Unione Sarda
Giunta, dai piccoli
altolà al Pd E spunta il nodo dei trasporti
La nomina all'Autorità
portuale rallenta il rimpasto. L'Upc: fare presto
Le trattative ricominciano: gli alleati del Pd
chiedono celerità e più
coinvolgimento nelle dinamiche del rimpasto. Intanto
però non è stata
neanche fissata una data per il vertice inizialmente
previsto oggi.
Francesco Pigliaru vuole essere sicuro che, fatta la
verifica, non ci
si debba ritornare su: evitare lo spettro di un rimpasto
spezzettato,
insomma.
IL NODO Ciò che potrebbe allungare i tempi è la
questione
dell'assessorato ai Trasporti. Non è un mistero che
l'attuale
assessore, Massimo Deiana, aspiri alla presidenza
dell'Autorità
portuale della Sardegna. Ma ancora la nomina non è
all'ordine del
giorno della commissione Trasporti della Camera. Manca
anche il
decreto con cui il ministro, d'intesa col presidente
della Regione, fa
la nomina. E del resto sarebbe una forzatura se il
provvedimento
arrivasse da un ministro dimissionario.
A Roma però la crisi va verso la soluzione ed entro
pochi giorni
potrebbe insediarsi il nuovo ministro. Questo avrebbe
l'effetto di
accelerare l'iter che può consentire a Deiana di
approdare
all'Authority. Stamattina intanto si riuniranno a
Cagliari i
parlamentari, consiglieri regionali e assessori
dell'area
Fadda-Cabras, cui fa riferimento anche il titolare dei
Trasporti, per
le valutazioni sul rimpasto.
PROTESTE Tuttavia, fa presente il consigliere
regionale dell'Upc
Pierfranco Zanchetta, «non si può aspettare che il
partito di
maggioranza relativa si riassesti e risolva le sue
magagne interne.
Siamo stanchi di rincorrere un rimpasto chiesto da
mesi. Questo è un
momento di grande assunzione di responsabilità, è
vietato fare brutte
figure davanti ai sardi. Non è tempo di equilibrismi».
Quanto al vertice saltato, «mi auguro che sia almeno
mercoledì, per
avviare un confronto con il coinvolgimento dei partiti
in decisioni
che non possono essere allungate in una minestra già
stucchevole». Per
Zanchetta «il cambio di rotta non può scaricarsi solo
sui piccoli,
dev'essere complessivo. La nuova Giunta dovrà avere un
profilo
politico, senza tener conto solo di competenze
curriculari». Quanto ai
Rossomori, «penso che valuteranno di volta in volta le
azioni e prima
o poi mi auguro che possano rientrare».
SOVRANISTI A proposito di Rossomori: Paolo Zedda ha
confermato
l'appoggio esterno alla maggioranza e, analizzando il
voto
referendario, ha parlato di «occasione per riscrivere
la nostra carta
fondamentale aprendo anche alle forze che non hanno
rappresentanza in
Consiglio». Ieri su Facebook la risposta del
segretario del Partito
dei Sardi, Franciscu Sedda: «Per due anni abbiamo
proposto di
riscrivere lo Statuto per trasformarlo in una Carta di
sovranità. Per
farlo il PdS non ha aspettato di vedere come andava il
referendum
costituzionale italiano: il compito di un
indipendentismo di governo è
anticipare il tempo e dire le cose giuste quando è
scomodo dirle».
Roberto Murgia
La Nuova
Oggi la direzione del
partito. La minoranza all’attacco «Deve
dimettersi, ci vuole
un traghettatore alla Epifani»
ROMA Matteo Renzi prova a ripartire dal Pd. Anticipare
il congresso
per essere riconfermato segretario e candidato premier
e fare una
volta per tutte i conti con la minoranza che ha votato
No contribuendo
alla sconfitta sul referendum. E prepararsi per
riconquistare palazzo
Chigi. Matteo Renzi, come il Conte di Montecristo,
mette a punto il
piano della vendetta e da Pontassieve, dove è tornato
nella notte,
annuncia: «Sono pronto a ripartire». Ma la minoranza
del Pd prova a
mettergli i bastoni tra le ruote. E alla vigilia della
direzione di
oggi, alla quale non è chiaro se parteciperà anche
Renzi, con il
bersaniano Davide Zoggia manda un messaggio chiaro. Se
Renzi vuole
anticipare il congresso, deve dimettersi come prevede
lo statuto. E a
portare il partito al congresso deve essere un altro
segretario, un
«traghettatore» alla Guglielmo Epifani, il dirigente
che guidò il Pd
dopo le dimissioni di Pier Luigi Bersani. Una tesi
subito respinta dai
renziani e da Matteo Orfini. «Le dimissioni da
segretario? Decide
lui», dice il presidente del Pd a Luicia Annunziata. È
alle due di
notte che Matteo Renzi torna a farsi sentire dopo
quasi 48 ore di
silenzio, con una confessione via Facebook.
