mercoledì 22 febbraio 2017

Rassegna stampa 22 Febbraio 2017

Il governatore pugliese si candida alle primarie. Renzi vola in Usa Caos Pd, Emiliano ci ripensa «Voglio sfidare il segretario»

ROMA «Questa è la mia casa, nessuno mi può cacciare». Dopo tre giorni sull'altalena in un partito sull'orlo della scissione, Michele Emiliano scioglie la riserva: resta nel Pd e si candida contro Matteo Renzi. Lo anticipa in mattinata e lo certifica alla direzione nazionale convocata per nominare la commissione che scriverà le regole del congresso. Un dibattito serrato con assenti più o meno giustificati. Non c'è il segretario dimissionario, volato in California per visitare «realtà importanti» dopo aver lasciato più di un messaggio dicendosi «addolorato» ma obbligato ad andare avanti per la sua strada. Non c'è la minoranza di Pier Luigi Bersani, non ci sono Roberto Speranza ed Enrico Rossi, gli scissionisti che hanno condiviso con il governatore pugliese le ultime ore in trincea.

L'EX PREMIER «Gli amici della minoranza - scrive Renzi nella sua eNews - mi hanno chiesto di anticipare il congresso, arrivando persino al punto di minacciare le carte bollate». Quando «finalmente abbiamo accolto questa proposta ci è stata fatta una richiesta inaccettabile: si sarebbe evitata la scissione se solo io avessi rinunciato a candidarmi. Penso che la minoranza abbia il diritto di sconfiggermi, non di eliminarmi». Ora, «se qualcuno vuole lasciare la nostra comunità, questa scelta ci addolora, ma la nostra parola d'ordine rimane quella: venite, non andatevene». Ed è «tempo di rimettersi in cammino».

LA DIREZIONE Poco dopo le 16, il presidente Matteo Orfini apre i lavori con un appello alla minoranza: «Chiedo a chi ha fatto una scelta diversa di ripensarci. Il congresso serve a questo. Ho sentito Emiliano, Rossi e Speranza e ho chiesto loro di partecipare alla direzione e al congresso e continuerò a farlo non rassegnandomi alla scelta di chi ha deciso di non partecipare». Poi tocca a Gianni Cuperlo cercare l'ultima mediazione proponendo di avviare il congresso, affrontare uniti le elezioni amministrative e far slittare le primarie a luglio. Il tentativo cade nel vuoto.

LO “SCERIFFO” L'intervento più atteso è quello di Emiliano, che fa sapere di aver deciso di restare nel Pd e, «accogliendo l'invito di tantissimi militanti», di sfidare Renzi. «Mi candido nonostante il tentativo del segretario uscente di vincere con ogni mezzo», dice il governatore pugliese che cita don Milani e perfino il Che («chi lotta può perdere, chi non lotta ha già perso»). «Con Rossi e Speranza ho condiviso questi giorni, sono persone perbene. Sono stati offesi e presi a bastonate senza ragione, nel cocciuto rifiuto di ogni mediazione».

Mentre Renzi «si è inventato un congresso con rito abbreviato» mostrando «di essere il più soddisfatto» per la rottura. La direzione del Pd si chiude così, dopo due ore. Via libera alla commissione congresso proposta da Orfini, diciotto componenti, che sarà integrata da un rappresentante di Emiliano. (p. st.)

Spissu: la nostra gente non capisce
Speranza e gli scissionistivanno avanti lo stesso: «Subito un nuovo partito»

Fino al tardo pomeriggio nessun bersaniano ha commentato lo
smarcamento di Michele Emiliano. Riunioni su riunioni, l'ultima nel
tardo pomeriggio. È stato Roberto Speranza a ufficializzare l'addio al
Pd: lavoriamo a un nuovo soggetto, ha detto ieri sera.
L'ATTACCO «Noi andiamo avanti sulla strada della costruzione di un
nuovo soggetto politico del centrosinistra italiano che miri a
correggere quelle politiche che hanno allontanato dal nostro campo
molti lavoratori, giovani e insegnanti. Occorre iniziare un nuovo
cammino». Quanto al governatore pugliese, il commento è al vetriolo:
«Prendiamo atto della scelta assunta da Michele Emiliano di candidarsi
nel Pdr». Ovvero, il Partito di Renzi.

Ieri sera, dal salotto di Porta a Porta, il ministro della Giustizia
Andrea Orlando, che nei giorni scorsi aveva annunciato la possibilità
di candidarsi per evitare la scissione, ha puntualizzato: «Adesso in
parte questo problema lo abbiamo ridotto. Molto in parte, perché
Emiliano ha deciso di non andarsene». In ogni caso, ha ribadito, «se
mi dovessi candidare lo farei per guidare il Pd, non l'opposizione nel Pd».

L'APPELLO «Il tormentone del Pd» viene commentato da Giacomo Spissu,
coordinatore dell'area Popolari e riformisti della Sardegna.
«Assistiamo abbastanza impotenti a una discussione tutta incistata nei
gruppi dirigenti nazionali e si fa fatica a capire quali siano le vere
ragioni di una scissione - scrive su Facebook -. Sarà la prima volta
che una scissione avviene sul calendario, sulla data del Congresso...
Una vicenda davvero poco appassionante ed emozionante, anche al netto
degli errori riconducibili al segretario al quale spetterebbe, più che
ad altri, la responsabilità di indicare una strada possibile che eviti
un danno irreparabile per il Pd e per tutto il centro sinistra. Ma la
ragionevolezza e la faticosa ricerca delle mediazioni possibili e
necessarie in un partito grande, sembra aver lasciato la strada al
radicalismo e all'isteria».

