Regionali,
Lega-Psd'Az e M5s sono già in corsa - I grillini lanciano un
laboratorio su sanità e trasporti. Sull'altro fronte al primo posto c'è
l'economia
Alleati a Roma, siederanno insieme a
Palazzo Chigi, il Movimento Cinque stelle e la Lega di sicuro saranno avversari
nelle elezioni regionali del 2019. Eppure, in parallelo, sono stati proprio i vincitori
delle Politiche di marzo a muoversi per primi. Il coordinatore pentastellato in
Sardegna, Mario Puddu, i sedici parlamentari del Movimento, alcuni
amministratori comunali e diversi attivisti si sono riuniti in questi giorni
per dar vita a quello che hanno chiamato «il laboratorio d'idee per la
Sardegna».
Lo stesso ha fatto la Lega, che
forte nell'isola del patto elettorale con il Psd'Az, ha aperto ufficialmente un
suo tavolo per scrivere il prossimo programma elettorale. È stata, in sostanza,
una partenza in contemporanea, ma solo dovuta al caso. Nel 2019 i Cinque stelle
correranno come sempre da soli, mentre l'accoppiata Lega-Psd'Az ha la pretesa
di guidare la coalizione di centrodestra anche se non sarà
facile scalzare Forza Italia.
Cinque stelle. Prima di tutto dalla riunione
del coordinamento è arrivata la conferma che il candidato governatore sarà
scelto attraverso le «regionarie», cioè con il voto online degli iscritti in
Sardegna sulla piattaforma Rousseau. Per il momento non c'è una rosa di
candidati ufficiali, ma Puddu è considerato ancora il più probabile. Però prima
di pensare al leader, i Cinque stelle hanno deciso di puntare sul programma.
Nei prossimi mesi, partiranno i
tavoli tematici e i primi due dovrebbero essere sulla sanità e sui trasporti.
Due temi su cui, in più occasioni, i grillini hanno contestato da una parre la
riorganizzazione degli ospedali voluta dal centrosinistra, «non garantisce -
hanno detto – le periferie», e dall'altra sono stati sempre critici su come
finora la Regione abbia gestito la trattativa con l'Europa sulla continuità territoriale
aerea.
«Ci siamo incontrati - ha fatto
sapere il coordinatore Puddu - per organizzare la costruzione del programma. Abbiamo
deciso di suddividere il lavoro per argomenti, sulla falsariga di come sono
strutturati gli assessorati». Nei prossimi mesi, più di un'idea dovrebbe saltar
fuori dai diversi laboratori.
Lega-Psd'Az. I due partiti, che
saranno ancora alleati nel 2019, hanno deciso di partire dall'economia. Tra
l'altro è sicuro che alla stesura del programma parteciperà anche il gruppo di
esperti del Carroccio, coinvolto da Salvini nel «contratto di governo» firmato
a Roma con i Cinque stelle. È una prima prova di forza destinata a mettere sul
chi va là Forza Italia. Perché all'orizzonte s'intravvede aria di battaglia
quando i due blocchi dovranno scegliere il candidato-governatore per le
Regionali del 2019.
Unione
Sarda
Cucca
indisponibile, rinviata l'assemblea del Pd sardo
Il
segretario Martina sull'esecutivo: «E pensare che criticavano noi
sui
premier non eletti»
«Salvini e Di Maio: benvenuti nella
realtà». Maurizio Martina,
segretario reggente del Partito
democratico, commenta così le notizie
che arrivano dal Quirinale sul
futuro governo. La scelta di Giuseppe
Conte scatena le critiche
dell'esponente dem: «Dopo anni di propaganda
contro fantomatici governi non
eletti, hanno scoperto ora che tutti i
presidenti del Consiglio sono
nominati dal presidente della Repubblica
e che i governi devono ottenere la
fiducia del Parlamento».
