Politiche,
soluzioni dopo il tracollo Dem
«Il
rapporto con i cittadini è andato ormai perduto, il sindaco deve riflettere»
Il centrosinistra esce con le ossa
rotte dalle Politiche e per Massimo Zedda l'unica salvezza è quella di
presentarsi compatti alle urne. Per il primo cittadino il risultato
della sinistra cagliaritana, sommando i voti di Liberi e uguali e Potere al
popolo, è stato migliore di quello nazionale e degli altri capoluoghi sardi, ma
a Palazzo Bacaredda crescono i malumori tra gli alleati, col capogruppo dei Rossomori
che non risparmia critiche.
ROSSOMORI «Non si vince con tattiche
e accordi, ma rispondendo a esigenze dei cittadini: vada il sindaco a chiedere
se i servizi sociali stanno operando bene, dagli operatori del mondo della
scuola per capire se sono contenti, dai cittadini di Is Mirrionis che dopo più
di 6 anni vedono la piscina di via Abruzzi ancora ridotta a un rudere - attacca
Filippo Petrucci - sono temi che come Rossomori abbiamo posto più volte, senza
avere risposta. Anche i settori che stanno operando bene, come l'urbanistica,
sembrano lasciati soli. Sono almeno 6 mesi che non facciamo riunioni di
maggioranza, invocare l'unità come un dogma assoluto non è
una risposta».
Il malumore di Petrucci è condiviso
dal segretario cittadino dei Rossomori Marco Murgia, ex consigliere comunale Pd
che alle Politiche si è candidato con AutodetermiNatzione. «Dopo un anno e
mezzo di amministrazione - conclude Petrucci - non registriamo quel cambio di passo
politico che era a fondamento del nostro sostegno alla Giunta sempre più chiusa
nel recinto della ordinaria amministrazione».
DEMOCRATICI La batosta del 4 marzo
spinge all'autocritica anche il capogruppo del Pd in Consiglio comunale
Fabrizio Rodin. «Bisogna dare risposte concrete a bisogni concreti mentre
troppo spesso ci avvitiamo su problemi che non sono quelli della gente -
commenta Rodin -. La gente ti vota se pensa che tu vada a risolvere i suoi
problemi, questa è la chiave di lettura di queste elezioni e questa è anche la soluzione».
Nell'intervista al sindaco pubblicata sull'Unione Sarda di ieri anche Zedda ha
detto che bisogna tornare tra la gente, un passaggio che non è sfuggito al
capogruppo di Forza Italia.
FORZA ITALIA «Il sindaco dice che
deve tornare in mezzo alla gente, sono d'accordo ma ci deve anche rimanere -
ironizza l'azzurro Stefano Schirru - il risultato delle elezioni è una lezione
per tutti i partiti, ma soprattutto per chi è al governo e ha una politica
lontana dalle esigenze della città. Sono state compiute opere importanti, ma senza curare gli interessi dei
cittadini e dei commercianti non c'è visione della città da qui ai prossimi
vent'anni e i cittadini hanno protestato col loro voto» conclude il consigliere
comunale.
Marcello Zasso
La
Nuova
Pd, salta
la segreteria: i soriani si sono già dimessi
il dopo voto»i dem
CAGLIARINiente passaggio in
segreteria. Fra una settimana, sabato 17,
«ci confronteremo nella direzione
regionale, convocata a Oristano», e
sarà lì che si consumerà la resa dei
conti. Con la corrente di Renato
Soru che subito si è portata avanti
col lavoro di ricostruzione dopo
la batosta elettorale. I tre
rappresentati che ha nella segreteria,
Giuseppe Frau, Barbara Cadoni e
Antonio Piu, si sono dimessi. Mentre
quelli del gruppo dei
popolari-riformisti, fra i quali c'è anche il
vicesegretario Pietro Morittu,
dovrebbero farlo alla vigilia della
direzione di Oristano.Velocità.
La segreteria del giovedì è stata
annullata non chissà per quale
alchimia o strategia, ma per un
«impegno a Palazzo Madama, durato
più del previsto, del senatore e
segretario Giuseppe Luigi Cucca»,
hanno fatto sapere dallo staff.