I MILITANTI «Tutti a tirar su una bandierina e a difenderla come fosse
l'ultimo avamposto di una guerra inutile e persa in partenza. La
nostra gente, iscritti, militanti, simpatizzanti ed elettori non ci
capisce nulla, segue passivamente questa telenovela poco seducente.
Capiamo poco noi - puntualizza - che in qualche modo siamo addetti ai
lavori e digeriamo tutto, figurarsi il nostro popolo».
LE IDEE L'esponente dell'area Cabras-Fadda sottolinea che «i motivi di
una scissione non li capisco, non li vedo e non perchè io sia
particolarmente lento di comprendonio. Nel recente passato ho
condiviso percorsi, idee, battaglie vincenti e perdenti, con molti dei
compagni che oggi vorrebbero andare via. A Bersani faccio un appello:
caro Pierluigi, con te ho asciugato gli scogli, ho pettinato le
bambole, smacchiato i giaguari, spostato le mucche dal corridoio. Non
ho mai protestato anche quando abbiamo perso: perchè vuoi andare via?
Meglio restare e impegnarsi per cambiare e migliorare questo Pd, con
molti difetti ma comunque un campo aperto e plurale dove incontrarsi e
anche scontrarsi».


Unione Sarda

LA NUOVA GIUNTA. Potrebbero uscire Firino e Morandi, Piras recupera posizioni
Pigliaru non vuole più aspettare: rimpasto subito, rischiano in tre

Questione di giorni, forse di ore. Per il rimpasto della Giunta
guidata da Francesco Pigliaru potrebbe essere davvero la settimana
decisiva. Ci sono da riempire le caselle lasciate libere dai
dimissionari assessori agli Affari generali e all'Agricoltura,
Gianmario Demuro (Pd, in quota Soru) ed Elisabetta Falchi (Rossomori).
Al loro posto dovrebbero approdare l'attuale capo di gabinetto della
presidenza della Regione, Filippo Spanu, e l'ex consigliere Pierluigi
Caria (Pd, area renziani).
L'ACCORDO PD Fin qui è facile: si gioca in casa Pd e per una volta, a
quanto pare, le varie anime del partito sono riuscite a mettersi
d'accordo. L'area Cabras-Fadda ha due assessori di riferimento:
Massimo Deiana ai Trasporti e Cristiano Erriu agli Enti locali. I
renziani occupano già la casella del Lavoro, con Virginia Mura, e ora
avranno la possibilità di esprimere l'ex consigliere regionale olbiese
Caria, forse al posto della Falchi.

I soriani non hanno più Demuro. Agli Affari generali Pigliaru chiede
che ci sia Filippo Spanu. In questo modo, però, i posti chiave in
quota governatore sarebbero quattro: Bilancio e programmazione con
Raffaele Paci, Ambiente con Donatella Spano, Sanità con Luigi Arru e,
appunto, gli Affari generali. Il Pd, però, è riuscito a saltare
l'ostacolo: i soriani si sono detti disponibili a prendere in carico
Arru, così da liberare il carro del presidente di un posto.
Hanno comunque diritto a un altro assessore, probabilmente l'ex
responsabile delle Attività produttive al Comune di Cagliari, Barbara
Argiolas. Ma per quale delega? All'Industria Maria Grazia Piras sembra
confermata (devono comunque esserci almeno quattro donne), ma non si
sa mai.

IL NODO CULTURA Il fatto è che c'è un'altra poltrona a rischio, a
scelta tra la Cultura, occupata attualmente da Claudia Firino (ex
Sel), e il Turismo, dove siede Francesco Morandi in quota Centro
democratico. L'ostacolo più difficile da superare, per Pigliaru,
sembra proprio quello della Pubblica istruzione. Firino è stata
sfiduciata da tre consiglieri regionali su quattro, ma conserva il
favore degli ex Sel, ora esponenti del Campo progressista di Giuliano
Pisapia, il consigliere Francesco Agus e Luciano Uras.
Proprio il senatore, una settimana fa, ha mandato al governatore un
messaggio chiarissimo: «Claudia Firino è assessore alla Pubblica
istruzione perché noi abbiamo contribuito molto, e non poco,
all'elezione del presidente della Regione. Eppure la sua permanenza in
Giunta è oggetto puntuale di indiscrezioni offensive. Se fossi il
presidente direi a tutti di smetterla, perché non c'è discussione su
quest'argomento». Concetto ribadito ieri: «Se Pigliaru ritiene di
attivare un processo di verifica costruttivo siamo disposti a sederci
a un tavolo, ma se si vuole occupare solo di un rimescolamento di
deleghe assessoriali sulla base di simpatie personali, allora non
siamo con lui, perché alla Regione non serve questo ma un governo che
sia capace di creare sviluppo».

