La Nuova
Centrosinistra Zedda a Bologna:
bisogna ripartire da giovani e studenti
BOLOGNA Riunire i rappresentanti del mondo giovanile per ascoltare le
loro proposte. È l'idea del sindaco di Cagliari, Massimo Zedda, che,
durante il suo intervento all'incontro per ricostruire il
centrosinistra a Bologna, ha proposto di «coinvolgere tutti i ragazzi
dei consigli d'istituto e dei consigli delle università per ascoltare
le loro esigenze e prospettive». Nell'intervento di Zedda attenzione
anche alla «ricostruzione di un campo di ideali di sinistra» e alla
collaborazione con il Pd. Il primo cittadino sardo, esponente di Sel,
non esclude una collaborazione col Pd perché «ci possono essere
argomenti che ci hanno sempre unito sui quali ripartire». Zedda era
uno degli ospiti più attesi della convention di Bologna insieme all’ex
sindaco di Milano, Giuliano Pisapia, al primo cittadino di Bologna,
Virginio Merola, al collega di Bari, Antonio Decaro, e al leader di
una delle minoranze Pd, Gianni Cuperlo.
Unione Sarda
Zedda all'assemblea di Bologna. Ma
il sindaco assicura: non cerco candidature
Nel centrosinistra c'è fermento
Dialogo tra ex Sel e sinistra Pd
Alle prossime elezioni regionali il centrosinistra avrà nuovi confini.
Questa è l'unica certezza perché rappresenta il traguardo di tutto
quello che sta succedendo all'interno della coalizione. Un movimento
che si sviluppa in maniera parallela nella penisola e in Sardegna e
che può contare sui suoi ambasciatori. Non a caso all'incontro
organizzato dalla “sinistradem” a Bologna tra i relatori c'era anche
il sindaco di Cagliari, Massimo Zedda: «Non sono qui perché mi voglio
candidare, ma perché credo nella costruzione di un nuovo
centrosinistra».
I SEGNALI In Sardegna il Partito democratico deve innanzitutto
ricostruire sé stesso. Il senso di alcune prese di posizione di questi
giorni vanno in questa direzione perché l'elettorato, con il No al
referendum, ha mandato un segnale inequivocabile. Bisogna
riorganizzarsi per le prossime elezioni regionali, ma prima è
necessario riuscire a trovare un segretario che cominci, o meglio
ricominci, a guidare il partito.
«In Sardegna è una questione urgente, considerando l'esigenza del
rilancio dell'azione di governo della giunta Pigliaru», sottolinea il
senatore Silvio Lai. Una missione difficile senza il Pd in campo: «Si
rischia di avventurarsi in territori incerti, come dimostra questo
ultimo anno. Rinviare il congresso che poteva essere celebrato già
nella scorsa primavera ha di fatto paralizzato l'intero sistema». Le
diverse componenti si stanno confrontando per capire se ci sia la
possibilità (gradita ai soriani e alla minoranza) di trovare un
candidato unico ed evitare gli scontri al congresso. Anche di questo
si parlerà nell'incontro di giovedì prossimo, organizzato a Santa
Cristina dall'area popolare-riformista.
IL CONTENITORE Attorno e dentro il Pd sta nascendo un movimento di
forze che pensano a un nuovo centrosinistra. Per ora la spinta è
soprattutto a livello nazionale, dove la situazione è più delineata
con la volontà di costruire la coalizione prima sui temi e poi con i
nomi. Un po' quello che successe con l'Ulivo nel 1995 sotto la guida
di Romano Prodi. È probabile che anche in Sardegna si possa proporre
uno schema di questo tipo all'interno del quale, però, dovrebbero
entrare anche forze autonomiste.
LA SINISTRA Sono gli ultimi giorni di Sel: ma Sinistra italiana non
sarà la casa di chi, come il senatore Luciano Uras o il consigliere
regionale Francesco Agus, ha scelto il dialogo per arrivare a una
forza di governo. Negli ultimi tempi ci sono stati diversi segnali che
hanno fatto capire che la via preferita è il dialogo e non la rottura:
la fiducia di Uras al governo guidato da Paolo Gentiloni è l'ultimo in
ordine di tempo. Ma Sel può anche vantare la vittoria più eclatante
alle ultime amministrative con la riconferma al primo turno di Zedda
che ieri, durante il suo intervento all'incontro di Bologna, ha
proposto di «riunire la rappresentanza giovanile a partire dalle
università, recuperare le relazioni con chi ha il Dna comune su temi
come povertà, pace e ambiente e ripartire per un programma di
governo».
