La
Nuova Sardegna
Ipotesi
rimpasto in giunta dopo il crollo elettorale il voto in sardegna» la regione di
Umberto Aime.
Rimpasto? Sì. Ma solo nel Partito
democratico, con una nuova segreteria, o anche nella giunta Pigliaru? Potrebbe
esserci da una parte e dall'altra. Uscito con le ossa rotte dalle elezioni
politiche di domenica, il Pd non può stare certo a guardare le macerie che ha dentro
e soprattutto fuori dalle mura. Se vuole ricostruire la casa, oggi devastata,
non può bastare una semplice ristrutturazione e neanche passare appena il
tosaerba in giardino. C'è tutto un progetto da cambiare, nonostante - e va
riconosciuto - le diverse cose buone fatte da chi è al governo della Regione e
da quanti, in Consiglio, siedono fra i banchi del partito di maggioranza
relativa. Alla fine «abbiamo provato a
fermare un ciclone solo con le mani», commento raccolto nei corridoi del
Palazzo di via Roma, «e com'era ovvio, siamo stati travolti». È per questo che
sono in molti, dentro la maggioranza, a sollecitare qualcosa in più della
«solita rinfrescata alle pareti» negli ultimi undici mesi della legislatura.
Gli appelli. A lanciare il primo
appello è stato Pierfranco Zanchetta dell'Upc, che ha proposto «l'azzeramento
della giunta di tecnici, per passare a una più politica». È stato il classico
sasso gettato nello stagno e ha messo a soqquadro il centrosinistra fino a
dividerlo fra favorevoli e contrari. «Non so se il rimpasto sia la cosa giusta,
ma dobbiamo prendere atto della sconfitta e studiare le contromisure», ha detto
Daniele Cocco, capogruppo di Mdp. Anche il suo partito, non solo i Dem, ha
perso le elezioni, o comunque in Sardegna è rimasto molto sotto le aspettative.
«Un motivo in più - ha aggiunto - per guardarci in faccia nel centrosinistra.
Per questo è necessario che il presidente Pigliaru convochi un
vertice di maggioranza nelle prossime ore». Oggi è in calendario una seduta del
Consiglio: è possibile che la riunione possa essere organizzata prima o dopo.
La strigliata. È arrivata dal
capogruppo del Pds, partito rimasto alla larga dalle elezioni nazionali.
Gianfranco Congiu ha detto: «È stata una campagna elettorale molto poco
appassionante, perché non hanno trovato spazio tutti i temi con al centro la
Sardegna. Lo abbiamo detto e lo ripetiamo: il 4 marzo c'è stato un voto di
protesta proprio per l'insufficienza proposta su come risolvere i problemi più
vicini ai sardi. Noi lo abbiamo detto e ridetto: qualunque progetto deve avere testa
e cuore in Sardegna, così non è stato». Per venerdì il Pds ha convocato la
direzione nazionale, a Tramatza, ed è possibile che da quella riunione arrivi
un'altra strigliata.
L'ammissione. In attesa che domani
si riunisca la segreteria del Pd, dove Giuseppe Luigi Cucca non dovrebbe
presentarsi dimissionario, è evidente che nel partito le acque interne sono
molto agitate. Gli effetti del maremoto potrebbero arrivare anche a un
immediato azzeramento dei vertici regionali. Per il capogruppo Pietro Cocco
«dalle urne è arrivato un dato politico rilevante sul quale non si può non riflettere.
A questo punto, dopo la pesante sconfitta incassata, abbiamo il dovere di
riunirci, discutere e programmare i lavori da qui alla fine della legislatura».
Anche se la resurrezione non sembra essere così vicina.
Cosa accadrà in Regione. L'azzeramento
della giunta è molto improbabile. Sarebbe una decisione frettolosa, è il
commento più diffuso nel Pd. Mentre un secondo rimpasto dopo quello post
referendum costituzionale del 2016, anche quello perso malamente, potrebbe
essere realistico, con l'ingresso di uno o più assessori meno tecnici e più
politici. Anche se il pallino, in questo caso, non sarebbe certo nelle mani del
centrosinistra, ma del governatore. Può essere solo Pigliaru, come tra l'altro
è accaduto ogni volta che s'è parlato di rimpasto, a decidere l'utilità o meno
di cambi in corsa e se soprattutto possano servire o no alla causa. Azzardare
che il governatore non sia d'accordo a cambiare uno o più assessori, è
tutt'altro che difficile. È molto più probabile - lo si intuisce anche dal
comunicato di Pigliaru pubblicato sotto - che dalla maggioranza pretenda invece
una rinnovata unità d'intenti e dal Pd di trovare al più presto una via
d'uscita dopo il flop.
Cosa accadrà nel Pd. Renato Soru, in
un'intervista alla Nuova, ha detto chiaramente che il segretario Giuseppe Luigi
Cucca dovrebbe dimettersi senza essere sollecitato. Ma non sarà così, o almeno
non accadrà prima del passaggio di domani in segreteria. È possibile invece che
il vertice del partito si rimetta alle decisioni della direzione, convocata
otto giorni dopo. Formata dai renziani, dagli ex Diesse, con l'appoggio dei popolari-riformisti,
l'attuale maggioranza potrebbe disgregarsi nelle prossime ore e di sicuro la
pesante sconfitta elettorale ha accelerato la dissoluzione. Ci sarà, a quel punto,
un nuovo congresso? È molto probabile.
Gli
outsider, i veterani e i ripescati
Il
ministro dell'Interno Marco Minniti, sconfitto a Pesaro dal
pentastellato
Cecconi, rientra grazie al proporzionale
ROMA
Alla buvette si incontreranno il leghista
nigeriano Toni Iwobi, primo
senatore di colore d'Italia, la
testimone di giustizia Piera Aiello
che finalmente potrà riavere
pubblicamente indietro la sua identità,
ma anche pezzi grossi del governo
uscente, dalla toscana Maria Elena
Boschi, eletta a Bolzano, a Marco
Minniti, sconfitto a Pesaro dal
pentastellato Cecconi ma ripescato
grazie al proporzionale. Il nuovo
Parlamento uscito dalle urne del 4
marzo è un mix di veterani e
outsider. Tra i big recuperati,
mezzo governo Gentiloni: Dario
Franceschini, Roberta Pinotti,
Valeria Fedeli, Andrea Orlando. Salvati
anche tre dei principali esponenti
di Liberi e Uguali: sconfitti
all'uninominale conquistano comunque
un seggio Pietro Grasso, Laura
Boldrini e Pier Luigi Bersani.
Entrano, invece, dalla porta principale
del collegio i ministri Pier Carlo
Padoan, Graziano Delrio, Luca Lotti
e Beatrice Lorenzin. Al Senato passa
Emma Bonino, che a Roma fa
incetta di voti, e torna Umberto
Bossi.
Ma gli scranni di Montecitorio
e Palazzo Madama ospiteranno anche
perfetti sconosciuti o famosi per
motivi diversi dalla politica. Due
veterinarie si accingono a prendere
posto in aula: la napoletana Doriana
Sarli, eletta alla Camera con il
M5s; al Senato, per la Lega, la
toscana Rosellina Sbrana. Tra i 28
eletti del Movimento 5 Stelle nei
collegi uninominali siciliani
Gaspare Marinello, dirigente
dell'ospedale di Sciacca, e Giorgio
Trizzino, direttore dell'ospedale
Civico di Palermo. Il M5s, che ha
già designato Salvatore Giuliano -
preside dell'Iiss Majorana di
Brindisi, una delle scuole più
raccontate d'Italia - come possibile
successore della ministra Fedeli,
porta diversi insegnanti in
Parlamento. Nutrito pure il
drappello di giornalisti.
Nel M5s ce l'hanno fatta Primo Di
Nicola, ex direttore de Il Centro, con il 41%
in Abruzzo; Emilio Carelli, ex
direttore di SkYTg24; Pino Cabras,
giornalista-blogger, scrittore e
fondatore di Pandora Tv, 46% nel
collegio di Carbonia. Nelle liste di
Forza Italia eletti Giorgio Mulè,
direttore di Panorama (46%), Andrea
Cangini, ex direttore di Qn, che
era capolista nelle Marche. Tra i
vip dello sport l'ha spuntata l'ex
Ad del Milan Adriano Galliani,
mentre il presidente della Lazio
Claudio Lotito resterà fuori dal
Senato, a meno che non segua il
consiglio del sindaco di Benevento
Clemente Mastella e faccia ricorso.
Pd a
pezzi: via il segretario e ora la rivoluzione interna
L'ex
deputato Sanna: «Cucca si dimetta». Deiana: «Torniamo tra i pastori»
di Luca RojchwSASSARIUno psicodramma
che si consuma tra la matematica
della sconfitta e l'incredulità di
chi a guardare le Stelle così
lontane sta male. Il Pd si risveglia
in uno stato confusionale, dopo
la lezione grillina. I Dem cercano
in Sardegna la loro identità.
Schiantati dal boom a 5 Stelle e
ridotti a percentuali lillipuziane,
galleggiano su un gommone sgonfio.
Appena il 15 per cento dei voti. Il
40 per cento delle Europee sembra un
lontano miraggio. Il Pd cerca una
spiegazione del flop. Una caduta
verticale dei consensi che fa paura
in particolare se si guarda al
futuro. In primavera ci sono le
amministrative e tra un anno
l'appuntamento è con le Regionali. La
richiesta. Da più parti si invoca il
cambio di passo.
