Il governatore
pugliese si candida alle primarie. Renzi vola in Usa Caos Pd, Emiliano ci
ripensa «Voglio sfidare il segretario»
ROMA «Questa è la mia casa, nessuno mi può
cacciare». Dopo tre giorni sull'altalena in un partito sull'orlo della
scissione, Michele Emiliano scioglie la riserva: resta nel Pd e si candida
contro Matteo Renzi. Lo anticipa in mattinata e lo certifica alla direzione nazionale
convocata per nominare la commissione che scriverà le regole del congresso. Un
dibattito serrato con assenti più o meno giustificati. Non c'è il segretario
dimissionario, volato in California per visitare «realtà importanti» dopo aver
lasciato più di un messaggio dicendosi «addolorato» ma obbligato ad andare
avanti per la sua strada. Non c'è la minoranza di Pier Luigi Bersani, non ci
sono Roberto Speranza ed Enrico Rossi, gli scissionisti che hanno condiviso con
il governatore pugliese le ultime ore in trincea.
L'EX PREMIER «Gli amici della minoranza - scrive
Renzi nella sua eNews - mi hanno chiesto di anticipare il congresso, arrivando
persino al punto di minacciare le carte bollate». Quando «finalmente abbiamo accolto
questa proposta ci è stata fatta una richiesta inaccettabile: si sarebbe
evitata la scissione se solo io avessi rinunciato a candidarmi. Penso che la
minoranza abbia il diritto di sconfiggermi, non di eliminarmi». Ora, «se
qualcuno vuole lasciare la nostra comunità, questa scelta ci addolora, ma la
nostra parola d'ordine rimane quella: venite, non andatevene». Ed è «tempo di
rimettersi in cammino».
LA DIREZIONE Poco dopo le 16, il presidente Matteo
Orfini apre i lavori con un appello alla minoranza: «Chiedo a chi ha fatto una scelta
diversa di ripensarci. Il congresso serve a questo. Ho sentito Emiliano, Rossi
e Speranza e ho chiesto loro di partecipare alla direzione e al congresso e
continuerò a farlo non rassegnandomi alla scelta di chi ha deciso di non partecipare». Poi
tocca a Gianni Cuperlo cercare l'ultima mediazione proponendo di avviare il congresso,
affrontare uniti le elezioni amministrative e far slittare le primarie a
luglio. Il tentativo cade nel vuoto.
LO “SCERIFFO” L'intervento più atteso è quello di
Emiliano, che fa sapere di aver deciso di restare nel Pd e, «accogliendo
l'invito di tantissimi militanti», di sfidare Renzi. «Mi candido nonostante il tentativo
del segretario uscente di vincere con ogni mezzo», dice il governatore pugliese
che cita don Milani e perfino il Che («chi lotta può perdere, chi non lotta ha
già perso»). «Con Rossi e Speranza ho condiviso questi giorni, sono persone
perbene. Sono stati offesi e presi a bastonate senza ragione, nel cocciuto
rifiuto di ogni mediazione».
Mentre Renzi «si è inventato un congresso con rito
abbreviato» mostrando «di essere il più soddisfatto» per la rottura. La
direzione del Pd si chiude così, dopo due ore. Via libera alla commissione
congresso proposta da Orfini, diciotto componenti, che sarà integrata da un
rappresentante di Emiliano. (p. st.)
Spissu:
la nostra gente non capisce
Speranza
e gli scissionistivanno avanti lo stesso: «Subito un nuovo partito»
Fino al tardo pomeriggio nessun
bersaniano ha commentato lo
smarcamento di Michele Emiliano.
Riunioni su riunioni, l'ultima nel
tardo pomeriggio. È stato Roberto
Speranza a ufficializzare l'addio al
Pd: lavoriamo a un nuovo soggetto,
ha detto ieri sera.
L'ATTACCO «Noi andiamo avanti sulla
strada della costruzione di un
nuovo soggetto politico del
centrosinistra italiano che miri a
correggere quelle politiche che
hanno allontanato dal nostro campo
molti lavoratori, giovani e
insegnanti. Occorre iniziare un nuovo
cammino». Quanto al governatore
pugliese, il commento è al vetriolo:
«Prendiamo atto della scelta assunta
da Michele Emiliano di candidarsi
nel Pdr». Ovvero, il Partito di
Renzi.
Ieri sera, dal salotto di Porta a
Porta, il ministro della Giustizia
Andrea Orlando, che nei giorni
scorsi aveva annunciato la possibilità
di candidarsi per evitare la
scissione, ha puntualizzato: «Adesso in
parte questo problema lo abbiamo
ridotto. Molto in parte, perché
Emiliano ha deciso di non
andarsene». In ogni caso, ha ribadito, «se
mi dovessi candidare lo farei per
guidare il Pd, non l'opposizione nel Pd».
L'APPELLO «Il tormentone del Pd»
viene commentato da Giacomo Spissu,
coordinatore dell'area Popolari e
riformisti della Sardegna.
«Assistiamo abbastanza impotenti a
una discussione tutta incistata nei
gruppi dirigenti nazionali e si fa
fatica a capire quali siano le vere
ragioni di una scissione - scrive su
Facebook -. Sarà la prima volta
che una scissione avviene sul
calendario, sulla data del Congresso...
Una vicenda davvero poco
appassionante ed emozionante, anche al netto
degli errori riconducibili al
segretario al quale spetterebbe, più che
ad altri, la responsabilità di
indicare una strada possibile che eviti
un danno irreparabile per il Pd e
per tutto il centro sinistra. Ma la
ragionevolezza e la faticosa ricerca
delle mediazioni possibili e
necessarie in un partito grande,
sembra aver lasciato la strada al
radicalismo e all'isteria».