Uras aveva anche fatto presente che «a inizio legislatura il
presidente Francesco Pigliaru aveva ritenuto di avere una squadra di
sua fiducia molto più ampia di quanto fosse rappresentativa sul piano
politico elettorale. Noi abbiamo accettato questa cosa perché c'è un
patto di fiducia reciproco che non vorrei fosse messo in discussione».
Patto che ora, non c'è dubbio, rischia di finire stracciato.
LE ALTRE RIVENDICAZIONI Poi, a voler essere precisi, della partita
potrebbe fare parte anche il Partito dei Sardi, che esprime
l'assessore ai Lavori pubblici, Paolo Maninchedda. Qualche giorno fa,
in una lettera aperta a Pigliaru, il segretario Franciscu Sedda ha
scritto: «Credo che sia evidente che il Partito dei Sardi stia
crescendo e sia oggi la seconda forza della coalizione perché, pur con
tutti i suoi limiti, ha lavorato per far maturare una società sarda
aperta, responsabile, indipendente, e con lo stesso spirito vorrebbe
contribuire con sempre più forza a far crescere la qualità dell'azione
di governo e la positiva percezione che ne avrà la nostra gente».
Roberto Murgia

La Nuova

Il congresso del 19 marzo sembra destinato al rinvio dopo quello che sarà fissato da Renzi Ma anche il rimpasto in Regione rischia di essere rallentato dagli
effetti della spaccatura del Nazareno silvio lai Prevale un sentimento di grande dolore Qualcosa si è rotto e il partito non sarà più lo stesso
di Umberto Aime

CAGLIARI Il Pd sardo non vuole lo strappo, ma è sempre più prigioniero
del caos nazionale.

È tutto congelato, da Sassari a Cagliari: il congresso regionale dal
19 marzo potrebbe slittare a maggio e finire per essere una coda della
disputa tricolore Renzi contro tutti. Anche il governatore Francesco
Pigliaru avrebbe rallentato i tempi del rimpasto: è in attesa di
capire se ci sarà o meno la diaspora da via del Nazareno, a Roma, e
soprattutto chi fra i sardi (nessuno?) traslocherà altrove. La
Sardegna è fatta così: vive sempre ai margini dell’impero, ma
dall’imperatore del momento si fa imporre gran parte di quello che
farà.

Neanche il Pd di Sardegna è riuscito a sottrarsi a questa
pessima regola, nonostante da una vita navighi per conto suo e molto
lontano dalle rotte decise sulla terra ferma. Ad esempio è quasi
impossibile, nell’isola, indicare confini netti fra chi stia da una
parte o dall’altra delle attuali barricate Dem, oppure quali siano i
falchi o le colombe fra consiglieri regionali e parlamentari in
carica. Il motivo è presto detto: le correnti nostrane, comunque molte
e troppe, non si sono ancora smarcate dalla forza dei capibastone,
vecchi o nuovi che siano. Basta scorrere l’elenco delle forze in campo
per capirlo. C’è l’area dei popolari-riformisti, che nonostante i
tentativi di darsi un nome importante continua a essere identificata
con i padri fondatori: l’ex senatore Antonello Cabras, origini
socialiste, e l’ex sottosegretario Paolo Fadda, che è stato l’ultimo
segretario regionale della Margherita. Poi c’è quella guidata dall’ex
presidente della Regione Renato Soru, in cui sono aggregati renziani
dalla casacca fresca ed ex delfini di Enrico Letta, mentre si sa che i
due leader si detestano.

Eppure queste due correnti molto
personalizzate e qualcuno sostiene altrettanto umorali, nel 2014, sono
convolate addirittura in un inatteso matrimonio, per eleggere proprio
Soru segretario regionale. Quello che è accaduto subito dopo lo
ricordano tutti: bastonate, scomuniche, sgambetti e dispetti fra gli
alleati del momento, con una crisi interna che il Pd sardo ancora non
ha metabolizzato. È senza una guida dal 5 maggio dell’anno scorso,
giorno delle dimissioni di Soru dopo la condanna per evasione fiscale,
ma era già malconcio dal 2105. Da allora poco è cambiato con tre
candidati-segretario, non uno solo, ora in corsa per la successione.
Il soriano dal passato lettiano Francesco Sanna è contrapposto al
senatore Giuseppe Luigi Cucca, scelto dagli ex Diesse e dai renziani
della prima ora, che in Sardegna sono una minoranza. Poi c’è il terzo
incomodo: Yuri Marcialis della Sinistra Dem, che di scissione non
vuole neanche sentir parlare nonostante a Roma i suoi referenti
minaccino l’abbandono.

Certo, lo stato del Pd è in continua,
tumultuosa evoluzione e le previsioni del finale sono oggi
impossibili. Ma è in dubbio fino a tal punto che il governatore
Pigliaru ha dovuto allungare i tempi – dovevano essere rapidi – del
rimpasto di giunta. Fra le molte indiscrezioni nei corridoi di Villa
Devoto pare ci sia questa. Per non scontentare nessuno, il presidente
della Regione avrebbe proposto al Pd una suddivisione alla pari fra le
tre correnti più forti e ciòè due assessorati a testa. Ad avere due
deleghe sin dall’inizio della legislatura sono i popolari-riformisti,
trasporti e urbanistica, altrettante le avrà il gruppo di Soru, sanità
e turismo, e due saranno quelle assegnate all’area ex Diesse-renziani,
agricoltura e lavoro. Sembra il risultato di un’equazione, ma non lo
è, perché il Pd sardo scruta ancora l’orizzonte con lo stesso sguardo
impaurito di Cappuccetto rosso quando ha la strada sbarrata dal lupo.
Sa purtroppo che prima o poi sarà sbranato.

