UNIONE SARDA
La crisi ricompatta le anime del Pd
ROMA «Siamo tornati a parlare, a
telefonarci». Dopo settimane di
tensione tra renziani e le altre
componenti dem, la crisi ricompatta
il Pd. Una tregua. Almeno in queste
ore. Con la soddisfazione di aver
centrato due obiettivi. Il primo
aver «spiazzato M5S e Lega» con
l'annuncio dell'astensione sulla
fiducia ad un eventuale governo
Cottarelli. Astensione confermata
ieri. Da fonti dem di palazzo Madama
si apprende «che la posizione del Pd
nei confronti di un eventuale
governo Cottarelli non è cambiata. I
gruppi parlamentari hanno
manifestato un orientamento,
pressoché unitario, di astensione
all'esecutivo».
Il secondo obiettivo centrato,
sostengono i dem, è quello di aver
stanato Matteo Salvini e Luigi Di
Maio schierando il Pd per il voto a
luglio. «Abbiamo reso evidente che
sono terrorizzati di andare a
votare a luglio. E tutto quello che
sta accadendo in queste ore»
ovvero il nuovo tentativo di un
governo politico giallo-verde «ne è la
dimostrazione».
In attesa dell'evolversi della
crisi, i dem sono alle prese con
l'organizzazione della manifestazione
di domani a Santi Apostoli.
Una iniziativa nel nuovo spirito del
“fronte repubblicano”: una piazza
aperta, forse anche con i sindacati
presenti.
«Venerdì primo giugno a Roma e in
contemporanea a Milano ci saranno
due grandi manifestazioni», dice
Maurizio Martina in un video su Fb,
«vogliamo rappresentare in tutto e
per tutto l'alternativa popolare
alle forzature, alle provocazioni,
alle irresponsabilità che abbiamo
visto in questi giorni e che hanno
animato le forze che hanno prevalso
il 4 marzo».
Intanto da Leu, piuttosto critico in
prima battuta, è arrivata
un'apertura su una possibile
alleanza.
Parla il costituzionalista Pietro
Ciarlo. «Savona è in cerca di un nuovo ruolo»
«Lo stallo? Creato ad arte
Mattarella è stato corretto»
Sono stati in molti, in questi
giorni difficili, a ragionare sui
motivi della rigidità, ieri
attenuata, di Salvini e Di Maio sul nome
di Paolo Savona al ministero
dell'Economia. E a concludere che tutto
ciò che è accaduto potrebbe essere stato
previsto, anzi pianificato,
dal leader della Lega per tornare
alle urne e ottenere un consenso ben
più ampio. Il no di Mattarella, le
polemiche che ne sono seguite, il
dibattito acceso tra i 60 milioni di
costituzionalisti italiani
sarebbero figli di una sofisticata
manovra politica.
Tra i sostenitori di questa tesi, al
di là degli sviluppi delle ultime
ore, c'è Pietro Ciarlo, ordinario di
Diritto Costituzionale
all'Università di Cagliari,
consigliere regionale del Pd in Campania
per cinque anni e uno degli
esponenti della “Commissione dei saggi”
Letta-Napolitano che nel 2013 venne
incaricata di riformare la Carta.
«Nelle ultime settimane è apparso
chiaro che il partito maggiormente
in ascesa sia la Lega che avrebbe un
grande giovamento da elezioni
ravvicinate. Devo aggiungere
altro?».
Aggiunga, professore.
«In quest'ottica la rigidità sul
nome di Savona è apparsa strumentale
a caricare sul Capo dello Stato
l'onere dello scioglimento anticipato
del Parlamento».
Ma secondo lei il presidente
Mattarella ha agito correttamente? Molti
suoi colleghi si sono divisi.
«Dal punto di vista giuridico,
nessun dubbio. La Costituzione ha
previsto che le nomine dei ministri
siano concordate da presidente del
Consiglio incaricato e presidente
della Repubblica che devono
cofirmare il decreto di nomina».
Molti sostengono che la proposta del
presidente incaricato sia vincolante.
«No, l'atto deve essere condiviso e
se manca il consenso di una parte
non si può fare».
Qual è la ratio?
«Il Legislatore ha immaginato che in
un momento di particolare
tensione o difficoltà politiche ci
dovesse essere una
corresponsabilità tra presidente
della Repubblica e presidente del
Consiglio incaricato».
Molti tra coloro che concordano con
lei sostengono, però, che pur
essendo corretta la decisione del
presidente della Repubblica sia
stata inopportuna.