I MILITANTI «Tutti a tirar su una
bandierina e a difenderla come fosse
l'ultimo avamposto di una guerra
inutile e persa in partenza. La
nostra gente, iscritti, militanti,
simpatizzanti ed elettori non ci
capisce nulla, segue passivamente
questa telenovela poco seducente.
Capiamo poco noi - puntualizza - che
in qualche modo siamo addetti ai
lavori e digeriamo tutto, figurarsi
il nostro popolo».
LE IDEE L'esponente dell'area
Cabras-Fadda sottolinea che «i motivi di
una scissione non li capisco, non li
vedo e non perchè io sia
particolarmente lento di
comprendonio. Nel recente passato ho
condiviso percorsi, idee, battaglie
vincenti e perdenti, con molti dei
compagni che oggi vorrebbero andare
via. A Bersani faccio un appello:
caro Pierluigi, con te ho asciugato
gli scogli, ho pettinato le
bambole, smacchiato i giaguari,
spostato le mucche dal corridoio. Non
ho mai protestato anche quando
abbiamo perso: perchè vuoi andare via?
Meglio restare e impegnarsi per
cambiare e migliorare questo Pd, con
molti difetti ma comunque un campo
aperto e plurale dove incontrarsi e
anche scontrarsi».
Unione Sarda
LA
NUOVA GIUNTA. Potrebbero uscire Firino e Morandi, Piras recupera posizioni
Pigliaru
non vuole più aspettare: rimpasto subito, rischiano in tre
Questione di giorni, forse di ore.
Per il rimpasto della Giunta
guidata da Francesco Pigliaru potrebbe
essere davvero la settimana
decisiva. Ci sono da riempire le
caselle lasciate libere dai
dimissionari assessori agli Affari
generali e all'Agricoltura,
Gianmario Demuro (Pd, in quota Soru)
ed Elisabetta Falchi (Rossomori).
Al loro posto dovrebbero approdare
l'attuale capo di gabinetto della
presidenza della Regione, Filippo
Spanu, e l'ex consigliere Pierluigi
Caria (Pd, area renziani).
L'ACCORDO PD Fin qui è facile: si
gioca in casa Pd e per una volta, a
quanto pare, le varie anime del
partito sono riuscite a mettersi
d'accordo. L'area Cabras-Fadda ha
due assessori di riferimento:
Massimo Deiana ai Trasporti e
Cristiano Erriu agli Enti locali. I
renziani occupano già la casella del
Lavoro, con Virginia Mura, e ora
avranno la possibilità di esprimere l'ex
consigliere regionale olbiese
Caria, forse al posto della Falchi.
I soriani non hanno più Demuro. Agli
Affari generali Pigliaru chiede
che ci sia Filippo Spanu. In questo
modo, però, i posti chiave in
quota governatore sarebbero quattro:
Bilancio e programmazione con
Raffaele Paci, Ambiente con
Donatella Spano, Sanità con Luigi Arru e,
appunto, gli Affari generali. Il Pd,
però, è riuscito a saltare
l'ostacolo: i soriani si sono detti
disponibili a prendere in carico
Arru, così da liberare il carro del presidente
di un posto.
Hanno comunque diritto a un altro
assessore, probabilmente l'ex
responsabile delle Attività
produttive al Comune di Cagliari, Barbara
Argiolas. Ma per quale delega?
All'Industria Maria Grazia Piras sembra
confermata (devono comunque esserci
almeno quattro donne), ma non si
sa mai.
IL NODO CULTURA Il fatto è che c'è
un'altra poltrona a rischio, a
scelta tra la Cultura, occupata
attualmente da Claudia Firino (ex
Sel), e il Turismo, dove siede
Francesco Morandi in quota Centro
democratico. L'ostacolo più
difficile da superare, per Pigliaru,
sembra proprio quello della Pubblica
istruzione. Firino è stata
sfiduciata da tre consiglieri
regionali su quattro, ma conserva il
favore degli ex Sel, ora esponenti
del Campo progressista di Giuliano
Pisapia, il consigliere Francesco
Agus e Luciano Uras.
Proprio il senatore, una settimana
fa, ha mandato al governatore un
messaggio chiarissimo: «Claudia
Firino è assessore alla Pubblica
istruzione perché noi abbiamo
contribuito molto, e non poco,
all'elezione del presidente della
Regione. Eppure la sua permanenza in
Giunta è oggetto puntuale di
indiscrezioni offensive. Se fossi il
presidente direi a tutti di
smetterla, perché non c'è discussione su
quest'argomento». Concetto ribadito
ieri: «Se Pigliaru ritiene di
attivare un processo di verifica
costruttivo siamo disposti a sederci
a un tavolo, ma se si vuole occupare
solo di un rimescolamento di
deleghe assessoriali sulla base di
simpatie personali, allora non
siamo con lui, perché alla Regione
non serve questo ma un governo che
sia capace di creare sviluppo».
Uras aveva anche fatto presente che
«a inizio legislatura il
presidente Francesco Pigliaru aveva
ritenuto di avere una squadra di
sua fiducia molto più ampia di
quanto fosse rappresentativa sul piano
politico elettorale. Noi abbiamo
accettato questa cosa perché c'è un
patto di fiducia reciproco che non
vorrei fosse messo in discussione».
Patto che ora, non c'è dubbio,
rischia di finire stracciato.
LE ALTRE RIVENDICAZIONI Poi, a voler
essere precisi, della partita
potrebbe fare parte anche il Partito
dei Sardi, che esprime
l'assessore ai Lavori pubblici,
Paolo Maninchedda. Qualche giorno fa,
in una lettera aperta a Pigliaru, il
segretario Franciscu Sedda ha
scritto: «Credo che sia evidente che
il Partito dei Sardi stia
crescendo e sia oggi la seconda
forza della coalizione perché, pur con
tutti i suoi limiti, ha lavorato per
far maturare una società sarda
aperta, responsabile, indipendente,
e con lo stesso spirito vorrebbe
contribuire con sempre più forza a
far crescere la qualità dell'azione
di governo e la positiva percezione
che ne avrà la nostra gente».