Emiliano sfida Renzi: Resto e vinco.
Il governatore della Puglia ci ripensa e lancia la candidatura alla segreteria
In direzione attacca il leader: «Nessuno mi può cacciare, questa è casa mia»
Cuperlo chiede «di tenere il congresso a luglio dopo aver svolto la
conferenza programmatica»
Orfini replica: «Non si può fare, ci sono le elezioni amministrative»
di Maria Berlinguer

ROMA Michele Emiliano ci ripensa e non esce dal Pd. E, anzi, annuncia
che sfiderà Matteo Renzi nelle primarie per guidare il partito. E così
nel giorno della direzione del Pd convocata per fissare date e regole
del congresso, le scissioni sono due. Quella di Bersani, Rossi,
Speranza e D’Alema e quella di Emiliano che abbandona i compagni di
strada con i quali aveva arringato la folla sabato scorso al teatro
Vittoria e sceglie di restare in quello che Roberto Speranza definisce
ormai il PdR, ovvero il partito di Matteo Renzi. «Nessuno mi può
cacciare, questa è casa mia» dice Emiliano che ha comunicato solo
all’ora di pranzo il suo ennesimo ripensamento a Speranza, ricevuto
nella sede della Regione Puglia. Ma, a parte il colpo di scena del
governatore pugliese, la direzione del Pd è senza pathos. I dirigenti
sono costretti a entrare dall’uscita secondaria visto che quella
principale è presidiata da un gruppo di tassisti inferociti. Matteo
Renzi non c’è. È in volo per la California «per imparare dai più bravi
come creare occupazione». Sulla sua pagina Facebook si dice
«addolorato» per la scissione ma pronto a rimettersi in cammino.
«Nessuno può fermarci» scrive l’ex premier prima di imbarcarsi. Al
Nazareno è lui il convitato di pietra.

Ma è Matteo Orfini, presidente
dell’assemblea dem, a dare le carte. «Quando un segretario si dimette
lascia le sue funzioni ed è improprio rivolgersi a lui per ciò che
concerne le regole e lo svolgimento del congresso», dice. «Quello che
è successo all’assemblea non giustifica gli addii», aggiunge
assicurando che lavorerà fino all’ultimo momento utile per cercare di
evitare strappi. Orfini legge i nomi dei membri della commissione
congressuale. Fregolent, Carbone, De Maria, Guerini e molti altri, in
base alle correnti. C’è anche Michela Campana, finita in una bufera
mediatica perché intercettata con Salvatore Buzzi al telefono. «La
candidatura di Emiliano porterà a delle ovvie integrazioni per dare
rappresentanza alla sua candidatura», spiega Orfini. Pronto a nuove
integrazioni nel caso Bersani ci dovesse ripensare. Cosa che scatena
la reazione di Roberto Giachetti che fa mettere ai voti che no,
l’integrazione riguarda solo i presenti oggi, ovvero Emiliano. Il
primo a parlare è Gianni Cuperlo, con Piero Fassino che fino
all’ultimo ha cercato di fermare i compagni che vogliono andare via.

«C’è ancora uno spiraglio» dice. Cuperlo esprime profonda
preoccupazione per la scissione in atto, «un danno storico destinato a
immiserire il senso e la portata del Pd». «Rimettiamo mano alle regole
mediamo le posizioni come facemmo quando si candidò Renzi che fu una
novità importante di cui dovemmo tenere conto. Propongo di tenere il
congresso a luglio dopo aver svolto la conferenza programmatica e dopo
le elezioni amministrative: non penso che nessuno potrà sentirsi
offeso per questa proposta», dice. «Non si può fare, ci sono le
amministrative», replicano i dirigenti vicini a Renzi. E sulla stessa
linea è anche Orfini che però rinvia alla commissione la decisione
sulle date. Tocca a Emiliano. «Renzi è il più soddisfatto della
scissione» dice elogiando Rossi e Speranza, «brave persone che sono
state bastonate e offese dal cocciuto rifiuto ad ogni mediazione«. Ma
siccome «chi lotta può perdere ma chi non lotta ha già perso», dice
citando Che Guevara, Emiliano annuncia che resterà per sfidare Renzi.
La corsa per la segreteria potrebbbe essere a tre se anche Andrea
Orlando decidesse infine di partecipare. Sembrava fatta per Orlando.

Ora però è di nuovo tutto incerto, «Non mi candido a guidare
l’opposizione del Pd; se mi candido è per guidare il partito», fa
sapere il ministro della Giustizia. Intanto in serata dal Nazareno
trapela la notizia che sarà il vicesegretario dem, Lorenzo Guerini a
presiedere la commissione congressuale. Al momento la data più quotate
per le primarie che eleggeranno il nuovo segretario è il 7 maggio. La
commissione proporrà il voto in una successiva direzione su date e
regole per i candidati alla segreteria e per le primarie che saranno
aperte.

«Nuovo soggetto a sinistra»
«Avanti con un progetto che ci possa consentire di recuperare il nostro popolo»
Anche Rossi dice addio: «Sono sereno, abbiamo capito: non possiamo più stare»
Bersani, D’Alema e Speranza ufficializzano la spaccatura
di Gabriele Rizzardi

ROMA La minoranza dei bersaniani è ufficialmente fuori dal Pd. Roberto
Speranza, e con lui la componente dei dissidenti dem e il governatore
della Toscana Enrico Rossi, non hanno partecipato alla riunione della
direzione, rinunciando di fatto ad avere un uomo di fiducia
all'interno della commissione di garanzia per il congresso, organismo
che mira a tutelare le ragioni di tutti i candidati alla segreteria.
«In questo momento, da parte mia, non ci sono le condizioni per stare
nel congresso», confessa Speranza, che alle 7 della sera verga un
comunicato che di fatto mette il sigillo alla scissione: «Dalla
direzione Pd nessuna novità.