SPACCATI Il Partito democratico,
però, è alle prese con una spaccatura
interna “congelata” durante l'ultima
assemblea. Marco Sarracino,
portavoce dell'area di Andrea
Orlando, ribadisce che nessuno «vuole
alimentare tensioni, come qualcuno
ha fatto in assemblea con continue
provocazioni a difesa di un fortino
e di una linea politica ormai
crollati da tempo». A dimostrare la
tesi è il voto del 4 marzo con un
segnale chiaro di come «abbiamo
smarrito un rapporto con i settori
popolari della società». La deputata
Debora Serracchiani, invece,
chiede di «non vivere in
fibrillazione permanente sino al congresso»,
visto che «stanno accadendo cose
gravi nel nostro Paese e noi siamo
paralizzati a guardarci l'ombelico,
tra scambi di accuse e sospetti
che ci fanno soltanto male».
IL RINVIO Non sta meglio il Pd
sardo, ancora imballato in attesa che
le tre correnti riescano a trovare
una mediazione. L'indisposizione
del segretario Giuseppe Luigi Cucca
ha causato il rinvio
dell'assemblea (il secondo dopo
quella programmata l'11 maggio),
prevista per ieri pomeriggio a
Nuraghe Losa. Prosegue, dunque, il
congelamento di una situazione in
cui il partito è arenato dalla
guerra fredda in corso tra le
diverse aree.
Ieri mattina, infatti, a
poche ore dal confronto, non avevano
fatto grossi passi avanti verso
un punto di incontro. Tre correnti e
tre posizioni: questo è, allo
stato attuale, il Partito
democratico in Sardegna dove i soriani
chiedono le dimissioni immediate di
Cucca e il congresso, mentre
l'area del segretario (i renziani)
frena e chiede un nome condiviso
per guidare il partito. Infine, la
corrente dei Popolari-Riformisti
(Cabras-Fadda) mira alla nascita di
un partito federato con quello
nazionale. (m. s.)
Val
d'Aosta, male dem e azzurri
Lega e
M5S ok, Union Valdotaine primo partito
AOSTA La grande sorpresa è che Forza
Italia e FdI e il Pd non avranno
nessun consigliere nella nuova
Assemblea regionale valdostana. Una
batosta soprattutto per il partito
di Renzi che nella precedente
legislatura aveva tre
rappresentanti. Per gli azzurri, invece, non è
cambiato nulla, erano assente anche
nell'Assemblea uscente. Discorso
diverso per la Lega e il M5S che
passano da zero a, rispettivamente, 7
e 4 consiglieri, confermando il
trend positivo del voto del 4 marzo.
Il primo partito, con il 19,25%, dei
voti è l'Union Valdotaine,
seguito dalla Lega con il 17,06% dei
consensi. Il M5S si attesta al
10,44%, il Pd al 5,39 e il
centrodestra al 2,92. La lista Pour Notre
Vallè -Stella alpina ha ottenuto
10,66% e quattro consiglieri,
Impegno civico 7,54% e 3 eletti, Uvp
il 10,59 % e 4 consiglieri, Alpe il 9% e
3 eletti, %), Mouv' il 7, 13% e tre
consiglieri.
«Ringrazio gli elettori della
piccola e fiera Valle d'Aosta che ieri
hanno dato l'esempio della volontà
di cambiare», ha commentato Matteo
Salvini, leader della Lega, in una
diretta facebook, subito dopo
l'incontro al Colle con il
presidente della Repubblica Sergio
Mattarella. «Fuori di qui c'è un
mondo - ha aggiunto - che vuole
passare dalle parole ai fatti. Nel
piccolissimo anche il voto di oggi
in Valle d'Aosta ci dice che c'è
fiducia, c'è voglia, c'è speranza. Il
governo che nasce sarà di crescita e
di futuro».
Conte
verso l'incarico Ministri, nodo Savona
Di Maio e
Salvini hanno indicato il professore come premier
ROMA Fumata bianca. A due mesi e 17
giorni dal voto, Luigi Di Maio e
Matteo Salvini indicano al capo
dello Stato il loro candidato premier:
quel professor Giuseppe Conte che,
nella rosa dei ministri 5Stelle,
era indicato alla Pubblica
amministrazione. Ora si attende che Sergio
Mattarella gli affidi l'incarico,
anche se le prime convocazioni al
Colle riguardano i presidenti delle
Camere.
