La Nuova
L’ELETTORATO DI SINISTRA CERCA
RAPPRESENTANZA
La vittoria di Trump. La Brexit prima, la
Francia forse consegnata alla Le Pen poi. Le onde lunghe della globalizzazione
sembrano flagellare le due sponde dell’Atlantico, annunciando una drammatica crisi
di rappresentanza. Anche nell’era globale la democrazia resta, infatti,
ancorata al livello locale. Si vota per selezionare leadership nazionali ma il
loro potere di governare i fenomeni globali è sempre meno incisivo. Così i ceti
sociali che per diversi motivi si sentono esclusi o in via di declino, e temono
un futuro caratterizzato da incertezza e insicurezza, votano contro.
A venire puniti sono innanzitutto leader e
partiti che sembrano assecondare la globalizzazione, mentre premiati sono
quelli che, magari demagogicamente e attraverso illusorie scorciatoie,
promettono di porre fine a quello stato delle cose. Significativa la reazione
degli elettori, tradizionalmente democratici, della Rust Belt, la cintura della
ruggine, che dalla costa est dell’Atlantico sino agli stati del Midwest è stata
a lungo la fucina dell’acciaio americano.
Un’area disseminata di fabbriche
abbandonate già divenute archeologia industriale, svuotata dalla concorrenza
cinese e dalla decisione del capitale americano di investire in finanza anziché
in produzione: del resto, il capitalismo globale non si pone più il problema
del rapporto e della responsabilità verso il territorio. Un’area in cui non
manca tanto il lavoro ma nella quale il lavoro si è irrimediabilmente degradato,
precarizzato, divenendo un insieme di Mcjobs, di lavori discontinui e
sottoqualificati. Un mutamento che ha indotto molte ex-tute blu che votavano
democratico a scegliere Trump.
Privi di un lavoro stabile, orfani del
sindacato e di forze politiche capaci di dare loro voce, hanno abbandonato la
Clinton, spalancando la porta della Casa Bianca a Trump. Il fatto di essere un
outsider ha contato più del suo essere miliardario: una storia che noi italiani
conosciamo bene. La Clinton è infatti apparsa al “popolo della ruggine” come l’esponente
di quell’establishment che ha sempre lisciato il pelo alla globalizzazione.
Un episodio degno di una nuova, rancorosa,
pastorale americana, che conferma ciò che da tempo è visibile in Europa. La globalizzazione
ha prodotto sia l’impoverimento delle classi medie, sia la marginalizzazione di
quella che un tempo si chiamava classe operaia, dispersa e stravolta
nell’identità per mancanza di base produttiva.
La crescita della
diseguaglianza, dell’incertezza e della sensazione di vulnerabilità, amplifica
la secessione dei ceti sociali che avevano sempre guardato a sinistra
confidando nella sua capacità di proteggerli. I partiti di sinistra o di
centrosinistra si trovano così di fronte al problema dell’erosione e della
ricollocazione del loro blocco sociale storico. Trasformatisi in pragmatici
partiti pigliatutto che guardano al centro, hanno perso di vista un pezzo importante
del loro elettorato, che ora cerca rappresentanza altrove.
Un fenomeno tanto più problematico perché
si accompagna a altri effetti concomitanti della globalizzazione: la crisi del
welfare, sempre più fiscalmente insostenibile in un mondo che deve contrarre la
spesa pubblica per competere nel mercato dei titoli del debito pubblico; la
percezione che i crescenti flussi migratori producano non solo dissonanza
culturale ma anche concorrenza sul mercato delle risorse scarse dello stato
sociale. La questione della rappresentanza sociale degli scontenti o degli
sconfitti della globalizzazione, fascia che diventa sempre diviene più estesa,
diviene così centrale per chiunque voglia governare. Insieme alla capacità di
rispondere alle nuove fratture che attraversano la società contemporanea.
Quelle fra chi appartiene ai ranghi delle
élite mobili e chi deve restare incatenato al territorio; tra liberisti e
protezionisti; fra multiculturalisti e comunitaristi etnonazionali. La sfida
passa anche per questi scomodi binari.
Indipendentisti riuniti Prove di dialogo
tra partiti
A Bauladu primo confronto tra una parte
delle sigle della galassia sardista Collu, Progres: abbiamo il dovere di
proporre un’alternativa ai nostri giovani
BAULADU Parte da Bauladu, culla storica
del sardismo, l’idea di “Indipendetzia” così come la concepiscono i
rappresentanti di alcune delle sigle più note dell’indipendentismo sardo. Un
progetto di governo alternativo ai partiti italiani. A distanza di circa un
mese dal lancio dell'idea, Progetu Repùblica de Sardigna (ProgReS) ha riunito
nel piccolo centro dell'oristanese i movimenti che si riconoscono in questa
linea: il Fronte Indipendentista Unidu, Gentes, Sardigna Libera e Sardigna
Natzione Indipendèntzia.
Tutti hanno sottolineato che il percorso
intrapreso è aperto a chiunque condivide i principi fondamentali esposti
durante l'assemblea, ovvero la radicale antitesi ai partiti italiani e la
difesa degli interessi nazionali sardi. Nel suo intervento Gianluca Collu,
segretario nazionale di ProgReS, ha parlato del difficile momento che sta attraversando
la Sardegna. «Circa 80mila giovani sardi non studiano e non lavorano. In questa
situazione abbiamo il dovere di proporre ai sardi un'alternativa di governo che
abbia come unico orizzonte la Sardegna – dice –. Questo progetto è aperto a
tutti i sardi, non solo a chi è indipendentista ma a chi agisce da
indipendentista.