E se ieri nella
sua intervista alla Nuova Renato
Soru non ha voluto spingere
sull'acceleratore fino a dire che il
segretario Giuseppe Luigi Cucca
si deve dimettere, oggi lo fa l'ex
deputato Francesco Sanna. Area
Soru. «Cucca si deve dimettere. Non
lo dico con volontà punitiva -
spiega Sanna -. I segretari di
Toscana, Umbria, Marche, Friuli, si
sono già dimessi. Tutti quelli che
guidano il partito nelle altre
regioni mette a disposizione il
proprio incarico. Credo che dovrebbe
farlo anche il nostro segretario
regionale. Non è una questione
personale. Ora è necessario che lui
si concentri al massimo sul
senato. È l'unico rappresentante del
Pd. E deve portare avanti le
istanze dei sardi». E Sanna spiega
anche da dove deve ripartire il
partito. «Per noi è una doccia
gelata. Speriamo di non morire di
polmonite. Dobbiamo ripartire dalla
gente.
Da massicce campagne di
ascolto . Dobbiamo accorciare la
distanza tra noi e la gente. La
Regione deve avere più efficienza.
Non possiamo fare solo annunci. Si
devono dare risposte immediate.
Dobbiamo essere più vicini al mondo
delle campagne. Tu puoi anche dire
che hai grandi progetti per la
filiera, ma se non dai i soldi del
Psr nessuno ti seguirà. Se a tutto
questo ci si aggiunge il piombo
sulle ali che la lotta per le
candidature ha portato credo che il
risultato negativo sia
inevitabile. Serve un nuovo patto
politico. Un patto che andava fatto
un anno fa».Dimissioni nell'aria.
Cucca ha convocato per domani la
segreteria. Venerdì prossimo ci
dovrebbe essere la direzione. E in
questa occasione Cucca potrebbe
formalizzare le sue dimissioni. Il
segretario è sotto attacco, anche se
sono in pochi a chiedere in modo
esplicito le sue dimissioni. Ma le
diverse anime del partito chiedono
in particolare una svolta. Un cambio
di passo.
I consiglieri. La
richiesta del cambio di rotta arriva
anche da alcuni consiglieri
regionali. «Il Pd negli ultimi tempi
ha fatto troppo il partito di
governo e ha trascurato il rapporto
con gli elettori -dice Giuseppe
Meloni -. Da quando ha deciso di
ampliare il suo orizzonte ha
trascurato i suoi elettori originali
e con gli alleati. Si deve subito
fare una veloce e vera analisi del
voto e aprire un dialogo con gli
alleati attuali e futuri. Mi pare di
capire che ci possano essere le
condizioni con la giusta proposta
per cambiare i destino delle
regionali. Non chiedo le dimissioni
del segretario. Quelle di Renzi o
di Cucca risolvono i problemi del
Pd. Ognuno in coscienza faccia le
sue valutazioni». Anche Roberto
Deriu fa autocritica. «Si deve fare
una proposta che vada verso gli
interessi degli elettori. Il nord
ricco ha votato il centrodestra per
riprendersi quello che ha perso
nella crisi. Il sud povero ha votato
5 stelle per essere garantito con
la spesa pubblica, noi non abbiamo
dato un'offerta riformista».Le
periferie.
Il presidente dell'Anci e sindaco di
Bortigiadas Emiliano
Deiana è netto e spietato quando
parla del suo partito. «Io questo
risultato me lo aspettavo. Sia i 5
stelle che il Pd. Per troppo tempo
i Dem hanno abbandonato i luoghi
periferici. I paesi, la strada. Si è
allontanto dalle comunità». Un
calcolo può spiegare meglio il concetto
di Deiana. Nel 2013 il Pd poteva
contare su 160 sindaci nell'isola.
Oggi sono una cinquantina. Deiana
rincara. «Il Pd con le sue riforme
si è sempre più allontanato dai
piccoli centri. Oggi deve ricostruire
un tessuto di relazioni con le
amministrazioni e le popolazioni. Deve
ritornare a fare politica tra le
piazze, tra le persone.
Credo che sia
anche giunto il tempo di fare un
Partito democratico sardo, slegato da
quello nazionale. Perché le priorità
di Roma non sono quelle
dell'isola. Un capitolo a parte lo
meritano le politiche della giunta
regionale, che spesso hanno un
impatto negativo, anche per una
politica comunicativa errata.
Dobbiamo smettere con le nostre
politiche di pensare a Marchionne e
andare incontro alle esigenze dei
pastori sardi».
Anche
Meloni contro i vertici
L'ex
deputato lettiano: Cucca ha pensato solo alla sua rielezione, se ne vada
CAGLIARI. Nel Pd è il momento anche
dei duelli a distanza o degli
ultimatum lanciati da questo contro
quello. Nonostante ci sia una
reciproca stima, non solo politica,
Renato Soru ad esempio ha dato un
sorta di altolà al segretario
nazionale Matteo Renzi. «Dopo un
risultato elettorale come questo -
ha detto - e davanti a un partito
che dimezza i voti dalle ultime
Politiche, fa parte della vita stessa
rassegnare le dimissioni. E magari
quando si presentano non si cerca
di imporre una linea per il futuro.
Ci si dimette e basta. E toccherà
a qualche altro».
È una dichiarazione che di fatto
diventa un
contestazione aperta alle «non
dimissioni» presentate da Renzi nella
sua prima uscita dopo la batosta di
domenica. C'è anche dell'altro.
Soru ha trovato anche «non molto
giusto tirare in ballo il presidente
della Repubblica perché non si è
votato un anno fa. Non credo - ha
concluso - che tra l'altro sarebbe
cambiato molto».
Per la serie
invece «duelli a distanza», uno
degli ultimi si è consumato di fronte
alle telecamere del sito Youtg ed è
stato fra l'ex deputato Marco
Meloni, eletto nel 2013 in Liguria e
non ricandidato questa volta
neanche in Sardegna, e l'attuale
segretario regionale Giuseppe Luigi
Cucca. Dopo aver definito una
buffonata le dimissioni a orologeria di
Renzi, Meloni ha affondato i colpi
sul caso Sardegna: «Qui da noi
siamo riusciti a fare anche peggio
che nel resto d'Italia. Da parte
del segretario regionale ho visto un
impegno del tutto insufficiente
sia nella gestione delle candidature
che nella conduzione della
campagna elettorale. Cucca ha
pensato soltanto alla propria
rielezione: ora si dimetta».
Fra i due il dialogo è stato sempre
difficile, perché appartengono a due
correnti diverse e contrapposte.
Meloni da sempre si riconosce nella
minoranza guidata dal ministro
Andrea Orlando, anche se le sue
origine sono al fianco di Enrico
Letta, mentre Cucca è un renziano.
Ad aver accentuato i contrasti
potrebbe esserci anche questo:
Meloni, a suo tempo, aveva proposto la
sua candidatura in Sardegna, come
rappresentante della minoranza
interna, ma l'offerta era stata
rifiutata. Sta di fatto che, dopo Soru
e Francesco Sanna, Meloni è il terzo
a chiedere ufficialmente al
segretario di «dimettersi
immediatamente».
Cucca non ha tardato certo
a replicare. Sempre in una diretta
di Youtg ha detto: «Chi oggi dice
di tenere così tanto alle sorti del
partito, avrebbe dovuto essere più
presente negli anni scorsi. Ora si
presenti in direzione, perché la
sua voce non la sento da molto
tempo». Fra i due e non solo fra loro
due il duello diventerà presto un
faccia a faccia. Venerdì 16 marzo è
stata convocata la direzione
regionale. Sarà la prima dopo la disfatta
elettorale e sarà quindi anche
quella della resa dei conti. (ua)
Chiede
più unità alla coalizione e per il bene della Sardegna apre al
confronto
con qualsiasi governo Pigliaru: «Pronti a dialogare con tutti»
CAGLIARI Il ciclone Cinque stelle
s'è abbattuto come una furia su
tutto il centrosinistra. Ma proprio
in questo momento difficile e
incerto «è sempre più essenziale
lavorare uniti, superando le
divisioni che troppo spesso hanno
limitato la nostra capacità di
dialogare con i nostri elettori,
impegnandoci ancora di più tanto
nelle azioni quanto nel farle
conoscere». È questo uno dei passaggi
chiave del commento di Francesco
Pigliaru al voto.
«Perché - scrive - siamo di fronte a
una sconfitta del centrosinistra italiano che ci
chiama a una doverosa riflessione,
com'è giusto che sia in
democrazia». Per Pigliaru «il
giudizio uscito dalle urne, a parte il
caso del Lazio dove il voto negativo
nazionale non ha impedito la
vittoria regionale di Zingaretti, è
stato severo e ci riguarda tutti».
Per proseguire: «Il successo del
Movimento Cinque stelle nel
Mezzogiorno, in Sardegna ma ancor
più nelle altre regioni, mostra
quanto alta sia la sfida che il
centrosinistra deve ora affrontare per
migliorare la propria capacità di
proteggere chi oggi è più debole e
per riconquistarne la fiducia».
Ancora: «Gran parte dell'elettorato
ha
reputato insufficiente l'azione
portata avanti dal centrosinistra per
contrastare gli effetti di una crisi
lunghissima, la peggiore che
abbiamo vissuto dal dopoguerra e
durante la quale è estremamente
complesso governare, soprattutto nel
Sud». Per poi passare alle
questioni sarde: «Da parte nostra,
sappiamo di aver intrapreso un
cammino arduo. Alcune riforme
strutturali, di cui andiamo giustamente
orgogliosi, hanno bisogno di tempo
per incidere nella quotidianità e
migliorare la vita dei cittadini. I
segnali positivi che stanno
finalmente arrivando, dalla ripresa
del Prodotto interno lordo alla
riduzione della disoccupazione, sono
ancora fragili e non abbastanza
diffusi per superare la diffidenza
di chi da questa crisi è stato più
colpito e desidera giustamente
uscirne il prima possibile».
