"Quando l'opinione pubblica appare divisa su un qualche
clamoroso caso giudiziario - divisa in "innocentisti" e
"colpevolisti" - in effetti la divisione non avviene sulla conoscenza
degli elementi processuali a carico dell'imputato o a suo favore, ma per
impressioni di simpatia o antipatia. Come uno scommettere su una partita di
calcio o su una corsa di cavalli. Il caso Tortora è in questo senso esemplare:
coloro che detestavano i programmi televisivi condotti da lui, desideravano
fosse condannato; coloro che invece a quei programmi erano affezionati, lo
volevano assolto." (Leonardo Sciascia)
(17 Settembre 1985) La
Corte d’Assise di Napoli condanna Enzo Tortora a dieci anni di carcere. L’accusa di traffico di
stupefacenti e associazione di stampo camorristico si basa sulle dichiarazioni
dei pregiudicati Pandico, Melluso, Barra ed altri otto imputati nel processo
alla cosiddetta Nuova Camorra Organizzata, ovvero un nuovo assetto della Camorra che aveva in
Raffaele Cutolo il suo capo. Il volto di “Portobello” sarà assolto
con formula piena dalla Corte d'Appello di Napoli il 15 settembre del 1986.
Gli elementi "oggettivi", di fatto, si fondavano
unicamente su un'agendina trovata
nell'abitazione del camorrista, Giuseppe Puca, in cui stava scritto a penna un
nome che appariva essere, inizialmente, quello di Tortora, con a fianco un
numero di telefono. Il nome, dopo una perizia calligrafica, risultò non essere
quello del presentatore, bensì quello di un tale Tortona. Nemmeno il recapito
telefonico risultò appartenere al presentatore, come la stessa agenda non
apparteneva al camorrista.
Si stabilì, per giunta,
che l'unico contatto avuto da Tortora con Giovanni Pandico fu a motivo di
alcuni centrini provenienti dal carcere in cui era detenuto lo stesso Pandico, centrini che furono inviati al
popolare presentatore perché venissero venduti all'asta durante il programma “Portobello.”
La redazione di Portobello smarrì gli stessi centrini e Tortora scrisse una
lettera di scuse a Pandico. La vicenda si era poi conclusa, o così pareva, con
un assegno di rimborso del valore di 800.000 lire. In Pandico, schizofrenico e
paranoico, crebbero sentimenti di vendetta verso Tortora.
Riferisce lo storico
della televisione Grasso che "le reti RAI mandarono in onda
ininterrottamente e senza pietà le immagini del conduttore ammanettato." Tortora fu attaccato anche nell'ambiente
giornalistico, furono pubblicate storie false per falsi scoop, ne fu posta
sotto attacco l'immagine umana e professionale. La giornalista Camilla Cederna,
che nel 1969 aveva difeso con decisione l'anarchico Pietro Valpreda
ingiustamente accusato per la strage di Piazza Fontana, si pronunciò per la
colpevolezza: «Mi pare che ci siano gli elementi per trovarlo colpevole: non si
va ad ammanettare uno nel cuore della notte se non ci sono delle buone ragioni.
Il personaggio non mi è mai piaciuto.» Al contrario, Tortora fu difeso, oltre
che dai radicali, da Pippo Baudo, Piero Angela, Leonardo Sciascia e Massimo
Fini. Piero Angela, con Giacomo Aschero, promosse una raccolta di firme pro
-Tortora sul quotidiano la Repubblica, firmata da Eduardo De Filippo, Enzo
Biagi, Giorgio Bocca, Lino Jannuzzi e Rossana Rossanda.