Sulla stessa lunghezza gli interventi di
Bustianu Cumpostu, Sni, Cristiano Sabino, Fiu e Gianfranco Sollai, Gentes.
Forte l'invito ai sardi a partecipare e a unirsi. «Oggi siamo qui per parlare
di un nuovo corso – continua Collu – un cammino condiviso di unità. Da oggi
andremo nelle nostre comunità per mettere radici forti e far crescere una vera alternativa
alla situazione attuale».
In calendario una serie di incontri
territoriali per illustrare il percorso di costruzione di uno spazio politico
inclusivo che punta alla realizzazione di un progetto di governo alternativo ai
partiti italiani. Tutti i partiti e i movimenti hanno sottolineato che il
percorso intrapreso è aperto a chiunque condivide i principi fondamentali
esposti durante l’assemblea, la radicale antitesi ai partiti italiani e la
difesa degli interessi nazionali sardi. Alle domande sulla posizione che gli indipendentisti
assumeranno nel referendum costituzionale del 4 dicembre, Cumpostu ha risposto
che non andrà a votare. Collu ha precisato che lascerà i suoi liberi di andare
o no a votare.
di Piero Marongiu
Unione Sarda
Alleanza tra Progres, Sardigna Natzione,
Fronte Unidu e Gentes. Sardigna Libera: sì a Sa Mesa Gli indipendentisti
cercano l'unità «Tuteleremo gli interessi dell'Isola»
Le anime indipendentiste dell'Isola si
uniscono attorno a un progetto politico alternativo-nazionalitario in vista
delle elezioni regionali del 2019. Progres, Sardigna Natzione, Fronte
Indipendentista Unidu e Gentes battezzano la nuova alleanza a Bauladu e si
propongono di governare l'Isola afflitta dalla crisi, e succube del sistema partitico
nazionale.
Mancava Sardigna Libera ma Claudia
Zuncheddu, nell'inviare il saluto ai partecipanti, appoggia il tavolo politico,
mesa per dirla con i sovranisti, che mette in campo indipendentismo, libertà e
autodeterminazione. «Io su queste tematiche sono pronto per una alleanza
politica concreta», spiega Cristiano Sabino di Fiu.
NON UN PARTITO UNICO Ma non ci sarà una
unione degli indipendentisti per un partito unico e tantomeno un partito
egemone, precisa Bustianu Cumpostu di Sardigna Natzione, bensì «stiamo facendo
sistema dove mettere in campo tutte le espressioni cuturali, sociali e
identitarie per l'obiettivo comune: presentarci come alternativa politica allo status
quo. Abbiamo l'obbligo morale di contrapporre allo stato la nostra anima sarda:
la consapevolezza dell'identità».
L'EMERGENZA SARDA Un progetto politico
unitario per far fronte alle emergenze della nostra Isola, sottolinea Gianluca
Collu di Progres: «Spopolamento, basso tasso di fertilità, nuova ondata
migratoria, fuga di cervelli, ottantamila Neet: giovani che non studiano e non lavorano».
A questa sfiducia generalizzata «ci proponiamo di dare risposte, cercando di consegnare
una speranza al popolo sardo, scardinando le basi del sistema politico attuale
che governa la Sardegna».
UN TAVOLO SARDO Un tavolo o spazio aperto
a tutti, indipendentisti e non, ma con i diktat: «Nessuna alleanza
con partiti italiani e di governo, e agire da indipendentisti per tutelare gli
interessi della Sardegna», incalza Collu. Sabino intravede un barlume di
speranza: «Il ghiaccio che tiene il potere partitico nazionale si sta rompendo,
noi dobbiamo esser pronti con la nostra alternativa nazionale e avere l'appoggio
del popolo, che ci deve sostenere per difendere insieme i nostri figli, scolari
e lavoratori, per costruire un futuro sociale ed economico che sia gratificante
per tutti nell'Isola».
UNA POLITICA NUOVA Gianfranco Sollai di
Gentes propone due possibilità per il progetto alternativo: «Tornare a far
politica dal basso, amministrando le piccole comunità a stretto contatto con il
popolo per accrescere la consapevolezza unitaria e identitaria. Quindi, non salire
sul carro dei partiti politici italiani, ma proporre un'alternativa nazionale, l'unica strada
percorribile per il futuro della Sardegna. Vogliamo entrare nella dimensione
della globalizzazione e non per omologarci ma per proporre nostra cultura ed economia
nel contesto mondiale».
IL REFERENDUM Uniti per il progetto
politico comune ma divergenti sul referendum costituzionale del 4 dicembre
prossimo. Sollai voterà no, perché «perderemo quel poco di autonomia che ci
rimane». Collu lascia libertà di voto ma precisa che «il nostro voto, anche
negativo non cambierà lo status quo, il peso elettorale sardo purtroppo è poco influente
a livello referendario». Cumpostu invece sostiene che «non è l'argomento
all'ordine del giorno, meriterebbe un'analisi più approfondita a prescindere da
questo incontro odierno».
Infine Sardigna libera, col messaggio di
Claudia Zuncheddu, ribadisce il proprio no: «Se dovesse vincere il sì,
incomincerà la fine di qualsiasi forma di autonomia».
Joseph Pintus
-----------------
Federico Marini
skype: federico1970ca
Nessun commento:
Posta un commento