I RAPPORTI Ma la scelta di Uras, Zedda e Agus spariglia le carte anche
nei rapporti interni alla Regione. Progettare una nuova coalizione
insieme al Partito democratico condividendone temi e obiettivi,
significa avere la forza per diventare gli interlocutori del
presidente Pigliaru. La volontà è riuscire a dare maggiore peso, nei
rapporti e nelle trattative, alla forza politica piuttosto che a
quella consiliare, decisamente più eterogenea.
Matteo Sau
LA NUOVA
Il leader della Lega appoggia la
proposta lanciata da Renzi all’assemblea dem
Ma i partiti si dividono. Netta la
contrarietà di Forza Italia e
Movimento 5Stelle
Mattarellum, il sì di Salvini
«Pronti a votare con il Pd»
di Gabriele Rizzardi
ROMA La Lega Nord è «pronta» a firmare qualsiasi proposta di legge per
un ritorno al Mattarellum, anche quella del partito democratico. Ad
annunciarlo è Matteo Salvini, che non si dice spiazzato dall’apertura
di Matteo Renzi. «È esattamente quello che pensavo io: su questo siamo
totalmente d’accordo», ha detto il leader della Lega Nord, che si era
espresso a favore del vecchio sistema elettorale una settimana fa.
«Siamo disposti a presentare la proposta anche insieme al Pd, il
merito è quello: non è che cambi, a prescindere da chi lo presenti»,
ha continuato Salvini. E ancora: «Noi siamo per il Mattarellum:
tutelerebbe sia la rappresentanza sia la governabilità e soprattutto
non ti devi inventare niente perché è già stata usata e quindi se vuoi
in 15 giorni la riapprovi. Anche prima del parere della Consulta
potrebbe arrivare una nuova legge e quindi si potrebbe votare anche in
primavera». Salvini non nasconde che dietro al suo appoggio ci sia la
logica, sostenuta fin dal giorno dopo la vittoria del No al
referendum, di andare al voto il prima possibile.
Una linea sulla
quale è perfettamente d’accordo Fratelli d’Italia: «Votiamo subito con
qualsiasi sistema», taglia corto Giorgia Meloni. Riuscirà il
Mattarellum a mettere d’accordo tutte le forze politiche? La proposta
di ritornare al sistema di voto antecedente il Porcellum ha sì
l’effetto di ricompattare il partito di largo del Nazareno, ma allo
stesso tempo divide in due opposti “schieramentI” i partiti che
dovranno sedersi attorno a un tavolo alla ricerca di un’intesa sulla
legge elettorale prima di poter tornare al voto. Quel che è certo è
che Forza Italia e Movimento 5 Stelle non vogliono nemmeno sentir
parlare di Mattarellum. Contrari anche il Nuovo Centrodestra e
Sinistra Italiana. Il Pd, invece, si ricompatta (unici ad essere
scettici i Giovani turchi vicini al guardasigilli Andrea Orlando) e
porta dalla sua parte Lega e Fratelli d’Italia. Il primo no è quello
di Forza Italia. «Il Mattarellum non è un sistema elettorale
riproponibile.
Punto e basta», dice Maurizio Gasparri. Possibilista,
invece Giovanni Toti, ma a precise condizioni: «Il Mattarellum può
essere una base di discussione. Resta da chiedersi, però, se possa
considerarsi efficiente anche in un sistema tripolare. Il rischio è di
non produrre un vincitore. Un Mattarellum corretto potrebbe essere una
strada percorribile». Nettamente contrari sono i 5 Stelle: «Siamo
pronti al Vietnam parlamentare per contrastare la legge elettorale che
il Pd vuole approvare contro il Movimento 5 Stelle», mettono in chiaro
i deputati M5S della commissione Affari costituzionali. Riserve
arrivano anche da Ncd. «Non perdiamo tempo», taglia corto Maurizio
Lupi. «Il Mattarellum appartiene a un’altra epoca politica, quella del
bipolarismo. In un sistema tripolare il Mattarellum è una riffa. In
ogni collegio può succedere di tutto», spiega Fabrizio Cicchitto.
Anche Sinistra Italiana chiude la porta al Mattarellum.
«La discussione non può ripartire da un’idea maggioritaria, costruita su
un sistema bipolare che oggi non esiste più» dice Nicola Fratoianni.
