La piazza dei sindacati, la grande manifestazione
anti-razzista di Milano, la partecipazione sopra le aspettative alle primarie
del Pd e la netta vittoria di Zingaretti possono aprire una fase nuova. Sono
segnali importanti. C’è vita su Marte, possiamo finalmente dire. In quel
pianeta desertificato, frammentato, sfibrato che negli ultimi anni è stata la
sinistra italiana si vede la traccia di una controtendenza. Ma attenzione ai
fuochi fatui. Ora inizia il difficile.
Sarebbe un errore – lo
dico con il massimo del rispetto – dedurre dalle primarie di domenica scorsa
l’idea che il Pd sia la risposta al bisogno di sinistra che ha il nostro popolo
e, ancora prima, il Paese.
Il Pd in questi anni è stato parte rilevante del problema,
non della soluzione. Lo pensano i 300 mila elettori non Pd che sono andati alle
primarie proprio per segnalare un’apertura di credito e un interesse verso una
discontinuità. E gli stessi elettori di quel partito che hanno votato
Zingaretti proprio in nome del cambiamento.
Sarebbe sbagliato
scambiare la partecipazione dei primi e quella dei secondi per una delega in
bianco. In cosa consiste, allora, questo cambiamento possibile? In tre cose, fondamentalmente. Lo hanno detto
bene Roberto Speranza prima e Giuliano Pisapia poi, intervistati da Repubblica.
Innanzitutto nei programmi: quel che dici, quel che sei,
quel che rappresenti. Tra le file ai gazebo delle primarie e le file alle Poste
per il reddito di cittadinanza c’è ancora, sul piano sociale, una discrepanza
importante. O la sinistra torna a essere tra gli operai e i disoccupati, tra i
precari e i pensionati oppure non c’è partita. Con il ceto medio riflessivo non
vai al governo. E se ci vai fai al più
qualche correttivo sul terreno dei diritti civili, non cambi la struttura del
mondo del lavoro e i rapporti di forza nella società. Prendiamo
per le corna il toro del lavoro: investimenti, piano per l’occupazione, salario
minimo orario, diminuzione dell’orario di lavoro a parità di salario. Cose
toste: Corbyn e non Blair. Sanders e non Clinton.
Poi i simboli: Zingaretti
ha una grande responsabilità. Dare il via libera a una lista unitaria
progressista nuova, che sia il primo passo di un percorso costituente di un
nuovo soggetto democratico e progressista, che faccia argine contro le destre e
costruisca su basi diverse. Se sulla scheda per le elezioni europee ci sarà il simbolo del Pd penso
che non ci saranno i voti di tanti delusi, di un pezzo importante del popolo
del centrosinistra (si guardino bene i risultati di Abruzzo e Sardegna, con la
coalizione sopra il 30% e il Pd tra l’11 e il 13).
Infine le facce, che sono
anch’essi simboli. Non capire che esiste un problema di credibilità e di
rinnovamento è miopia pura. Chi lo sta facendo notare anche in questi giorni ha ragione. Per questo il
tema non può essere il rapporto tra il Pd e Mdp, tra il Pd e quelli che vengono
chiamati ancora oggi gli scissionisti. Se la impostiamo su questo terreno
abbiamo già perso. Noi vogliamo e dobbiamo costruire la sinistra dei prossimi
trent’anni, non ricostruire quella degli ultimi venti.
Per me, per noi, lo si deve fare ascoltando l’intelligenza
delle figure autorevoli che hanno guidato in questi anni e la loro – più volte
ribadita – disponibilità nel facilitare un ricambio. Occorre passare il
testimone: questa è stata una delle ultime indicazioni di Alfredo Reichlin. Non
farlo, non dare il la a una operazione nuova, radicale e credibile, sarebbe
davvero un errore mortale, un errore che non ci possiamo permettere.
Di
Simone Oggioni
Nessun commento:
Posta un commento