Unione
Sarda
Dopo
l'iniziativa di Pisapia a Roma si è aperto il dibattito nell'Isola ma non c'è
accordo “Insieme” divide la sinistra sarda Uras (Cp): «No a progetti senza Pd».
Piras (Mdp): «Invece si può»
A livello locale i distinguo sono
sempre più frequenti. Per esempio, il “Campo Progressista Sardegna”, almeno in
parte, dell'operazione “Insieme” lanciata sabato in piazza Santi Apostoli da
Giuliano Pisapia, proprio non ne vuole sapere. «È un percorso diverso da quello
che avevamo intrapreso - taglia corto Francesco Agus - quando abbiamo iniziato
a lavorare per la costruzione del progetto l'intenzione era quella di mettere
in campo le migliori energie alla guida delle città, non a caso nella prima
iniziativa fatta a Cagliari protagonisti erano Massimo Zedda, e Federico
Pizzarotti».
NOSTALGIE Ma sabato a Roma erano
altri: gli “Art 1 Mdp”, Pier Luigi Bersani e Massimo D'Alema, Bruno Tabacci per
il Centro Democratico, ma anche la sinistra dem con Andrea Orlando e Gianni
Cuperlo. «La manifestazione è stata autoreferenziale - dice Agus - e la platea
un nostalgico gruppo di reduci piuttosto che l'inizio di una cosa nuova». Per il senatore “Cp”, Luciano Uras,
«avremmo dovuto rappresentare l'elemento di cerniera tra Pd e
l'area a sinistra, invece veniamo assorbiti da Mdp, cioè dagli scissionisti di
Sinistra Italiana e del Pd. Ho visto le immagini di piazza Santi Apostoli, il
messaggio mi pare debole e poi una cosa deve essere chiara: non si può pensare
a un centrosinistra senza Pd».
ANIME DIVERSE L'altra rappresentante
del Cp in Sardegna, Anna Maria Busia, non è andata a Roma, ma per altri motivi:
«In “Insieme” noi ci siamo, con Roberto Capelli e Bruno Tabacci». Opinioni
diverse su questo fronte ma nessun problema col collega Agus in consiglio regionale.
«Credo che un gruppo possa anche essere colorato e con anime diverse - sostiene
- però poi bisogna arrivare a una sintesi perché questo la politica richiede».
«I rapporti tra me e Capelli proseguono serenamente - aggiunge Uras - lavoriamo
alla dimensione regionale, convinti che serva una Giunta più incisiva con lo
Stato sui temi della continuità, dell'insularità, del rilancio dell'economia».
IL CASO SARDO Se “Insieme” - che
raggruppa Cp, Art 1 Mdp, Centro democratico, Possibile e Verdi - può fare a
meno del Pd, nell'Isola Art 1 Mdp continua a governare nella maggioranza di
Francesco Pigliaru. «Facciamo parte di una coalizione di centrosinistra con forze
che si sono messe assieme in nome di un programma proposto agli elettori -
osserva il capogruppo Daniele Cocco - io sono stato votato perché ero in Sel ma
anche in una coalizione che esprimeva Pigliaru presidente».
PROGRESSISTI In piazza Santi
Apostoli non c'era nemmeno Yuri Marcialis, ex Pd ora Art 1 Mdp, ma gli sarebbe
piaciuto esserci: «È il Pd di Renzi che si pone fuori dal centrosinistra per le
proposte politiche che fa, a livello regionale si andrà avanti a sostegno della
Giunta e spero si porti a termine la consiliatura». E poi annuncia un incontro per il 10 luglio, «aperto
al mondo delle associazioni, a Possibile, al Campo progressista, per discutere
su come andare avanti, strutturarci e organizzarci».
EX SEL In piazza c'era invece
Michele Piras, il parlamentare ex Si, ora Art 1 Mdp: «Da oggi esiste il nuovo
soggetto politico “Insieme”, che unisce l'esperienza del Campo Progressista
dell'Officina delle idee, Mdp, i Verdi e il Centro democratico, e che si
presenterà alle elezioni e correrà in discontinuità con le politiche renziane
del Partito democratico. A settembre avrà già dei gruppi unitari e coordinamenti
sul territorio». Insomma, «si costruisce il centrosinistra anche senza il Pd»,
ma, a livello regionale, «c'è un'alleanza di centrosinistra che va rilanciata e
migliorata nella qualità dell'intervento sociale ed economico, ma stiamo nella maggioranza».
GUARDARE OLTRE Aggiunge Piras: «Perché
“Insieme” non nasce per rompere col Pd, è il Pd renziano che ha rotto il centrosinistra.
E comunque, mi pare arduo sostenere che questo abbia effetti a cascata sul territorio
perché da parte nostra c'è la volontà di governare bene l'Isola e su questo
spenderei un'attenzione maggiore rispetto alle dinamiche delle relazioni tra i
partiti».