«Torno a casa
davvero,
riparto da capo facendo tesoro degli errori e ai
milioni di italiani
che vogliono un futuro di idee e di speranze per il
nostro Paese dico
che non ci stancheremo di riprovare e ripartire»,
scrive il segretario
ammettendo che ha provato tristezza a dover fare gli
scatoloni dal
terzo piano di palazzo Chigi per tornare a casa. «Non
sono un robot»,
dice. Renzi rivendica i «mille giorni davvero
fantastici» del suo
governo e fa l’elenco «impressionante delle riforme» e
ammette l’amato
in bocca per ciò che non ha funzionato e la delusione
per la riforma
costituzionale. Ma non c’è alcuna autocritica. «Un
giorno sarà chiaro
che quella riforma serviva all’Italia», scrive. «Torno
semplice
cittadino, non ho paracadute, non ho un seggio
parlamentare non ho
stipendio nè vitalizio: riparto da capo come è giusto
che sia». Ma il
suo non è un addio; è un arrivederci.
E la sua ripartenza comincia nel
partito che vuole portare al congresso anticipato per
riprenderne la
leadership e prepararsi alla sfida delle prossime
elezioni che l’ex
premier spera siano il prima possibile, anche per
chiudere i conti con
gli avversari interni che confida di poter escludere
dalle liste. Uno
schema di gioco che cozza con la realtà del Pd che
arriva sfiancato al
passaggio della caduta del governo Renzi. E più diviso
che mai. Anche
tra chi ha sostenuto con forza Renzi c’è malessere. I
rapporti con
Dario Franceschini, per esempio, si sono molto
deteriorati. Il
ministro della Cultura non ha gradito affatto i
retroscena usciti la
scorsa settimana che lo dipingevano a capo dei
congiurati contro il
segretario premier. È convinto che siano stati diffusi
da uomini
vicini all’ex premier. Ora i due hanno siglato una
tregua, ma è una
tregua armata. Tanto che Franceschini, che controlla
la maggior
correte del Pd e molte truppe in Parlamento, avrebbe
rifiutato il
ministero degli Esteri. Un modo per tenersi le mani
libere in vista
del congresso. Poi c’è tutta la pattuglia della
sinistra dem che
invoca discontinuità nell’azione di governo: a partire
dal lavoro e
dalla scuola. E ci sono i possibili sfidanti di Renzi
al congresso.
Enrico Rossi, il governatore della Toscana, che dice
che ci vuole più
sinistra per tornare a vincere.
E da Bari Michele Emiliano fa capire
che al congresso ci sarà anche lui a sfidare dal Sud
l’ex rottamatore.
Tutte questioni che saranno affrontate a partire da
sabato prossimo
quando a Milano si riunirà l’assemblea del Pd, un
passaggio decisivo
per fissare la data del congresso che Matteo Renzi
vorrebbe fissare
entro febbraio-marzo, ma che la minoranza tenta di far
slittare.
Motivo? I renziani sostengono che il vero motivo della
richiesta di
rinviare l’assise è perché non c’è ancora un candidato
forte da
contrapporre a Renzi. Oggi intanto è convocata la
direzione del Pd.