COLLOQUI Il primo a salire al
Quirinale è Di Maio: «È un momento
storico», dice al termine
dell'incontro, «abbiamo indicato al capo
dello Stato il nome migliore, che
può portare avanti, con una
leadership solida, il contratto di
governo». Quanto ai dubbi avanzati
da più parti, «fateci prima partire,
poi ci criticate».
Lasciato il Colle, Di Maio abbandona
la prassi istituzionale e
conferma il nome di Conte alla
stampa. A chi lo considera un tecnico
ricorda: «Era nella mia squadra,
votata da 11 milioni di cittadini».
Poi la promessa: «Non vesserà gli
italiani, sarà un premier politico
di un governo politico».
Subito dopo tocca a Salvini andare
da Mattarella: «Siamo pronti,
abbiamo la squadra e il progetto di
Paese», annuncia poi. Quindi un
messaggio all'Ue: «Nessuno ha nulla
da temere dalle nostre politiche
economiche», seppur diverse dal
passato.
IL PRESCELTO Giuseppe Conte, 53
anni, pugliese, è avvocato e insegna
Diritto privato all'Università di
Firenze. In passato è stato anche
all'Università di Sassari. La sua
competenza giuridica è indiscussa:
dopo la laurea alla Sapienza di Roma
nel 1988 ha studiato a Yale,
Parigi, Vienna, Cambridge e New
York. Nella scorsa legislatura è stato
nominato dal Parlamento al Consiglio
di presidenza della giustizia
amministrativa, da cui si è dimesso
dopo esser stato inserito nella
lista dei possibili ministri a
5Stelle.
I TEMPI Adesso Di Maio e Salvini non
vedono l'ora di iniziare, ma
Mattarella anzitutto vedrà oggi il
presidente della Camera Roberto
Fico, alle 11, e un'ora dopo la
presidente del Senato Elisabetta
Casellati. Un atto di riguardo verso
chi aveva ricevuto i primi
incarichi esplorativi, ma anche un
supplemento di consultazioni che, a
quanto trapela, ha suscitato un
certo disappunto nella Lega.
A Lega e M5S, del resto, il capo
dello Stato ha ricordato ieri che il
presidente del Consiglio non è un
mero esecutore di contratti firmati
dai partiti, ma il responsabile
della politica del governo, di cui
garantisce l'unità di indirizzo.
LA SQUADRA Il premier, tra l'altro,
è quello che propone i ministri al
presidente della Repubblica. Per
questo motivo, a quanto pare, Di Maio
e Salvini non avrebbero discusso con
Mattarella della squadra di
governo. Ma una lista è già pronta:
Salvini figurerebbe all'Interno e
Di Maio al superministero dello
Sviluppo economico e Lavoro. Entrambi
potrebbero essere vicepremier, e si
ipotizza il leghista Giancarlo
Giorgetti come sottosegretario alla
presidenza del Consiglio.
Ma sui nomi restano incertezze.
Ieri mattina Salvini ha anche visto
Giorgia Meloni, ricevendo - a quanto
pare - l'ennesimo suo rifiuto a
entrare nel governo. Il vero nodo
riguarda la casella del ministero
per eccellenza, quello
dell'Economia, dove il nome di Paolo Savona,
che metterebbe d'accordo le parti,
potrebbe non trovare gradimento al
Quirinale, sostengono fonti 5Stelle,
per le sue posizioni critiche
sull'euro.
Per il resto continuano a circolare
i nomi dei pentastellati Alfonso
Bonafede (forse alla Giustizia,
dov'è in corsa anche la leghista
Giulia Bongiorno), Riccardo
Fraccaro, Laura Castelli, Vincenzo
Spadafora ed Emilio Carelli (forse
alla Cultura). Agli Esteri si parla
di un tecnico, l'ambasciatore
Giampiero Massolo. Per la Lega, Nicola
Molteni potrebbe aspirare alle
Politiche agricole, Gianmarco Centinaio
agli Affari regionali, e potrebbe
ottenere un ruolo anche Roberto
Calderoli.
MONSERRATO.