Nel Pd, invece, sono favorevoli i renziani e l’area che fa riferimento
al ministro Martina (Sinistra è cambiamento); via libera anche dai
bersaniani e dalla minoranza dem che si riconosce in Roberto Speranza;
d’accordo, anche se con alcuni cambiamenti, i franceschiniani. Riserve
arrivano invece dai Giovani turchi.
A Berlino la replica di Nizza
camion piomba sulla folla morti e feriti
al mercatino Strage di Natale
di Maria RosaTomasello
ROMA Berlino rivive l’incubo di Nizza. Almeno nove persone restano
uccise e cinquanta ferite nella corsa di un camion sulla folla
assiepata in un mercatino di Natale. Il teatro della strage è il
quartiere di Charlottenburg, dove attorno alle 20.15, mentre centinaia
di persone si assiepano attorno alle bancarelle, un veicolo di grandi
dimensioni invade il marciapiede del viale principale dello shopping,
il Ku’ Damm, proprio davanti alla chiesa della commemorazione Kaiser Wilhelm.
La scena è spaventosa: il mezzo, che ha una targa polacca,
travolge la gente che cerca di mettersi in salvo scappando senza una
direzione precisa, ma molti non ce la fanno e vengono investiti dal
camion, lanciato come un proiettile: in nove perdono la vita, a decine
riportano ferite più o meno gravi. Per la polizia, che nei primi
minuti sceglie la linea della prudenza, senza escludere la possibilità
di un incidente, si tratta «presumibilmente» di un attentato. È una
ipotesi che a tarda sera sembra trovare conferma: il tabloid
britannico Sun, che cita il quotidiano conservatore americano
Washington Times (considerato vicino alla Cia), riferisce che lo Stato
islamico ha rivendicato la responsabilità dell'attentato.
Il Times cita come fonte le Forze di mobilizzazione popolari irachene, le
truppe sciite che stanno combattendo per liberare Mosul. Il ministro
della Giustizia Heiko Maas annuncia in tarda serata con un tweet che
la procura federale generale, che ha competenza nei casi di
terrorismo, ha assunto le indagini. Delle due persone che si trovano a
bordo una muore, sembra ucciso da colpi d’arma da fuoco. È
probabilmente il passeggero. Un secondo uomo, l’autista, che a detta
dei testimoni sembra provenire dall’Europa dell’Est, scappa a piedi
cercando di far perdere le proprie tracce correndo in direzione del
Tiergarten, lo zoo. Nella città sotto choc si scatena una gigantesca caccia.
Ma la fuga dell’attentatore dura poco. Un’ora e mezza dopo la
strage l’uomo viene arrestato. Il camion è di proprietà di un’azienda
di trasporti di Danzica, che dice di aver perso il contatto con il
mezzo attorno alle 16 del pomeriggio. Il veicolo, secondo il Guardian,
era partito dall’Italia per fare rientro in Polonia e avrebbe dovuto
fermarsi a Berlino. Il proprietario dell'azienda, identificato solo
come Ariel Z, dichiara che il veicolo era guidato da suo cugino ed
esclude che possa aver provocato volontariamente lo schianto.
L’ipotesi dunque è che il mezzo possa essere stato rubato e l’autista
sequestrato. «Non vi sono indicazioni in merito ad altre situazioni
pericolose a Berlino» riferisce un tweet della polizia della capitale
tedesca poco dopo le 22, dichiarando che la situazione è tornata sotto
controllo. A pochi giorni dal Natale torna in Europa nel modo più
drammatico l’allarme attentati. La Germania è sconvolta.
La cancelliera Angela Merkel «piange le vittime» dell’attacco dicendosi
«sgomenta» per il «possibile» attentato. «È una serata terribile per
Berlino e per il nostro Paese che rende sgomento me e tante persone»
dichiara il presidente della Repubblica tedesca Joachim Gauck. Sono
passati appena sei mesi dalla spaventosa strage del 14 luglio scorso a
Nizza, dove un uomo alla guida di un camion uccise 86 persone sulla
Promenade des Anglais. Una ferita ancora sanguinante nel cuore
dell’Europa. Il killer di Nizza, il franco-tunisino Mohammed
Lahouaeie-Bouhlel, venne ucciso al termine della corsa in cui,
avanzando a zig zag sulla strada invasa di gente per i fuochi
d’artificio della festa nazionale, uccise il maggior numero di
persone, tra cui 6 italiani. Anche in quel caso l’attentato venne
rivendicato dallo Stato islamico: la risposta di un “lupo solitario”
agli appelli lanciati dal sedicente Califfo dello Stato islamico Abu
Bakr al Baghdadi a colpire ovunque «i crociati» in Occidente, in
Europa in particolare, con qualsiasi mezzo, citando anche
esplicitamente l’uso di auto o camion contro la folla.