Renzi ha fatto sapere che non è ancora sicuro che
parteciperà «Sarebbe
una cosa inaudita», protestano dalla sinistra che fa capo
a Bersani.
di Maria Berlinguer
Verso la riconferma anche Boschi. Alfano potrebbe
lasciare il Viminale
per gli Esteri. E Cuperlo rifiuta l’Istruzione
Intoccabili e verdiniani, ecco la squadra
ROMA La pattuglia degli intoccabili è già definita, un
elenco che
sembra destinato a non subire variazioni. I nomi sono
quelli di Pier
Carlo Padoan all’Economia, Roberta Pinotti alla
Difesa, Andrea Orlando
alla Giustizia, Graziano Delrio a Infrastrutture e
Trasporti e Dario
Franceschini alla Cultura. Verso la riconferma vanno
Maria Elena
Boschi, ex ministro delle Riforme e grande sconfitta
del referendum,
che avrebbe l’incarico di sottosegretario alla
Presidenza del
Consiglio, e Marianna Madia alla Pubblica
amministrazione. Attorno a
questo drappello di inamovibili,
il premier incaricato Paolo Gentiloni
rimodella la squadra di governo, nella quale sembra
quasi certo
l’ingresso formale delle truppe di Denis Verdini,
decisive per
assicurarsi la fiducia al Senato. A rappresentare Ala
(Alleanza
liberalpopolare-Autonomie) potrebbero essere chiamati
l’ex presidente
del Senato Marcello Pera o l’ex ministro Giuliano
Urbani, mentre
resterebbe ancora in campo il sottosegretario Enrico
Zanetti, dopo che
con i fuoriusciti di Scelta civica in parlamento ha
unito le sue forze
a quelle dei verdiniani di Ala. Ad Ala potrebbe andare
il ministero
dell’Istruzione, dove è data in uscita certa Stefania
Giannini, che
durante il governo Renzi è passata da Scelta civica al
Pd. Più
probabile, tuttavia, per dinamiche legate alle
correnti interne al Pd,
che in viale Trastevere arrivi la dem Francesca
Puglisi.
Il posto ieri
sarebbe stato offerto a Gianni Cuperlo, per bilanciare
l’esecutivo a
sinistra, ma l’ex presidente del Pd avrebbe declinato
gentilmente
l’offerta, anche per evitare che l’incarico apparisse
come la
contropartita del sofferto “sì” di Cuperlo al
referendum. Ad
assicurare la continuità con il governo Renzi, con in
mano la gestione
delle nomine di primavera, appare sicura la riconferma
di Luca Lotti,
sottosegretario alla Presidenza del consiglio e
braccio destro di
Matteo Renzi a Palazzo Chigi, che punta ad avere anche
la delega al
Servizi segreti, oggi saldamente in mano a Marco
Minniti, che potrebbe
a questo punto prendere la via del Viminale. Un
incarico per il quale
tuttavia si fa anche il nome del sottosegretario
Claudio De Vincenti.
In questo complesso gioco di incastri Angelino Alfano
lascerebbe il
ministero dell’Interno per un altro dicastero di peso,
quello degli
Esteri lasciato libero da Gentiloni.
La Farnesina è tuttavia la
casella più affollata: in corsa ci sarebbero anche
Piero Fassino e
Carlo Calenda, in uscita dallo Sviluppo economico,
oltre all’Udc
Pierferdinando Casini. Ma è possibile che il premier
incaricato scelga
la soluzione interna, premiando il segretario generale,
l’ambasciatrice Elisabetta Belloni, con cui ha
lavorato negli ultimi
anni. Incerto il futuro del ministro del Lavoro
Giuliano Poletti che,
inizialmente dato in partenza per essere sostituito da
Teresa
Bellanova, vice ministro dello Sviluppo economico,
potrebbe invece
essere riconfermato. Cambio in vista anche al
ministero dell’Ambiente,
Ermete Realacci, grande amico del premier,
sostituirebbe Gian Luca
Galletti, mentre all’Agricoltura si profila uno
scambio tra Maurizio
Martina, che andrebbe al partito, e il vice segretario
dem Lorenzo
Guerini. Per Ncd, con Alfano, sembrano volare verso la
riconferma
anche Beatrice Lorenzin alla Salute, ed Enrico Costa
agli Affari
regionali.
di Maria Rosa Tomasello
Unione Sarda
l premier in pectore:
stessa maggioranza, opposizioni indisponibili
Gentiloni, sì con
riserva «Serve responsabilità»
ROMA Dopo le consultazioni, fatte a tempo di record
come raramente in
passato, il presidente della Repubblica ha affidato a
Paolo Gentiloni
l'incarico di formare il nuovo governo. L'ex ministro
degli Esteri ha
accettato con riserva e, dopo i colloqui con le forze
politiche,
iniziati ieri pomeriggio nella sala del Cavaliere a
Montecitorio per
preparare la lista dei ministri, già nella giornata di
oggi potrebbe
presentarsi al Quirinale per sciogliere la riserva e
arrivare al
giuramento tra domani e mercoledì. La riforma
elettorale e poi il
voto. Questa, ha sottolineato il premier incaricato,
sarà la linea del
nuovo esecutivo: «L'obiettivo è accompagnare il
percorso delle forze
parlamentari per arrivare a nuove regole elettorali».