Noi andiamo avanti sulla strada della
costruzione di un nuovo soggetto politico del centrosinistra italiano
che miri a correggere quelle politiche che hanno allontanato dal
nostro campo molti lavoratori, giovani e insegnanti. Occorre iniziare
un nuovo cammino» dice l’ex capogruppo del Pd che non rinuncia ad
attaccare il governatore della Puglia: «Prendiamo atto della scelta
assunta da Michele Emiliano di candidarsi nel Pdr». Poi, in serata, è
Pier Luigi Bersani a far capire qual è la posta in gioco. «Non mi
sento di iscrivermi al Pd, non mi interessa partecipare a questo
congresso, rimango nel centrosinistra» dice l’ex segretario ospite di
Giovanni Floris per Di Martedì. E ancora: «Non è la ditta, non è il
Pd. Si è spostato. Noi non abbiamo fatto nessuno strappo, abbiamo
chiesto questa discussione nei tempi normali. Non siamo stati noi a
scaravoltare il calendario: è stato il segretario che ha preso il
giochino delle dimissioni per fare un congresso cotto e mangiato».
Bersani spiega che dopo 25 anni si è arrivati a un passaggio storico.

«È vero o non è vero che le disuguaglianze crescono a dismisura. È
vero o non è vero che nella testa della gente arrivano cattivi
pensieri?», si chiede Bersani, che non rinuncia ad un affondo contro
Michele Emiliano: «Farà i conti con le coerenze sue...». Parole di
fuoco contro Renzi arrivano anche da Massimo D’Alema. «Renzi ha
fallito. Un leader dovrebbe prenderne atto...». Ma non è finita: «Se
Renzi verrà rimosso, il centrosinistra tornerà unito». A quando il
nuovo partito della sinistra? La macchina organizzativa si è già messa
in moto. Venerdì potrebbero essere annunciati i gruppi parlamentari:
una trentina di deputati, considerando anche gli esponenti provenienti
da Sinistra Italiana, e 15 senatori. Poi, all’inizio di marzo,
potrebbe prendere il via la costituente del nuovo partito della
sinistra. Le date potrebbero slittare perché «c'è bisogno prima di
spiegare sui territori quel che accade».

I lavori sono in corso e si
inizia già a tessere la tela per conquistare al nuovo soggetto di
centrosinistra gli ex di Sel e soprattutto Giuliano Pisapia, che con
il suo Campo progressista sta girando l’Italia (sarà a Roma il 12
marzo). Il suo obiettivo, spiega, è costruire un «condominio» dove la
sinistra possa convivere e dare una casa a milioni di persone. Si
cercherà di tenere nella partita anche la presidente della Camera,
Laura Boldrini. Fuori dal Pd è rimasto anche il governatore della
Toscana, Enrico Rossi: «Io andrò avanti sulla strada della scissione.
È una scelta che ho fatto con grande serenità dopo aver ascoltato
Renzi. Perché uno capisce che quella non è più la sua casa»

Rischio di giudizio penale per altri 65 consiglieri
Inchieste bis e ter al capolinea, in chiusura anche la legislatura 2009-2014
Nomi eccellenti nelle carte dell’indagine, udienze preliminari entro l’estate

di Mauro Lissia
CAGLIARI Mentre il presidente del Consiglio regionale Gianfranco Ganau
afferma ai microfoni di un’emittente televisiva locale che malgrado le
tredici condanne di ieri per i fondi ai gruppi «la fiducia dei
cittadini nelle istituzioni è salda» negli uffici della sezione di
polizia giudiziaria della Procura continuano a transitare senza sosta
atti giudiziari che riguardano le posizioni di consiglieri ed ex
consiglieri regionali. Conti alla mano, tenuto conto delle
archiviazioni richieste dal pm Marco Cocco e disposte dall’ufficio del
gip, ad andare verso il giudizio sono complessivamente altre 65
posizioni, comprese quelle di onorevoli già indagati per la
legislatura precedente o già condannati nel procedimento principale
appena concluso davanti alla prima sezione del tribunale. Se le
indiscrezioni raccolte in questi giorni dovessero trovare conferma,
alla conclusione del ciclo di indagini - che vanno avanti ormai da
oltre sette anni - il numero dei politici regionali coinvolti nel
procedimento per peculato nato dagli esposti della funzionaria Ornella
Piredda dovrebbe superare il centinaio.

Come dire: un’intera
generazione di politici che rischia di essere spazzata via dalla
magistratura. L’inchiesta-bis. Chiusa l’inchiesta-bis per 46 indagati,
tutti accusati di peculato aggravato, la gran parte del centrosinistra
nella legislatura 2004-2009, la Procura attende per questi onorevoli
la fissazione dell’udienza preliminare ma nel frattempo si appresta a
chiudere anche la prima parte dell’indagine sulla legislatura
2009-2014, dove ricompaiono nomi già compresi nelle prime liste e nomi
non ancora sfiorati dal procedimento penale. Il lavoro d’indagine,
basato su conti correnti bancari, atti dei gruppi e testimonianze, è
sostanzialmente concluso. Carabinieri e Guardia di Finanza hanno messo
insieme una montagna di carte, che secondo indiscrezioni sembra
confermare come la consuetudine di spendere i fondi del consiglio
regionale senza controllo fosse ben radicata e come neppure le notizie
sui procedimenti in corso l’abbiano sradicata. Spese pazze. Si parla
di spese ai confini dell’incredibile, del tutto esterne all’attività
politica, senza che negli uffici dei gruppi comparisse alcuna pezza
giustificativa. Il segreto investigativo resta solido su buona parte
del materiale raccolto dalla polizia giudiziaria, solo alla notifica
della chiusa indagine si aprirà un nuovo capitolo pubblico su quanto
il processo concluso lunedì scorso ha certificato con una sentenza di
primo grado.

