La
Nuova
Il
programma punta a sinistra. Spaccatura a Torino sulle Olimpiadi. Di Maio
non si rassegna,vuole il Pd. di Francesca Chiri.
Dopo gli «sberleffi» sulle code ai
Caf per richiedere il reddito di cittadinanza e nel giorno in cui Bankitalia rinnova
l'allarme per la crescita della povertà, il M5s torna all'attacco con la sua
ricetta per far ridare slancio all'occupazione. Un piano che non parla solo di
reddito di cittadinanza ma che rilancia una serie di azioni che sembrano ancora
una volta strizzare l'occhio a sinistra.
Dall'attesa direzione Pd, tuttavia,
non sono uscite per Luigi Di Maio aperture al dialogo. «Gli italiani si
aspettano responsabilità da chi ha fatto questa legge elettorale, ma assistiamo
ai soliti giochi di potere sulla pelle dei cittadini» commenta deluso il
candidato premier del M5s. Che continua a farsi ombra e strada seguendo lo
stesso sentiero aperto dal Presidente della Repubblica: quello del richiamo
alla responsabilità, entrando in pressing sui dem.
Parallelamente, il leader 5s getta i
suoi ami. E mentre deflagra la vicenda delle Olimpiadi invernali nella seconda
più importante città governata dai 5 Stelle, sul blog compare un intervento del
candidato ministro del Lavoro del M5s,
Pasquale Tridico. Più che lo smantellamento della legge Fornero, su cui le
vedute con la Lega di Salvini coincidono, le parole
d'ordine sono altre. E strizzano l'occhio alle varie anime del centrosinistra.
Si torna a sentir parlare della «riduzione dell'orario di lavoro a parità di
salario» ma anche di concertazione tra governo, imprese e lavoratori. E torna
la proposta del programma sul salario minimo orario, uno dei punti clou anche
del programma del Pd.
Di Maio insomma semina in attesa di
un raccolto per un governo del cambiamento mentre si stringono i tempi per una
decisione sulle presidenze delle Camere. Né il M5s né la Lega intendono legare
la partita alla questione del governo ma per il Carroccio, che avrebbe cercato
di sondare le intenzioni dei 5 Stelle, la partita è più complicata perché si
intreccia anche con quella delle ambizioni interne al centrodestra. «Siamo
consapevoli di avere un compito difficile ma queste elezioni ci hanno
dimostrato che nulla è impossibile» commenta con ottimismo la prossima
capogruppo M5s a Montecitorio, Giulia Grillo.
Intanto gli eletti, invitati a
studiare i primi rudimenti dei regolamenti parlamentari sulla piattaforma Rousseau
(anche se sul Senato non sono aggiornati sulla recente riforma), si preparano a
seguire i corsi di formazione che verranno allestiti per loro in Parlamento.
In attesa
della direzione regionale ha lanciato il tema della
coalizione
per le elezioni del 2019
Deriu:
«Il Pd discuta se e con chi allearsi»
CAGLIARIIn attesa di capire cosa accadrà
nella direzione regionale,
convocata sabato a Oristano, nel Pd
c'è chi guarda al di là delle
dimissioni di Giuseppe Luigi Cucca o
dell'elezione del nuovo
segretario. A farlo è il
vicecapogruppo in Consiglio regionale Roberto
Deriu, che in un post ha rilanciato
il tema dei temi: le Regionali del
2019. Ha scritto: «Potremmo
cominciare a decidere una cosa: se
dobbiamo costituire una coalizione,
e che tipo di coalizione dovrà
essere. Perché è e sarà molto
diverso costruire un programma da soli o
insieme ad altri. Quindi quello
della coalizione è un nodo che va
sciolto subito».
Fin qui Deriu, da sempre impegnato a
scuotere il
partito anche nei momenti più
complicati, come lo è questo dopo la
pesante sconfitta alle Politiche. Il
suo post sembra essere un
tentativo di riportare la
discussione non più sui nomi o sugli
incarichi, ma sulla politica pura. E
la futura coalizione sarà di
sicuro uno dei temi forti in questa
lunga campagna elettorale che
durerà undici mesi, o almeno fino a
dicembre inoltrato, visto che le
Regionali saranno a febbraio. Il
punto di partenza del dibattito
dovrebbe essere l'alleanza con cui
il centrosinistra ha vinto nel
2014. Però nel frattempo molte cose
sono cambiate prima ma soprattutto
dopo l'ultima batosta nei seggi.