TEMPI STRETTI Prima degli incontri istituzionali coi
presidenti di
Camera e Senato e dell'avvio delle consultazioni, nel
suo discorso ha
voluto sottolineare «la coerenza» di Matteo Renzi.
«Una coerenza, con
l'impegno preso in campagna referendaria di non
accettare un
reincarico, che merita rispetto da parte di tutti». La
maggioranza
resterà la stessa, «visto che è emersa
l'indisponibilità delle
maggiori forze delle opposizioni a condividere
responsabilità in un
nuovo governo». Un esecutivo che dovrà essere formato
in tempi brevi
anche perché, ha detto il presidente Mattarella, «ci
sono impegni da
rispettare». Una delle priorità è il dossier Monte dei
Paschi di
Siena, mentre il 15 dicembre c'è il Consiglio Europeo.
LISTA DEI NOMI Sono dunque ore decisive per la
formazione del nuovo
governo. Il premier incaricato ha fretta e oggi vuole
presentarsi al
Colle con la lista dei ministri per mettersi subito al
lavoro. Resta
innanzitutto il rebus della Farnesina, ministero
chiave: si fa sempre
il nome di Piero Fassino ma sta prendendo quota
l'ambasciatrice
Elisabetta Belloni, favorita rispetto a un altro
papabile come Carlo
Calenda. Nelle ultime ore si farebbe pure il nome di
Angelino Alfano
agli Esteri, che lascerebbe il Viminale a un esponente
di spicco del
Pd e comincia a circolare il nome di Marco Minniti.
CHI ENTRA E CHI ESCE Secondo le ultime indiscrezioni,
insomma,
cambiamenti in vista potrebbero esserci per la
delegazione governativa
di Ncd: se per Alfano si parla di conferma al Viminale
o trasloco agli
Esteri, a rischio potrebbe essere il posto di Beatrice
Lorenzin alla
Salute o quello di Enrico Costa agli Affari regionali.
In bilico
sarebbe Gianluca Galletti, quota Udc, all'Ambiente: al
suo posto viene
dato favorito Ermete Realacci. Data fuori dai giochi
in un primo
momento, Maria Elena Boschi alla fine potrebbe
rimanere per volere di
Matteo Renzi, ma con deleghe diverse da quelle
attuali. Per le Riforme
e i Rapporti con il Parlamento si fa il nome di Anna
Finocchiaro, ma
anche di Marcello Pera (vicino agli ex montiani di
Scelta civica e per
il Sì al referendum), favorito rispetto a Giuliano
Urbani. In queste
ore si è fatto sempre più forte il pressing di
verdiniani e zanettiani
per avere un proprio esponente al governo, ma sono
troppe le
incognite. Di certo Enrico Zanetti manterrà la
poltrona di
viceministro all'Economia, ma i suoi spingono per un
upgrade.
POLTRONE SICURE Sarebbero tra gli intoccabili Pier
Carlo Padoan
all'Economia, Roberta Pinotti alla Difesa e Andrea
Orlando alla
Giustizia. Nessun problema dovrebbe esserci nemmeno
per Dario
Franceschini alla Cultura e Graziano Del Rio alle
Infrastrutture. A
rischio Stefania Giannini all'Istruzione e Giuliano
Poletti al Lavoro,
qualche dubbio sulla permanenza di Marianna Madia alla
Pubblica
amministrazione.
CUPERLO RIFIUTA Per ricucire con la minoranza dem è
stata fatta
un'offerta a Gianni Cuperlo, sostenitore del Sì: gli è
stata proposta
la delega all'Istruzione ma lui ha declinato. Così,
per questioni
interne al Pd la responsabile scuola dei dem,
Francesca Puglisi,
potrebbe succedere alla Giannini, mentre al dicastero
del Lavoro viene
data in pole l'attuale viceministro allo Sviluppo
economico Teresa
Bellanova. Resta un punto interrogativo il ministro di
Ala-Sc.