Attentato in una galleria d’arte.
L’assassino è un poliziotto di 22
anni. Ha urlato «È la vendetta per
la Siria»
Ankara, ucciso l’ambasciatore
russo
di Maria Rosa Tomasello
ROMA La coda velenosa della guerra in Siria colpisce ad Ankara l’uomo
di Mosca. Dopo i lunghi mesi di tensioni tra la Turchia e la Russia
seguiti all’abbattimento del jet di Mosca al confine siriano nel
novembre 2015, mentre i rapporti si avviano alla normalizzazione,
l’ambasciatore russo Andrey Karlov muore sotto gli occhi di
giornalisti, fotografi, cameraman e di decine di invitati durante
l’inaugurazione della mostra fotografica “La Russia attraverso gli
occhi dei turchi”. Sono le 19 quando all’interno di una galleria
d’arte che si trova nel quartiere blindato delle ambasciate un uomo
vestito in impeccabile abito scuro e camicia bianca estrae la pistola
e comincia a sparare.
È un poliziotto di 22 anni, Mevlut Mert
Altintas, nato a Soke, nella provincia di Aydin, nell’ovest del Paese,
da 2 anni e mezzo in servizio nei reparti antisommossa della capitale:
«Noi moriamo ad Aleppo, tu muori qui» dice l’attentatore al suo
bersaglio prima di premere il grilletto. I testimoni raccontano
sconvolti le frasi urlate dopo una raffica di colpi, mentre altre tre
persone restano a terra ferite. «Questo è per conto della Siria.
Vendetta» sono le sue parole, mentre intima a tutti: «Non vi
avvicinate, non uscirò vivo da qui. Finché i nostri fratelli non
saranno al sicuro, nemmeno voi potrete godervi la sicurezza» dice,
prima di concludere in arabo «Allah è grande!». L’uomo ha superato i
controlli utilizzando un tesserino di riconoscimento della polizia. Ma
come ha previsto lucidamente, il suo tempo si conclude qui: cade sotto
i colpi delle teste di cuoio turche poco dopo la morte del
diplomatico, a cui vengono prestate inutilmente sul posto le prime
cure. Le ferite sono letali. Karlov, che lascia la moglie e un figlio,
era il rappresentante di Mosca ad Ankara dal 2013. I media parlano di
un attentato di matrice islamista radicale. Una reazione
all’intervento russo in Siria a sostegno delle truppe di Assad, sotto
accusa per gravissime violazioni dei diritti umani nell’operazione di
riconquista di Aleppo est.
Un lupo solitario, forse. O il braccio
armato di una cellula estremista all’interno delle forze di sicurezza,
un gruppo sfuggito alle “purghe” del governo che, dopo il tentato
colpo di Stato, ha espulso migliaia di agenti considerati seguaci
della presunta rete golpista di Fethullah Gulen. Fonti di sicurezza
ipotizzano legami di Altintas con Jabhat al Nusra, costola siriana di
al Qaeda, ora ribattezzata Fatah al Sham. Alcuni familiari vengono
fermati per essere interrogati. Il presidente Recep Tayyip Erdogan
chiama il presidente Vladimir Putin condannando «il vile atto
terroristico». La portavoce del ministero degli Esteri russo Maria
Zakharova annuncia che la questione sarà posta lunedì ? prossimo al
Consiglio di sicurezza dell’Onu: «Oggi è un giorno tragico per la
diplomazia russa - commenta - Le autorità turche ci hanno assicurato
un’indagine approfondita».
Putin convoca d’urgenza una riunione
straordinaria con il ministro degli Esteri Serghei Lavrov e con i
vertici dei servizi segreti. «È un tentativo di danneggiare i legami
tra Mosca ed Ankara e di far fallire i tentativi di raggiungere
un’intesa per la pace in Siria» dichiara il presidente russo.