Roberto Murgia
La Nuova
Il
congresso del 19 marzo sembra destinato al rinvio dopo quello che sarà fissato
da Renzi Ma anche il rimpasto in Regione rischia di essere rallentato dagli
effetti
della spaccatura del Nazareno silvio lai Prevale un sentimento di grande dolore
Qualcosa si è rotto e il partito non sarà più lo stesso
di
Umberto Aime
CAGLIARI Il Pd sardo non vuole lo
strappo, ma è sempre più prigioniero
del caos nazionale.
È tutto congelato, da Sassari a
Cagliari: il congresso regionale dal
19 marzo potrebbe slittare a maggio
e finire per essere una coda della
disputa tricolore Renzi contro
tutti. Anche il governatore Francesco
Pigliaru avrebbe rallentato i tempi
del rimpasto: è in attesa di
capire se ci sarà o meno la diaspora
da via del Nazareno, a Roma, e
soprattutto chi fra i sardi
(nessuno?) traslocherà altrove. La
Sardegna è fatta così: vive sempre
ai margini dell’impero, ma
dall’imperatore del momento si fa
imporre gran parte di quello che
farà.
Neanche il Pd di Sardegna è riuscito
a sottrarsi a questa
pessima regola, nonostante da una
vita navighi per conto suo e molto
lontano dalle rotte decise sulla
terra ferma. Ad esempio è quasi
impossibile, nell’isola, indicare
confini netti fra chi stia da una
parte o dall’altra delle attuali
barricate Dem, oppure quali siano i
falchi o le colombe fra consiglieri
regionali e parlamentari in
carica. Il motivo è presto detto: le
correnti nostrane, comunque molte
e troppe, non si sono ancora
smarcate dalla forza dei capibastone,
vecchi o nuovi che siano. Basta
scorrere l’elenco delle forze in campo
per capirlo. C’è l’area dei
popolari-riformisti, che nonostante i
tentativi di darsi un nome
importante continua a essere identificata
con i padri fondatori: l’ex senatore
Antonello Cabras, origini
socialiste, e l’ex sottosegretario
Paolo Fadda, che è stato l’ultimo
segretario regionale della
Margherita. Poi c’è quella guidata dall’ex
presidente della Regione Renato
Soru, in cui sono aggregati renziani
dalla casacca fresca ed ex delfini
di Enrico Letta, mentre si sa che i
due leader si detestano.
Eppure queste due correnti molto
personalizzate e qualcuno sostiene
altrettanto umorali, nel 2014, sono
convolate addirittura in un inatteso
matrimonio, per eleggere proprio
Soru segretario regionale. Quello
che è accaduto subito dopo lo
ricordano tutti: bastonate,
scomuniche, sgambetti e dispetti fra gli
alleati del momento, con una crisi
interna che il Pd sardo ancora non
ha metabolizzato. È senza una guida
dal 5 maggio dell’anno scorso,
giorno delle dimissioni di Soru dopo
la condanna per evasione fiscale,
ma era già malconcio dal 2105. Da
allora poco è cambiato con tre
candidati-segretario, non uno solo,
ora in corsa per la successione.
Il soriano dal passato lettiano
Francesco Sanna è contrapposto al
senatore Giuseppe Luigi Cucca,
scelto dagli ex Diesse e dai renziani
della prima ora, che in Sardegna
sono una minoranza. Poi c’è il terzo
incomodo: Yuri Marcialis della Sinistra
Dem, che di scissione non
vuole neanche sentir parlare
nonostante a Roma i suoi referenti
minaccino l’abbandono.
Certo, lo stato del Pd è in
continua,
tumultuosa evoluzione e le
previsioni del finale sono oggi
impossibili. Ma è in dubbio fino a
tal punto che il governatore
Pigliaru ha dovuto allungare i tempi
– dovevano essere rapidi – del
rimpasto di giunta. Fra le molte
indiscrezioni nei corridoi di Villa
Devoto pare ci sia questa. Per non
scontentare nessuno, il presidente
della Regione avrebbe proposto al Pd
una suddivisione alla pari fra le
tre correnti più forti e ciòè due
assessorati a testa. Ad avere due
deleghe sin dall’inizio della
legislatura sono i popolari-riformisti,
trasporti e urbanistica, altrettante
le avrà il gruppo di Soru, sanità
e turismo, e due saranno quelle
assegnate all’area ex Diesse-renziani,
agricoltura e lavoro. Sembra il
risultato di un’equazione, ma non lo
è, perché il Pd sardo scruta ancora
l’orizzonte con lo stesso sguardo
impaurito di Cappuccetto rosso
quando ha la strada sbarrata dal lupo.
Sa purtroppo che prima o poi sarà
sbranato.
Emiliano
sfida Renzi: Resto e vinco.