Prima perché, nell'ultimo
appuntamento elettorale, il Pd non è
riuscito ad allearsi né col
Psd'Az, che ha scelto la Lega, né
col Partito dei sardi, rimasto
estraneo alla contesa, e neanche con
gli indipendentisti, che hanno
dato vita al polo per
l'Autodeterminatzione.
Con il risultato che le
forze sardiste, qui intese in senso
lato, sembrano essersi già
schierate, o comunque non così
interessate a trattare una riedizione
della coalizione vincente quattro
anni fa. Addirittura, in questi
prossimi mesi, potrebbero esserlo
ancora meno con un Pd alle prese con
la peggiore crisi interna ed
elettorale dalla fine degli anni novanta.
Se sul fronte indipendentista
rischiano di scontrarsi contro un muro,
oggi l'unico disponibile al confronto
sembra essere il Partito dei
sardi, per i Dem potrebbe essere più
facile allacciare i contatti con
il Centro. Dai Riformatori, che alle
Politiche hanno rifiutato
l'intesa col centrodestra, all''Udc
sempre più insofferente, in
Sardegna, alle imposizioni di Forza
Italia quando ci sono in ballo una
o più candidature.
Qualche contatto ufficioso con i
centristi ci
sarebbe stato prima delle Politiche,
ma il risultato elettorale
potrebbe aver spezzato anche quel
filo sottile. C'è poi un altro
problema: cosa accadrà con Mdp:
continuerà a essere un alleato sul
territorio, oppure si trasformerà,
come qualche domenica fa, in un
avversario? Ha ragione Roberto
Deriu: è già arrivata l'ora di aprire
il dibattito sulle alleanze per le
Regionali del 2019. (ua)
Intanto
c'è chi
teme che Renzi bersagli chi sta provando a costruire la
gestione
unitaria e si metta di traverso anche a un eventuale governo
di unità
nazionale.di Giovanni Innamorati
Il dopo Renzi inizia nel
Pd all'insegna dell'unità sulla
collocazione del partito
all'opposizione, ma tra le tensioni
per quanto riguarda la gestione
interna, a partire dalla questione
della collegialità delle decisioni.
La Direzione del Pd ha votato un
documento che attribuisce a Maurizio
Martina il ruolo di reggente in
vista dell'Assemblea nazionale di metà
aprile. Accordo c'è stato anche
sull'evitare subito il congresso per
eleggere un nuovo segretario, mentre
si è registrata una divisione
sull'organismo che dovrà gestire la
fase di transizione, cioè la
segreteria uscente o un nuovo
coordinamento unitario.
Matteo Renzi non
ha partecipato alla Direzione,
facendola tuttavia precedere da una
intervista e da una dichiarazione in
cui ha esplicitato di non voler
fare come i predecessori, Veltroni e
Bersani, che una volta dimessisi
si sono fatti da parte: «Mi dimetto
da segretario del Pd come è giusto
fare dopo una sconfitta. Ma non
molliamo, non lasceremo mai il futuro
agli altri. Abbiamo perso una
battaglia, ma non abbiamo perso la
voglia di lottare per un mondo più
giusto». E i renziani hanno marcato
il territorio sedendosi tutti nelle
prime file in Direzione, per far
capire l'intenzione di dire la loro
al momento di eleggere i
capigruppo di Camera e Senato. Nella
relazione in Direzione il
vicesegretario Maurizio Martina ha
parlato di «sconfitta netta» ma ha
invitato a non cercare «scorciatoie
o capri espiatori», vale a dire di
gettar la croce sul solo Renzi, ed
anzi lo ha ringraziato per «il
lavoro e l'impegno enorme di questi
anni».
Una impostazione su cui
tutti lo hanno seguito, anche chi in
passato è stato assai critico con
l'allora leader, come Gianni
Cuperlo. Per quanto riguarda il ruolo del
Pd, Martina ha ribadito che sarà
all'opposizione: «Alle forze che
hanno vinto diciamo una cosa sola:
ora non avete più alibi. Lo dico in
particolare a Lega e M5s: i
cittadini vi hanno votato per governare,
ora fatelo». Una posizione che tutti
condividono, tranne Michele
Emiliano che ha insistito
sull'appoggio a un governo M5s. Andrea
Orlando ha tuttavia messo in guardia
da un Aventino istituzionale« e
Gianni Cuperlo a invitato a non
chiudere a priori a un eventuale
richiesta di Mattarella per un
governo di scopo, qualora M5s e
centrodestra non riuscissero a far
nascere un governo.