Subito dopo: «Noi abbiamo lavorato
con serietà e concretezza perché questo
accada e continuiamo a farlo. Ma
nello stesso tempo ci chiediamo ogni
giorno se le nostre scelte siano
state efficaci e se abbiamo fatto
tutto quello che avremmo voluto.
Oggi ci colpisce il fatto che i
Cinque stelle abbiano ottenuto tanto
consenso anche proponendo cose
che noi abbiamo già impostato e
realizzato: dalla riforma dei centri
per l'impiego al reddito
d'inclusione sociale, sino ai cantieri di
lavoro nei Comuni». Che il motivo
della sorpresa manifestata dal
presidente abbia a monte anche il
non aver saputo comunicare quanto
fatto? E possibile. Sta di fatto
che, dopo l'invito all'unità della
coalizione, la conclusione è questa:
«La giunta regionale è pronta a
collaborare con tutti per difendere
i diritti dei sardi, con al primo
posto lavoro e trasporti. Siamo
pronti a lavorare insieme a tutti i
candidati eletti in Sardegna,
qualunque sia l'appartenenza e qualunque
sarà il governo con cui dovremo
confrontarci, perché l'interesse della
Sardegna supera gli schieramenti ed
è l'unico obiettivo che tutti
dobbiamo avere». (ua)
I pastori
avevano restituito le schede elettorali: «Poi ce le siamo riprese»
Le cinque
stelle brillano a Orgosolo: più del 61%
di Paolo Merlini
NVIATO A ORGOSOLO«Anch'io ho
restituito la scheda elettorale, poi me
la sono andata a riprendere. E come
me gli altri trecento pastori di
Orgosolo che avevano aderito alla
protesta», dice Giovanni,
allevatore, entusiasta del voto nel
paese più pentastellato della
Sardegna: qui oltre il 61% degli
elettori, con una lieve differenza
tra Camera e Senato, ha votato
Cinque Stelle. E probabilmente poco
c'entra che la deputata grillina che
ha stravinto in questo collegio,
Mara Lapia, abbia origini orgolesi
da parte di madre. In tanti hanno
votato il movimento a scatola
chiusa, e non lo nascondono.Ma torniamo
all'incontro con Giovanni, al quale
nel frattempo si è aggiunto
Egidio, pastore anche lui, e il
tavolo all'Internet cafè gestito da
Teresa Podda, grillina da tempi non
sospetti, a fine mattinata si
trasforma in una tribuna politica in
cui ognuno vuole dire la sua, con
la chiarezza d'esposizione propria
di ogni buon orgolese e con
citazioni di livello. Siete di
destra o di sinistra?
«Non importa se
il gatto sia nero o bianco,
l'importante è che catturi il topo», dice
Giovanni riprendendo una massima di
Deng Xiaoping, il leader cinese
del secolo scorso. Il che farebbe
ipotizzare solide basi marxiste,
anche se nel corso del breve dibattito
si scoprirà che non è così, e
che Giovanni ed Egidio sono elettori
grillini sottratti probabilmente
al centro destra. La protesta
rientrata. E le schede restituite e poi
riprese? «Ci siamo resi conto -
dicono Giovanni ed Egidio («Niente
cognomi, per favore») - che dietro
la protesta dei certificati
elettorali, che da Ollolai si è
allargata a tutti paesi della
Barbagia, non c'era unicamente la
difesa dei diritti dei pastori,
dalla rivendicazione per il prezzo
del latte che oggi è a soli 85
centesimi al litro agli agnelli a
due euro al chilo.
C'erano anche
motivazioni meno nobili, e forse la
voglia di condizionare il voto con
un'astensione maggiore». In che
senso? Sulla conversazione cala il
silenzio, ma il sasso ormai è
lanciato, e al cronista non resta che
andare a ritroso con la memoria, a
poco prima di un mese dalle
elezioni, quando il sindaco di
Ollolai, Efisio Arbau, da sempre
portabandiera dei pastori, ha visto
cadere nel nulla la propria
candidatura offerta prima alla Lega
e poi a Forza Italia. Negli stessi
giorni lo stesso sindaco, esponente
della Base, riceveva in municipio
la prima delegazione di pastori con
duecento schede in mano. Da allora
la protesta si è allargata a macchia
d'olio in tutta la Barbagia, da
un Comune all'altro, portando a diverse
migliaia le schede restituite.
Sarebbe interessante andare a vedere
quanti pastori sono andati a
riprenderle, al pari dei trecento
allevatori di Orgosolo.I primi
turisti. Ma nel paese famoso per i
murales, dove oggi sono grillini
due elettori su tre, anche gli
imprenditori sono felici del successo
dei Cinque Stelle: come Mario
Fossati, che gestisce un'avviata
lavanderia e parla di un'oppressione
fiscale che blocca lo sviluppo,
di «bancari al potere» e una casta
che ha fatto il suo tempo; o un
altro imprenditore che da 25 anni si
occupa di turismo e pensa che
aprirsi al mondo sia la strada da
percorrere per ridare ossigeno alla
Barbagia. Capisci quanto sia vero
appena entra nel locale un
motociclista tedesco alla guida di
un gruppo che sfida il gelo di
questi primi giorni di marzo.I
precursori.
Poi ci sono i grillini
della prim'ora, quelli che già
avevano fatto notizia alle politiche di
cinque anni fa, quando il movimento
a Orgosolo raggiunse il 30 per
cento, ben cinque punti in più della
media provinciale. Sono perlopiù
di sinistra, ma non indossano il
lutto se nel paese barbaricino
simbolo delle lotte sociali soltanto
212 abitanti su 4200 hanno votato
Pd, sprofondato al 10 per cento e
superato di quattro punti da Forza
Italia. Come Elio Sanna, vigile del
fuoco che rispetto al 2013 ha
finalmente ottenuto il
riavvicinamento in Sardegna, e dalla Lombardia
è arrivato ad Arzachena, anche se si
capisce che si sente un po'
straniero pure in Costa Smeralda. O
Mario Rubanu, che a quarant'anni
ha lasciato Milano dove si erano
trasferiti i genitori, che prima
erano emigrati in Germania.
Domenica era rappresentante di lista
in
una sezione dove l'M5S ha raggiunto
il 66%. «Ora il problema è
tradurre questo consenso in un
rinnovamento che agisca concretamente
sulla realtà di tutti i giorni.
Intendo dire che dobbiamo lavorare per
le prossime elezioni comunali. Per
questo discutevo con Giuseppe
Musina (altro attivista grillino di
vecchia data, ndr) della necessità
di organizzare concretamente anche
qui il movimento su basi concrete».
Il
segretario-senatore sul boom alle urne: «Promosso il nostro progetto»
Sul
futuro dell'alleanza: se dà buoni frutti potrà essere riproposta
alle
regionali Solinas: il patto con Salvini
non si
ferma alle politiche
di Alessandro PirinawSASSARIAlla
vigilia delle elezioni si è
confrontato con tutti. A destra con
Forza Italia, a sinistra con il
Pd. A contendersi il vessillo dei
Quattro mori erano Berlusconi e
Renzi. Per settimane il Psd'Az ha
portato avanti la trattativa con
Cappellacci da una parte e con Cucca
dall'altra, fino a quando non è
rimasto folgorato sulla via di
Pontida. Un'alleanza, quella con la
Lega di Salvini, che la Sardegna ha
vissuto come un tradimento dei
padri del sardismo. O perlomeno
questo sembrava emergere in quei
giorni tra contestazioni della base,
dirigenti infuriati e sardisti
messi alla porta da giunte di
centrosinistra. Una sensazione di
disagio che però è stata sconfessata
dalle urne. Sotto il vessillo di
Alberto da Giussano, e senza i
Quattro mori sulla scheda, il Psd'Az ha
addirittura raddoppiato i voti.
Oltre l'11 per cento in una terra
che
aveva sempre respinto il leghismo.
Numeri che hanno permesso al
segretario Christian Solinas,
l'artefice dell'operazione sardo-padana,
di essere eletto al Senato. E senza
passare dal collegio blindato che
la Lega gli aveva messo a
disposizione a Milano. Il segretario
sardista, già assessore ai Trasporti
ai tempi della giunta
Cappellacci, è stato eletto in
Sardegna dai sardi. Anche se sotto il
simbolo del Carroccio.Senatore
Solinas, immaginava il successo
dell'alleanza con la Lega?«Girando
la Sardegna in queste settimane e
parlando con i sardi avevo avuto la
percezione che ci fosse
comprensione per il progetto
politico. Questa sensazione è stata
confermata dai voti.
L'alleanza è stata capita e
premiata».C'è chi
sostiene che l'apporto del Psd'Az
non sia stato così determinante e
che la Lega, anche alla luce del
successo avuto in tutta Italia, in
Sardegna avrebbe sfondato
ugualmente.«Francamente non è una questione
che mi appassiona. Rilevo soltanto
che nel Meridione peninsulare e in
Sicilia il risultato della Lega è
pari a meno della metà rispetto a
quello sardo».Non era facile fare
passare in Sardegna un patto con
Salvini. Ha avuto paura che
l'accordo si potesse rivelare un flop
elettorale?«Io non ho mai dubitato
della buona fede dei sardi. Il
nostro è stato l'unico progetto
alternativo al Movimento 5 stelle che
ha raccolto la fiducia dei sardi in
maniera crescente. Gli altri
partiti hanno tutti visto ridurre i
loro voti».