Il
governatore della Puglia ci ripensa e lancia la candidatura alla segreteria
In
direzione attacca il leader: «Nessuno mi può cacciare, questa è casa mia»
Cuperlo
chiede «di tenere il congresso a luglio dopo aver svolto la
conferenza
programmatica»
Orfini
replica: «Non si può fare, ci sono le elezioni amministrative»
di
Maria Berlinguer
ROMA Michele Emiliano ci ripensa e
non esce dal Pd. E, anzi, annuncia
che sfiderà Matteo Renzi nelle
primarie per guidare il partito. E così
nel giorno della direzione del Pd
convocata per fissare date e regole
del congresso, le scissioni sono
due. Quella di Bersani, Rossi,
Speranza e D’Alema e quella di
Emiliano che abbandona i compagni di
strada con i quali aveva arringato
la folla sabato scorso al teatro
Vittoria e sceglie di restare in
quello che Roberto Speranza definisce
ormai il PdR, ovvero il partito di
Matteo Renzi. «Nessuno mi può
cacciare, questa è casa mia» dice
Emiliano che ha comunicato solo
all’ora di pranzo il suo ennesimo
ripensamento a Speranza, ricevuto
nella sede della Regione Puglia. Ma,
a parte il colpo di scena del
governatore pugliese, la direzione
del Pd è senza pathos. I dirigenti
sono costretti a entrare dall’uscita
secondaria visto che quella
principale è presidiata da un gruppo
di tassisti inferociti. Matteo
Renzi non c’è. È in volo per la
California «per imparare dai più bravi
come creare occupazione». Sulla sua
pagina Facebook si dice
«addolorato» per la scissione ma
pronto a rimettersi in cammino.
«Nessuno può fermarci» scrive l’ex
premier prima di imbarcarsi. Al
Nazareno è lui il convitato di
pietra.
Ma è Matteo Orfini, presidente
dell’assemblea dem, a dare le carte.
«Quando un segretario si dimette
lascia le sue funzioni ed è
improprio rivolgersi a lui per ciò che
concerne le regole e lo svolgimento
del congresso», dice. «Quello che
è successo all’assemblea non
giustifica gli addii», aggiunge
assicurando che lavorerà fino
all’ultimo momento utile per cercare di
evitare strappi. Orfini legge i nomi
dei membri della commissione
congressuale. Fregolent, Carbone, De
Maria, Guerini e molti altri, in
base alle correnti. C’è anche
Michela Campana, finita in una bufera
mediatica perché intercettata con
Salvatore Buzzi al telefono. «La
candidatura di Emiliano porterà a
delle ovvie integrazioni per dare
rappresentanza alla sua
candidatura», spiega Orfini. Pronto a nuove
integrazioni nel caso Bersani ci
dovesse ripensare. Cosa che scatena
la reazione di Roberto Giachetti che
fa mettere ai voti che no,
l’integrazione riguarda solo i
presenti oggi, ovvero Emiliano. Il
primo a parlare è Gianni Cuperlo,
con Piero Fassino che fino
all’ultimo ha cercato di fermare i
compagni che vogliono andare via.
«C’è ancora uno spiraglio» dice.
Cuperlo esprime profonda
preoccupazione per la scissione in
atto, «un danno storico destinato a
immiserire il senso e la portata del
Pd». «Rimettiamo mano alle regole
mediamo le posizioni come facemmo
quando si candidò Renzi che fu una
novità importante di cui dovemmo
tenere conto. Propongo di tenere il
congresso a luglio dopo aver svolto
la conferenza programmatica e dopo
le elezioni amministrative: non
penso che nessuno potrà sentirsi
offeso per questa proposta», dice.
«Non si può fare, ci sono le
amministrative», replicano i
dirigenti vicini a Renzi. E sulla stessa
linea è anche Orfini che però rinvia
alla commissione la decisione
sulle date. Tocca a Emiliano. «Renzi
è il più soddisfatto della
scissione» dice elogiando Rossi e
Speranza, «brave persone che sono
state bastonate e offese dal
cocciuto rifiuto ad ogni mediazione«. Ma
siccome «chi lotta può perdere ma
chi non lotta ha già perso», dice
citando Che Guevara, Emiliano
annuncia che resterà per sfidare Renzi.
La corsa per la segreteria potrebbbe
essere a tre se anche Andrea
Orlando decidesse infine di
partecipare. Sembrava fatta per Orlando.
Ora però è di nuovo tutto incerto,
«Non mi candido a guidare
l’opposizione del Pd; se mi candido
è per guidare il partito», fa
sapere il ministro della Giustizia.
Intanto in serata dal Nazareno
trapela la notizia che sarà il
vicesegretario dem, Lorenzo Guerini a
presiedere la commissione
congressuale. Al momento la data più quotate
per le primarie che eleggeranno il
nuovo segretario è il 7 maggio. La
commissione proporrà il voto in una
successiva direzione su date e
regole per i candidati alla
segreteria e per le primarie che saranno
aperte.
«Nuovo
soggetto a sinistra»
«Avanti
con un progetto che ci possa consentire di recuperare il nostro popolo»
Anche
Rossi dice addio: «Sono sereno, abbiamo capito: non possiamo più stare»
Bersani,
D’Alema e Speranza ufficializzano la spaccatura
di
Gabriele Rizzardi
ROMA La minoranza dei bersaniani è
ufficialmente fuori dal Pd. Roberto
Speranza, e con lui la componente
dei dissidenti dem e il governatore
della Toscana Enrico Rossi, non
hanno partecipato alla riunione della
direzione, rinunciando di fatto ad
avere un uomo di fiducia
all'interno della commissione di
garanzia per il congresso, organismo
che mira a tutelare le ragioni di
tutti i candidati alla segreteria.
«In questo momento, da parte mia,
non ci sono le condizioni per stare
nel congresso», confessa Speranza,
che alle 7 della sera verga un
comunicato che di fatto mette il
sigillo alla scissione: «Dalla
direzione Pd nessuna novità.