Crisi aperta
Lai e
Marras al sindaco Locci: «Hai fallito»
Nuovo scambio di accuse e
maggioranza ormai allo sfascio. Continua la
crisi politica in Comune dopo il
ritiro della delega dello Sport
all'assessore Franco Ghiani. «Il
sindaco padre padrone ma sempre più
generale senza truppa – scrivono in una
lettera aperta i consiglieri
del neo gruppo di maggioranza
“Civici per Monserrato”, Paolo Lai e
Filippo Marras – Ancora una volta,
con un pretesto, caccia di fatto un
assessore: dopo la vice sindaca
Cicotto tocca di nuovo a Ghiani, uno
dei fondatori della coalizione messo
alla porta»”.
I due consiglieri accusano il
sindaco Tomaso Locci di aver sfasciato
la maggioranza. «È diventata
monocolore “Monserrato libera” – dicono –
o forse Forza Italia, giri in
scooter compresi con l'ex Governatore
ugo Cappellacci bandiere al vento.
Una coalizione distrutta da chi ha
dimostrato di non saperla guidare.
Nel frattempo il sindaco non fa
nulla per ricucire, anzi la
situazione sta peggiorando se non
addirittura precipitando. Anche se
venisse superato lo scoglio del
bilancio, come si può pensare di
andare avanti con questi numeri e
senza un reale chiarimento interno?
Inoltre, proprio lui che ci accusò
di essere attaccati alle poltrone,
monopolizza in prima persona o
attraverso i suoi fedelissimi tutti
gli incarichi».
Per Lai e Marras, il sindaco «sta
scaricando le proprie responsabilità
sugli altri: prima sui consiglieri,
poi su parte della Giunta, sugli
uffici e infine sulla commissione
Bilancio. Chi sarà il prossimo a cui
dare le colpe di quello che sta assumendo
le proporzioni di un
fallimento politico?».
Federica Lai
La
Nuova
Cucca ha
l'influenza slitta l'assemblea del Pd
I
democratici costretti a rinviare per una seconda volta l'analisi del dopo voto
Ma prende
corpo l'ipotesi di confermare il segretario fino a settembre
CAGLIARI
Il Pd, anche in Sardegna, non si fa
mancare davvero nulla e conferma
che dopo il 4 marzo il destino non è
di sicuro dalla sua parte.
Stavolta l'assemblea regionale, era
prevista ieri ad Abbasanta. è
stata rinviata a data da destinarsi
per «un'improvvisa indisposizione
fisica» del segretario e senatore
Giuseppe Luigi Cucca. Così ha
scritto la presidente del partito,
Lalla Pulga, nel messaggio che in
tarda mattinata è rimbalzato da un
telefonino all'altro, quando ormai
gran parte dei delegati era pronta a
salire in auto per la trasferta
fino al centro congressi del Nuraghe
Losa.
C'è chi ha subito pensato a
un rinvio strategico, ma le
malelingue sono state smentite poco dopo.
Da Nuoro è arrivata la conferma che
per il segretario era stato un
pessimo fine settimana: influenza e
febbre alta, la diagnosi del
medico. Con Giuseppe Luigi Cucca
bloccato in casa e su sua richiesta,
l'assemblea è stata rinviata di
qualche giorno. A quando? Potrebbe
essere riconvocata alla fine di
questa settimana, ma se la data fosse
venerdì 25 maggio sarebbe in
contemporanea con la direzione nazionale
del Partito dei sardi, che proprio
quel venerdì si riunirà a Tramatza.
Ed è una concomitanza che nel Pd
nessuno vuole e quindi la data più
probabile per il proseguo
dell'assemblea dem dovrebbe essere
all'inizio della prossima
settimana.Secondo rinvio. Nonostante in
corsa e per scaramanzia la sede
fosse stata spostata - dalla mai
fortunata Tramatza, almeno per il
Pd, ad Abbasanta - l'assemblea post
elettorale comincia a essere un
miraggio. L'11 maggio era stata
rinviata una prima volta a causa
della convocazione di quella
nazionale, otto giorni dopo a Roma,
ora è saltata per «cause di forza
maggiore».