Qualunque sia il motivo del rinvio e
quello comunicato dovrebbe essere
vero, Cucca doveva chiudere alcune
pratiche negli uffici della
commissione giustizia del Senato, il
Pd ha deciso comunque di andare
per le spicce. Ha saltato un
passaggio, per puntare alla direzione e
poi all'assemblea regionale, l'unico
organismo che può accettare le
dimissioni o sfiduciare il
segretario.
Accerchiamento. A sollecitare
l'azzeramento della segreteria sono
ormai due correnti su tre: il
gruppo di Soru e quello dei
popolari-riformisti, capeggiati dagli ex
parlamentari Antonello Cabras e
Paolo Fadda, che fino a domenica
facevano invece parte della maggioranza
interna. L'unica che non l'ha
fatto è quella dei fedelissimi del
senatore di Nuoro appena rieletto:
i renziani e gli ex Diesse. Però
anche loro starebbero per abbandonare
la difesa ad oltranza del fortino,
ma sono contrari a «qualunque
processo precostituito».
I soriani. Con un comunicato, i tre
che fanno
parte della segreteria si sono
dimessi. «Dopo il pesante risultato
elettorale - scrivono - è doveroso
da parte nostra un atto di rispetto
verso gli elettori e i militanti. In
attesa che il segretario offra le
proprie dimissioni agli organismi
del partito, noi cominciamo a
farlo». Era scontato che lo
facessero, sono la minoranza, nel farlo
hanno scelto lo stesso trattamento
riservato anni fa a Soru. Allora
furono i popolari-riformisti, con le
dimissioni di Romina Mura, ad
accelerare quelle del segretario
Soru.
Su Facebook Giuseppe Frau ha
aggiunto: «Matteo Renzi si è
dimesso, occorre che Cucca faccia lo
stesso e al più presto come atto di
umiltà e rispetto per far
ripartire un'ampia discussione e rifondare
il partito dopo l'ultimo
tracollo».I popolari-riformisti.
Anche loro hanno rotto gli indugi. I
tre della segreteria - Morittu,
Alberta Grudina e Aldo Pili - non si
sono ancora dimessi, ma ormai è solo
questione di giorni. Comunque,
con una telefonata, l'attuale
vicesegretario Morittu avrebbero chiesto
ufficialmente a Cucca di presentarsi
dimissionario sabato prossimo ad
Oristano senza aspettare il
dibattito e neanche un'eventuale sfiducia
votata a maggioranza.
Stando ad alcune indiscrezioni la
risposta del
segretario sarebbe stata questa:
«Presenterò la relazione sulle
elezioni, ascolterò gli interventi e
poi decideremo insieme cosa
fare».I fedelissimi. Su Facebook i
renziani e gli ex Diesse hanno
confermato che sono pronti a fare
quadrato intorno al segretario. L'ex
deputato Siro Marrocu ha scritto:
«Domenica abbiamo perso soprattutto
a causa delle troppe guerre
intestine e, guarda caso, c'è chi come
rimedio ha scatenato l'ennesima
guerra interna. Non abbiamo ancora
imparato la lezione?
È arrivato il momento di dire
basta».
Contrattacco sostenuto dal renziano
Franco Sabatini: «Abbiamo capito
da giorni che in molti vogliono
trasformare la prossima direzione in
un'arena, nella solita resa dei
conti, irresponsabile e disfattista
che già tanto male ha fatto al
partito. Certo, sì deve avviare una
discussione ma facciamola in modo
pacato. In questo momento delicato
non serve buttarla in rissa come
invece finora alcuni hanno sempre
fatto». Ma oggi il Pd sardo sembra
essere molto lontano dalle
soluzioni più ovvie: l'autocritica
prima e la ricostruzione subito
dopo. (ua)
Si e Mdp:
«Sinistra all'anno zero, ma il percorso anti-liberismo deve
proseguire»
Gli ex Leu: «Risultato deludente»
CAGLIARIL'analisi elettorale di chi
faceva parte della coalizione
Liberi e Uguali è secca: «Abbiamo
ottenuto un risultato deludente». Di
fatto la Sinistra è ritornata
all'anno zero, ma non per questo «il
percorso si deve interrompere e
bisogna andare avanti per far
rinascere un Partito del e per il
lavoro». A scriverlo sono la
segreteria regionale di Sinistra
italiana, che si è riunita l'altro
giorno a Tramatza, e il gruppo di
Mdp in Consiglio regionale.