Noi andiamo avanti sulla strada
della
costruzione di un nuovo soggetto
politico del centrosinistra italiano
che miri a correggere quelle
politiche che hanno allontanato dal
nostro campo molti lavoratori,
giovani e insegnanti. Occorre iniziare
un nuovo cammino» dice l’ex
capogruppo del Pd che non rinuncia ad
attaccare il governatore della
Puglia: «Prendiamo atto della scelta
assunta da Michele Emiliano di
candidarsi nel Pdr». Poi, in serata, è
Pier Luigi Bersani a far capire qual
è la posta in gioco. «Non mi
sento di iscrivermi al Pd, non mi
interessa partecipare a questo
congresso, rimango nel
centrosinistra» dice l’ex segretario ospite di
Giovanni Floris per Di Martedì. E
ancora: «Non è la ditta, non è il
Pd. Si è spostato. Noi non abbiamo
fatto nessuno strappo, abbiamo
chiesto questa discussione nei tempi
normali. Non siamo stati noi a
scaravoltare il calendario: è stato
il segretario che ha preso il
giochino delle dimissioni per fare
un congresso cotto e mangiato».
Bersani spiega che dopo 25 anni si è
arrivati a un passaggio storico.
«È vero o non è vero che le
disuguaglianze crescono a dismisura. È
vero o non è vero che nella testa
della gente arrivano cattivi
pensieri?», si chiede Bersani, che
non rinuncia ad un affondo contro
Michele Emiliano: «Farà i conti con
le coerenze sue...». Parole di
fuoco contro Renzi arrivano anche da
Massimo D’Alema. «Renzi ha
fallito. Un leader dovrebbe
prenderne atto...». Ma non è finita: «Se
Renzi verrà rimosso, il
centrosinistra tornerà unito». A quando il
nuovo partito della sinistra? La
macchina organizzativa si è già messa
in moto. Venerdì potrebbero essere
annunciati i gruppi parlamentari:
una trentina di deputati,
considerando anche gli esponenti provenienti
da Sinistra Italiana, e 15 senatori.
Poi, all’inizio di marzo,
potrebbe prendere il via la
costituente del nuovo partito della
sinistra. Le date potrebbero
slittare perché «c'è bisogno prima di
spiegare sui territori quel che
accade».
I lavori sono in corso e si
inizia già a tessere la tela per
conquistare al nuovo soggetto di
centrosinistra gli ex di Sel e
soprattutto Giuliano Pisapia, che con
il suo Campo progressista sta
girando l’Italia (sarà a Roma il 12
marzo). Il suo obiettivo, spiega, è
costruire un «condominio» dove la
sinistra possa convivere e dare una
casa a milioni di persone. Si
cercherà di tenere nella partita
anche la presidente della Camera,
Laura Boldrini. Fuori dal Pd è
rimasto anche il governatore della
Toscana, Enrico Rossi: «Io andrò
avanti sulla strada della scissione.
È una scelta che ho fatto con grande
serenità dopo aver ascoltato
Renzi. Perché uno capisce che quella
non è più la sua casa»
Rischio
di giudizio penale per altri 65 consiglieri
Inchieste
bis e ter al capolinea, in chiusura anche la legislatura 2009-2014
Nomi
eccellenti nelle carte dell’indagine, udienze preliminari entro l’estate
di Mauro Lissia
CAGLIARI Mentre il presidente del
Consiglio regionale Gianfranco Ganau
afferma ai microfoni di un’emittente
televisiva locale che malgrado le
tredici condanne di ieri per i fondi
ai gruppi «la fiducia dei
cittadini nelle istituzioni è salda»
negli uffici della sezione di
polizia giudiziaria della Procura
continuano a transitare senza sosta
atti giudiziari che riguardano le
posizioni di consiglieri ed ex
consiglieri regionali. Conti alla
mano, tenuto conto delle
archiviazioni richieste dal pm Marco
Cocco e disposte dall’ufficio del
gip, ad andare verso il giudizio
sono complessivamente altre 65
posizioni, comprese quelle di
onorevoli già indagati per la
legislatura precedente o già
condannati nel procedimento principale
appena concluso davanti alla prima
sezione del tribunale. Se le
indiscrezioni raccolte in questi
giorni dovessero trovare conferma,
alla conclusione del ciclo di
indagini - che vanno avanti ormai da
oltre sette anni - il numero dei
politici regionali coinvolti nel
procedimento per peculato nato dagli
esposti della funzionaria Ornella
Piredda dovrebbe superare il
centinaio.
Come dire: un’intera
generazione di politici che rischia
di essere spazzata via dalla
magistratura. L’inchiesta-bis.
Chiusa l’inchiesta-bis per 46 indagati,
tutti accusati di peculato
aggravato, la gran parte del centrosinistra
nella legislatura 2004-2009, la
Procura attende per questi onorevoli
la fissazione dell’udienza preliminare
ma nel frattempo si appresta a
chiudere anche la prima parte
dell’indagine sulla legislatura
2009-2014, dove ricompaiono nomi già
compresi nelle prime liste e nomi
non ancora sfiorati dal procedimento
penale. Il lavoro d’indagine,
basato su conti correnti bancari,
atti dei gruppi e testimonianze, è
sostanzialmente concluso.
Carabinieri e Guardia di Finanza hanno messo
insieme una montagna di carte, che
secondo indiscrezioni sembra
confermare come la consuetudine di
spendere i fondi del consiglio
regionale senza controllo fosse ben
radicata e come neppure le notizie
sui procedimenti in corso l’abbiano
sradicata. Spese pazze. Si parla
di spese ai confini
dell’incredibile, del tutto esterne all’attività
politica, senza che negli uffici dei
gruppi comparisse alcuna pezza
giustificativa. Il segreto
investigativo resta solido su buona parte
del materiale raccolto dalla polizia
giudiziaria, solo alla notifica
della chiusa indagine si aprirà un
nuovo capitolo pubblico su quanto
il processo concluso lunedì scorso
ha certificato con una sentenza di
primo grado.