Gli altri gruppi. L’ufficio del pubblico ministero è
impegnato nell’esame degli ultimi rapporti che dovrebbero riguardare
il centrodestra e altri gruppi minori, nel periodo che ha preceduto la
legge con cui la massima assemblea regionale ha cassato
definitivamente i fondi destinati all’attività politico-istituzionale
dei gruppi. Fra i nomi di maggiore spicco compaiono quelli dei
parlamentare del Pd Silvio Lai e Marco Meloni, di Giovanni Giagu, di
Siro Marrocu, di Giacomo Spissu, di Salvatore Mattana, Nazareno
Pacifico, Mario Bruno, Chicco Porcu tutti del centrosinistra, ma anche
di esponenti del Psd’az come Efisio Planetta e dell’Udc e del
centrodestra come Andrea Biancareddu, Sergio Milia, Andrea Artizzu e
Giorgio Oppi. Tra i nomi ricorrenti, da un’inchiesta all’altra,
Giommaria Uggias - appena assolto dal tribunale per la legislatura
2004-2009 - Sergio Marracini, i fratelli Alberto e Vittorio Randazzo,
Salvatore Amadu e Beniamino Scarpa.

Tempi tecnici. Impossibile fare
previsioni sui tempi necessari per avviare i prossimi processi, che
dovrebbero essere almeno due. Secondo indiscrezioni la Procura
dovrebbe concludere il suo lavoro tra giugno e luglio. Alcuni indagati
avrebbero proposto già in questa fase il patteggiamento della pena.
Sospensione. Intanto nelle prossime ore la Procura comunicherà alla
Prefettura il dispositivo della sentenza di lunedì perché venga aperta
la procedura di sospensione dalla carica dei consiglieri Oscar
Cherchi, Mario Floris e Alberto Randazzo.

Traghetto partito da Cagliari con a bordo 50 immigrati: molestie e scorribande
Notte da incubo sulla nave algerini espulsi scatenati

CAGLIARI Furti, molestie, cabine danneggiate. Notte da incubo per i
passeggeri della nave Janas della Tirrenia, partita lunedì sera da
Cagliari e arrivata ieri mattina a Napoli. Un folto gruppo di
extracomunitari espulsi si è lasciato andare a una serie di
scorribande durante la traversata che hanno costretto il comandante a
denunciare il tutto alla polizia. E al mattino, una volta attraccata,
la nave è stata passata al setaccio dai poliziotti con controlli a
tappeto finalizzati a evitare che qualcuno dei migranti potesse
sfuggire all'applicazione del decreto di espulsione. Tra i 221
passeggeri a bordo erano presenti alcuni cittadini extracomunitari,
dei quali 29 di nazionalità algerina, colpiti da un decreto di
respingimento dal territorio nazionale emesso dalla questura di
Cagliari, non accompagnati dalle forze di polizia.

Scorribande
notturne. Una parte di loro si è resa protagonista di una notte di
bagordi. Il comandante della nave ha riferito alla Polizia di averli
visti bivaccare, fumare dove era proibito, infastidire i presenti e
aprire le cabine. Uno dei passeggeri, infatti, ha anche denunciato il
furto di un cellulare. Due dei migranti, sprovvisti di documenti, sono
stati portati in questura a Napoli per l'identificazione e per
accertare se fossero regolari o meno. Tirrenia. «Il passaggio nave del
gruppo è stato effettuato secondo le procedure previste dalla legge,
implementate dalle autorità di sicurezza di Cagliari – si legge in una
nota diffusa dalla Tirrenia –.

La compagnia, come sempre in questi
casi, sempre più frequenti, ha destinato a essi un'area della nave, a
garanzia della sicurezza dei passeggeri, non essendo il gruppo
accompagnato dalle forze di polizia. Contrariamente a episodi
precedenti, però i migranti hanno creato problemi a bordo per tensioni
al suo interno che si sono ripercosse sui passeggeri». «Non si sono
verificati danni alla nave né lesioni a passeggeri o equipaggio –
riferisce l’amministratore delegato Massimo Mura –. Tirrenia tiene a
sottolineare l'operato del personale di bordo che ha gestito con la
consueta professionalità la situazione delicata, come sempre avviene
in questi casi, a garanzia della sicurezza di tutti i passeggeri».
Algerini. Una parte degli immigrati protagonisti della scorribande sul
traghetto faceva parte dei 112 algerini sbarcati negli ultimi giorni
sulle coste del sud della Sardegna. Negli ultimi mesi l'arrivo di
migranti dall'Algeria, a bordo di barche di fortuna, si è
intensificato. Polemiche.

L’episodio accaduto sulla Janas ha riacceso
anche la polemica sugli immigrati. «Governo e giunta regionale hanno
la responsabilità politica delle tensioni avvenute sul traghetto
Cagliari-Napoli – sostiene Ugo Cappellacci, coordinatore di Forza
Italia –. La politica dello struzzo del trio Renzi-Pigliaru-Gentiloni
ha trasformato la Sardegna in una sorta di camera di compensazione dei
flussi di migranti, moltiplicando così i passaggi, i viaggi e le
prevedibili tensioni con chi non ha il diritto di restare qui e con
chi, pur avendolo, non vede nella nostra terra la destinazione del
proprio viaggio». «È vergognosa la facilità con cui questo continuo
traffico avvenga con l'assenza totale delle istituzioni regionali e
nazionali. La Sardegna viene presa d'assalto da stranieri provenienti
da un'altra nazione, in cui non vi è guerra né carestia – tuona
Salvatore Deidda, portavoce Fdi-An –. Serve un blocco navale. Gli
algerini non sono in guerra, non sono in una fase di carestia o altro,
si sono già resi protagonisti di scorribande di ogni tipo e devono
essere immediatamente rispediti a casa loro. Qui in Sardegna non
devono stare e non sono i benvenuti».