A dirlo è anche Michele Piras,
deputato uscente e non ricandidato nelle
Politiche di domenica. «Le liste di
Liberi e Uguali - scrive la
segreteria di Sinistra italiana -
non sono state percepite dagli
elettori in grado di intercettare il
disagio e la protesta della parte
della società più debole e
maggiormente colpita dalla crisi. Il
risultato negativo di domenica
comunque - prosegue - non fa venire
meno l'esigenza di costruire un
soggetto politico unitario per
proseguire la lotta contro il
liberismo sfrenato». Al segretario
Antonello Licheri la direzione ha
dato il mandato di promuovere al più
presto una conferenza programmatica
per discutere degli obiettivi
soprattutto in Sardegna».
Anche per il gruppo di Mdp
«nonostante siano
stati raccolti meno voti del
previsto e in Sardegna LeU non abbia
eletto neanche un deputato, è
indispensabile aprire una fase
congressuale per arrivare a quel
partito del lavoro, dei territori e
delle periferie capace stavolta
d'interpretare le esigenze della
società». Non c'è scoramento,
aggiunge Mdp, ma «la consapevolezza che
avviamo il dovere di ridare vita
anche in Sardegna a un vero partito
di sinistra, autonomista per i
diritti e contro qualunque
discriminazione».
Per Michele Piras «le elezioni sono
state una
catastrofe e chi l'ha provocata deve
dimettersi». Secondo l'ex
deputato «la direzione nazionale ha
commesso troppi errori e nessuno è
assolto». A cominciare da Pietro
Grasso, «mi è parso inadeguato e poco
efficace sul piano comunicativo»
fino a Massimo D'Alema, che «ha avuto
il coraggio di presentarsi
all'uninominale, ma non si può proporre
sempre la stessa minestra
riscaldata».
Il passo
indietro di Renzi «Non corro alle primarie»
Ma i
renziani non mollano e attaccano chi vuol dare tutte le colpe al segretario
Lunedì la
resa dei conti in direzione. Si va verso una reggenza
affidata
a Martina
di Serenella Mattera
ROMA
Non si può «fare finta che sia colpa
di uno solo». Non può farlo,
soprattutto, chi fino al 4 marzo
«era nella maggioranza del partito».
Il messaggio di Luca Lotti, braccio
destro di Matteo Renzi, è rivolto
a Dario Franceschini e a chi in
queste ore sta prendendo le distanze
dal segretario dimissionario, oltre
che ai leader di minoranza Andrea
Orlando e Michele Emiliano. Arriva
nel giorno in cui Ettore Rosato
assicura che Renzi è già un «ex» e
non ha alcuna intenzione di
succedere a se stesso: «Non
parteciperà alle prossime primarie». E
mette in chiaro che il «senatore di
Firenze» non ha intenzione di
farsi mettere all'angolo, fare da
capro espiatorio: non si farà
scavalcare nelle scelte in
Parlamento e per il governo.
Nel giorno in
cui il presidente della Repubblica
Sergio Mattarella lancia il suo
primo appello alla responsabilità, è
Lotti a indicare la linea
renziana: «Siamo pronti come sempre»
ma «forse anziché parlare del Pd,
che ha perso e starà
all'opposizione, è il momento di vedere cosa
vogliono fare i vincitori Salvini e
Di Maio». Questa è la linea Pd,
affermano dal Nazareno, perché
nonostante le dimissioni del segretario
i gruppi sono a maggioranza
renziana: 38 su 56 al Senato, il 70-80%
alla Camera, dove i deputati sono
112. Dunque i renziani eleggeranno i
capigruppo che andranno alle
consultazioni. Discorso chiuso? No,
perché alla lunga - ammettono tutti
- gli equilibri possono cambiare.
