mercoledì 7 giugno 2017

Costruire una sinistra per dare speranza, non per colmare vuoti di potere. Di Elisabetta Piccolotti.


In tutta franchezza: da Pisapia mi aspettavo una proposta di innovazione, forse un po' renziana, ma comunque innovativa, fresca, vivace. Pensavo ad un confronto vero e un dialogo difficile ma possibile tra un'impostazione più socialdemocratica, che guardasse al socialismo europeo attuale, e una invece - di quelli che la pensano come me - più interessata alle suggestioni programmatiche e organizzative di Corbin, Tsipras, Iglesias, Sanders.

Invece mi tocca sentire invocare nei retroscena e sulle agenzie gli ulivi, e i nomi di Tabacci, di ex-ministri del governo Monti, di Veltroni, Prodi, Letta, Bindi. Tutte persone di spessore, per carità, ma che hanno già avuto l'occasione di lavorare al servizio di questo paese e che purtroppo spesso non hanno saputo prevedere per tempo il futuro che veniva innanzi insieme alla modernizzazione che propugnavano, i guasti della globalizzazione neoliberista, quelli di un'unione europea costruita solo sui mercati e non sui popoli, di una flessibilità del lavoro che si traduceva velocemente nella precarietà dei ricatti continui, di una riorganizzazione produttiva che azzerava il vecchio senza dare sostenibilità al nuovo.

Resuscitare il passato non mi sembra una fatica proponibile a chi oggi fatica anche a trovare il tempo e il modo di dare due volantini, a chi deve barcamenarsi tra assenza di reddito e diritti negati, a chi ha nella testa non l'astratto problema di costruire un centro-sinistra alternativo, ma la voglia di lottare per migliorare la condizione di vita propria e di tutti coloro che lo circondano. Abbiamo alle spalle dieci anni di devastante crisi economica, non qualche inciampo banale.

Per questo con altrettanta franchezza dico che sarebbe meglio fermarsi a discutere, democraticamente, senza il furore ideologico e le scomuniche che leggo ogni tanto sui giornali, senza le solite fughe in avanti che tanti disastri hanno provocato alla sinistra di questo paese. La mossa del cavallo, la verticalizzazione liederistica, l'accordo di vertice sono strategie che conosco fin da bambina: sono sempre finite male. Per dare un futuro alla sinistra bisogna parlare al futuro, alle giovani generazioni e non far rivivere un passato che i meno attempati nemmeno conoscono. Bisogna costruire un popolo, non parlargli dalle pagine di un giornale.

Io, che pure di campagne per Prodi, Bertinotti e Tabacci ne ho fatte alcune, oggi se potessi tornare indietro in molti passaggi non farei le stesse scelte e gli stessi errori. Com'è possibile che dopo la rottamazione, dopo il waffaday, dopo l'ascesa delle destre razziste, la sinistra si ritrovi sempre allo stesso punto, incatenata dal passo del gambero, ossessionata dal fermare cambiamenti che pure erano inevitabili? Com'è possibile che la sinistra non riesca ad aprire gli occhi sul presente e farci davvero i conti?

Dobbiamo uscire da questa sindrome, e in fretta. Basta ascoltare chi il presente lo vive ogni giorno per sapere cosa fare: scelte semplici, chiare, credibili e coerenti. Per questo ho motivi in più dai retroscena per scendere a Roma il 18, per invitare chiunque incontri sulla mia strada e fare tutto quel che è possibile perché il futuro passi dalle nostre porte spalancate senza doverle scardinare. Si può. Siamo ancora in tempo per fermare la giostra che gira in senso anti-orario e ritrovare il senso giusto. Facciamolo


Di Elisabetta Piccolotti.

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