Ma cosa accomuna il
Psd'Az alla Lega?«La nostra è
un'alleanza basata sui programmi. Ma in
verità sono tante le cose che ci
accomunano. A partire dalla visione
sul federalismo, sulla necessità di
avere maggiori spazi di
autogoverno del territorio, sulla
esigenza di rivitalizzare le istanze
locali. Insomma, è una alleanza
naturale».Un'alleanza che può avere un
futuro anche oltre le politiche?«Noi
abbiamo avviato un percorso
fondato sui programma e sulle cose
da fare per la Sardegna. E se, come
credo, l'accordo fatto per il
Parlamento porterà buoni frutti per i
sardi, non vedo ostacoli a uno
sviluppo del ragionamento per i
prossimi appuntamenti elettorali. Ma
tutto questo sarà oggetto di una
riflessione più ampia che il partito
farà al 34esimo congresso
nazionale prima delle regionali».
Nelle scorse settimane la decisione
di allearsi con la Lega è stata
contestata da esponenti importanti del
partito, come il capogruppo in
Regione, Angelo Carta, e il sindaco di
Posada, Roberto Tola.«La risposta
migliore agli attacchi l'hanno data
gli elettori sardi. Quasi il 12 per
cento dei consensi rappresenta un
risultato secondo solo al vento
sardista degli anni Ottanta. Io non ho
mai dubitato della buona fede dei
sardi. Girando l'isola in lungo e in
largo ho visto riavvicinarsi al
partito centinaia di persone che
avevano militato nel periodo di
maggiore consenso.
Oggi sono tornati
per condividere questa svolta».A
Cagliari la svolta verso la Lega di
Salvini ha spinto il sindaco Massimo
Zedda a mettere alla porta il
Psd'Az. Quella con il centrosinistra
è una rottura definitiva?«È stata
una rottura unilaterale di accordi
di programma fatti esclusivamente
per il Comune di Cagliari».Nel
futuro del Psd'Az, in particolare in
vista delle regionali, c'è spazio
per un dialogo con altre forze
autonomiste come il Progetto
Autodeterminatzione o il Partito dei
sardi?«Una grande parte del
movimento identitario e sovranista credo
abbia già scommesso sul nostro
progetto con il proprio voto. Il
risultato raggiunto però ci impone
di aprire un confronto con tutte le
forze sociali, politiche e culturali
che si richiamano ai valori che
proponiamo per costruire una
credibile alternativa di governo».
Con la
Lega avete stretto un accordo di 10
punti. Quali sono le
priorità? «Sono tre. La prima
dipende solo da noi. E cioè presentare
una proposta di legge per modificare
lo Statuto speciale con
l'introduzione di temi come la zona
franca, la continuità
territoriale, la tutela linguistica
e territoriale. La seconda
riguarda la nostra sanità: noi
vogliamo un sistema sanitario pubblico
fondato sulle esigenze di salute dei
sardi, senza l'applicazione di
standard e parametri nazionali
incompatibili con le peculiarità
territoriali e demografiche
dell'isola. Infine, la regionalizzazione
delle soprintendenze scolastica e
dei beni culturali per governare il
piano di dimensionamento scolastico
e avviare un percorso di
valorizzazione del nostro patrimonio
archeologico e culturale.
Investire sulla cultura
significherebbe avere tanti posti di lavoro
green».
Il patto con la Lega prevedeva la
sua elezione sicura in un
seggio blindato in Lombardia. Ma il
successo del 4 marzo le ha
consentito di essere eletto
nell'isola. «Questa è la cosa che mi ha
dato più soddisfazione. L'accordo si
era reso necessario per aggirare
i vincoli assurdi del Rosatellum, ma
malgrado questa legge elettorale
abbiamo dimostrato di potere
eleggere con le nostre forze un
parlamentare in Sardegna»
Le
fabbriche, dall'ex Alcoa a Eurallumina, stanno per ripartire ma il
Pd viene
bocciato Gli operai del Sulcis scelgono Di Maio
SASSARI Il Pd al governo fa
ripartire le fabbriche del Sulcis e il
territorio risponde con una solenne
bocciatura. È il Movimento 5
stelle a dominare la scena tra
Carbonia e Iglesias, tra Portoscuso e
gli impianti fermi ancora per poco
dell'Alcoa e Portovesme dove
all'Eurallumina è partito il conto
alla rovescia. Il Partito
democratico si ferma al 13 per cento
nell'ex provincia più povera
d'Italia cresciuta a pane e
industria pesante, dove da alcuni anni le
ciminierie si sono spente e più di
mille operai sono andati in cassa
integrazione o in mobilità.
I pentastellati superano quasi
ovunque il
40 per cento, in alcuni casi vanno
oltre il 50. A Portoscuso la
percentuale è 44,9% con il Pd fermo
a 13. A Iglesias è più alta,
46,2%, a Carbonia scende appena al 41,6%.
Una apoteosi per il
Movimento apparentemente
inspiegabile per il Partito democratico.
Poche settimane fa è stato
ufficializzato il passaggio dell'ex Alcoa
di Portovesme al gruppo svizzero
Sider Alloys: un investimento da 120
milioni di euro nella fase iniziale
destinato a crescere nel breve
periodo, così come ha assicurato
l'amministratore delegato Giuseppe
Mannina. Nella fabbrica, che si
chiamerà Sider Alloys Italia, si
ipotizza anche di assegnare ai
dipendenti una quota del capitale
azionario: lavoratori-padroni, una
garanzia in più per il loro futuro
dopo un'attesa quasi decennale,
quando iniziò la crisi Alcoa in
Sardegna. La fabbrica ricomincerà a
produrre alluminio: l'idea è
proprio quella di creare un polo con
la vicina Eurallumina, altra
fabbrica ferma che di recente ha
ricevuto un importante segnale per il
riavvio da parte del governo.
Nonostante tutto questo nel Sulcis a
dominare la scena alle Politiche del
4 marzo è il Movimento 5 stelle
che non ha mai sostenuto la
necessità di fare ripartire l'industria
pesante in Sardegna. Invece quel
triangolo che da anni vive in uno
stato di preagonia economica gli ha
dato piena fiducia. Evidentemente
i progetti di rilancio annunciati
dal Governo a trazione Pd non sono
stati accolti con entusiasmo dagli
operai, delusi dalle tante promesse
tradite del passato e ora sfiduciati
sul futuro e non più disposti a
dare fiducia alla sinistra. (si.
sa.)
Unione
Sarda
Crisi Pd,
tremano i vertici sardi Nervi tesi dopo la batosta e primi contraccolpi nei
territori: si dimette il segretario di Nuoro Cucca potrebbe lasciare.
L'ex
deputato Sanna: lo faccia subito
Il passo indietro è prevedibile, ma
solo dopo un confronto da avviare
all'interno degli organismi del Pd
sardo: la segreteria in primis, che
Giuseppe Luigi Cucca ha convocato
per giovedì alle 12, e soprattutto
la direzione, in programma una
settimana dopo o anche prima. Solo
allora potrebbe aprirsi anche in
Sardegna la fase congressuale.
Intanto, a poche ore dallo tsunami
che nell'Isola ha spinto il Pd
sotto il 15%, è già in corso quella
delle assunzioni di
responsabilità.
Il segretario regionale non si tira
certo indietro: se dalla
discussione emergerà che il suo
ruolo non è servito a ridare linfa al
partito, a prepararlo al meglio per
la campagna elettorale, potrebbe
decidere di rimettere il mandato con
molta serenità. Non è disposto,
invece, a essere sfiduciato
attraverso un post su Facebook, né in
alcun modo che non rientri tra
quelli previsti dagli organismi del
congresso.
L'AFFONDO A chiedere le dimissioni
di Cucca su Facebook è stato ieri
il deputato uscente e non rieletto
Francesco Sanna. «Il Partito
democratico sardo registra un
“divario insulare” di quasi quattro
punti rispetto ai numeri nazionali,
anch'essi molto negativi». Un
risultato che «non ha consentito la
mia rielezione alla Camera»,
aggiunge, per poi proseguire: «Non
essendo stato un casuale
osservatore nella vicenda del Pd
sardo, porto la mia quota di
responsabilità e suggerisco al
vertice attuale di rendere più facile
una trasparente riflessione sul
futuro mettendo a disposizione subito,
senza aspettare che pochi o tanti lo
chiedano, il proprio mandato».
Di assunzione di responsabilità
parla anche il vicesegretario dem,
Pietro Morittu: «Nel Pd è doveroso
ricostruire un senso di comunità»,
riflette, «abbiamo fatto cose utili
per il Paese, ma ora non possiamo
avere la spocchia di dire che la
gente non ci ha capito: dobbiamo
assumerci le nostre responsabilità».
Con altri amici, continua,
«stiamo riflettendo sui dati
regionali, abbiamo ripensato anche a come
è nata e poi è stata abbandonata
l'esperienza di Agorà, che partiva da
un confronto interno per promuovere
un luogo capace di costruire
un'idea di Pd e Sardegna trasversale
a tutto il partito».
Morittu non lo dice, ma qualcuno
ipotizza che una parte della
segreteria regionale possa decidere
di dimettersi giovedì, a
prescindere da cosa farà Cucca. Per
ora si tratta però solo di voci.