E nell'ora dei veleni, si incrociano
sospetti.
Rosato assicura che «il
99%» dei futuri deputati è contro
una ipotesi di un sostegno a un
governo M5s (c'è il sì solo di
Emiliano), circola l'ipotesi che parte
della maggioranza del partito sia
tentata da un sostegno esterno a un
governo di centrodestra (non a guida
Salvini, ma di un leghista
moderato). Suggestioni, per ora.
Così come quella di un governo di
larghissime intese per evitare il
ritorno alle urne. La direzione
lunedì, alla quale Renzi ancora non
ha deciso se andare,
ufficializzerà la linea
dell'opposizione e affiderà la reggenza a
Maurizio Martina, nell'attesa
dell'assemblea che ad aprile sceglierà
se eleggere un segretario di
transizione (magari lo stesso Martina,
per poi tenere il congresso nel
2019) o indire subito le primarie (ma
Calenda per statuto, ricorda Rosato,
non potrebbe candidarsi). Il
vicesegretario, in queste ore
starebbe lavorando all'ipotesi di un
organismo collegiale che lo
affianchi in questa fase, come chiede
l'area Orlando, ma deve fare i conti
con il no dei renziani.
Intanto Lotti attacca chi addossa
tutte le colpe a Renzi: «Ha ragione il
ministro Orlando quando chiede un dibattito
nel Pd, sul Pd. Perché
sentire pontificare persone che non
hanno mai vinto un'elezione è
imbarazzante». Lotti, forte di aver
«vinto il collegio senza
paracadute», invita a una
riflessione «chi ha perso nel collegio di
residenza ma si è salvato col
paracadute» (un'allusione a
Franceschini?), i governatori di
Regioni dove il Pd è andato male
(Bonaccini e Serracchiani?) e «chi
non ha proprio voluto correre»
(Orlando?). Orlando, che avrebbe
sentito al telefono Lotti, con i suoi
osserva che il messaggio è rivolto
«ai renziani in fuga» (anche perché
ricorda di aver chiesto a suo tempo
di correre in un collegio).
E in effetti in queste ore i
renziani puntano il dito soprattutto contro
Franceschini, sospettato - i
parlamentari vicini al ministro negano -
di trattare con M5s e destra per la
presidenza della Camera. Lunedì in
direzione il «redde rationem» in
corso avrà una prima scena pubblica.
Ma i padri nobili stanno cercando di
evitare che il partito salti.
Walter Veltroni avrebbe incontrato
Martina in giornata, mentre Romano
Prodi, su Repubblica, si è detto
convinto che «il Pd non è morto».
Molto più amara l'analisi dell'ex
capo dello Stato Giorgio Napolitano,
che invita a mostrare «senso di
responsabilità» e descrive la disfatta
elettorale come «un evento annunciato»,
anzi «un destino quasi
compiuto: tutto lo faceva
prevevedere»
Unione
Sarda
Pd,
pressing sul segretario Ma la resa dei conti slitta
I soriani
si dimettono dall'esecutivo, Cucca convoca la direzione
Nove giorni per capire quali saranno
le sorti del Partito democratico
sardo, con il segretario, Giuseppe
Luigi Cucca, sempre più in bilico e
una segreteria che perde pezzi. La
riunione di ieri è slittata per gli
impegni romani di Cucca e sarà
quindi sabato prossimo il giorno della
verità con la riunione della
direzione.
I dem si incontreranno a Oristano,
alle 10, per quella che sarà una
resa dei conti in grande stile. In
Sardegna, infatti, l'elettorato non
ha risposto “presente” alla chiamata
al voto e nel Pd si comincia a
stilare la lista dei responsabili.
Cucca dice: «Un'analisi del voto e
necessaria. La faremo tutti
assieme».
IL PRESSING Inevitabile che sia il
segretario regionale il primo
indiziato, ma la sensazione è che
all'interno del partito sia in atto
una riflessione più ampia e che
coinvolge molti “big”. Il pressing
attorno a Cucca si fa sempre più
incisivo, soprattutto da parte
dell'ala soriana del partito. Resta
da capire se il numero uno del
partito accetterà o meno di giocare
il ruolo di capro espiatorio di un
risultato che ha visto il Pd ai
minimi storici nell'Isola. Ieri,
saltata la riunione della
segreteria, è stata comunque una giornata di
colloqui e telefonate. L'area
Popolare-riformista ha chiesto a Cucca
di convocare la direzione e spostare
quindi il confronto su una platea
più ampia.