Gli altri gruppi. L’ufficio del
pubblico ministero è
impegnato nell’esame degli ultimi
rapporti che dovrebbero riguardare
il centrodestra e altri gruppi
minori, nel periodo che ha preceduto la
legge con cui la massima assemblea
regionale ha cassato
definitivamente i fondi destinati
all’attività politico-istituzionale
dei gruppi. Fra i nomi di maggiore
spicco compaiono quelli dei
parlamentare del Pd Silvio Lai e
Marco Meloni, di Giovanni Giagu, di
Siro Marrocu, di Giacomo Spissu, di
Salvatore Mattana, Nazareno
Pacifico, Mario Bruno, Chicco Porcu
tutti del centrosinistra, ma anche
di esponenti del Psd’az come Efisio
Planetta e dell’Udc e del
centrodestra come Andrea
Biancareddu, Sergio Milia, Andrea Artizzu e
Giorgio Oppi. Tra i nomi ricorrenti,
da un’inchiesta all’altra,
Giommaria Uggias - appena assolto
dal tribunale per la legislatura
2004-2009 - Sergio Marracini, i
fratelli Alberto e Vittorio Randazzo,
Salvatore Amadu e Beniamino Scarpa.
Tempi tecnici. Impossibile fare
previsioni sui tempi necessari per
avviare i prossimi processi, che
dovrebbero essere almeno due.
Secondo indiscrezioni la Procura
dovrebbe concludere il suo lavoro
tra giugno e luglio. Alcuni indagati
avrebbero proposto già in questa
fase il patteggiamento della pena.
Sospensione. Intanto nelle prossime
ore la Procura comunicherà alla
Prefettura il dispositivo della
sentenza di lunedì perché venga aperta
la procedura di sospensione dalla
carica dei consiglieri Oscar
Cherchi, Mario Floris e Alberto
Randazzo.
Traghetto
partito da Cagliari con a bordo 50 immigrati: molestie e scorribande
Notte
da incubo sulla nave algerini espulsi scatenati
CAGLIARI Furti, molestie, cabine
danneggiate. Notte da incubo per i
passeggeri della nave Janas della
Tirrenia, partita lunedì sera da
Cagliari e arrivata ieri mattina a
Napoli. Un folto gruppo di
extracomunitari espulsi si è
lasciato andare a una serie di
scorribande durante la traversata
che hanno costretto il comandante a
denunciare il tutto alla polizia. E
al mattino, una volta attraccata,
la nave è stata passata al setaccio
dai poliziotti con controlli a
tappeto finalizzati a evitare che
qualcuno dei migranti potesse
sfuggire all'applicazione del
decreto di espulsione. Tra i 221
passeggeri a bordo erano presenti
alcuni cittadini extracomunitari,
dei quali 29 di nazionalità
algerina, colpiti da un decreto di
respingimento dal territorio
nazionale emesso dalla questura di
Cagliari, non accompagnati dalle
forze di polizia.
Scorribande
notturne. Una parte di loro si è
resa protagonista di una notte di
bagordi. Il comandante della nave ha
riferito alla Polizia di averli
visti bivaccare, fumare dove era
proibito, infastidire i presenti e
aprire le cabine. Uno dei
passeggeri, infatti, ha anche denunciato il
furto di un cellulare. Due dei
migranti, sprovvisti di documenti, sono
stati portati in questura a Napoli
per l'identificazione e per
accertare se fossero regolari o
meno. Tirrenia. «Il passaggio nave del
gruppo è stato effettuato secondo le
procedure previste dalla legge,
implementate dalle autorità di
sicurezza di Cagliari – si legge in una
nota diffusa dalla Tirrenia –.
La compagnia, come sempre in questi
casi, sempre più frequenti, ha
destinato a essi un'area della nave, a
garanzia della sicurezza dei
passeggeri, non essendo il gruppo
accompagnato dalle forze di polizia.
Contrariamente a episodi
precedenti, però i migranti hanno
creato problemi a bordo per tensioni
al suo interno che si sono
ripercosse sui passeggeri». «Non si sono
verificati danni alla nave né lesioni
a passeggeri o equipaggio –
riferisce l’amministratore delegato
Massimo Mura –. Tirrenia tiene a
sottolineare l'operato del personale
di bordo che ha gestito con la
consueta professionalità la
situazione delicata, come sempre avviene
in questi casi, a garanzia della
sicurezza di tutti i passeggeri».
Algerini. Una parte degli immigrati
protagonisti della scorribande sul
traghetto faceva parte dei 112
algerini sbarcati negli ultimi giorni
sulle coste del sud della Sardegna.
Negli ultimi mesi l'arrivo di
migranti dall'Algeria, a bordo di
barche di fortuna, si è
intensificato. Polemiche.
L’episodio accaduto sulla Janas ha
riacceso
anche la polemica sugli immigrati.
«Governo e giunta regionale hanno
la responsabilità politica delle
tensioni avvenute sul traghetto
Cagliari-Napoli – sostiene Ugo
Cappellacci, coordinatore di Forza
Italia –. La politica dello struzzo
del trio Renzi-Pigliaru-Gentiloni
ha trasformato la Sardegna in una
sorta di camera di compensazione dei
flussi di migranti, moltiplicando
così i passaggi, i viaggi e le
prevedibili tensioni con chi non ha
il diritto di restare qui e con
chi, pur avendolo, non vede nella
nostra terra la destinazione del
proprio viaggio». «È vergognosa la
facilità con cui questo continuo
traffico avvenga con l'assenza
totale delle istituzioni regionali e
nazionali. La Sardegna viene presa
d'assalto da stranieri provenienti
da un'altra nazione, in cui non vi è
guerra né carestia – tuona
Salvatore Deidda, portavoce Fdi-An
–. Serve un blocco navale. Gli
algerini non sono in guerra, non
sono in una fase di carestia o altro,
si sono già resi protagonisti di
scorribande di ogni tipo e devono
essere immediatamente rispediti a
casa loro. Qui in Sardegna non
devono stare e non sono i
benvenuti».