«Qui ci spostiamo su un terreno
politico e vale il discorso che ho
fatto sul vero obiettivo della
Lega».
Inizialmente il Movimento
Cinquestelle aveva ipotizzato una richiesta
di impeachment. Poi c'è stata una
marcia indietro.
«Era solo una questione politica
senza basi giuridiche. Infatti pochi
sono rimasti su questa posizione.
Anche perché è palese che il
presidente Mattarella non abbia
commesso alcun illecito».
Tra l'altro è una procedura
complicata.
«Le ragioni per chiedere di mettere
in stato d'accusa il Capo dello
Stato - alto tradimento e attentato
alla Costituzione - non
sussistono. E poi la procedura
complessa e prevede, tra l'altro che a
deliberare siano le Camere riunite
in seduta Comune con maggioranza
assoluta».
Che cosa pensa di Paolo Savona?
«È il classico personaggio in cerca
d'autore».
Si spieghi.
«È un uomo che aveva grandissime
ambizioni, poi si sono spenti i
riflettori. Si aspettava moltissimo
da Ciampi presidente della
Repubblica e quando non ha ottenuto
nulla, a un certo punto ha deciso
di riciclarsi altrove perché in
quegli ambienti non aveva più grandi
chance. Quando i tuoi maestri escono
di scena, il tessuto relazionale
si indebolisce, cambiano le fasi
politiche, i soggetti e i partiti,
c'è chi si preoccupa di trovare un
autore che gli assegni di nuovo una
parte nella commedia della vita. Ma
c'è un limite a tutto, come diceva
mia madre. A 82 anni non ci si mette
a fare il pomo della discordia».
L'euro è un valore costituzionale?
«Nella Costituzione c'è scritto che
dobbiamo osservare i trattati
internazionali, dunque anche quelli
che stabiliscono che la moneta sia
l'euro. Ma voglio dire un'altra
cosa».
La dica.
«Si dice che non ci siano
istituzioni politiche europee all'altezza
dell'euro. Questa affermazione era
vera sino a sette-otto anni fa ma
non ora. La Banca centrale europea è
un'istituzione dotata di ampi
poteri in grado di governare la
monete, come si può vedere dalle mosse
di Draghi. Aggiungo che Draghi
presidente della Bce significa anche
Italia al governo dell'Unione
europea».
Fabio Manca
Doppio incontro con Mattarella
Cottarelli in stallo: il governo
tecnico resta fermo ai box
ROMA Due incontri informali, al
mattino e al pomeriggio, e alla fine
le stesse conclusioni. Il presidente
della Repubblica, Sergio
Mattarella, e il presidente del
Consiglio incaricato, Carlo
Cottarelli, decidono di congelare la
nascita del governo di garanzia,
per verificare se sia ancora
possibile dar vita ad un esecutivo
politico, fondato sull'intesa tra
M5S e Lega.
IL COLLOQUIO In mezzo un colloquio,
sempre informale, tra il capo
dello Stato e il leader
Cinquestelle, Luigi Di Maio, che probabilmente
serve a rafforzare la convinzione
maturata nelle ultime
ventiquattr'ore: nonostante siano
passati 67 giorni dalle dimissioni
di Paolo Gentiloni e sia stato
battuto il record di durata di una
crisi di governo nella storia della
Repubblica (eccetto quelle
intervallate da elezioni
anticipate), Mattarella non vuole lasciare
nulla di intentato perché possa
vedere la luce un governo politico in
grado di far partire la legislatura.
Tanto che, interpellate
sull'argomento, fonti del Quirinale affermano
che viene valutata «con grande
attenzione» l'ipotesi avanzata dal
leader M5S di affidare a Paolo
Savona un dicastero diverso da quello
dell'Economia.
LA SQUADRA Fonti della presidenza
della Repubblica fanno sapere che
non ci sono più problemi per la
lista dei ministri di Cottarelli.
L'elenco ha ricevuto il via libera
del presidente. Ma Cottarelli e
Mattarella hanno deciso di non
forzare sui tempi nell'ipotesi di un
eventuale governo politico. Quindi
la situazione resta aperta. Di
sicuro Cottarelli prenderà ancora
tempo prima di sciogliere la
riserva. Ma essendo tramontata
l'ipotesi di un'astensione tecnica,
l'esecutivo di garanzia andrebbe
sicuramente alla morte. Di fatto non
ci sono i numeri per ottenere la
fiducia alle Camere, l'unica via
d'uscita poteva essere l'accordo
politico di maggioranza a non
esprimersi, con la disponibilità di
volontari a votare a favore.