E intesa c'è
stata ancora sulla proposta di
Martina sulla necessità di evitare
subito un congresso per la scelta di
un segretario: «Abbiamo bisogno -
ha detto - di una lettura politica e
culturale all'altezza del tempo
che stiamo vivendo» e di «una
profonda riorganizzazione» del partito;
compito che l'Assemblea dovrà
affidare a una «Commissione di
progetto». L'Assemblea, dunque,
secondo lo statuto, eleggerà un
segretario (come fu per Epifani nel
maggio 2013) e qui i nomi sono
quelli di Nicola Zingaretti, dello
stesso Martina e di Graziano
Delrio, che ieri è intervenuto:
«Siamo ancora il secondo partito
italiano, staremo uniti.
Abbiamo bisogno di bussole che ci
facciano
capire i conflitti che ci sono,
devono essere leggibili». Si è tirato
fuori Carlo Calenda, presente per la
prima volta ad una Direzione Dem.
Alla fine, tranne l'astensione dei 7
esponenti vicini ad Emiliano,
tutti hanno votato il documento
unitario non senza momenti di tensione
tra renziani e le aree di Orlando e Cuperlo.
Le seconde chiedevano la
nascita di un coordinamento unitario
al posto della segreteria, e i
primi vi si sono opposti temendo la
nascita di un «caminetto». Paolo
Gentiloni ha sintetizzato in un
Tweet: «Dalla sconfitta il Pd saprà
risollevarsi, con umiltà e
coesione».
Unione
Sarda
I Dem al
vertice regionale
Nuova
leadership nell'Isola: sabato la resa dei conti
Meno cinque giorni alla direzione
regionale Pd di sabato. Dopo la
batosta elettorale le ipotesi di
dimissioni del segretario Giuseppe
Luigi Cucca sono concrete ma di
ufficiale non c'è nulla: una riunione
della segreteria regionale, giovedì
scorso, avrebbe dovuto definire i
contorni della situazione, poi però
è saltata e così la resa dei conti
è rinviata alla direzione regionale.
CUCCA PRONTO A UN PASSO INDIETRO
Cucca ha già chiarito di essere
disposto a fare un passo indietro
con serenità, se questo servisse a
ridare nuova linfa al partito, ma
dopo il 4 marzo non si è mai
stancato di ribadire che tutte le
discussioni dovranno avvenire dentro
gli organismi del congresso. Quindi
sabato mattina, a partire dalle
10, a Oristano.
I SORIANI DIMISSIONARI C'è anche chi
nel partito ha già fatto delle
scelte. I soriani, per esempio, con
già dimissionari i tre membri
della segreteria che fanno
riferimento alla corrente
dell'europarlamentare. «Il nostro è
un doveroso atto di rispetto verso
gli elettori e i militanti - hanno
fatto sapere Giuseppe Frau, Barbara
Cadoni e Antonio Piu - e in attesa
che il segretario offra agli
organismi le sue dimissioni, saremo
noi a farlo». Sempre più orientata
verso un cambio di leadership anche
la concorrente dei
popolari-riformisti di Cabras-Fadda,
che pure erano stati determinanti
al congresso per l'elezione di
Cucca.
A chiedere le dimissioni del
segretario era stato anche l'ex
deputato Francesco Sanna, sconfitto
dal senatore nella lotta alla
segretetria. Per la direzione di sabato,
infine, non sarà certo ininfluente
l'esito di quella nazionale di
ieri. (ro. mu.)
Parla
l'avvocata Mara Lapia, eletta deputata con il Movimento Cinque Stelle
«La
Sardegna è anestetizzata, adesso ha bisogno di rinascere»
«Sogno un'Isola che sfrutti le
potenzialità intellettuali e culturali
di noi sardi, perché le abbiamo.
Solo che fino a oggi una politica
sbagliata le ha anestetizzate.
Vediamo di risvegliarle».
Mara Lapia, 41 anni, è una dei
sedici parlamentari CinqueStelle sardi,
vincente nel collegio uninominale di
Nuoro della Camera con oltre
53mila voti (45,14%). Avvocato,
originaria di Oliena e Orgosolo,
sposata con Manuele, commercialista
di Bitti, mamma di Andrea, 10
anni, vive e Posada e ha lo studio a
Siniscola. Prima della laurea ha
lavorato in Toscana, nell'Ufficio
del Difensore civico, occupandosi
soprattutto di casi di malasanità,
dopo, alla Sapienza, ha preso un
Master in criminologia, intelligence
e security, con specializzazione
in bullismo e devianze giovanili.