L'ADDIO Il primo pezzo di segreteria
che ha deciso di abbandonare è
quello della componente del partito
che fa riferimento a Soru.
Giuseppe Frau, Barbara Cadoni e
Antonio Piu hanno firmato le
dimissioni motivandole come «un
doveroso atto di rispetto verso gli
elettori e i militanti». Nelle
parole dei tre dimissionari c'è
l'invito a Cucca affinché faccia la
stessa scelta: «In attesa che il
segretario offra agli organismi le
proprie dimissioni, iniziamo noi a
farlo».
GLI SCENARI Il futuro del Partito democratico
sardo è decisamente
nebuloso. Se Cucca rinunciasse alla
segreteria, potrebbe essere
l'ennesima fase di transizione con
un reggente. La scelta andrebbe o
su un componente della segreteria
oppure sul presidente
dell'assemblea, Lalla Pulga,
esponente dei soriani.
Il rischio di riaprire una guerra
interna, alla ricerca di una nuova
stagione, potrebbe sfiancare il
partito in vista delle prossime
elezioni regionali. Allo stesso
tempo la necessità di un cambiamento
di rotta radicale è una richiesta
che arriva soprattutto dalla base
sempre più delusa. Sarà importante
anche capire quale sarà l'esito
della direzione nazionale, convocata
per lunedì, occasione per
definire il futuro del Pd.
M. S.
La
riflessione di Romina Mura, tra le poche conferme dei Dem alle Politiche
«Rovinati
dalle liti tra le correnti I giovani si prendano il partito»
Auguri.
«Grazie. Ma che botta! Sono ancora
frastornata».
Lei è una sopravvissuta.
«Ora devo lavorare per la
ricostruzione. E ai miei compagni dico,
citando De André: che nessuno si
senta assolto, siamo tutti coinvolti,
tutti responsabili». Romina Mura, 47
anni, sindaca di Sadali, è di
nuovo deputata, nonostante il
terremoto che ha ridotto il partito al
15% nell'Isola e al 18% in Italia.
Cosa avete sbagliato?
«Non è una scusante, ma credo sia in
crisi il pensiero progressista,
socialdemocratico. L'Italia cade
dopo diversi Paesi europei».
Sì, ma gli errori?
«Pensavamo, in questi cinque anni,
di aver costruito interventi che
potessero dare risposte a una serie
di problemi e fare da argine a
questa rabbia diffusa. Non ci siamo
riusciti. Credo comunque che il
tema dei temi, quello che ha
condizionato e determinato questo
risultato, sia l'immigrazione».
Il fallimento nella gestione
dell'accoglienza?
«Non mi pento di aver sostenuto le
iniziative che miravano a salvare
vite umane, anche a costo di perdere
voti. Però non siamo stati bravi
a dare ai cittadini un senso di
sicurezza. Oggi i nostri elettori
chiedono sicurezza proprio come
quelli di destra: in questo abbiamo
toppato clamorosamente. E poi c'è
voglia di cambiare».
E i vostri leader dicono e fanno
sempre le stesse cose.
«Noi abbiamo percorso la strada
dell'innovazione, ma non siamo
riusciti ad andare fino in fondo. Le
dinamiche sono rimaste sempre le
stesse: gli equilibri tra correnti,
gli schemi immutati. Anche nelle
altre regioni il Pd è stato solo lo
spazio della conflittualità dei
gruppi dirigenti, nient'altro. Cose
che cerco di segnalare da tempo,
non a caso non sono amatissima da
tutti nel partito».
Il vostro segretario regionale si
dovrebbe dimettere?
«Non credo sia utile chiedere la
testa di segretari o dirigenti. Altro
che regolamento di conti, adesso
dobbiamo sentire più che mai il senso
di comunità, fare una discussione
profonda, riscrivere il perimetro
della nostra azione politica, poi
aprire porte e finestre per far
entrare aria fresca».