Roberto Murgia
Gianmario
Demuro: lo sviluppo dell'autonomia resta fondamentale per l'Isola
«Non
separazione ma dialogo per rafforzare la democrazia»
Pubblichiamo la lettera del
costituzionalista all'Università di
Cagliari Gianmario Demuro, che interviene
nel dibattito su autonomismo
e indipendentismo della Sardegna.
L'autonomia regionale è il
fondamento della democrazia Il futuro
dell'autonomia speciale in Sardegna
si giocherà sulla capacità di
dimostrare che solamente attraverso
istituzioni autonome si rafforza
la democrazia. A tal fine è
necessario ritornare alle origini del
pensiero autonomista degli anni
della Costituente di Emilio Lussu che,
sin dal discorso tenuto da deputato
del regno nel dicembre del 1921
sull'indipendenza dell'Isola di
Irlanda, ha sempre sostenuto per la
Sardegna la necessità di eleggere
istituzioni autonome e non separate
dalla Repubblica italiana.
Oggi, ricordando che Lussu non ha
mai
rivendicato la separazione della
Sardegna dalla futura Repubblica ma,
pur nell'aspirazione federalista, ha
sempre rivendicato l'autonomia
delle regioni quale parte integrante
dell'idea stessa di democrazia in
Italia, la mia semplice proposta è
quella di riconsiderare la nostra
autonomia tornando alle sue origini,
ripartire dai motivi che fanno
delle autonomie il perno intorno al
quale ruota la democrazia in
Italia.
Il primo argomento che può essere
portato è quello della coincidenza
tra la percezione di ciò che si è e
la costruzione di democrazie per
rappresentare la propria identità.
Nel secolo delle identità plurime,
siamo contemporaneamente, sardi,
italiani ed europei, le istituzioni
delle autonomie devono poter
rappresentare ciò che siamo in modo
plurale.
Per esempio per rivendicare maggiore
autonomia nel campo
della cultura e della lingua; per
chiedere più poteri nella gestione
unitaria delle coste; per affermare
un diritto alla mobilità
equiparabile a quello di tutti gli
altri cittadini. Le identità
plurime di un popolo si potranno
rafforzare proprio nella capacità di
chi ha sempre esercitato la
tolleranza e, valorizzandola, potrà
costruire istituzioni autonome ma
aperte al confronto.
Il secondo argomento è che la
Sardegna inserita in un contesto
repubblicano potrà essere parte di
un insieme che si regge sulla
medesima necessità di garantire la
democrazia a tutti. Un sistema di
autonomie plurali si conserva nel
fatto che ognuna riconosce l'altra
come parte della medesima comunità
democratica. Il reciproco destino
tiene tutti insieme e motiva ognuno
a restare insieme all'altro.
Viceversa la corsa alla separazione
indebolisce quella forza
democratica che l'insieme può,
invece, garantire.
Il terzo argomento è che senza
autonomia non vi è partecipazione
democratica alle scelte su un
territorio così diverso e vasto come
l'Italia. Non è un caso che il
fascismo si sia espresso e abbia
perseguito la più sistematica
opposizione a qualsiasi forma di governo
autonomo territoriale. Perseguire
l'autonomia nella sua massima
espressione è dunque affermare che
nessuna dittatura potrà riportare
al centro le decisioni sulla vita di
comunità tutte diverse.
Il quarto argomento è riferito alla
ricchezza della diversità che si
esprime meglio in un contesto
plurale. Sul punto la specialità della
Sardegna sarà più forte se radicata
insieme alle altre specialità
storiche ma non dovrà temere se
potranno essere riconosciuti maggiori
poteri anche ad altre. Il punto non
è tanto quanta eguaglianza vi è
nel rapporto con altre regioni,
quanto la misura della riconoscimento
della diversità viene garantita sul
tutto il territorio nazionale.
Nessun sistema iper-centralizzato è
in grado di garantire
l'eguaglianza perché è troppo
lontano dalla percezione della diversità
sul territorio.
Non dalla separazione, dunque, ma
dal dialogo nel reciproco
riconoscimento può crescere l'idea
di democrazia. Partendo dalla
discussione si possono rafforzare
gli istituti del diritto
costituzionale che sono stati
scritti per rafforzare l'autonomia. Il
primo è certamente lo Statuto
speciale, base di ogni procedimento di
democrazia plurale. Ma di assoluta
importanza sono anche tutti gli
strumenti di dialogo tra lo Stato e
le singole autonomi regionali.
Dalle norme di attuazione alle
intese il punto di equilibrio sta
sempre nella reciproca necessità di
garantire un ordinamento
democratico comune ad entrambe le
parti. Essere autonomisti oggi
significa continuare a pensare che
la discussione democratica avviene
tra pari che si riconoscono l'un
l'altro.