L’attacco infatti avviene a meno di 24 ore dal vertice tra i ministri
degli Esteri di Turchia, Russia e Iran, al centro del quale c’è il
piano di evacuazione della citta di Aleppo. Il ministro degli Esteri
turco Mevlut Cavusoglu viene a conoscenza dell’attentato mentre è in
volo per Mosca. Ad Ankara la tensione è altissima. Il Dipartimento di
Stato degli Stati Uniti chiede a tutti i cittadini di evitare l’area
attorno al compound dell’ambasciata Usa ad Ankara fino a ulteriori
comunicazioni. Si diffondono via Twitter notizie di spari attorno alla
zona, a circa 5 chilometri dalla galleria d’arte dell’omicidio, ma le
voci non vengono confermate.
Unione Sarda
ASSEMINI. La Giunta della città
vista dal presidente dei giovani imprenditori
«M5S lontano dai giovani»
Filippino: scarsa attenzione per commercio e cultura
«L'amministrazione grillina è lontanissima dai giovani e dal
commercio». Il nuovo presidente dei giovani imprenditori della
Confcommercio Sud Sardegna, l'asseminese Gianni Filippino, fa un
bilancio sullo stato di salute della cittadina dove lavora con la sua
agenzia di consulenza. Nel 2013 per Fratelli d'Italia era stato uno
degli undici candidati a sindaco, ora giudica l'operato di Mario Puddu
e del M5S.
Nelle principali vie di Assemini aumentano le serrande chiuse: come
invertire la tendenza?
«Sono convinto che si debba agire adottando metodi e sistemi
sostenibili nel tempo: per l'amministrazione dovrebbe essere
prioritario investire negli incentivi e nei servizi offerti. Più
attenzione andrebbe riservata al turismo sportivo, culturale,
artistico, artigianale ed enogastronomico, con l'obiettivo di avere un
indotto maggiore e soprattutto costante, quindi una maggiore esigenza
da soddisfare con nuove attività».
La strada presa non è giusta?
«La riduzione dei parcheggi compromette i risultati delle attività
commerciali e viene erroneamente sottovalutata dall'amministrazione.
Ma soprattutto la soluzione deve andare oltre l'organizzazione di
feste annuali come quella dello sport o della birra che, seppur
partecipate, non sono sufficienti a garantire una solida ripresa e a
far riaprire le serrande».
Assemini ha vissuto per anni appesa alle industrie. Ora il benessere
ha lasciato spazio a tagli, crisi e vertenze.
C'è qualche speranza di ripresa?
«Negli ultimi decenni il paese si è lasciato sfuggire tantissime
opportunità. L'eccessivo interesse nel mattone ha avuto la priorità
sulle politiche a tutela dello sviluppo economico causando un
allontanamento incontrollato. Infatti negli ultimi anni tante nuove
aziende hanno scelto di insediarsi nei comuni limitrofi per le
migliori condizioni».
Non c'è una reazione?
«C'è poca consapevolezza del periodo economico in cui viviamo. Si
parla ormai da tanti anni di crisi passeggera e ancora si soffre
nell'attesa che passi. Sono del parere che sia invece necessario
rendersi conto di quale sia la situazione attuale e che non si debba
aspettare che tornino momenti d'oro senza far nulla. Dobbiamo reagire:
le dinamiche economiche sono cambiate e chi non si adegua non ha futuro».
Dopo tre anni e mezzo, qual è il suo giudizio sulla Giunta grillina?
«Gli argomenti sarebbero tra i più vari e specifici. Se dovessi
sintetizzare il mio pensiero di giovane imprenditore direi che, ahimè,
sono lontanissimi dai giovani e dal commercio».
Cosa ha sbagliato Mario Puddu?
«Non avrei attuato la loro linea politica di chiusura verso il
dialogo, basata sul rifiuto e sul pregiudizio nei confronti dei
consigli e dei suggerimenti da parte dell'opposizione oltre che del
sottoscritto. La condivisione e il dialogo ampio riducono le
probabilità di commettere errori: loro ne hanno commesso diversi».
I partiti all'opposizione sono compatti, ma non riescono a farsi ascoltare.
«L'opposizione in Consiglio comunale non è omogenea per ovvi motivi di
ampia frammentazione, e in quanto tale è quasi impotente.
Individualmente ci sono figure di spessore e con esperienza che
avrebbero potuto dare un contributo importante in termini propositivi e di
controllo».
Però sono in minoranza...
«Con l'atteggiamento della maggioranza è quasi impossibile farsi
ascoltare, riconosco che per l'opposizione non deve essere stato
facile né gratificante. Ogni tanto penso che la politica grillina sia
capace di andare contro se stessa».
E ci riesce?
«Spesso».
Marcello Zasso
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Federico Marini
skype: federico1970ca
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