Ma i giovani dove sono?
«Ecco, ai giovani dico: dovete
sgomitare, perché gli spazi politici
non ve li lascerà mai nessuno, ve li
dovete prendere, uscite dalle
logiche correntizie, pretendete
processi di partecipazione vera e
rifiutate l'abbraccio dei vecchi».
Renzi ha annunciato le dimissioni.
«Renzi è andato in tv e ha detto
cose chiare che io condivido
totalmente, farà un passo indietro,
ma in maniera razionale».
Condivide anche il “mai con i
Cinquestelle”?
«Certo, non possiamo credibilmente
sostenere un governo M5S, gli
elettori ci hanno mandato
all'opposizione. Loro sono il primo partito
italiano, il centrodestra la prima
coalizione, con la Lega primo
partito, spero che riescano a fare
un governo e a governare bene».
La Lega in Sardegna ha preso l'11%,
poco meno di voi.
«Ha cavalcato i temi
dell'immigrazione e della sicurezza».
E si è alleata col Psd'Az.
«Mah, io quest'alleanza non la
capisco proprio, anche se ha premiato
il loro segretario, che andrà in
Parlamento. Non riesco a dimenticare
che la Lega ha sempre rappresentato
solo il Nord, raccontava il Sud
come una palla al piede e i nostri
giovani come fannulloni. Non vedo
dove sia il trait d'union, mi auguro
che quello che rimane del Psd'Az
ce lo faccia capire e provi anche a
recuperare qualche valore».
Serve un rimpasto nella Giunta
regionale?
«A meno di un anno dalle elezioni,
no: cosa può fare un nuovo
assessore in così poco tempo? Serve
invece concentrarsi sulle
politiche di sviluppo e di supporto
alle classi più deboli, dare più
attenzione ai territori, aiutare i
sindaci, rafforzare i presidi
sociali e culturali. Tante cose sono
state fatte, penso ad esempio a
“Lavoras”, un piano importantissimo,
ma sono processi che per
attecchire richiedono tempi lunghi,
le persone non hanno ancora
percepito le riforme e quando vanno
a votare ci puniscono».
Nella scorsa legislatura eravate
undici parlamentari sardi del Pd,
nella prossima sarete in tre.
«È stato difficile fare cose
importanti, ora lo sarà molto di più.
Spero che sulle grandi battaglie ci
siano prese di posizioni
trasversali. Dobbiamo stare uniti».
Anche con i Cinquestelle?
«Sono loro che hanno sempre
rifiutato il confronto con noi, adesso
dicono che ci vogliono come alleati,
ma fino a ieri ci consideravano
degli appestati».
Cristina Cossu
I
“veterani” Corda e Vallascas: resterà un contatto diretto con tutti
i
territori «Saremo la voce dell'Isola»
I sedici
parlamentari del M5S oggi a Roma da Di Maio
«Siamo pronti a rappresentare la
Sardegna in Parlamento». Per i sedici
portavoce del Movimento 5 Stelle,
eletti nell'Isola, comincia oggi
l'avventura nel nuovo ruolo, con il
primo incontro con il leader,
Luigi Di Maio. L'appuntamento è per
questa sera a Roma, per un primo
confronto con tutti i deputati e
senatori eletti in Italia.
LA SQUADRA Una rappresentanza fatta
in gran parte da esordienti, visto
che soltanto due degli eletti,
Emanuela Corda e Andrea Vallascas, sono
alla loro seconda esperienza. Ed è
proprio la deputata a sintetizzare
lo stato d'animo: «Sono molto
serena, soddisfatta per il grande
risultato, ma soprattutto molto
motivata perché è un momento
importante e possiamo fare tanto per
la Sardegna».
Per i nuovi sarà il
primo assaggio della vita da
parlamentare, con l'onere di
rappresentare la propria terra a
Roma. Corda è sicura che «il gruppo
saprà lavorare bene e noi che
abbiamo un po' più di esperienza avremo
modo di affiancare i nostri
colleghi». Ritorna alla Camera per la
seconda volta anche Andrea Vallascas
convinto che l'inizio
dell'avventura sia sempre
«un'emozione, anche se ovviamente
l'esperienza di cinque anni aiuta».