Esperienze politiche?
«Ho sempre seguito la politica, ma
non mi sono mai candidata, anche se
ho ricevuto diverse proposte. Ho
abbracciato il Movimento Cinque
stelle fin dalla sua nascita, mi ci
sono ritrovata in pieno».
Qual è stato il percorso?
«Sono stata individuata nel
territorio e mi è stato proposto di
inviare il mio curriculum a Roma,
dove è stato valutato da Di Maio e
il suo staff. Sono stata scelta, e
la notizia me l'hanno data Mario
Puddu, sindaco di Assemini e nostro
referente regionale e Claudio
Fancello, amministratore comunale a
Dorgali, che è poi stato la
colonna portante di tutta la mia
campagna elettorale».
Come si è mossa?
«La campagna elettorale è stata
un'esperienza esaltante. Insieme agli
altri candidati, Elvira Evangelista,
Emiliano Fenu e Alberto Manca,
abbiamo cercato di visitare il
maggior numero di paesi possibile,
piazze, sale pubbliche, siamo stati
in mezzo alla gente ad ascoltare e
a parlare».
E cosa gli avete detto?
«Che siamo gente come loro che ha
deciso di non stare più a guardare e
mettersi in gioco. La gente ha
creduto nella nostra semplicità e
professionalità. Non ho finito di
visitare i paesi. Con gli altri
parlamentari del centro Sardegna
abbiamo preso un impegno:
periodicamente torneremo sul
territorio».
Si aspettava un risultato così?
«Sì, e sa quando l'ho capito? Quando
ho toccato con mano la
disperazione della gente, si poteva
masticare la rabbia, addirittura
la fame di certe famiglie senza
reddito».
Sul reddito di cittadinanza molti
sono scettici.
«È evidente che non se ne conosce
l'importanza e come verrà
strutturato. Oppure non si conosce
la povertà più estrema. Io in
questa campagna elettorale l'ho
vista, e spero che si possa presto far
fronte a queste situazioni e rendere
il nostro paese civile come altri
paesi d'Europa».
Perché il Movimento è andato meglio
al Sud?
«Perché i disagi si vivono
maggiormente al Sud. Liste d'attesa
lunghissime negli ospedali, chiusura
dei presidi sanitari, mancanza di
ferrovie, in Sardegna i nostri
giovani se non possono permettersi di
trasferirsi nei grossi centri devono
rinunciare agli studi perché non
abbiamo i treni. Non dimentichiamo
la terra dei fuochi, l'Ilva, Quirra
e tutto ciò che sta ammazzando i
nostri figli. Siamo la pattumiera
d'Italia».
Lei cosa votava prima? «Sono una
delusa di sinistra».
Ha partecipato all'incontro con Di
Maio a Roma?
«Sì, è stato bellissimo, abbiamo
toccato con mano il nostro successo.
Tantissimi deputati e senatori 5
stelle. Siamo pronti a lavorare per
la nostra Nazione».
Quali caratteristiche deve avere un
bravo deputato?
«Professionlità, onestà, tenacia,
sensibilità».
Qual è il suo sogno?
«Vedere una Sardegna ridente. Pulita
da tutti i veleni. Con mezzi di
trasporto adeguati. Dove l'interno
non patisca più isolamento e
spopolamento. Dove gli ospedali
funzionano e medici e infermieri
possano lavorare in modo dignitoso.
Dove le scuole non siano più
aziende e i pastori non debbano più
elemosinare ciò che gli spetta di
diritto. Dove il turismo venga
sfruttato dai nostri giovani che oggi
fanno i lavapiatti a Londra».
Cr. Co.
Gabriella
Pinto, ex parlamentare di FI: potrei candidarmi alle Regionali
«Ora i
partiti devono ritrovare il rapporto vero con la gente»
«Quando apro un giornale vedo sempre
le stesse facce, i politici che
ripetono le stesse cose da
vent'anni. Penso ad esempio alla zona
franca, all'insularità. Oppure, prendiamo
il Sulcis, dove siamo
tornati indietro anziché progredire,
territori in cui c'è il reddito
pro capite più basso d'Italia,
povertà assoluta e nessuna prospettiva.