Ma al di là dell'influenza che ha colpito
il segretario,
forse questo nuovo stop alla fine
potrebbe essere più utile del
previsto. Secondo diverse
indiscrezioni, sarebbero a buon punto le
trattative interne per uscire da uno
stallo che dura da oltre due
mesi. Stallo cominciato all'indomani
della legnata elettorale
incassata alle Politiche di marzo,
col Pd crollato al 14,8 per cento,
in Sardegna, e distanziato di quasi
28 punti dal Movimento Cinque
stelle. Di fronte al disastro, il
lavoro recente delle diplomazie
messe in campo dalle tre correnti -
renziani, popolari-riformisti e
soriani - potrebbe aver sgretolato
il muro del tutti contro tutti di
questi ultimi mesi.Tregua possibile.
Sono due le ipotesi che girano
con maggior insistenza. La prima è
questa: il segretario regionale
Giuseppe Luigi Cucca, sostenuto
ormai solo dai renziani e dagli ex
Diesse, rimarrebbe in carica fino a
settembre, mese in cui dovrebbe
essere convocato il nuovo congresso
regionale. Di fatto questa
soluzione sarebbe la fotocopia di
quella che, a Roma, ha evitato lo
scontro fratricida nell'assemblea
nazionale della settimana scorsa.
Maurizio Martina è stato confermato
nella carica di reggente fino al
prossimo congresso, stavolta
nazionale annunciato per i primi di
ottobre. In Sardegna, a gestire la
fase di transizione sarebbe invece
lo stesso Cucca, che a questo punto
non si dimetterebbe, ma non
rimarrebbe da solo. Ad affiancarlo
dovrebbe essere una segreteria
provvisoria, con l'incarico di
organizzare la fase precongressuale.
Che per forza di cose in Sardegna
dovrà cominciare prima di quella
nazionale visto l'appuntamento con
le elezioni regionali all'inizio
del 2019.
Su questa soluzione sarebbero molto
vicini all'accordo i
renziani e gran parte dei
popolari-riformisti. Anche i soriani
vedrebbero abbastanza bene l'ipotesi
di un armistizio fino a
settembre, rinunciando a questo
punto alla richiesta finora perentoria
di un congresso subito prima
dell'estate. La seconda ipotesi invece è
questa: sarà la prossima assemblea
dei delegati a eleggere il
successore di Cucca, che però
dovrebbe dimettersi, e in ogni caso il
nuovo segretario sarà comunque un
reggente fino a settembre. È una
soluzione che piacerebbe di più alla
maggioranza dei soriani, ma ha un
rischio: servirebbe un segretario
super partes, ma ora nessuna delle
correnti ha il nome giusto per
evitare l'immancabile fuoco di fila dei
veti incrociati che si scatenerebbe
in un attimo.
Per questo, alla
fine, sarà proprio Cucca, più una
nuova segreteria, a gestire la fase
di transizione fino al
congresso.Troppe alchimie. Però tutto questo il
Pd dovr dovrà deciderlo in tempi
molto brevi. Dopo la sconfitta
elettorale, è rimasto ostaggio delle
sue esagerate alchimie interne.
Mentre il resto del centrosinistra è
proiettato da settimane su quelle
che potrebbero essere le alleanze
nel 2019. Se il Partito democratico
non dovesse riuscire a darsi una
scossa entro metà giugno, potrebbe
arrivare in ritardo al tavolo delle
trattative e trovarsi semmai di
fronte a decisioni già prese da
altri. (ua)
C'è il
nome: è Conte «La Ue si fidi di noi»
Indicazione
di Di Maio e Salvini al Quirinale: «Sarà premier politico»
Duello
con il Ppe. Il capo dello Stato riflette e convoca Casellati e Fico
di Francesca Chiri
ROMA
Lega e M5s confermano al Presidente
della Repubblica le indiscrezioni
della vigilia e portano al Colle il
nome del 54enne Giuseppe Conte
come il loro candidato alla
presidenza del nascituro governo
giallo-verde. Il docente di diritto
privato, una cattedra a Firenze,
componente del Consiglio di
presidenza della Giustizia amministrativa
e avvocato cassazionista del Foro di
Roma è il profilo che mette
d'accordo i due partner di governo
ma soprattutto è la carta che Luigi
Di Maio e Matteo Salvini si giocano
per convincere il Colle e
rassicurare l'Europa, nel giorno in
cui i mercati già minacciano
l'assedio al nuovo esecutivo.