PORTAVOCE Avere una nutrita
rappresentanza parlamentare significa fare
affidamento su un'azione più
incisiva nelle istanze del territorio. Un
aspetto sul quale Emanuela Corda non
ha dubbi: «La Sardegna è ben
rappresenta, soprattutto perché
siamo i portavoce di tutti i territori
dell'Isola. Questo permette di avere
maggiore cognizione di causa
sulle singole problematiche». Sulla
stessa linea anche Vallascas,
convinto che rispetto alla
precedente legislatura «ci sarà maggiore
possibilità di rappresentare la
Sardegna».
I TERRITORI Il Movimento 5 Stelle ha
fatto il pieno di voti in tutti e
nove i collegi uninominali, tre per
il Senato e sei della Camera. Un
fattore che per Mario Puddu,
coordinatore regionale della campagna
elettorale, deve guidare l'azione
degli eletti anche dopo aver
ottenuto il risultato: «Noi siamo
portavoce e vogliamo assolutamente
mantenere il rapporto con i
territori e con i cittadini che ci hanno
dato questa grande fiducia». Dunque,
oltre l'attività parlamentare, i
pentastellati eletti non dovranno
spezzare il filo con i propri
collegi elettorali.
Matteo Sau
Parla
Guido De Martini, il primo sardo approdato alla Camera con la Lega
«Intolleranti
sì, ma non razzisti E con il Psd'Az lavoreremo bene»
«Razzisti noi? Una totale falsità.
Semmai intolleranti verso chi,
indipendentemente dal colore della
pelle, sta in hotel a spese nostre
e si lamenta del wi-fi o del cibo e
non rispetta le regole, questo
sì». Guido De Martini è un uomo
mite, gentile e loquace. Ha sposato la
Lega quando in Sardegna aveva una
manciata di voti, è stato candidato
ed eletto nell'anno del boom: 93mila
consensi, di cui 17mila nel
collegio di Cagliari. Così passerà
alla storia per essere il primo
deputato della Lega eletto in
Sardegna.
Oculista alla Asl, cagliaritano, 61
anni, racconta com'è nato l'amore
politico con Salvini. «Sei anni fa
sono andato a sbattere contro gli
effetti deleteri dell'euro. Mi sono
reso conto che siamo circondati da
persone che stanno male, da
disoccupati, da padri di famiglia con
contratti di lavoro di 15 giorni, da
ragazzi costretti ad espatriare.
E mi sono detto: ai miei tempi
potevi essere un muratore, un operaio,
un carabiniere, un impiegato e
potevi mettere su famiglia e comprare
casa, magari con sacrifici. Invece
l'Unione europea ha cambiato tutto
in peggio, non ha tenuto fede alle
promesse».
Come è entrato in politica?
«Mi sono messo a studiare i problemi
comunitari e sono andato in giro
a fare conferenze alle quali
partecipava molta gente alla fine delle
quali mi chiedevano che cosa si
potesse fare».
Da lì a Salvini?
«Lui tra la fine del 2013 e la
primavera del 2014 faceva il “Basta
euro tour” e sono andato in
Lombardia a sentirlo per capire se parlava
solo alla Padania. Non era così.
Poco dopo ero il coordinatore del sud
Sardegna».
Poi avete iniziato con i primi
banchetti.
«Raccoglievamo firme e a fianco a
ogni postazione c'era sempre una
macchina dei carabinieri o della
polizia. Mai successo nulla da noi
mentre alle manifestazioni dei
centro sociali e di quelli che hanno
letto i libri c'era sempre almeno
una vetrina rotta».
Poi è cambiato il vento e i vostri
voti sono lievitati senza un
programma specifico per l'Isola ma
grazie a un'alleanza strategica col
Psd'Az.
«Vincente è stato il programma di
Salvini: gestione dell'immigrazione,
stop alla Fornero, Flat tax,
legittima difesa, certezza della pena. Il
Psd'Az è cresciuto anche grazie alla
Lega».
