(24 Marzo 1989) In Cecoslovacchia
tutto il vertice del partito comunista si dimette per far posto al cambiamento
democratico. A dimettersi sono 24 membri del Politburo, più o meno gli stessi
sostenitori dei carri armati sovietici chiamati nel 1968 per respingere le
riforme della Primavera di Praga. Col termine "Primavera di Praga" si vuole indicare un moto
popolare, del 1968, che appoggiò il processo di democratizzazione e di riforme
promosso da A. Dubček.
In Italia ed in tutta
Europa sono i tempi della contestazione, della strage di Piazza Fontana con
l'avvio della "strategia della tensione", dell'"autunno
caldo" del 1969, del tentativo di golpe fascista da parte del
repubblichino Junio Valerio Borghese (8 dicembre 1970). Inutile ricordare
quello che sta accadendo nel mondo, dalla guerra nel Vietnam al Maggio
Francese.
È in questi anni di crisi, che si colloca l'invasione sovietica
della Cecoslovacchia, per soffocare l'esperimento di "socialismo dal volto
umano" portata avanti dai dirigenti comunisti a partire dalla fine del
1967, in primis da Alexander Dubček. Tale tentativo, che fu appunto chiamato la "Primavera di
Praga", spazzò via in pochi mesi la stagnazione ed il conformismo tipici
dei paesi socialisti del periodo brezneviano: Praga era veramente ridiventata
la "mitica" città con la sua vita culturale vivacissima, ed i suoi
celebrati misteri.
Il processo di
destalinizzazione sviluppato in Cecoslovacchia dall’inizio degli anni Sessanta
fu accompagnato da crescenti pressioni in senso riformista (soprattutto fra
intellettuali e studenti) e da una forte ripresa dell’autonomismo slovacco. Dubček assunse la direzione
del partito, L. Svoboda divenne presidente della Repubblica e O. Černik capo del governo.
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