PASSO INDIETRO C'è chi preferisce
saltare ogni dibattito di natura
collegiale e lasciare
preventivamente. «Credo sia giusto rimettere a
disposizione del partito il mio
incarico per rendere possibile una
discussione serena dalla quale far
scaturire nuove idee, proposte e il
corretto rilancio dell'immagine del
nostro Pd», scrive il segretario
dei dem di Nuoro, Davide Montisci,
in una lettera indirizzata alla
segretaria provinciale Maria Sedda.
«Le ultime elezioni politiche
hanno lasciato un chiaro segnale nel
Paese, e, in particolare modo
nella nostra Regione - aggiunge - la
stessa Provincia di Nuoro e la
città capoluogo confermano la
sconfitta con dati ancora più impietosi
rispetto ai dati nazionali. Il mio
gesto è da interpretate nell'ottica
di dare segnali concreti sulla
necessità di cambiare rotta».
Intanto, a débacle avvenuta, l'ex
militante e già candidato alle
primarie vinte da Francesca
Barracciu nel 2014, Andrea Murgia, spiega
perché stavolta non ha votato Pd:
«Un partito diviso in cordate e
rappresentato da capi-cordata, che
in questi anni non ha volutamente
esercitato alcuna espressione di
autonomia. L'esempio sulla
composizione delle liste è l'ultima
evidente dimostrazione. Non mi
sarei sentito rappresentato dai
parlamentari del Pd scelti da Renzi e
per questo non li ho votati».
Roberto Murgia
l
governatore: le nostre riforme hanno bisogno di tempo per incidere
Pigliaru:
«Sconfitta severa» Ma di rimpasto non si parla
Rimpasto in Giunta? Francesco
Pigliaru non ci pensa nemmeno. I primi
appelli in maggioranza sono partiti
meno di 20 ore dopo la chiusura
dei seggi, anche se ancora non ci
sono richieste ufficiali. Ma il
governatore non intende riaprire una
snervante discussione sugli
assessori, a meno di un anno dalle
prossime Regionali.
PERCHÉ NO Pigliaru non lo dice
ufficialmente, nel comunicato diffuso
ieri a commento del voto. Ma dagli
ambienti della Giunta
l'orientamento anti-rimpasto filtra
in maniera netta.
Un po' perché il
presidente non sarebbe scontento
degli attuali assessori. Un po'
perché cambiare dopo le elezioni
apparirebbe come un'ammissione di
colpe che l'esecutivo non ritiene di
avere, non da solo almeno.
E molto perché la legislatura è
quasi alla fine: un nuovo assessore
avrebbe bisogno di mesi per
afferrare il funzionamento degli uffici,
ma di fatto potrà lavorare solo fino
a ottobre. Poi resterà da
approvare l'ultima Finanziaria e a
Natale sarà già campagna
elettorale.
L'ANALISI Serve semmai un nuovo
slancio dell'azione di governo, questo
sì: e Pigliaru lo dice commentando
«una sconfitta per il
centrosinistra italiano che chiama
una doverosa riflessione, con
dinamiche nazionali ben precise,
diverse tra Nord e Sud. Gran parte
dell'elettorato ha reputato
insufficiente l'azione portata avanti dal
centrosinistra per contrastare la
crisi peggiore dal dopoguerra».
A parte il Lazio, il verdetto delle
urne «è stato severo e ci riguarda
tutti». Nelle regioni del Sud, nota
Pigliaru, il M5S ha trionfato
anche più che in Sardegna, e questo
indica la difficoltà del
centrosinistra nel «proteggere chi
oggi è più debole».
Nell'Isola si è
«intrapreso un cammino arduo. Alcune
riforme strutturali, di cui
andiamo giustamente orgogliosi,
hanno bisogno di tempo per incidere e
migliorare la vita dei cittadini». E
i segnali di ripresa «sono ancora
fragili».
Pur pensando di aver «lavorato con
serietà e concretezza», allo stesso
tempo «ci chiediamo ogni giorno se
le nostre scelte sono state
efficaci», prosegue il governatore:
«Colpisce che il M5S abbia
ottenuto tanto consenso anche
proponendo cose da noi già impostate e
realizzate, dalla riforma dei centri
per l'impiego al reddito di
inclusione sociale, sino ai cantieri
di lavoro nei Comuni».
APPELLI Al centrosinistra Pigliaru
ricorda che «c'è un anno di
legislatura e molti risultati
importanti sono alla nostra portata»: ma
«è essenziale lavorare uniti,
superando le divisioni che spesso hanno
limitato la nostra capacità di
dialogare con i nostri elettori». In
ogni caso, conclude, per difendere i
diritti dei sardi la Giunta è
pronta «a collaborare con tutti gli
eletti, qualunque sia
l'appartenenza o il governo con cui
dovremo confrontarci, perché
l'interesse della Sardegna supera
gli schieramenti».
Parisi «Pd,
che frana: troppo centrista»
Arturo Parisi le chiama le Tramatze
, dal luogo lungo la 131 che
spesso ha ospitato le liti del Pd:
quelle interminabili e tesissime
riunioni interne al Pd sardo,
caratterizzate spesso dallo scontro tra
le correnti, non sui grandi temi
della politica. «Si finiva per
discutere di sedili e sederi», dice
tagliente il professore, uno dei
padri fondatori del Pd, ma sempre
più critico con le scelte del
partito.
Un partito che, alla luce delle
mappe sulla distribuzione del voto,
«appare sempre più di centro e ha
perso contatto con le periferie»,
osserva. Il risultato elettorale,
che ha visto volare il Movimento
5Stelle e la Lega, si spiega anche
così.
Si aspettava degli esiti simili?
«Onestamente no. Alcune tendenze
erano chiare da tempo. Ma non certo
la misura. Soprattutto per
l'impennata della Lega all'interno del
centrodestra. Diciamo che quelli che
sembravano dei rimbombi di tuono
erano invece l'annuncio di un
terremoto».
In particolare, si aspettava una simile
batosta per il Pd?
«Assieme all'avanzamento dei
5Stelle, l'arretramento del Pd era
l'altro dato nel conto. Fino alla
fine i sondaggi lo collocavano in
una forchetta tra il 22 e il 24%.
Non foss'altro che per l'effetto
della secessione dalemiana, troppo a
lungo raccontata come una
scissione, anche se alla fine si è
rivelata una scheggiatura. Il
risultato finale ci racconta invece
una frana».
A che cosa la attribuisce? Sono solo
colpe di Renzi o ci sono
responsabilità più ampie?
«Per esperienza so che è inevitabile
che i politici inizino dalle
colpe pensando a come sostituire i
colpevoli. Poiché nasco analista,
preferisco invece concentrarmi sulle
cause. E per capirle bisogna
partire dagli effetti, che sono
quelli scritti nei risultati
elettorali: su quanti e su chi ha
negato il suo consenso alla proposta
Pd».
A chi pensa?
«Non c'è niente che descriva il
problema meglio delle carte geografiche».
Che cosa intende dire?
«Se guarda le città, blu o gialle
che siano, lei vedrà assai spesso un
“cuore”, rosso come il Pd, che
coincide con i quartieri più abbienti,
e in genere è lo stesso nei
territori, e, pensando in particolare al
voto del Sud, nell'intero Paese. Ma
penso anche alla collocazione
sociale, non solo a quella
geografica, la più facile da
rappresentare».
Lei vuol dire che il Pd è stato
percepito come il partito del centro?
«Esattamente. Ma non solo il Pd e
non da ora. Più o meno come è
capitato, in Germania, nel voto per
Trump, in quello per la Brexit e
in Francia, Democratici e
Socialdemocratici più o meno uniti ai
partiti tradizionali si sono sempre
più identificati col centro, e al
suo interno sono stati assorbiti dai
conflitti e dalle vicende interne
al ceto di governo e ad agende in
genere imposte dall'esterno».
Come legge questo fenomeno?
«Se, come altrove, il Pd è diventato
ogni giorno di più il partito del
centro, quella alla quale assistiamo
è una rivolta di quelli che in
questo centro non si riconoscono. La
definirei una rivolta delle
periferie. Per ora una sommossa, più
che una rivoluzione. Una sommossa
di cui al momento si riescono a
vedere gli effetti destabilizzanti,
più che prevedere i nuovi
equilibri».
A Bologna, se ha votato Pd, ha
votato Casini. Ritiene corretta la
scelta di fare alleanze al centro e
di rompere con la sinistra?
«Sì, ho votato a Bologna, e alla
Camera per il Pd. Ma mi dispiace
deluderla: per il Senato mi son
sentito costretto a lasciare la scheda
bianca. Se, grazie al sistema
maggioritario ora abrogato, la scelta
avesse deciso il governo del Paese,
come ancora nei Comuni e per la
Regione, ne sia sicuro, il mio voto
non sarebbe mancato».
E allora che cosa ha votato?
«Ho votato ben altro. Ma il sistema
proporzionale, ora purtroppo di
nuovo vigente, decide soltanto delle
persone alle quali delegare le
scelte. Affidandoti per di più in
questo caso al loro buon cuore,
visto che appartiene a un “diciamo
partito” che ha seguito sempre
linee opposte. Come avrei potuto
acconsentire che Casini tornasse in
Parlamento in mia rappresentanza
grazie al mio voto?»
Non le piace proprio...