Prima c'erano le pensioni dei nonni
a mantenere figli e nipoti, adesso
che gli anziani sono morti, le
famiglie non ce la fanno a campare. È
chiaro che la gente vota come ha
votato. Il popolo è in guerra con la
politica, la politica è
un'incrostazione, un'entità scollegata dai
bisogni dei cittadini».
Gabriella Pinto, protagonista di
un'altra rivoluzione - l'avvento
della Seconda Repubblica - nella
storia politica del Paese, ha ancora
passione da vendere, «sono liberale
ed europeista», dice.
Sessant'anni, di Carbonia,
coordinatrice di Forza Italia quando
Berlusconi era a Palazzo Chigi, due
volte deputata (nel 2001 fu eletta
in Lombardia, nel regno di Umberto
Bossi, con i voti presi soprattutto
nei circoli degli emigrati),
continua a militare con gli Azzurri ma
senza tessere.
È vero che le hanno chiesto di
candidarsi per queste Politiche?
«Sì, ma ho rifiutato, per motivi
personali».
Chi gliel'ha chiesto?
«Non posso dirlo, ho dato la mia
parola. Non Forza Italia».
E alle Regionali, si candiderà?
«È possibile. Quando ho smesso, anni
fa, è stata una mia scelta. Dopo
due legislature è utile un periodo
di decantazione».
Facciamo un'analisi del voto del 4
marzo.
«I CinqueStelle nel Sud hanno avuto
un consenso che io non ricordo per
nessun altro partito nella storia
repubblicana. Forse dobbiamo
riandare alla Democrazia Cristiana».
Cosa ci dobbiamo aspettare?
«Un periodo di enorme incertezza.
Cercano di rassicurare l'elettorato,
ma un governo non c'è ed è molto
difficile farlo. Sentiamo parlare di
ogni genere di ipotesi, e queste
sono le cose che fanno infuriare i
cittadini, che all'indomani del voto
continuano ad avere gli stessi
problemi di crescita, burocrazia,
fisco, occupazione, sicurezza».
Parliamo della Sardegna.
«Tutto il Meridione è alla canna del
gas e ha votato CinqueStelle.
Guardate il Sulcis, non è bastata la
chiusura di un accordo
eccezionale da parte del ministro
Calenda per Alcoa. Ha prevalso la
ribellione. D'altronde, penso al
Piano Sulcis, non ho ancora capito
cosa sia. I politici credono che la
gente si nutra di annunci, invece
è sfiancata dal malessere».
Ma i “vecchi” partiti lo hanno
sottovalutato.
«C'è stato uno scollamento tra la
classe politica e il popolo».
Vale per tutti?
«Vale più per il Pd, il Pd
governava. Il politico deve imparare a
mantenere la parola data: se dici
che te ne vai te ne devi andare.
Invece Renzi ha fatto la capriola
dopo il referendum e il popolo lo ha
punito. Non solo: il lavoro precario
è aumentato. Meglio di niente -
sostiene lui - ma evidentemente
l'elettorato non la pensa così.
Ancora: quante volte è stata votata
la fiducia ai provvedimenti del
governo? Questo dà la misura dello
scollamento anche con il
Parlamento».
Lei si definisce europeista, i
cittadini spesso vedono l'Europa come un nemico.
«C'è molta confusione, e c'è chi la
cavalca. I nostri problemi non si
risolvono uscendo dall'Europa, certo
però va rimodulato e rivisto il
nostro rapporto con Bruxelles,
dall'immigrazione all'agricoltura, alla
pesca, alle quote latte. Credo che
anche i parlamentari europei
dovrebbero raccordarsi maggiormente
con i territori di provenienza e i
consiglieri regionali».
Ci sono regioni del Sud che corrono.
«Certo, la Puglia ad esempio. Che
spende benissimo i fondi europei e
ha creato una Silicon Valley
straordinaria. Perché la Sardegna non
riproduce gli stessi modelli?».
Perché secondo lei?
«Bisognerebbe chiederlo
all'assessore competente e alla
Giunta, che
non mi sembra comunichino granché».
Bé, le responsabilità del
sottosviluppo partono da prima.
«Certo, se la Sardegna è in questa
situazione responsabilità ne hanno
anche i governi di centrodestra. È
mancato un progetto e una classe
dirigente all'altezza».
Come sta oggi Forza Italia?
«Ha tenuto, in Sardegna si è
attestata sul 14%».
Un po' pochino per guardare alle
Regionali con ottimismo.
