alexandra Ocasio Cortes e
delle giovani donne del socialismo democratico americano, che sono le stesse
che vivono nel partito laburista inglese, nelle forze che governano il
Portogallo, nei giovani delle piazze europee per il clima. Con radicalità,
credibilità, capacità di rinnovamento. A questo serve Articolo Uno, il nostro
congresso: a rimanere coerenti con la nostra storia e a preparare un pezzo del
nostro futuro. Grazie.
Simone
Oggioni
[Trascrizione
dell’intervento al congresso nazionale di Bologna, 6 aprile 2019)
Nessun commento:
Posta un commento