Che ancora prima di prendere forma
se la
deve vedere con le pressioni dello
spread, schizzato ad un passo da
quota 190, ai massimi dallo scorso
giugno, il calo della Borsa di
Milano, i giudizi negativi delle
agenzie di rating, con Fitch che
avverte del pericolo di una crescita
del rischio-Paese. E con le
dichiarazioni al curaro del leader
del Ppe, Manfred Weber, che mette
in guardia l'Italia dal rischio di
provocare una nuova crisi
dell'euro: «State giocando col
fuoco».
Così, mentre Sergio Mattarella,
preoccupato per le reazioni dei
mercati, convoca per oggi i presidenti
di Camera e Senato, i due leader
delle forze giallo-verdi si lanciano
all'attacco. E mentre Luigi Di Maio
mantiene un profilo più low,
limitandosi a chiedere all'Ue di
consentire al governo del cambiamento
di dare prova della sua
affidabilità, «poi ci criticate, ma almeno
fateci partire», Matteo Salvini è
tranchant.
«Weber pensi alla
Germania che al bene degli italiani
ci pensiamo noi», ruggisce il
segretario del Carroccio. «Scherza
col fuoco chi non rispetta la
democrazia», gli fa eco il M5s anche
se è soprattutto il leader della
Lega, in procinto di incontrare in
settimana lo stratega di Donald
Trump Steve Bannon, che va
all'affondo. «Io sono civile, educato e
rispettoso, ma basta. Come è
possibile farsi dare minacce e ordini da
chi ha portato l'Italia al massimo
della precarietà?».
Di certo non
aiuta la causa gialloverde
l'endorsement del Front National con Marine
Le Pen che esulta per le notizie
sull'imminente governo Lega-M5s: «I
nostri alleati arrivano al potere e
aprono prospettive strabilianti,
innanzitutto con il grande ritorno
delle Nazioni!». È uno scenario,
quello che sta montando intorno al
governo Lega-M5s, che non rasserena
il Capo dello Stato che ora intende
vagliare con cautela la
composizione della squadra di
governo che Di Maio e Salvini affermano
di avergli consegnato. Come le
tensioni sui mercati, preoccupano il
Presidente i ministri economici e in
particolare quello del Tesoro per
il quale è in predicato anche
l'allora ministro del governo Ciampi,
Paolo Savona, economista anti-euro.
Ma i due leader glissano sulla
composizione della squadra. Il
leader M5s parla di un «giorno storico»
e assicura che con questo governo
partirà la «terza Repubblica» e che
il candidato premier prescelto
«tutti se lo immaginano come una
persona debole, invece è uno
veramente tosto. E incarna i valori M5s».
Salvini dice: «Nessuno ha niente da
temere dalle nostre politiche
economiche» e promette di voler
ridurre il debito e voler far crescere
il paese «rispettando tutte le
normative e i vincoli». Si chiude,
intanto, la possibilità di un
allargamento a Fdi.
C'è il
nome: è Conte «La Ue si fidi di noi»
Indicazione
di Di Maio e Salvini al Quirinale: «Sarà premier politico»
Duello
con il Ppe. Il capo dello Stato riflette e convoca Casellati e Fico
I nodi sulla composizione della
squadra del futuro governo non sono
gli unici scogli che Matteo Salvini
e Luigi Di Maio hanno sul tavolo.
Lega e Movimento Cinque Stelle sono
impegnati in una trattativa
altrettanto delicata sulle future
nomine pubbliche che vedono in cima
alla lista delle priorità il rinnovo
del Cda della Rai e i vertici di
Cassa depositi e prestiti. Sulla
Cassa c'è grande interesse da parte
dei 5 stelle che, si ragiona in
ambienti politici, potrebbero dare
maggior spazio alla Lega sul fronte
Rai puntando sul presidente e
lasciando il ruolo strategico del
direttore generale e ad nelle mani
di Salvini.