«Beh, uno come lui si è sempre
orgogliosamente battuto, e ancora oggi
coerentemente si batte, contro la
mia idea di democrazia. Fino al
punto di imporre a Berlusconi
l'approvazione del Porcellum al posto
del Mattarellum».
Che cosa pensa delle dimissioni
“postdatate” di Renzi?
«Perché postdatate? Anche se con
modi indisponenti, come spesso
accade, Renzi ha riconosciuto la
necessità di trasferire le sue
responsabilità di segretario a un
nuovo segretario. Ma questo
passaggio avverrà quando il nuovo
sarà eletto con le primarie, nelle
forme previste dallo statuto.
Esattamente come avviene per il capo del
governo, nel caso della conclusione
anticipata di una legislatura».
Quindi la ritiene la procedura più
corretta?
«Se mi dice che l'annuncio doveva
avvenire in una sede formale e
coincidere con l'indizione urgente e
accelerata delle primarie,
concordo con lei. Le scadenze che ci
attendono potrebbero costringere
il partito a scelte che non esito a
definire storiche: è bene che
siano prese con la massima
partecipazione e tempestività. Com'è
capitato in Germania nel Partito
Socialdemocratico, che in coincidenza
con le nostre elezioni ha dovuto
rispondere alla proposta della Merkel
di dare di nuovo vita a una Grande
Coalizione con la Cdu-Csu».
Condivide la linea di collocare
comunque il Pd all'opposizione, o
pensa che si potrebbe collaborare,
per esempio col M5S?
«Ripeto: quello che si apre è un
processo complesso e inevitabilmente
lungo, che dev'essere fatto alla
luce del sole e in cui non può essere
saltato nessun passaggio. È evidente
che la prima mossa tocca ai
vincitori. È la democrazia».
Lei che scenario vede?
«Sia gli eletti che gli elettori
della parte che ha vinto debbono
spiegarsi che cosa significa che “la
stagione del vaffa è finita”. È
il momento di imparare a farsi
carico della propria vittoria,
avanzando proposte per il governo
del Paese. Non basta dire: chi ha
proposte da fare, le deve rivolgere
a noi. Da domenica le parti si
sono invertite».
In Sardegna il Pd è andato peggio
che nel resto d'Italia. C'entra
l'operato della Giunta regionale, o
le ragioni sono altre?
«Il fatto è che in Sardegna, a causa
delle responsabilità di governo
che vanno dalla Regione fino ai
Comuni, passando per gli enti che
fanno capo al potere politico, il Pd
è apparso - più che altrove -
quel centro contro il quale è
esplosa la rivolta delle periferie. Il
Palazzo di fronte alla gente, la
politica di fronte alla società. Il
presente contro l'alleanza tra la
nostalgia di miti passati e di
incerti futuri».
Lei ritiene che anche in Sardegna il
segretario regionale debba
presentarsi dimissionario?
«Diciamo che, prima di aprire
l'ennesima contesa sul “chi”, è tempo
che il partito cominci a
interrogarsi sul “cosa”. Posso dirle che, da
sardo e da democratico, mi sono
stancato di queste infinite
“Tramatze”, in cui si finisce per
discutere solo di sedili e sederi?
Com'è stato possibile che il
fenomeno che ci cresceva intorno, e che
ora i dati ci dicono coinvolgere la
metà dei votanti, non sia stato al
primo punto dei nostri dibattiti?»
Servirà una riflessione seria per
capirlo. Serviranno altri dibattiti,
ma molto differenti. Profondi,
impietosi. Magari non a Tramatza.
Quasi
completato lo spoglio delle 1.858 sezioni estere, “Le Iene”
denunciano
brogli
Voto
all'estero, primi i Dem ma Mariani non ce la fa
Se i quattro milioni di italiani che
risiedono all'estero
rappresentassero una nazione il Pd
sarebbe il primo partito. Ma non è
così e per questo la vittoria dei
dem nella circoscrizione estero vale
per quello che è: quattro o cinque
seggi in più in parlamento.
Non è ancora chiaro quanti saranno
esattamente perché nella serata di
ieri lo spoglio era fermo a 1790
sezioni su 1858 ma è certo che Pietro
Mariani, il manager cagliaritano che
risiede in Spagna candidato al
Senato con il Pd non è stato eletto.
Mariani è infatti nettamente
staccato da Laura Garavini, che avrà
un seggio grazie agli oltre
34mila voti raccolti sino a ieri
sera contro gli 8mila del
sardo-spagnolo. Un divario
difficilmente colmabile nelle sezioni
mancanti.
PD VITTORIOSO Quel che è certo è che
il Pd in tutte e quattro le
ripartizioni - Europa, America
settentrionale e centrale, America
meridionale, Africa, Asia, Oceania e
Antartide - ha raccolto 284mila
voti, il 26,4% dei consensi, contro
i 231mila del simbolo unico FI,
Lega, FdI. Il Movimento
Cinquestelle, trionfatore in patria,
all'estero ha raccolto 188mila voi,
il 17,5% ed è la terza forza
politica. Va detto che dei 4.230.854
elettori ha votato solo il 29,6,
meno di un terzo dell'elettorato.
DENUNCIA DI BROGLI Nei giorni scorsi
un servizio della trasmissione di
Italia Uno Le Iene ha denunciato
presunti brogli nel voto all'estero
ma la Farnesina ha smentito
annunciando azioni legali contro Mediaset.
«Dall'esame del video», si legge in
una nota del ministero degli
Esteri, emergono serie incongruenze»
tra cui il fatto che «la
tipografia nel video non è quella
incaricata dal Consolato Generale di
Colonia per la stampa del materiale
elettorale. Le schede che appaiono
non sono abbinate a certificati
elettorali (che contengono i codici
elettori) e pertanto risultano
inutilizzabili. Nel video non appaiono
le buste preaffrancate obbligatorie
per legge per la restituzione
all'ufficio mittente».
Inoltre, «secondo il video la
compravendita
delle schede avrebbe avuto luogo
nella serata del 28 febbraio: ove
tale circostanza fosse accertata, i
tempi di spedizione non sarebbero
comunque stati sufficienti per far
giungere il materiale entro il 1
marzo al Consolato. Già il 16
febbraio scorso», conclude la nota, «il
Consolato aveva denunciato alla
Procura i tentativi di inquinare e
delegittimare il voto in quella
circoscrizione consolare». All'estero
sono eletti diciotto parlamentari,
dodici deputati e sei senatori. (f.
ma.)
Resa dei
conti nei Dem E ora scende il gelo tra il leader e Gentiloni
Stop al «tutti contro uno». Dopo
aver annunciato il passo indietro
dalla guida del Pd e incassato gli
affondi di chi lo ha definito «post
datato» se non addirittura «fake»,
Matteo Renzi prova a stanare la
minoranza interna. «Per me il Pd
deve stare dove l'hanno messo i
cittadini: all'opposizione. Se
qualcuno del nostro partito la pensa
diversamente, lo dica in direzione
lunedì prossimo o nei gruppi
parlamentari. Senza astio, senza
insulti, senza polemiche: chi vuole
portare il Pd a sostenere le destre
o i cinquestelle lo dica», la
denuncia su Facebook senza troppi
giri di parole. «Non capisco le
polemiche interne di queste ore.
Ancora litigare? Ancora attaccare
me?», la sottilineatura.
CAPICORRENTE NEL MIRINO Il messaggio
è rivolto ai capicorrente
interni, da Dario Franceschini ad
Andrea Orlando, da Graziano Delrio a
Michele Emiliano, che insiste per
dare un «appoggio esterno al M5S». A
stretto giro di posta, però, il
ministro per i Beni culturali,
accusato dai renziani di essere
disposto a trattare con i grillini per
ottenere la presidenza della Camera,
sgombera il campo: «Non ho mai
pensato sia possibile fare un
governo con 5 stelle, e tanto meno con
la destra. Non c'è nemmeno traccia
nel Pd di qualcuno che abbia in
mente di farlo».
Anche Andrea Orlando smentisce. «Evitiamo
le
barzellette: il momento è serio. Non
ci sono governisti a tutti i
costi né fautori dell'opposizione,
duri e puri, in costante presidio
contro gli inciuci. All'opposizione
ci hanno mandato gli italiani».
L'IRA DI GENTILONI C'è una persona
che ha un peso importante in questa
fase: Paolo Gentiloni. Il presidente
del Consiglio ieri avrebbe
litigato col segretario, che lo
avrebbe accusato di non opporsi a
un'intesa con i pentastellati. «Mi
dà dell'inciucista», avrebbe detto
il premier piano di rabbia.
SUBITO IL NUOVO LEADER Molti, nel
Pd, premono per «un nuovo uomo al
timone» già prima del congresso.
Toccherà alla direzione di lunedì
segnare il percorso. Direzione alla
quale Matteo Renzi, viene
spiegato, potrebbe non partecipare,
anche se la riserva ancora non è
sciolta. La relazione spetterà al
vicesegretario Maurizio Martina,
impegnato in queste ore a tenere
insieme il partito, tanto che c'è chi
non esclude che possa essere lui il
traghettatore fino al nuovo
Governo.
I numeri sono, almeno sulla carta, a
netto favore del segretario
dimissionario (70% Renzi, 20%
Orlando, 10% Emiliano) ma il malcontento
rischia di far scricchiolare anche
la maggioranza renziana e quindi si
potrebbe anche evitare di arrivare a
un voto. Il leader, prima di
farsi da parte per fare il «senatore
semplice», pur lasciando spazio a
Martina e Orfini, intende «mettere
in sicurezza» il partito,
presidiando il campo fino all'inizio
della legislatura.