La Nuova
Dopo
la condanna per peculato che ha colpito Floris, Cherchi e Randazzo
Consiglio,
ennesimo ribaltone I cambi di poltrona sono dieci
«Auguro che quando saremo chiamati,
presto o tardi, al cospetto di
Dio, tutti sappiano dimostrare la
loro buona fede e l'osservanza
scrupolosa delle norme come io ho
fatto ogni volta che mi sono trovato
ad esercitare pubbliche funzioni».
Così Mario Floris, il decano - che
compirà 80 anni a settembre e ne ha
trascorso più della metà in Aula -
all'indomani della condanna per
peculato che gli costerà la poltrona
di consigliere regionale. Insieme ad
altri due colleghi, Oscar Cherchi
e Alberto Randazzo. E oltre la
questione giudiziaria e il lato umano,
il fatto è che la quindicesima
legislatura, tra interpretazioni della
legge elettorale e sentenze varie,
non ha proprio pace. Ennesimo giro
di giostra, c'è chi esce e chi
entra, in totale siamo a quota dieci
sostituzioni, mai successo nella
storia del Parlamento sardo. Sono
andati via per diverse vicende e in
diversi momenti, Efisio Arbau,
Michele Azara, Modesto Fenu, Gavino
Sale, poi Gianni Lampis e Gianni
Tatti, Antonello Peru (in seguito
reintegrato) e Giancarlo Carta.
IL PRESIDENTE «Tutto questo non
aiuta ad avvicinare i cittadini alla
politica e al governo della
regione», sottolinea il presidente
dell'Assemblea, Gianfranco Ganau.
«Dal punto di vista dell'efficienza
e della funzionalità non ci sarà
alcun problema, l'istituzione è
rappresentata regolarmente dagli
eletti e dai subentranti. C'è però
sicuramente un peggioramento
dell'immagine che il Consiglio dà
all'esterno, e devo dire che anche
all'interno gli avvicendamenti sono
accolti con un certo fastidio,
perché interrompono rapporti personali
oltre che politici. Purtroppo sta
accadendo spesso».
LA SENTENZA Nella maxi inchiesta sui
fondi ai gruppi, la prima tranche
si è conclusa lunedì con la condanna
in primo grado di 13 consiglieri
della tredicesima legislatura (dal
2004 al 2008) e l'assoluzione di
Giommaria Uggias. Per l'utilizzo
improprio di soldi pubblici, sono
state inflitte pene da 5 anni e
mezzo a 2 anni e 2 mesi a Giuseppe
Atzeri (Psd'Az), Maria Grazia
Caligaris (Sdi-Psi), Sergio Marracini
(Udeur), Raffaele Farigu (Nuovo
Psi), Salvatore Serra (Comunisti
italiani), Carmelo Cachia (Udeur),
Vittorio Randazzo (Udc), Salvatore
Amadu (Pdl), Mario Raimondo Ibba
(Sdi-Psi), Pierangelo Masia
(Sdi-Psi), Alberto Randazzo (Pdl),
Oscar Cherchi (Pdl), Mario Floris
(Uds). Gli ultimi tre, consiglieri
in carica anche oggi, saranno
sospesi dall'incarico.
LA SEVERINO Lo impone la legge
Severino - “Disposizioni per la
prevenzione e la repressione della
corruzione e dell'illegalità nella
pubblica amministrazione” - e i
tempi tecnici richiedono un mesetto.
La sentenza viene comunicata alla
prefettura, da qui passa al
Consiglio dei ministri, il premier
firma il decreto di sospensione che
viene inviato al Consiglio
regionale. Floris, Cherchi e Randazzo
perdono il seggio per diciotto mesi,
al termine dei quali, in mancanza
di una sentenza definitiva, tornano
al loro posto. Prima, se nel
frattempo dovesse esserci
un'assoluzione in Appello. Nell'attesa
saranno sostituiti dai primi dei non
eletti nelle rispettive liste
collegiali: Gennaro Fuoco (FdI),
medico militare, ex consigliere
comunale a Cagliari; Emanuele Cera
(Udc), sindaco di San Nicolò
d'Arcidano; Mariano Contu (Forza
Italia), politico di lungo corso,
indagato a sua volta in un altro
filone dell'inchiesta della Procura
sui fondi ai gruppi.
I PRECEDENTI L'unico caso di rientro
è quello di Antonello Peru, Forza
Italia, ex vicepresidente
dell'Assemblea. Arrestato il 4 aprile 2016
nell'ambito dell'inchiesta sugli
appalti pubblici ribattezzata
“Sindacopoli”, è stato sospeso dallo
stesso giorno e reintegrato l'11
ottobre (poco dopo la
scarcerazione). Giancarlo Carta, che lo aveva
sostituito, è entrato e uscito dal
Consiglio regionale in pochi mesi.
Il 27 agosto 2015 (un anno e mezzo
dopo l'insediamento) lasciano via
Roma Efisio Arbau (La Base), Michele
Atzara (Idv poi passato alla
Base), Gavino Sale (Irs) e Modesto
Fenu (Movimento Zona franca).
Questa volta la motivazione sta nell'interpretazione
della legge
elettorale, in sostanza, le loro
liste non avrebbero dovuto
partecipare alla ripartizione dei
resti, lo dice il Consiglio di Stato
e poi la Corte di Cassazione
conferma l'esclusione. Così salgono in
carica, nelle file della
maggioranza, Antonio Gaia e Pierfranco
Zanchetta (Upc) e Gianfranco Congiu
(Partito dei sardi). Più
complicata la faccenda del seggio di
minoranza: al posto di Fenu, l'8
settembre 2015 entra Gianni Lampis
(Fdi) ma su indicazione della
Giunta per le elezioni invece che
dell'Ufficio elettorale centrale.