Gianmario Demuro
(Università di Cagliari)
La Nuova
Orlando
all'attacco sulle alleanze
Il
ministro: «Referendum tra gli iscritti». Renzi tira dritto, ma sale
la
tensione anche con Franceschini
Dal lavoro all'economia, dal
rapporto con i sindacati all'Imu, dalla
progressività delle tasse alla
politica dei bonus. Sono tanti i temi
programmatici su cui si registrano
grandi differenze tra il Pd di
Matteo Renzi e la «casa comune» del
centrosinistra lanciata da
Giuliano Pisapia. Tra
questi:ARTICOLO 18 - Pisapia definisce la sua
abolizione «un errore» a cui bisogna
porre rimedio. Una tesi che
ricalca le posizioni della Cgil,
opposta a Renzi, che su questo fronte
non ha mai aperto spiragli. Pisapia
propone anche una riduzione del
divario tra gli stipendi dei manager
e quelli dei lavoratori. IMU -
Secondo l'ex sindaco di Milano Renzi
ha sbagliato nel tagliare
l'imposta per la prima casa a tutti.
«Si poteva usare quella somma per
dare una casa a tutti, e impedire
che venisse sottratta a chi non
poteva pagare il mutuo».
Il Pd non intende assolutamente
tornare
indietro. FISCO - Pisapia, come
Bersani, ritiene che bisogna spingere
l'acceleratore su una maggiore
progressività delle imposte, in modo da
ridurre le diseguaglianze sociali,
secondo la linea: «chi ha di più,
paghi di più». In particolare, la
richiesta di Campo progressista è
quella di uscire dalla logica dei
bonus e delle detrazioni.Pisapia ha
anche fatto un cenno a una tassa
patrimoniale: «Penso a riflettere
seriamente sullo spostare oneri fiscali
sui patrimoni, dicendo agli
italiani la verità». Anche sul
fronte fiscale, Renzi ha sempre difeso
e esaltato la linea seguita dal suo
Governo .WELFARE E REDDITO
CITTADINANZA - Campo Progressista
pensa che il welfare del futuro
debba dare sostegno a tutti, con
strumenti come la pensione di base e
il reddito di cittadinanza. Il
movimento di Pisapia si spinge a
immaginare una parziale esclusione
dalle tutele (o una maggiore
contribuzione)per le fasce più
abbienti. Matteo Renzi, invece, ha
sempre bocciato l'ipotesi di un
reddito di cittadinanza. A suo
giudizio assicurare «sussidi per
tutti» vuol dire fare
assistenzialismo. Semmai, secondo
l'ex premier, la strada è
«rimboccarsi le maniche per il
lavoro».di Serenella
MatterawROMAPlacare le polemiche e
siglare una «pax estiva». È
l'obiettivo dei renziani per la
Direzione di giovedì. Ma la tensione
nel Pd resta a livelli di guardia,
all'indomani del confronto tra la
«piazza» dei circoli Dem e quella
della sinistra rosso-arancione di
Pisapia e Bersani. I dirigenti del
Pd sperano ancora di poter tessere
un dialogo con l'ex sindaco: a
differenza di Mdp, notano, non pone
veti su Renzi. Ma prima c'è da
ricucire nel partito. Perché la
tensione, viene riferito, resta alta
tra il segretario e Dario
Franceschini.
E Andrea Orlando scatena l'ira
renziana tornando a
invocare un referendum tra gli
iscritti in caso di alleanza con
Berlusconi. Così, la Direzione
rischia di trasformarsi in una resa dei
conti. «Non ci rassegniamo: lottiamo
contro il proporzionale e per
costruire una coalizione», dice
Orlando. L'obiettivo della minoranza
Dem, spiega, è rifare un
centrosinistra largo. Lo spauracchio sono le
larghe intese con la destra: se si
va al voto così, si rischia lo
scenario «inquietante» di
un'alleanza post-elettorale tra il Pd e
Berlusconi e allora, rilancia
Orlando, «chiederei agli iscritti che ne
pensano, attraverso un referendum».
Ma Lorenzo Guerini replica a muso
duro: «L'unico governo con
Berlusconi il Pd l'ha fatto con Bersani
segretario e Orlando dirigente: non
ricordo come andò quella volta il
referendum tra gli iscritti».
«Orlando nel 2013 fece il ministro
col
voto di fiducia del Cav», ricorda
puntigliosamente Ernesto Carbone.