«Bisogna individuare subito il candidato
e andare tra la gente. Lo
riempiamo ancora un palazzetto? Poi
serve un progetto credibile, con
pochi punti chiari e concreti».
Pensa a un nome?
«In questo momento non vedo
nessuno».
Come vede i movimenti autonomisti?
«Se ci sono punti in comune perché
non costruire un'alleanza? La gente
guarda i programmi, le ideologie
sono sepolte. Psd'Az e Lega hanno
trovato un dialogo e se
quest'esperimento funzionerà - lo vedremo in
questo anno di legislatura che ci
separa dalle Regionali - è destinato
a essere premiato».
Cristina Cossu
Il
segretario dimissionario diserta la Direzione: è giusto lasciare ma non mollo
Pd,
inizia l'era post Renzi
Martina
reggente: «Governi chi ha vinto, noi opposizione»
ROMA Matteo Renzi non è più,
ufficialmente, segretario del Pd. L'ex
premier ha formalizzato il suo addio
con una lettera, stringatissima,
letta alla Direzione del Pd che ha
dato il via alla reggenza di
Maurizio Martina. Il vice segretario
ha individuato il percorso con
chiarezza: opposizione («alle forze
che hanno vinto - cioè Lega ed M5S
- diciamo: ora non avete più alibi»)
e niente Congresso subito: «Il
nostro progetto ha bisogno di una
partecipazione consapevole superiore
a quella che possiamo offrire una
sola domenica ai gazebo».
RENZI: IL FUTURO PUÒ TORNARE Renzi
ha disertato la Direzione, senza
per questo risultare politicamente
assente: «Io non mollo. Mi dimetto
da segretario del Pd come è giusto
fare dopo una sconfitta», ha
scritto nella sua enews aggiungendo:
«Abbiamo perso una battaglia ma
non abbiamo perso la voglia di
lottare per un mondo più giusto. Il
futuro prima o poi torna». Il
parlamentino dem alla fine ha approvato
la relazione di Martina, nessun voto
contrario e sette astenuti
l'esito del voto.
PARLANO QUASI TUTTI I BIG
All'appuntamento si sono presentati tutti i
Big, da Paolo Gentiloni
all'esordiente Carlo Calenda (seduto in prima
fila proprio di fianco al premier e
a Maria Elena Boschi). In tanti,
tranne Dario Franceschini e Michele
Emiliano, hanno preso la parola,
compresi Graziano Delrio e Andrea
Orlando. Come ha spiegato Matteo
Orfini, con le dimissioni del
segretario «il presidente ha un mese di
tempo per convocare l'Assemblea
nazionale», salvo slittamenti dovuti
alle consultazioni al Quirinale.
MARTINA: GESTIONE COLLEGIALE
L'Assemblea verificherà la possibilità di
eleggere un segretario, altrimenti
partirà la stagione congressuale.
Martina, nella sua relazione, ha
lanciato una «fase costituente» da
gestire «con il massimo della
collegialità e con il pieno
coinvolgimento di tutti, maggioranza
e minoranze, individuando subito
insieme un luogo di coordinamento
condiviso». Una sorta di caminetto
rispetto al quale solo l'area
Emiliano (astenuta in Direzione)
potrebbe avere una posizione ostile.
La linea del vice segretario ha
avuto il via libera dei big, da
Zingaretti («bene Martina») a Delrio
(«siamo riuniti non per cercare un
nuovo capo ma una nuova direzione»)
fino al silente Franceschini.
L'INTESA: FAREMO OPPOSIZIONE I
renziani, defilati, non hanno preso la
parola in Direzione, apprezzando
però il fatto che sia passata la
linea opposizione dettata da Renzi.
Adesso, il test sui prossimi
equilibri interni sarà l'elezione
dei capigruppo parlamentari. Sì alla
responsabilità anche da Orlando, che
però ha posto con decisione
alcuni paletti: «Non penso che
mentre qualcuno si carica il peso di
una lunga transizione qualcuno si
possa defilare e sparare sul
Quartier generale secondo una
strategia di Mao Zedong». Per il
ministro della Giustizia è giusto
dire no ad un governo del M5s o
della Lega ma «attenzione a evitare
un Aventino istituzionale: abbiamo
il dovere di far entrare tutte le
forze uscite dalle urne nel gioco
democratico e dobbiamo costruire un
assetto di garanzie nei livelli
istituzionali».
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Federico
Marini
skype:
federico1970ca
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