Tortora fu assolto definitivamente dalla Corte di Cassazione
il 13 giugno 1987, a quattro anni dal suo arresto. Una
trasmissione di Giuliano Ferrara, "Il testimone" del 1988, documentò
per la prima volta la vicenda giudiziaria di Tortora, chiarendo l'infondatezza degli
indizi che indussero gli inquirenti al suo arresto. Tortora tenne in questa
trasmissione il suo ultimo intervento pubblico, in collegamento telefonico dal
letto d'ospedale dove era ricoverato. Alessandro Criscuolo,
presidente dell'Associazione Nazionale Magistrati, sostenne che il caso Tortora
era nato da un sistema processuale figlio di "tempi bui e
autoritari", dal vecchio rito
inquisitorio. Tortora però gli rispose: «Io credo che voi siate impegnati in
una difesa corporativa. Volevate difendere la vostra cattiva fede»
Che fine hanno fatto gli inquisitori, nonché gli accusatori
di Tortora, i cosidetti “Pentiti”? Giovanni Pandico, (assassino di due impiegati
comunali perché tardavano a dargli un certificato), dal 2012 è un libero
cittadino. Pasquale Barra, detto “o ‘nimale”,
killer dei penitenziari, 67 omicidi in carriera tra cui lo sbudellamento di
Francis Turatello: è ancora dentro, ma gode di uno speciale programma di
protezione. Gianni Melluso, detto “il bello” o
“cha cha cha”, uscito di galera e rientrato nel luglio scorso, ma per
sfruttamento della prostituzione: durante i beati anni della delazione contro
Tortora, usufruì di trattamenti di particolare favore, come gli incontri molto
privati con Raffaella, che resterà incinta e diverrà sua moglie in un
memorabile matrimonio penitenziario con lo sposo vestito Valentino.
Stupirà, forse, che non compaia mai il nome di Raffaele
Cutolo, il capo di quella “Nuova
camorra organizzata” che aveva messo a ferro e fuoco la Campania per prenderne
il controllo e contro cui venne organizzato il grande blitz del 1983. Tempo
dopo, i due, Cutolo e Tortora, che intanto era diventato presidente del Partito
Radicale, si incontreranno nel carcere dell’Asinara, dove “don Raffaé” albergava
all’ergastolo. Il boss fu anche spiritoso: “Dunque, io sarei il suo
luogotenente “. Poi allungò la destra: “Sono onorato di stringere la mano a un
innocente”.
Per quanto riguarda la magistratura che, senza neanche l’ombra di un controllo
bancario, , un’intercettazione telefonica, basandosi solo sulle accuse di
criminali di mestiere, sono riusciti nell’impresa di mettere in galera Tortora
e condannarlo in primo grado a 10 anni di carcere più 50 milioni di multa. I
due sostituti procuratori che a Napoli avviano l’impresa si chiamano Lucio
Di Pietro, definito “il Maradona
del diritto”, e Felice Di Persia. Sono loro a considerare Tortora la ciliegiona che da sola cambia
l’immagine della torta, loro a convincere il giudice istruttore Giorgio
Fontana ad avallare questo e
gli altri 855 ordini di cattura, anche se incappano in 216 errori di persona.
Problemi sul piano professionale? A parte il giudice Fontana, che infastidito da un’inchiesta del
Csm sul suo operato si dimette sdegnato e ora fa l’avvocato, i due procuratori
d’assalto spiccano il volo. Di Pietro (nessuna parentela con l’ex
onorevole) è procuratore generale di Salerno, dopo aver sostituito Pier Luigi
Vigna addirittura come procuratore nazionale antimafia. Di Persia, oggi in pensione, fu membro del
Csm, l’organo di autocontrollo dei giudici (ma Cossiga presidente pare abbia
rifiutato di stringergli la mano durante un plenum)
Sempre considerando i magistrati, poco prima di morire, Tortora
aveva presentato una citazione per danni: 100 miliardi di lire la richiesta. Il
Csm ha archiviato, risarcimento zero. Archiviato anche il referendum del 1987,
nato proprio sulla spinta del caso Tortora, sulla responsabilità civile dei
magistrati: vota il 65 per cento, i sì sono l’80 per cento, poi arriva la legge
Vassalli e di fatto ne annulla gli effetti
.... e il brutto è che divenne un abitudine dei nostri magistrati, portata avanti fino ai giorni nostri, 2021 ! che schifo... 😳
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