La sinistra studentesca e il feeling con Rutelli
ROMA Politico di lungo corso, natali romani e origini
nobili, è il
ventottesimo presidente del Consiglio italiano. Classe
1954, sposato
con l'architetto Emanuela Mauro, senza figli, Paolo
Gentiloni Silverj
appartiene a una famiglia aristocratica: un suo
antenato, Vincenzo
Ottorino Gentiloni, firmò il patto che a inizio '900
segnò l'ingresso
dei cattolici nella vita politica italiana. Educazione
cattolica,
scuola montessoriana e dopo liceo al Tasso, dove
partecipò
all'occupazione della scuola, con tanto di fuga da
casa per
partecipare a una manifestazione a Milano per
l'anniversario di piazza
Fontana, Gentiloni fa il suo esordio in politica nelle
fila della
sinistra extraparlamentare, entrando in contatto con
il Movimento
Studentesco di Mario Capanna.
Si avvicina poi al movimento ambientalista di
Legambiente dove trova
Ermete Realacci e Chicco Testa e diventa direttore
della rivista
“Nuova Ecologia”, dove nel 1990 diventa giornalista
professionista. È
questa esperienza ad avvicinarlo e legarlo a Francesco
Rutelli: quando
quest'ultimo viene eletto sindaco di Roma, Gentiloni è
il suo
portavoce. Nel 2001 entra in Parlamento, nelle liste
della Margherita
di cui diventa responsabile della comunicazione.
Ricandidato nel 2006,
entra nel governo guidato da Romano Prodi con
l'incarico di ministro
alle Comunicazioni. Partecipa alla fondazione del Pd.
Eletto ancora in Parlamento nel 2013, entra nella
commissione Affari
esteri e quando Federica Mogherini lascia la
Farnesina, a ottobre
2014, lui prende il suo posto.
La Nuova
Il ministro uscente accetta con riserva, via alle
consultazioni per la squadra
«Un onore, sarà la stessa maggioranza per
indisponibilità delle opposizioni»
Incarico a Gentiloni «Ora legge elettorale»
ROMA «Ringrazio il presidente della Repubblica per
l’incarico
conferito, lo considero un alto onore e cercherò di
svolgere il
compito con dignità». Dopo tre giorni di consultazioni
al Quirinale,
il capo dello Stato ha conferito a Paolo Gentiloni
l’incarico di
formare un governo. Il presidente del consiglio
incaricato ha
accettato con riserva ma ha garantito che riferirà a
Mattarella «il
più presto possibile» perché la priorità è formare un
governo nella
pienezza dei suoi poteri in tempi rapidi.
E la riserva potrebbe essere
sciolta già oggi o domani. Gentiloni non ha lasciato
spazio a dubbi su
quello che sarà il suo lavoro a palazzo Chigi e
soprattutto quali
saranno le sue priorità: legge elettorale e
provvedimento terremoto.
Il tutto gestito da un esecutivo che prenderà forma (e
ministri)
nell’ambito della maggioranza uscente. «Nel corso
delle consultazioni
è emersa l’indisponibilità delle maggiori forze di
opposizione a
condividere la responsabilità in relazione al nuovo
governo. Dunque
non per scelta ma per responsabilità ci muoveremo nel
quadro della
maggioranza e del governo uscenti, coscienti della
necessità di dare
al paese un governo nella pienezza dei suoi poteri».
E rende omaggio
alla coerenza del suo predecessore: «È emersa la
conferma della
decisione del premier Renzi di non accettare un
reincarico in coerenza
con l'impegno assunto durante la campagna
referendaria. E questa
coerenza merita rispetto». I verdiniani entreranno
ufficialmente nella
compagine di governo? Il presidente incaricato ha
avviato ieri sera le
consultazioni a Montecitorio ed ha rivcevuto anche la
delegazione di
Ala-Sc, che a Palazzo Madama conta 18 senatori ed è
indispensabile per
garantire la fiducia al governo. Nell’attesa di capire
come cambierà
la squadra, a tenere banco sono le parole di Gentiloni
sul profilo del
suo esecutivo. Innanzitutto sono balzate agli occhi di
tutti le parole
del premier incaricato sulle riforme: tra i compiti
del governo c’è
anche la volontà di «accompagnare e, se possibile,
facilitare il
lavoro delle forze parlamentari per definire con la
necessaria
sollecitudine le nuove regole elettorali».