La Nuova

Dopo la condanna per peculato che ha colpito Floris, Cherchi e Randazzo
Consiglio, ennesimo ribaltone I cambi di poltrona sono dieci

«Auguro che quando saremo chiamati, presto o tardi, al cospetto di
Dio, tutti sappiano dimostrare la loro buona fede e l'osservanza
scrupolosa delle norme come io ho fatto ogni volta che mi sono trovato
ad esercitare pubbliche funzioni». Così Mario Floris, il decano - che
compirà 80 anni a settembre e ne ha trascorso più della metà in Aula -
all'indomani della condanna per peculato che gli costerà la poltrona
di consigliere regionale. Insieme ad altri due colleghi, Oscar Cherchi
e Alberto Randazzo. E oltre la questione giudiziaria e il lato umano,
il fatto è che la quindicesima legislatura, tra interpretazioni della
legge elettorale e sentenze varie, non ha proprio pace. Ennesimo giro
di giostra, c'è chi esce e chi entra, in totale siamo a quota dieci
sostituzioni, mai successo nella storia del Parlamento sardo. Sono
andati via per diverse vicende e in diversi momenti, Efisio Arbau,
Michele Azara, Modesto Fenu, Gavino Sale, poi Gianni Lampis e Gianni
Tatti, Antonello Peru (in seguito reintegrato) e Giancarlo Carta.

IL PRESIDENTE «Tutto questo non aiuta ad avvicinare i cittadini alla
politica e al governo della regione», sottolinea il presidente
dell'Assemblea, Gianfranco Ganau. «Dal punto di vista dell'efficienza
e della funzionalità non ci sarà alcun problema, l'istituzione è
rappresentata regolarmente dagli eletti e dai subentranti. C'è però
sicuramente un peggioramento dell'immagine che il Consiglio dà
all'esterno, e devo dire che anche all'interno gli avvicendamenti sono
accolti con un certo fastidio, perché interrompono rapporti personali
oltre che politici. Purtroppo sta accadendo spesso».

LA SENTENZA Nella maxi inchiesta sui fondi ai gruppi, la prima tranche
si è conclusa lunedì con la condanna in primo grado di 13 consiglieri
della tredicesima legislatura (dal 2004 al 2008) e l'assoluzione di
Giommaria Uggias. Per l'utilizzo improprio di soldi pubblici, sono
state inflitte pene da 5 anni e mezzo a 2 anni e 2 mesi a Giuseppe
Atzeri (Psd'Az), Maria Grazia Caligaris (Sdi-Psi), Sergio Marracini
(Udeur), Raffaele Farigu (Nuovo Psi), Salvatore Serra (Comunisti
italiani), Carmelo Cachia (Udeur), Vittorio Randazzo (Udc), Salvatore
Amadu (Pdl), Mario Raimondo Ibba (Sdi-Psi), Pierangelo Masia
(Sdi-Psi), Alberto Randazzo (Pdl), Oscar Cherchi (Pdl), Mario Floris
(Uds). Gli ultimi tre, consiglieri in carica anche oggi, saranno
sospesi dall'incarico.

LA SEVERINO Lo impone la legge Severino - “Disposizioni per la
prevenzione e la repressione della corruzione e dell'illegalità nella
pubblica amministrazione” - e i tempi tecnici richiedono un mesetto.
La sentenza viene comunicata alla prefettura, da qui passa al
Consiglio dei ministri, il premier firma il decreto di sospensione che
viene inviato al Consiglio regionale. Floris, Cherchi e Randazzo
perdono il seggio per diciotto mesi, al termine dei quali, in mancanza
di una sentenza definitiva, tornano al loro posto. Prima, se nel
frattempo dovesse esserci un'assoluzione in Appello. Nell'attesa
saranno sostituiti dai primi dei non eletti nelle rispettive liste
collegiali: Gennaro Fuoco (FdI), medico militare, ex consigliere
comunale a Cagliari; Emanuele Cera (Udc), sindaco di San Nicolò
d'Arcidano; Mariano Contu (Forza Italia), politico di lungo corso,
indagato a sua volta in un altro filone dell'inchiesta della Procura
sui fondi ai gruppi.

I PRECEDENTI L'unico caso di rientro è quello di Antonello Peru, Forza
Italia, ex vicepresidente dell'Assemblea. Arrestato il 4 aprile 2016
nell'ambito dell'inchiesta sugli appalti pubblici ribattezzata
“Sindacopoli”, è stato sospeso dallo stesso giorno e reintegrato l'11
ottobre (poco dopo la scarcerazione). Giancarlo Carta, che lo aveva
sostituito, è entrato e uscito dal Consiglio regionale in pochi mesi.
Il 27 agosto 2015 (un anno e mezzo dopo l'insediamento) lasciano via
Roma Efisio Arbau (La Base), Michele Atzara (Idv poi passato alla
Base), Gavino Sale (Irs) e Modesto Fenu (Movimento Zona franca).

Questa volta la motivazione sta nell'interpretazione della legge
elettorale, in sostanza, le loro liste non avrebbero dovuto
partecipare alla ripartizione dei resti, lo dice il Consiglio di Stato
e poi la Corte di Cassazione conferma l'esclusione. Così salgono in
carica, nelle file della maggioranza, Antonio Gaia e Pierfranco
Zanchetta (Upc) e Gianfranco Congiu (Partito dei sardi). Più
complicata la faccenda del seggio di minoranza: al posto di Fenu, l'8
settembre 2015 entra Gianni Lampis (Fdi) ma su indicazione della
Giunta per le elezioni invece che dell'Ufficio elettorale centrale.
Giovanni Satta (Uds) fa ricorso e viene proclamato eletto ad aprile
2016 mentre si trova in prigione a Bancali, per un'inchiesta sul
traffico internazionale di droga in Costa Smeralda. Un altro
pasticcio, che si risolve quando l'ex sindaco di Buddusò torna in
libertà.