Che potrebbe muoversi in nome di
tutto il centrodestra, in
base agli accordi presi con il Cav.
Ed è proprio il consiglio
d'amministrazione del Servizio Pubblico
in scadenza il 30 giugno, la
partita su cui si testerà la tenuta
della nuova maggioranza ma anche,
e soprattutto, i rapporti tra il
leader della Lega e Silvio
Berlusconi. Con la riforma della Rai
sono cambiate le procedure per
l'elezione dei componenti del Cda: 4
saranno eletti dal Parlamento (2
dalla Camera e 2 dal Senato), 2 sono
indicati dal Consiglio dei
ministri su proposta del Tesoro e,
novità, 1 sarà eletto dai
dipendenti dell'Azienda.
La trattativa vera tra le forze politiche
entrerà nel vivo per l'elezione del
presidente di viale Mazzini.di
Michele EspositowROMAUn puzzle
complicato, segnato dalla
triangolazione tra M5s, Lega e
Quirinale. Il futuribile governo del
professor Giuseppe Conte non trova
ancora una quadra sui ministri. I
nodi restano diversi, e
sull'Economia, sul quale l'occhio del
Quirinale è più che mai attento, c'è
il rischio di un braccio di ferro
tra il duo Luigi Di Maio-Matteo
Salvini e il Colle.
Con i primi che
non sembrano voler recedere dalla
loro scelta iniziale, l'ex ministro
dell'Industria del governo Ciampi
Paolo Savona. L'economista sardo
aveva messo d'accordo M5S e Lega
tanto che tra i due partiti, nel
corso della giornata, emerge quasi
una sfida su chi l'abbia proposto.
Savona è molto gradito alla Lega ed
è stato più volte ospite del blog
del Movimento. Anzi, secondo alcune
fonti parlamentari, Savona per un
breve lasso di tempo avrebbe
addirittura conteso a Conte il ruolo di
premier.
È su di lui, tuttavia, che il filo
diretto tra M5S-Lega e il
Quirinale rischia il tilt. Perché
nonostante sia una figura di lunga e
comprovata esperienza, al Colle più
alto le posizioni anti-euro di
Savona non piacciono affatto. Il suo
nome, nei colloqui di ieri con
Mattarella, non è stato fatto ma il
nodo Mef rischia di occupare
l'intera settimana. Anche perché un
piano B preciso ancora non c'è. Di
Maio e Salvini, per non sbattere sui
paletti del Colle potrebbero
virare su Giancarlo Giorgetti, in
predicato di essere sottosegretario
alla Presidenza del Consiglio.
Ma il cambio di pedina rischia di
destabilizzare l'intero assetto di
governo. Con Giorgetti
all'Economia, infatti, il M5S
vorrebbe per sé anche il ruolo di
sottosegretario di Conte, per il
quale Vincenzo Spadafora risulta tra
i nomi in pole. Possibile, inoltre,
che Di Maio e Salvini facciano
anche da vicepremier, avocando a sé
anche deleghe importanti. I due
leader, comunque, saranno ministri.
Il primo punta a un superdicastero
che comprenda Sviluppo Economico e
Lavoro. Per l'accorpamento,
tuttavia, serve un decreto del Cdm
ed è quindi possibile che, nei
primi giorni di governo, sia Conte a
prendere l'interim di uno dei due
dicasteri per poi cedere la delega a
Di Maio. Salvini è invece diretto
all'Interno e la Lega, quasi
certamente prenderà l'Agricoltura (in
pole c'è Nicola Molteni) e il
Turismo (con delega agli Affari
Regionali) che andrà quasi
certamente a Gian Marco Centinaio.
Per i rapporti con il Parlamento
spunta Giulia Bongiorno, per il
neoministero della Famiglia Simona
Bordonali mentre in bilico tra M5S
e Lega restano Sanità (su cui il
Carroccio ha puntato nelle ultime
ore) e Trasporti, attorno al quale
si concentrano le frizioni tra i
due partiti sulla Tav. Per il primo
i pentastellati puntano su Giulia
Grillo mentre per il secondo il nome
del M5S è quello di Laura
Castelli, altrimenti diretta alla
P.A. Se invece il dicastero finora
guidato da Graziano Delrio finirà in
quota Lega i nomi che girano sono
Armando Siri e Giuseppe Bonomi.