L'ipotesi però si infrange contro la
realtà, i pentastellati
confermano il no alla fiducia,
portandosi dietro anche Lega e Fratelli
d'Italia. La strada non è
percorribile, insomma, ma nella sala dei
Busti di Montecitorio, come del
resto al Quirinale, si lavora a
un'alternativa.
I MERCATI Nel frattempo lo spread si
raffredda e la Borsa di Milano
rifiata in attesa di nuovi sviluppi.
L'indice milanese Fte Mib sale
del 2,09%, mentre il differenziale
tra il Btp e il Bund tedesco torna
sotto quota 250 punti, a 247 punti
base, in chiusura, con il tasso del
decennale italiano al 2,84% sul
mercato secondario dopo aver toccato
nei giorni scorsi i massimi dal
2012. Ma un segnale preoccupante
arriva dall'asta del Tesoro, che
vede raddoppiare i rendimenti da
pagare agli investitori per il
cosiddetto rischio Italia. E intanto
Moody's annuncia che potrebbe
tagliare il rating di 12 banche e 6
utility italiane, sulla scia della
stessa minaccia sul debito sovrano
dell'Italia.
LA BCE La Bce è cauta. Fonti interne
all'Eurotower rivelano che
l'istituzione presieduta da Mario
Draghi sta seguendo con attenzione
gli sviluppi del mercato e gli effetti
della crisi politica
sull'Italia, ma in questo momento
non vede alcun morivo per
intervenire. «Nessuna banca centrale
reagirebbe a eventi sulla scia di
fatti che si sono manifestati in
pochi giorni», fa notare una fonte
ricordando che siamo di fronte a una
crisi politica. Certo è che i
rischi restano.
Il leader 5S: conosciuto da poco. Ma
nel 2016 parlarono dell'euro
Quell'antico colloquio tra Di Maio e
il Prof
«Ho avuto un lungo colloquio con Di
Maio», raccontava Paolo Savona a
Cagliari, il 20 settembre del 2016.
Davanti alla platea di un
congresso ospitato in un hotel del
capoluogo, l'economista riferì la
ricetta proposta dal leader
Cinquestelle: «Mi ha detto: dobbiamo
uscire dall'euro».
La posizione contro la moneta unica
(condivisa anche da Savona, che
nel 2016 però specificava che non
avrebbe «risolto il problema»
dell'Italia) non è certo una novità,
soprattutto se si considera che
il racconto è di due anni fa. Ma il
video in cui sono contenute queste
frasi ieri è rimbalzato sui social
network perché ritenuto una “prova”
in grado di mettere in difficoltà
Luigi Di Maio: nei giorni scorsi,
quando era ancora in atto il braccio
di ferro col Quirinale sul nome
dell'economista cagliaritano, il
leader M5S disse di aver conosciuto
Savona solo «dieci giorni fa».
Così nella serata di ieri Di Maio ha
precisato: «Circola un video in
cui si dice che io e Savona ci
conoscevamo da anni. Non me lo ricordo.
Non l'ho mai incontrato e non
abbiamo mai discusso di euro. La
conoscenza tra me e Savona è
avvenuta con Salvini qui a Roma una
settimana prima di formare la
squadra dei ministri. La sua prima
considerazione è stata “faccio il
ministro per voi a patto che non si
esca dall'euro”», ha spiegato nel
corso di un'assemblea dei
rappresentanti del movimento.
Nei giorni scorsi in tanti avevano
evidenziato il cambio di rotta
sull'uscita dall'euro. Dopo la
bocciatura di Mattarella e il
conseguente fallimento delle
trattative sul governo guidato da
Giuseppe Conte, Di Maio ha più volte
sottolineato che non era
intenzione del movimento uscire
dall'euro e che l'ipotesi non era nel
contratto di governo firmato
stipulato con Salvini.
La Nuova
Il M5s «stringe» sulla Lega Ma
Salvini guarda alle urne
La non sfiducia tecnica e il governo
Andreotti nel 1976
È complicato definire il concetto di
«non sfiducia tecnica» rispetto
alla nascita di un governo.E
tuttavia nella storia della Repubblica
italiana c'è stato un «governo della
non sfiducia»: così venne
definito l'esecutivo monocolore
Andreotti II, sostenuto dalla Dc e
dalle minoranze linguistiche. In
pratica, il caso si esplica con
l'astensione di un gruppo, che
determina l'abbassamento del quorum
della maggioranza dei votanti
necessario per far passare la fiducia.