Ancora: il 31 ottobre 2016 Gianni Tatti (Udc) decade dalla carica: lo
stabilisce la Corte di Cassazione chiudendo una disputa giudiziaria
cominciata a inizio legislatura, che ruotava intorno alla sua
ineleggibilità (al momento delle elezioni non erano state formalizzate
le sue dimissioni da amministratore dell'Ente foreste). Gli subentra
Alfonso Marras, anche lui Udc.
Cristina Cossu

Atti vandalici e molestie a bordo: i 29 stranieri viaggiavano con un
decreto di espulsione Traversata da incubo sul traghetto Tra Cagliari
e Napoli passeggeri in balìa di un gruppo di algerini

Notte in balia di un gruppo di giovani stranieri. È successo ai 170
passeggeri a bordo del traghetto Janas della Tirrenia durante la
traversata tra lunedì e ieri, da Cagliari e Napoli: ventinove algerini
- tutti con a carico un provvedimento di espulsione ricevuto dopo il
loro arrivo sui barchini nelle coste meridionali dell'Isola - hanno
molestato gli altri passeggeri, compiendo presunti furti e atti
vandalici. Ieri mattina, all'arrivo del traghetto a Napoli, è
intervenuta la Polizia. I giovani algerini sono stati identificati ma
dopo gli accertamenti non sono scattati provvedimenti.

BOTTE E FURTI «Si sono imbarcati senza alcun problema. La situazione è
degenerata durante la notte. Schiamazzi, urla, cabine della nave
danneggiate e, sembra, anche il furto di un telefonino». Uno dei
passeggeri sardi ha sintetizzato così quanto avvenuto sulla Janas.
«Agli stranieri», ha confermato la Compagnia di navigazione, «è stata
destinata un'area della nave non essendoci il controllo delle forze
dell'ordine. Ci sono state delle tensioni e il comandante della nave
ha chiesto l'intervento della Polizia». Sotto accusa una cinquantina
di stranieri. Tra loro una ventina di migranti (tutti regolari e
risultati estranei alla vicenda) e 29 algerini con un provvedimento di
espulsione del questore di Cagliari.

IL PASTICCIO Il foglio, ricevuto dopo gli sbarchi dei giorni scorsi
(con 112 cittadini algerini arrivati sui barchini nelle coste del
Sulcis), permette agli stranieri di spostarsi sul territorio per
lasciare entro sette giorni l'Italia. In pratica, il documento viene
usato per spostarsi senza problemi nel tentativo di raggiungere i
connazionali presenti nel territorio oppure per cercare di varcare il
confine. L'alternativa sarebbe quella di accompagnare gli irregolari
nei Centri di identificazione ed espulsione per il successivo
rimpatrio: ma le strutture sono al collasso e non ci sono posti. Così
il foglio di espulsione diventa l'unica via d'uscita.
LE PROTESTE Dalle prime indagini dei poliziotti di Napoli (sono state
prese in esame anche le immagini riprese dalle telecamere di sicurezza
del traghetto) ci sarebbero stati disordini, liti, piccoli atti
vandalici, tentativi di irruzione nelle cabine. Sul furto di un
telefono cellulare non ci sarebbero stati riscontri.

LE REAZIONI L'episodio, secondo il coordinatore regionale di Forza
Italia, Ugo Cappellacci, ha dei responsabili precisi: «Governo e
Giunta regionale», spiega. «La politica di Renzi-Pigliaru-Gentiloni ha
trasformato la Sardegna in una camera di compensazione dei flussi di
migranti. Non è pensabile che tutto venga scaricato sulle forze
dell'ordine e su inermi cittadini». Marcello Orrù, consigliere
regionale del Psd'Az, rilancia: «È un fatto di gravità inaudita che
non dovrà più accadere». Paolo Truzzu (Fratelli d'Italia) chiede a
Pigliaru «che solleciti il ministro dell'Interno, Minniti, per un
incontro con il presidente algerino per siglare un accordo su rimpatri
forzati». Per Luca Agati, segretario del Sap, sindacato di Polizia, «i
giovani algerini arrivano convinti di poter fare ciò che vogliono
grazie al foglio di espulsione. Abbiamo assistito alla spesa senza
pagare alla Lidl di viale Marconi, scippi, rapine. Eppure il silenzio
delle istituzioni continua inesorabile».

ARRESTI A CAGLIARI Due algerini sono stati invece arrestati a Cagliari
dagli investigatori della Squadra mobile. Arrivati negli sbarchi
diretti dello scorso 18 e 19 febbraio, i due erano destinatari di
altri provvedimenti di espulsione ricevuti in passato. Chaouki Amar
(35 anni), era stato arrestato in passato per un altro ingresso
illegale ed espulso dall'Italia due volte. Aveva il divieto di
rientrare nel territorio nazionale fino al 2019. Il connazionale Ilyes
Abassi (28) era stato espulso nel 2016 e non sarebbe potuto rientrare
in Italia per altri quattro anni. Processati per direttissima, sono
stati condannati rispettivamente a otto e cinque mesi.
Matteo Vercelli

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Federico Marini
skype: federico1970ca


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