La scelta
del ministro
Calenda:
«Partito da risollevare, pronto a iscrivermi»
«Comunque vada siamo un Paese
straordinario». Il tweet fissato sul suo
profilo è datato 4 marzo ed è lì a
definire la cifra del personaggio,
a prescindere da come poi alla fine
sia andata davvero.
Per il centrosinistra, che Carlo
Calenda, pur da non candidato, ha
sostenuto con impegno in campagna
elettorale, le elezioni non sono
state un successo e, a distanza di
qualche giorno, il ministro dello
Sviluppo economico scende in campo
per dare una mano, quasi fosse
un'azienda in crisi. «Non bisogna
fare un altro partito - scrive
replicando su Twitter a un follower
che lo invita a partecipare
attivamente a una formazione
politica, magari nuova - ma lavorare per
risollevare quello che c'è.
Domani mi vado ad iscrivere al
@pdnetwork». Poi chiarisce: «Non mi
candido a segretario». Dal tweet
in avanti, in una giornata intensa
di lavoro trascorsa tra gli operai
di Embraco a Torino, solo
ringraziamenti e ovazioni. Perché la
decisione di Calenda viene accolta
con favore da tutto il Pd. Il primo
a complimentarsi con lui è Paolo
Gentiloni con un tweet: «Grazie
Carlo!». Un appoggio che conta.
Nazareno
si lavora al nuovo corso, Chiamparino si autocandida, piace Zingaretti
Delrio,
Martina, Richetti: è già corsa alla successione
I più assicurano che «le carte vere»
sono «ancora coperte», ma anche
che se non è chiaro quando si aprirà
la fase congressuale, la corsa
per il dopo Renzi alla segreteria
del Pd è già partita. In questo
senso viene interpretata la mossa di
Carlo Calenda di iscriversi al
partito. Il ministro dello Sviluppo
economico dice di voler solo
«collaborare» per «risollevare» il
destino dem e smentisce una sua
candidatura alla guida del Nazareno.
Gli altri nomi sono quelli di
Graziano Delrio, Maurizio Martina,
Matteo Richetti. E c'è chi parla di
una donna misteriosa.
CHIAMPARINO SI PROPONE Chi si
autocandida è Sergio Chiamparino.
«Candidarmi a segretario? Perché no?
Io una mano la posso dare», ha
annunciato non risparmiando di
alzare i gomiti nei confronti
dell'ultimo arrivato, Calenda. «Non
si tratta di fare un concorso di
bellezza o di bravura ma di dare un
segnale: i vertici tutti, a
cominciare dal segretario, hanno
capito che c'è una responsabilità
soggettiva nostra in una sconfitta.
La più pesante che la sinistra
abbia conosciuto nel dopoguerra», ha
tagliato corto.
PIACE ZINGARETTI A sinistra, anche
fuori dal Pd, in tanti sperano che
alla fine scenda in campo Nicola
Zingaretti. Dopo il bis nel Lazio,
qualcuno scommette che alla fine
sarà così. «È l'unico che ha vinto,
che sa ancora cosa significa», il
commento sprezzante di un dirigente
dem. Dopo l'impresa alla Pisana, gli
applausi sono stati tanti. «La
sinistra di governo che vince anche
quando è davvero difficile. Grazie
@nzingaretti», ha commentato a caldo
il premier Paolo Gentiloni,
mentre sono arrivati i complimenti
di Andrea Orlando («Congratulazioni
a @nzingaretti! Un centrosinistra
diverso è possibile, un
centrosinistra diverso vince») e
Pietro Grasso. Il diretto interessato
non intende sbilanciarsi, almeno per
il momento: «Cosa farò se mi
chiederanno di diventare il
segretario del Pd? Io faccio il presidente
del Lazio». La partita, insomma, è
appena iniziata.
Per ora
nessun contatto tra le forze politiche
Camere,
presidenti da inventare
Ancora nessun contatto come base per
un accordo sull'elezione dei
presidenti delle Camere. Solo una
dichiarata apertura di M5S e
centrodestra al dialogo. Fermo nel
suo recinto, il Partito democratico
aspetta gli altri per un'eventuale
discussione che porti a due figure
di garanzia.
In una situazione di assoluta
incertezza, la storia potrebbe suggerire
la linea. Dalle elezioni del 2013
Pier Luigi Bersani, segretario del
Pd, uscì con una maggioranza alla
Camera e un deficit consistente in
Senato. È qui che Bersani ha forse
fatto il vero e proprio colpaccio
nel tentativo di conquistarsi le
opposizioni. Le proposte per i due
rami del Parlamento furono infatti
su due figure non politiche, Pietro
Grasso e Laura Boldrini. Insomma
un'apertura in cerca di sostegno. Lo
scenario potrebbe ripetersi, perché
il centrodestra e il M5S, da soli
non riuscirebbero a eleggere i
presidenti di Montecitorio e Palazzo
Madama, senza il sostegno di altre
forze.
Di fatto strizzare l'occhio al Pd
con personaggi di garanzia sarebbe
la strada più facile da percorrere,
ma «non ha portato bene» a Bersani
che, subito dopo le consultazioni,
si dimise per l'impossibilità di
formare un governo. Mentre in Senato
il ballottaggio nella quarta
votazione semplificherebbe la
procedura, alla Camera si potrebbe
attendere l'abbassamento del quorum
dopo il terzo scrutinio, quando è
richiesta la maggioranza assoluta
dei voti. Significherebbe
l'impossibilità di creare
un'alleanza per un eventuale maggioranza di
governo.
Ufficializzata
la ripartizione proporzionale dei seggi, si salvano
Franceschini
e Orlando
Da
Minniti a Bersani, ecco la lista dei big “ripescati”
Sconfitti all'uninominale, e salvi
grazie al paracadute del
proporzionale. Il piano B ha
funzionato. Dopo qualche ora di
incertezza, i big della politica -
da Marco Minniti a Pierluigi
Bersani - possono tirare un sospiro
di sollievo. A operazioni di voto
concluse, infatti, il Viminale ha
ufficializzato la ripartizione
provvisoria dei seggi plurinominali.
Per la Camera al M5s vanno 221
seggi, 260 al centrodestra, 112 al Pd,
14 a LeU. Per quanto riguarda il
Senato, 135 seggi sono stati
assegnati al centrodestra, 112 al
Movimento 5 Stelle, 57 al Pd, 4 a LeU.
Il ministro dell'Interno, Marco
Minniti, ha perso la sfida
all'uninominale di Pesaro, andato ad
Andrea Cecconi del M5s, ma con il
proporzionale entra alla Camera.
Stessa storia per altri colleghi di
governo: Andrea Orlando, capolista
in Emilia nel collegio
Parma-Piacenza-Reggio, Maurizio
Martina, nel proporzionale a Bergamo,
Dario Franceschini, sconfitto nel
collegio di Ferrara, Valeria Fedeli,
travolta a Pisa, Roberta Pinotti,
sconfitta a Genova, Teresa
Bellanova, battuta a Nardò da
Barbara Lezzi. Anche Debora
Serracchiani, governatrice uscente
del Friuli, ha comunque un posto
assicurato in Parlamento.
Una storia quasi opposta è quella
della ministra della Salute Beatrice
Lorenzin: nonostante la sua Civica
Popolare non abbia raggiunto l'1%,
e le porte del proporzionale restino
quindi chiuse, si aggiudica un
posto in parlamento grazie
all'uninominale di Modena, offertole dal Pd
quando si sono stilate le liste.
Tornando al proporzionale, garantito
l'ingresso in Parlamento pure ai
piddini Paolo Siani, fratello del
giornalista ucciso dalla camorra, e
Lucia Annibali, l'avvocatessa
sfregiata con l'acido dall'ex fidanzato,
protagonista delle battaglie contro
la violenza sulle donne. Tra le
fila di Leu resta invece fuori
Massimo D'Alema, candidato in Salento
dove è arrivato ultimo: è fuori dal
Parlamento.
Non ce la fa nemmeno Pippo Civati,
mentre si salvano Pierluigi Bersani
e Vasco Errani. Storia simile anche
per i presidenti di Camera e
Senato, Pietro Grasso e Laura
Boldrini, e Nicola Fratoianni.
Tra i pentastellati, il
proporzionale assicura il bis alla deputata
Giulia Sarti, e fa iniziare
l'avventura politica di Gianluigi
Paragone.
Stesso passaggio per i forzisti
Sandra Lonardo in Mastella, Michaela
Biancofiore, Vittorio Sgarbi e per
il coordinatore di FdI Guido
Crosetto.
Solinas:
pronta una proposta di legge, cambieremo lo Statuto
Il
segretario Psd'Az rinsalda l'accordo coi leghisti: «Regionali con
loro? Si
può fare» «In Senato per la zona franca»
Dopo 17 anni il Psd'Az torna in
Parlamento e a rappresentare i Quattro
mori in Senato sarà il segretario,
Christian Solinas. Un'elezione
ottenuta grazie a un accordo con la
Lega che nell'Isola ha raggiunto
quasi il 12%: «Abbiamo proposto un
accordo chiaro che i sardi hanno
capito».
È riuscito a tagliare il traguardo.
«Abbiamo raggiunto l'obiettivo che
il partito si era prefissato, ossia
tornare in Parlamento per portare la
voce e le battaglie del sardismo
nelle istituzioni che decidono le
sorti della Sardegna».
Cosa si prova?