Per gli Esteri la scelta di
Giampiero
Massolo sembra ormai certificata. La
Difesa - altro nodo del dialogo
con il Colle - alla fine finirà in
quota M5S. I favoriti sono
Elisabetta Trenta (già candidata per
il dicastero dal Movimento) e
Riccardo Fraccaro, a cui potrebbe
andare anche il neoministero della
Semplificazione. Cultura e Ambiente
dovrebbero anche andare al
Movimento.
Savona,
ministro sardo anti-euro
ma non
piace a Quirinale e Bruxelles
SASSARI
Paolo Savona potrebbe tornare al
governo 25 anni dopo la prima volta.
Ma sul suo nome c'è una forte opposizione
del presidente Sergio
Mattarella. L'economista
cagliaritano, già ministro dell'Industria nel
governo Ciampi, è il nome più
gettonato per il dicastero
dell'Economia, le sue teorie
fortemente critiche nei confronti
dell'Europa piacciono sia a Di Maio
che a Salvini, ma è proprio la sua
posizione anti-euro a impensierire
il capo dello Stato. Per ora
l'unica certezza è il consenso che
Savona, 81 anni, riscuote sia tra i
5 stelle che tra i leghisti.
Addirittura si dice che l'economista
fosse la prima scelta come
presidente del Consiglio.
Per questo Di
Maio e Salvini difficilmente
molleranno la presa. Lui, interpellato da
Affaritaliani.it, ammette che sul
suo nome non ci sia accordo. «Non
rilascio dichiarazioni, perché a un
certo punto non voglio entrare
nella tenzone. Sono disponibile per
il Paese, com'è sempre stato, però
non entro nei dettagli e nei
conflitti. Se la vedano i politici. Io
sono un tecnico. Punto e basta».
Nessuna conferma, ma nemmeno una
smentita sui contatti con Di Maio e
Salvini. «Non confermo e non
desidero rilasciare dichiarazioni,
quando gli eventi si realizzeranno
dirò come stanno le cose».Il Savona
pensiero è la traduzione in chiave
economica di quanto i due leader
hanno dichiarato in questi anni.
«Se l'Italia non l'ha già fatto - ha
detto l'economista cagliaritano in
una intervista a Vita.it -, è giunto
il momento d'avere pronto un
piano B, di fine dell'euro o di
uscita dallo stesso, che dal 12 maggio
2011 ho insistentemente richiesto di
approntare. Gli accordi costruiti
male o firmati da Paesi con intenti
egemoni non hanno lunga vita.
Se dovessimo essere colti
impreparati all'evento, sarebbe veramente un
dramma». «Anche se si fa finta che
il problema non esista, il cappio
europeo si va stringendo attorno al
collo dell'Italia - aveva detto in
un'altra intervista per il Foglio -.
Se l'Italia decidesse di seguire
il Regno Unito attraverserebbe
certamente una grave crisi di
adattamento, con danni immediati ma
effetti salutari, quelli che ci
sono finora mancati».Savona, dunque,
non ha mai fatto mistero del suo
anti-europeismo. Le sue parole sono
lette con molto allarme in tutte
le capitali Ue. Ma anche dal
Quirinale.
A Mattarella le posizioni di
Savona non piacciono per nulla. Nei
colloqui con i leader di M5s e
Lega il suo nome non è mai stato
fatto, ma il presidente della
Repubblica sa che i due partiti
puntano sull'ex ministro per
l'Economia. E difficilmente faranno
passi indietro. Anche perché
finora Savona sembra essere il nome
che mette d'accordo Di Maio e
Salvini e non ci sia intesa su una
seconda opzione.
Certo, circola il
nome del leghista Giancarlo
Giorgetti, in pole per la nomina a
sottosegretario alla presidenza del
Consiglio, ma questa scelta
potrebbe incrinare l'accordo
sull'assetto di governo. (al.pi.)
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Federico
Marini
skype:
federico1970ca
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