Giovanni Satta (Uds) fa ricorso e
viene proclamato eletto ad aprile
2016 mentre si trova in prigione a
Bancali, per un'inchiesta sul
traffico internazionale di droga in
Costa Smeralda. Un altro
pasticcio, che si risolve quando
l'ex sindaco di Buddusò torna in
libertà.
Ancora: il 31 ottobre 2016 Gianni
Tatti (Udc) decade dalla carica: lo
stabilisce la Corte di Cassazione
chiudendo una disputa giudiziaria
cominciata a inizio legislatura, che
ruotava intorno alla sua
ineleggibilità (al momento delle
elezioni non erano state formalizzate
le sue dimissioni da amministratore
dell'Ente foreste). Gli subentra
Alfonso Marras, anche lui Udc.
Cristina Cossu
Atti
vandalici e molestie a bordo: i 29 stranieri viaggiavano con un
decreto
di espulsione Traversata da incubo sul traghetto Tra Cagliari
e
Napoli passeggeri in balìa di un gruppo di algerini
Notte in balia di un gruppo di
giovani stranieri. È successo ai 170
passeggeri a bordo del traghetto
Janas della Tirrenia durante la
traversata tra lunedì e ieri, da
Cagliari e Napoli: ventinove algerini
- tutti con a carico un
provvedimento di espulsione ricevuto dopo il
loro arrivo sui barchini nelle coste
meridionali dell'Isola - hanno
molestato gli altri passeggeri,
compiendo presunti furti e atti
vandalici. Ieri mattina, all'arrivo
del traghetto a Napoli, è
intervenuta la Polizia. I giovani
algerini sono stati identificati ma
dopo gli accertamenti non sono
scattati provvedimenti.
BOTTE E FURTI «Si sono imbarcati
senza alcun problema. La situazione è
degenerata durante la notte.
Schiamazzi, urla, cabine della nave
danneggiate e, sembra, anche il
furto di un telefonino». Uno dei
passeggeri sardi ha sintetizzato
così quanto avvenuto sulla Janas.
«Agli stranieri», ha confermato la Compagnia
di navigazione, «è stata
destinata un'area della nave non
essendoci il controllo delle forze
dell'ordine. Ci sono state delle
tensioni e il comandante della nave
ha chiesto l'intervento della
Polizia». Sotto accusa una cinquantina
di stranieri. Tra loro una ventina
di migranti (tutti regolari e
risultati estranei alla vicenda) e
29 algerini con un provvedimento di
espulsione del questore di Cagliari.
IL PASTICCIO Il foglio, ricevuto
dopo gli sbarchi dei giorni scorsi
(con 112 cittadini algerini arrivati
sui barchini nelle coste del
Sulcis), permette agli stranieri di
spostarsi sul territorio per
lasciare entro sette giorni
l'Italia. In pratica, il documento viene
usato per spostarsi senza problemi
nel tentativo di raggiungere i
connazionali presenti nel territorio
oppure per cercare di varcare il
confine. L'alternativa sarebbe
quella di accompagnare gli irregolari
nei Centri di identificazione ed
espulsione per il successivo
rimpatrio: ma le strutture sono al
collasso e non ci sono posti. Così
il foglio di espulsione diventa
l'unica via d'uscita.
LE PROTESTE Dalle prime indagini dei
poliziotti di Napoli (sono state
prese in esame anche le immagini
riprese dalle telecamere di sicurezza
del traghetto) ci sarebbero stati
disordini, liti, piccoli atti
vandalici, tentativi di irruzione
nelle cabine. Sul furto di un
telefono cellulare non ci sarebbero
stati riscontri.
LE REAZIONI L'episodio, secondo il
coordinatore regionale di Forza
Italia, Ugo Cappellacci, ha dei
responsabili precisi: «Governo e
Giunta regionale», spiega. «La
politica di Renzi-Pigliaru-Gentiloni ha
trasformato la Sardegna in una
camera di compensazione dei flussi di
migranti. Non è pensabile che tutto
venga scaricato sulle forze
dell'ordine e su inermi cittadini».
Marcello Orrù, consigliere
regionale del Psd'Az, rilancia: «È
un fatto di gravità inaudita che
non dovrà più accadere». Paolo
Truzzu (Fratelli d'Italia) chiede a
Pigliaru «che solleciti il ministro
dell'Interno, Minniti, per un
incontro con il presidente algerino
per siglare un accordo su rimpatri
forzati». Per Luca Agati, segretario
del Sap, sindacato di Polizia, «i
giovani algerini arrivano convinti
di poter fare ciò che vogliono
grazie al foglio di espulsione.
Abbiamo assistito alla spesa senza
pagare alla Lidl di viale Marconi,
scippi, rapine. Eppure il silenzio
delle istituzioni continua
inesorabile».
ARRESTI A CAGLIARI Due algerini sono
stati invece arrestati a Cagliari
dagli investigatori della Squadra
mobile. Arrivati negli sbarchi
diretti dello scorso 18 e 19
febbraio, i due erano destinatari di
altri provvedimenti di espulsione
ricevuti in passato. Chaouki Amar
(35 anni), era stato arrestato in
passato per un altro ingresso
illegale ed espulso dall'Italia due
volte. Aveva il divieto di
rientrare nel territorio nazionale
fino al 2019. Il connazionale Ilyes
Abassi (28) era stato espulso nel
2016 e non sarebbe potuto rientrare
in Italia per altri quattro anni.
Processati per direttissima, sono
stati condannati rispettivamente a
otto e cinque mesi.
Matteo Vercelli
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Federico Marini
skype: federico1970ca
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