«La sensazione è di aver vinto una
tappa importante ma quel che
avverto maggiormente è la
responsabilità di una sfida che ci attende
fin da subito: lavorare per
realizzare gli impegni programmatici che
abbiamo presentato ai sardi e
dimostrare che si può ancora fare
politica con serietà e correttezza
nei confronti dei cittadini».
I sardi hanno capito il progetto?
«Abbiamo proposto un accordo chiaro,
fondato su basi programmatiche
precise e con un partito al quale ci
accomuna il federalismo, la
tutela delle istanze e delle
peculiarità territoriali e l'esigenza di
affermare sempre maggiori spazi di
autogoverno a livello locale. I
sardi hanno compreso e trovato
naturale questa opzione premiandola con
un consenso davvero importante che
va oltre il doppio della media del
Meridione e della Sicilia».
Subito al lavoro per l'Isola?
«Certamente. Depositeremo fin da
subito le proposte di legge
costituzionale per la modifica dello
Statuto speciale, per la zona
franca, la continuità territoriale,
la regionalizzazione delle
sovrintendenze e l'inserimento di
un'apposita norma sulla tutela
linguistica e culturale».
Il paracadute del seggio milanese
non è servito. Un segnale importante?
«Direi determinante. Abbiamo
dimostrato di poter eleggere con le
nostre forze in Sardegna e di essere
l'unico progetto politico
alternativo al Movimento 5 stelle,
che raccolga la fiducia e il
consenso dei sardi in maniera
crescente».
Sfiorare il 12% è una buona dote?
«È un risultato davvero enorme che
ci impone di aprire immediatamente
una stagione di confronto con le
altre forze politiche, sociali e
culturali che condividono con noi
valori e ideali. Vogliamo proporre
un'opzione di governo credibile e
affidabile soprattutto per la
Regione e i Comuni che andranno
presto al voto».
Lei è stato molto criticato per
l'accordo con la Lega. Ha sassolini
nelle scarpe che vuole togliersi?
«No. Semmai, dopo aver fatto
migliaia di chilometri, in tutta l'Isola
per incontrare tanti sardi è il
momento di cambiare le scarpe e
iniziare un nuovo cammino e una
sfida sulle risposte da dare. I
sassolini, le critiche, le invidie e
le negatività sono cose che
lascio nelle scarpe vecchie a
consumarsi tra loro nell'inutilità e
nella loro sterilità sociale e
politica»
Di cosa ha bisogno la gente?
«Concretezza, unità d'intenti e
tanto lavoro per restituire a ogni
cittadino la dignità e l'orgoglio di
potersi definire tale».
Pensa di aver ricevuto più voti di
leghisti sardi o di sardisti?
«Francamente la cosa non mi
appassiona. Quel che resta è il risultato
di un accordo premiato dall'elettorato
con 93.812 preferenze al
Senato, pari a quasi al 12%. Tutti i
sardi sapevano che avrebbero
eletto un sardista votando Lega
nella scheda gialla e tutto questo
consenso mi commuove e mi lusinga.
Sento solo di dover ringraziare di
cuore ogni elettore per questa
testimonianza di fiducia e di affetto».
Con la Lega anche alle regionali?
«Abbiamo avviato un percorso su basi
programmatiche, ideali e
culturali. Torniamo in Parlamento
per portare risultati utili per i
sardi non solo per i sardisti. Se,
come credo, l'alleanza sarà
fruttuosa a Roma, non vedo ragioni
per non svilupparla e riproporla a
Cagliari. Ma tutto questo sarà
oggetto di una riflessione più ampia
che il partito farà nel prossimo
Congresso nazionale che si celebrerà
prima delle elezioni regionali».
Il simbolo sarà quello dei Quattro
mori?
«I Quattro mori ci saranno. Il resto
lo vedremo».
Matteo Sau
Primo
incontro dei 16 parlamentari: «Subito al lavoro nei territori»
M5S, gli
eletti già in campo
Per i parlamentari del Movimento 5
Stelle è già tempo di cominciare a
lavorare e lasciare da parte i
festeggiamenti per la vittoria
elettorale. L'incontro di ieri sera
dei 16 portavoce ad Assemini,
insieme al coordinatore della
campagna elettorale, Mario Puddu, è
stata la prima occasione per fare il
punto della situazione. Per tutti
c'è già una prima tappa: «Tornare
nei prossimi giorni nei territori di
elezione e riprendere il dialogo con
i cittadini perché gli eletti
sono i portavoce». L'incontro che ha
riunito la squadra vincitrice
alle elezioni in Sardegna, è stato
l'occasione per gioire, ma anche
per «rimboccarci le maniche, c'è
molto da fare e siamo consapevoli
della grande responsabilità che i
cittadini ci hanno dato».
Nel Movimento 5 Stelle isolano c'è
la sensazione che il risultato ottenuto
debba essere ricambiato con un
rapporto diretto con le persone, anche
perché «a breve ci saranno elezioni
amministrative importanti e poi le
regionali», dice Puddu. Così, ieri,
prima di concludere la serata in
una pizzeria e mangiare una fetta di
torta, la decisione di fissare un
primo incontro «anche perché non è
semplice riunire tutti, sia per gli
impegni che per le distanze».
Per gli esordienti in partenza per
Roma
l'emozione è tangibile, ma
soprattutto è forte il senso di
responsabilità di dover «rappresentare
tantissimi sardi che ci hanno
dato fiducia. Questo per noi è il
punto di inizio e non quello
d'arrivo come succede per molti».
M. S.
Oristano,
lacrime e veleni
Da Uras a
Nughedu Santa Vittoria il successo del Movimento pentastellato
Solinas
attacca i vertici dem. Lutzu, FI: abbiamo retto
Un cielo di stelle. Da Uras a
Nughedu Santa Vittoria, passando per
Oristano. Il Movimento ha raccolto
tre volte tanto i voti del Pd e
Forza Italia. Molto più della
sinistra, più della destra nella
provincia più centrista e destroide,
conservatrice e tranquilla, della
Sardegna e di una buona fetta della
Penisola. Se da altri parti si
parla di un terremoto, qui è
scoppiato un vero e proprio tsunami che
porta a ragionamenti politici fino a
ieri, forse, appartenenti a
pagine di cronache lontane.
L'ANALISI «Allora bisogna fare un
ragionamento serio, capire perché è
successo. Certo ci sono stati
errori, abbiano sbagliato parecchio, chi
più chi meno. Ma chi ha avuto più
peso e mi riferisco, per stare in
casa, alla dirigenza regionale
sarda, deve trarne le conclusioni.
Quando si lascia il volante alla
dirigenza, la politica ne paga
inevitabilmente le conseguenze. Sul
territorio ci siamo noi e a noi i
cittadini chiedono conti», sbotta
Antonio Solinas, competitor
all'uninominale nel Pd, spazzato dal
«vento stellato che soffiava
forte», riconosce. Il “mea culpa”,
caldo quanto amaro, batte su petti
frastornati per l'imprevisto ben
oltre il prevedibile.
L'USCENTE «L'aria era quella, ma
ragionevolmente si pensava che il
lavoro fatto in questi ultimi cinque
anni ci avrebbe premiati. Non ho
niente di cui rimproverarmi. I
milioni a Oristano e alla provincia
sono arrivati, parecchi progetti
sono stati realizzati, la condizione
generale anche se in misura
inferiore alle aspettative è comunque,
migliorata. Abbiamo salvato la
Prefettura, gli uffici giudiziari,
quelli scolastici, gli investimenti
per riqualificare le periferie
sono arrivati ma evidentemente non è
stato sufficiente. Certo gli
errori non sono mancati e qualcuno
se ne dovrà fare carico, ma da qui
dobbiamo ripartire. Ce la faremo,
sono convinta», dice Caterina Pes
che, dopo la «straordinaria
esperienza romana», ritorna alla cattedra
di filosofia al De Castro.
CENTRODESTRA Ma anche per il
centrodestra che amministra i comuni più
importanti, da Oristano a Terralba e
Cabras, si viaggia sotto le
stelle. «Non è andata benissimo ma
col vento che tirava e considerato
che la composizione dei collegi ha
penalizzato la rappresentanza
oristanese, ce la siamo cavata anche
bene. Non mi pare che il
risultato rappresenti un
avvertimento per il Comune, le amministrative
sono diverse dalle politiche e anche
dalla regionali. Siamo sereni,
lavoriamo tranquilli», sostiene
Gianfranco Licheri, assessore comunale
di centrodestra. Il sindaco Andrea
Lutzu: «Massimo rispetto, i dati
sono quelli che sono ma le
amministrative sono ben altra cosa. I
Cinquestelle hanno fatto un grande
risultato ma non mi sembra che
abbiano rubato voti al centrodestra.
La mia maggioranza deve solo
preoccuparsi di governare bene ascoltando
tutti, soprattutto i più
deboli e i disoccupati».
L'ELETTA Lucia Scanu, nata e vissuta
a Nughedu Santa Vittoria, dopo
passaggi lavorativi - settore
turistico - a Londra per poi rientrare
in Sardegna a Oristano, si ritrova
come in una favola, catapultata a
Roma. «In casa ho avuto il nonno e
mio padre Giovannino sindaci di
Nughedu ma questo non significa che
ho vissuto di pane e politica.
Certo, mi ha sempre interessato ma
mai avrei pensato di trovarmi un
giorno parlamentare. Una gioia e una
felicità indescrivibile anche se
non nascondo di sentire il peso
della responsabilità, spero di essere
all'altezza».
Antonio Masala
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Federico
Marini
skype:
federico1970ca
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