Nell'agosto 1976 il trentatreesimo
Esecutivo della Repubblica
Italiana, il primo della VII
legislatura, superò la votazione di
fiducia in Parlamento proprio grazie
all'astensione del Partito
Comunista Italiano di Enrico
Berlinguer.
Il governo ottenne la fiducia
al Senato il 6 agosto 1976, con 136
voti favorevoli, 17 contrari e 69
astenuti. E la incassò tre giorni
dopo alla Camera, con 258 voti
favorevoli, 44 contrari e 303
astenuti. Quel monocolore Dc,durato poco
più di un anno e sette mesi, entrò
nella storia in quanto fu il primo
con una donna ministro: era Tina
Anselmi ed ebbe ildicastero del
Lavorodi Michele Espositow ROMALa
faccia scura di Luigi Di Maio che
entra alla Camera apre l'ennesima
giornata di veti incrociati tra il
leader M5S e Matteo Salvini.
È una
giornata che si apre con il «voto
non contrario» della Lega al governo
di Carlo Cottarelli e con la
sensazione, nel Movimento, che un
esecutivo tecnico succeduto dal voto
in autunno non faccia altro che
tirare la volata finale a Salvini. È
da qui che inizia l'estremo contrattacco
di Di Maio, lanciare la palla
alla Lega, proponendo lo spostamento
di Paolo Savona dal Mef ad un
altro ministero.È un tentativo che
Salvini è orientato a rifiutare:
per il leader della Lega la campagna
è di fatto iniziata e il suo
obiettivo è capitalizzare al massimo
la sua ascesa.
Al M5S, la sponda
per riaprire lo spiraglio a un
governo politico arriva un pò inattesa
dal Colle. In tarda mattinata giunge
la chiamata del Quirinale. Di
Maio vi si reca nel pomeriggio, il
colloquio non è dei più facili
perché fino all'altra sera del
presidente Mattarella il M5S chiedeva
la messa in stato di accusa. Ma
nella più lunga crisi di governo
post-voto i tempi perché il vento
cambi direzione sono velocissimi. E
Di Maio esce dal Colle con una
«mission» ben precisa: riesumare la
soluzione giallo-verde proponendo lo
spostamento di Savona. Voci,
smentite seccamente dal M5S, parlano
addirittura di una disponibilità,
da parte del Movimento, ad un
governo a guida leghista.
Gli escamotage, per tagliare Savona dal
Mef tutelandolo al tempo stesso
sono due: spacchettare il dicastero
di via XX Settembre in Economia e
Finanze, lasciando uno dei due
all'economista sardo; oppure spostare
Savona in un ministero meno pesante
ma simbolico, come quello per gli
affari Ue, lasciando il Mef ad un
nome alternativo come - secondo
alcuni rumors pomeridiani -
Pierluigi Ciocca. Per Di Maio e Salvini è
l'ultima partita a scacchi. Una
partita che ha sullo sfondo il voto.
Il M5S si gioca l'estrema arma a sua
disposizione, dire «no» al
governo Cottarelli mettendo così in
difficoltà un'eventuale astensione
leghista, che finirebbe nel mirino
della campagna elettorale del
Movimento.Ma è al governo che i
Cinque Stelle guardano, fiaccati da 87
giorni ad altissima tensione e
comunque intenzionati, se il governo
non si farà, ad andare alle urne a
luglio. Il voto estivo tutelerebbe
Di Maio, che con le elezioni in
autunno (o, peggio, ancor più in là)
potrebbe giustificare con minor
forza la deroga al doppio mandato e
rischierebbe di veder affievolire la
sua leadership.
Con, all'orizzonte, il ritorno
dall'America del più movimentista dei Cinque
Stelle, Alessandro Di Battista. «Può
essere che ci hanno fregati, ma
io preferisco passare per una brava
persona e non per un furbo»,
ammette Di Maio ad un'assemblea
congiunta dove, sotterraneamente, si
registrano i primi malumori per una
gestione definita troppo poco
concertata e soprattutto per le
mosse degli ultimi giorni, a
cominciare dalla richiesta di
impeachment, che hanno provocato più di
un mal di pancia tra i parlamentari.
Le prossime ore diranno se
l'ultimo cambio di direzione di Di
Maio sul governo avrà esito.
Salvini, fanno sapere fonti
leghiste, si porrà il problema di come
votare il governo Cottarelli solo
quando il premier verrà in Aula.
Probabile che tra lui e Di Maio un
contatto ci sia. Probabile che sia
inutile. Ma, raccontano fonti
parlamentari, anche nella Lega emergono
i primi malumori sulla strategia di
Salvini.
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Federico Marini
skype: federico1970ca