Insomma, tiene il punto di fronte
agli attacchi Matteo Renzi. Che non
vuol dare nei prossimi mesi
l'immagine di un Pd litigioso ma
concentrato «sulle idee». Perciò
proverà a sbarrare il fronte interno
giovedì in direzione, dove ha una
maggioranza schiacciante (anche
senza i franceschiniani). La
riunione è stata anticipata e Orlando non
potrà esserci, perciò i suoi
invocano un rinvio. Ma qualunque sia la
data, il confronto sarà
surriscaldato. Franceschini viene descritto
parecchio seccato per un episodio
che si è verificato all'assemblea di
Milano: mentre Mauro Berruto dal
palco parlava di sabotatori, la regia
ha inquadrato il ministro. Solo una
svista, spiegano i renziani. Ma
Franceschini, che sul momento è
rimasto impassibile, si è poi
interrogato se questo sia il
trattamento riservato nel Pd a chi pone
un tema politico. Interpellato al telefono,
il ministro ora minimizza:
«E' stata solo una coincidenza».
Ma il tema posto dopo le comunali lo
ribadirà in direzione: qualcosa si è
rotto con gli elettori, si deve
ricucire con il centrosinistra.
Sullo sfondo c'è anche lo spauracchio
di nuovi addii al Pd come quello di
Cuperlo (che però nega:«Sarebbe
una sconfitta», scrive su Fb). Ma
sulla via dell'unità a sinistra, per
la quale Cuperlo dice di volersi
battere fino in fondo, sono tanti gli
ostacoli. Da un lato Renzi punta al
40% con «un Pd che si fa
centrosinistra largo» (definizione
di Ettore Rosato). Dall'altro, tra
i supporter di Pisapia la linea del
dialogo con il Pd trova la
freddezza di Mdp, che dice no
all'alleanza con Renzi: per i bersaniani
«la minoranza Pd deve scegliere tra
la sinistra e Matteo». Pisapia
però tiene aperto il canale di
comunicazione con il Nazareno. Un
incontro con Renzi potrebbe esserci,
magari non subito ma dopo
l'estate. Solo allora si farà sul
serio, perché si riapriranno i
giochi per la legge elettorale.
Da
Fratoianni a Montanari tutti perplessi: «Sono mancate proposte alternative»
La
Sinistra non abbraccia Pisapia
di Marcello Campo
ROMANon abbastanza netto dei
confronti del Pd, troppo poco coraggioso
nel tagliare i ponti con Matteo
Renzi e poco chiaro su un programma
realmente alternativo. Per non
parlare del sì al referendum
costituzionale, che pesa ancora come
un macigno. Al di là delle
sfumature, sono queste le accuse che
le forze della sinistra radicale
rivolgono a Giuliano Pisapia,
all'indomani della manifestazione di
piazza Santi Apostoli. Nessuno lo
definisce più come «stampella di
Renzi». Non c'è più il sospetto,
presente sino a qualche settimana fa,
che la sua iniziativa di
«federatore» abbia il beneplacito del
Nazareno. Tuttavia, la sinistra dura
e pura resta fredda sul cantiere
aperto dall'ex sindaco. Sinistra
Italiana, che pure era presente ieri
in piazza con una sua delegazione,
si dice esplicitamente
delusa.
Ancora più critico Tomaso Montanari,
presidente di Giustizia e
libertà: «Pisapia è apparso fumoso e
equilibrista», attacca lo storico
dell'arte che assieme a Anna Falconi
ha promosso l'assemblea del
Brancaccio, ieri polemicamente
assente alla kermesse in piazza Santi
Apostoli. Il leader di Possibile
Pippo Civati, invece, si pone come
mediatore tra le tesi dell'ex
sindaco milanese e quelle di Montanari,
anzi a «metà strada» tra i due
cantieri. Insomma, almeno per la
sinistra-sinistra, la nuova Casa
comune lanciata da Campo Progressista
appare un luogo un po' angusto, scomodo,
troppo esposto al centro, con
finestre troppo piccole per fare
entrare il vento di chi non va più a
votare, una costruzione non
abbastanza nuova, di cui si vede troppo il
tetto e poco le fondamenta.
La bocciatura del taglio dell'Imu
per
tutti, dell'abolizione dell'articolo
18, della «politica dei like»,
non è bastata a questo bacino
elettorale che da tempo chiede una
rottura più chiara e più netta.
«Giuliano mi ha lasciato perplesso. È
mancato - sottolinea Nicola
Fratoianni, segretario di Sinistra
Italiana - un significativo sforzo
di chiarezza. Non ho sentito su un
singolo tema proposte radicalmente
alternative alle politiche portate
avanti dal Pd in questi anni. Con
questo Pd non c'è possibilità di
intesa». Netto anche Tomaso
Montanari: «Non ho capito come la pensa
sulla Buona scuola, sulla riforma
Franceschini sui musei. Quella
piazza ha parlato troppo agli
elettori o ex elettori del Pd, senza
rivolgersi a quella metà di
cittadini italiani, quel popolo immenso
che non va più a votare, e che
certamente non credo abbia cambiato
idea ieri seguendo la
manifestazione».
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Federico Marini
skype: federico1970ca
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