E lei ha goduto del vantaggio di
questa legge elettorale.
«È indubbio che gli elettori abbiamo
scelto soprattutto il simbolo più
che i candidati».
Quando ha capito che avreste potuto
sfondare anche in Sardegna?
«Il punto di svolta è stata, a
novembre, la manifestazione con Salvini
a Cagliari».
Perché?
«Dovevamo scegliere una sala alla
Fiera e molti militanti mi
suggerivano di prenderne una
piccola. Io ho preso la più grande e
l'abbiamo riempita: c'erano 1200
persone entusiaste».
Che cosa pensa di un possibile
accordo col M5S?
«Decidere spetta a Salvini, che per
ora lo ha escluso. Io dico solo
questo: che la Lega stia in
maggioranza o all'opposizione, saprà
incidere. Come ha fatto nella scorsa
legislatura bloccando lo Ius soli
con 30 parlamentari».
Avete bloccato lo Ius soli ma non
siete razzisti.
«Non lo siamo e lo dimostra il fatto
che abbiamo eletto il primo
parlamentare di colore: Tony Iwobi,
uno che è stato studente, ha fatto
i lavori più umili, lo stagista e
oggi ha un'impresa con 12
dipendenti».
Ieri Balotelli ha detto che un nero
non può stare in un partito razzista.
«La Lega non è razzista, semmai
intollerante nei confronti di chi non
rispetta le regole».
E che cosa significa stop invasione,
aiutiamoli a casa loro...
«Che non possiamo accogliere tanta
gente».
Volete imporre i dazi come Trump?
«Siamo per un protezionismo
intelligente, per la difesa della nostra
nazione e dei nostri prodotto, lo fa
anche la Merkel. Non vogliamo
essere costretti a consumare arance
marocchine o olio tunisino».
Flat tax o zona franca?
«Sono simili perché trattano della riduzione
delle aliquote».
Che rapporti ha con Christian
Solinas?
«Lavoreremo assieme su continuità
territoriale e bilinguismo, collaboreremo».
Il suo collega di partito, Dario
Giagoni, ha presentato un ricorso che
potrebbe penalizzare anche lei.
«Ne abbiamo parlato, lui ritiene che
gli spetti un seggio di FdI,
vedremo. Certo è che questa legge
elettorale è troppo complessa anche
per chi deve applicarla».
Fabio Manca
No a
nuove urne
Berlusconi
apre a un'intesa
Silvio Berlusconi apre alle larghe
intese e come leader di Forza
Italia farà «tutto il possibile, con
la collaborazione di tutti, per
consentire all'Italia di uscire
dallo stallo, di darsi un governo, di
rimettersi in modo» scongiurando
«una paralisi che porterebbe
ineludibilmente a nuove elezioni». Il
leader azzurro mette le carte in
tavola in una lettera inviata ai
neoeletti, nella quale li convoca per
mercoledì 14 marzo alle 15.30 per la
prima riunione dopo il voto. Il
messaggio dell'ex Cav è chiarissimo,
anche quando parla di «leale
collaborazione con i nostri alleati»
non si lancia completamente in
una dichiarazione “fedeltà” a favore
di Matteo Salvini.
L'impegno «resta fermo a sostenere
il candidato premier indicato dal
maggiore partito della coalizione»
scrive ma si devono, sottolinea
«produrre le condizioni di una
maggioranza e di un governo in grado di
raccogliere un consenso adeguato in
Parlamento per dare attuazione ai
nostri impegni programmatici».
Insomma il centrodestra ha vinto,
questo lo certificano i voti degli
italiani, ma da soli non si può
dare vita a un esecutivo e se
qualche mese fa in campagna elettorale
il refrain era «senza maggioranza si
torni a votare» oggi l'ex
premier, quasi accogliendo l'appello
del capo dello Stato Sergio
Mattarella, parla di urne anticipate
come uno scenario totalmente da
evitare. Tutto questo non si sposa,
è evidente, con l'ala del partito
nordista, guidata da Giovanni Toti,
che invece vorrebbe convergere in
un partito unico con leader Salvini.
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Federico
Marini
skype:
federico1970ca
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