Ci si attende dunque che
l’esecutivo si disponga a passare la palla delle
riforme al
Parlamento, e si ipotizza un modus operandi diverso
dal governo
precedente che è giunto a mettere la fiducia
sull’Italicum. Ci sarà
una sorta di neutralità di merito, ma con una volontà
di aiutare nel
metodo, favorendo il dialogo e svelenendo il clima.
Oltre alle
riforme, Gentiloni ha indicato tra gli impegni del suo
esecutivo «le
priorità internazionali, economiche, sociali, a
iniziare dalla
ricostruzione delle zone colpite dal terremoto».
Su Gentiloni arrivano
le critiche delle opposizioni, come prevedibile.
«Stiamo con i
cittadini, non con i voltagabbana» scrive su Twitter
il leader del M5S
Beppe Grillo, rinviando al post scritto da Luigi Di
Maio: «Un’auto blu
vuota è arrivata al Quirinale e ne è sceso Gentiloni
#votosubito». A
In mezz’ora il vicepresidente della Camera ha ribadito
ancora che
Gentiloni «è null’altro che l’Avatar di Renzi». Di
Maio annuncia che
non parteciperà alle consultazioni e conferma
l’Aventino al voto di
fiducia per il nuovo esecutivo, ma anche sulla legge
elettorale. In
sostanza i 5 Stelle non collaboreranno per scriverne
una nuova:
«L’idea di un tavolo sulla legge elettorale è finita»
dice Di Maio.
Su
Gentiloni si abbattono anche gli strali della Lega e
di Fdi. «Tutto
cambia perché nulla cambi. Siamo passati dal governo
del burattino
delle lobby al governo del burattino del burattino
delle lobby»
attacca Giorgia Meloni. Ancora più duro è il commento
di Matteo
Salvini, che rifiuta di partecipare alle consultazioni
di Gentiloni
(«Non abbiamo tempo da perdere») e parte a testa
bassa: « Questi ci
prendono per il c..o! Noi non ci arrendiamo, daremo
battaglia a questa
cricca. #votosubito». Unica voce fuori dal coro continua
ad essere
quella di Silvio Berlusconi, che annuncia una
opposizione
“responsabile”
di Gabriele Rizzardi
La Nuova
La crisi dopo il referendum e le dimissioni di Renzi
hanno avuto
effetti nell’isola I parlamentari sardi sperano in un
incarico di rilievo nel nuovo esecutivo
Un filo rosso unisce la caduta del governo di
Matteo Renzi alla Sardegna. Non solo il risultato del
Referendum, che
nell’isola ha registrato una percentuale più alta di
No rispetto al
resto dell’Italia. Ma anche la giunta di Francesco
Pigliaru poggia i
piedi sul pavimento crollato del governo nazionale. I
più ingenui
potrebbero limitare l’addio dell’assessore Gianmario
Demuro al
risultato del voto. Ma sarebbe troppo semplicistico.
Forse la vittoria
del No è diventata la scintilla che ha acceso il
rimpasto. Ma gli
effetti più deleteri sono le turbolenze nate nei
partiti, e in
particolare nel Pd, dopo la caduta di Renzi.
L’incertezza riguarda non
solo la durata del futuro governo Gentiloni, ma anche
i suoi effetti
sugli equilibri politici in Sardegna. Il Pd è sempre
più un cantiere
in cui nessuno si sbilancerà prima di capire quale
saranno i reali
rapporti di forza. Un altro capitolo riguarda le
promesse fatte dal
premier nelle sue visite nell’isola .
E le tante vertenze, da quella
Alcoa a quella Meridiana, che sono rimaste ancora
aperte ed erano in
parte legate anche alle garanzie personali date dai
ministri. Senza
parlare del caos delle Province o del buco normativo
dell’Autorità
portuale. I parlamentari sardi tengono conto di tutte
queste variabili
mentre danno la loro valutazione sul futuro governo.
Quasi nessuno
crede che la legislatura arriverà alla sua scadenza naturale,
ma a
parte gli esponenti del Movimento 5 stelle nessuno
vuole le elezioni
anticipate. Per tutti serve un governo che abbia come
priorità
l’elaborazione di una legge elettorale. Ma c’è anche
chi va oltre,
come il deputato Gian Piero Scanu, e oltre un nuovo
governo chiede in
modo particolare un impegno maggiore per affrontare i
reali nodi che
in questi anni sono diventati una priorità per
l’isola: lavoro,
salute, trasporti.
di Luca Rojch
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Federico Marini
skype: federico1970ca
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