Dopo il Partito Comunista Italiano ecco la FGCI.
Cari compagni, care compagne
È molto difficile nascondere l’emozione
per un giorno così importante, soprattutto se si è lottato tanto per arrivarci.
Dopo la ricostruzione del Partito Comunista Italiano ci apprestiamo a
ricostruire anche la mitica FGCI. In un era politica così piena di
incompetenza, lassismo, benaltrismo e becero legalitarismo questo congresso
rappresenta una piccola luce in un paese buio. Davanti a noi abbiamo sfide che
definirle complesse è un eufemismo; non è solo la ricostruzione di un paese
abbandonato a sè stesso, preda della finanza internazionale e di politici che
non esagero a definire non all’altezza di tale ruolo ma è la formazione di una
nuova classe dirigente, preparata e competente che in un giorno non molto
lontano deve prendere in mano le redini del paese e portarlo fuori da questa
epoca buia, medioevale, depressa.
Nelle nostre analisi, compagni, ripetiamo
spesso un errore comune, soprattutto a sinistra: confondiamo sempre causa ed
effetto, li invertiamo. Il forte disinteresse per la politica da parte della
nostra generazione (e aggiungo, di quella prima) non è la causa ma è l’effetto
di una seconda repubblica che ha reso inumana e sterile la vita istituzionale,
che ha dato alle fiamme ogni barlume di idealità all’interno dei partiti,
oramai comitati d’affari e non più strumento di democrazia e partecipazione.
Ecco, definirei così la nostra missione
politica ad oggi: riportare le idee, l’idealità, all’interno della politica. In
Italia troppo spesso sottostimiamo la capacità che questo paese ha avuto nel
seguire e difendere le idee. Quando le ideologie non erano ancora “il male del
mondo” in Italia milioni di persone facevano politica attivamente e più del 90%
votava e lo faceva con grande passione. Oggi, senza idee, senza sezioni, senza
esempi da seguire il disinteresse e l’apatia hanno preso il sopravvento, è ora
di cancellare questo grigiore. Mi rendo conto dell’enormità di questo compito,
ma noi siamo comunisti, se non siamo noi a porci grandi obbiettivi chi lo fa?
Concludiamo oggi un congresso diverso
da tanti altri, un congresso dove non c’è un documento politico scritto prima,
ma un documento pensato, analizzato e costruito da tutti noi che siamo presenti
qui oggi. Perché è fondamentale per noi trovare anche nuove forme di
partecipazione alla vita del partito da parte dei compagni e delle compagne,
senza contravvenire mai alle linee dettate da Lenin sulla forma partito ma allo
stesso tempo senza rimanere imbalsamati rischiando di trasformare il partito in
un rito, in una tradizione che va bene solo a chi non ha più scopi da
raggiungere.
Questo documento rispecchia il pensiero
e le volontà dei gruppi di lavoro e sarà da oggi la nostra linea politica.
Personalmente vorrei soffermarmi su alcuni aspetti specifici: autonomia,
organizzazione e formazione. La FGCI non è la copia del PCI, ma un corpo
indipendente che amplifica l’azione del partito e che ha obbiettivi ben
precisi, da sviluppare nel corso del tempo nei luoghi che gli sono più
congeniali. Non dirò che dobbiamo stare nei luoghi di studio e di lavoro,
inutile dirlo a chi già sa e pratica ciò ogni giorno. Vi dirò invece che non vi
deve essere spazio per una nostalgia infantile che ci fa apparire, agli occhi
delle masse che dobbiamo coinvolgere nelle lotte, poco più che folklore. Le
persone ci giudicheranno dai fatti, dalla concretezza delle nostre azioni e
dalle nostre proposte, non da facili scorciatoie che inorgogliscono ma
allontanano ogni responsabilità politica. I fortini non sono e non saranno mai
la nostra casa.
Prepariamoci, saranno anni duri e
complessi. Il mondo cambia ad una velocità doppia rispetto a quello che
riusciamo a percepire e vedere. Sono tempi di mobilitazioni forti e veloci e
noi dovremo essere pronti in ogni momento, curiamo maniacalmente
l’organizzazione dei territori, teniamo in contatto i compagni tra loro in modo
continuo. Il successo della nostra FGCI passa principalmente per questo. E’
dura, ma va affrontata senza paura. Ci saranno momenti di scoramento, ma io vi
dico non mollate mai perché la forza delle nostre idee non viene mai meno, ma
anzi si amplifica proprio nei momenti di difficoltà. E poi, non viviamo
esattamente le stesse difficoltà nel lavoro e nello studio di chiunque in
questo paese? Quello che serve a noi serve pure a chi ci rivolgiamo, né più né
meno, non complichiamo ciò che è semplice.
Studiamo, studiamo, studiamo. Lo diceva
Gramsci, lo diciamo noi oggi. La scuola di partito che ha visto i suoi natali
poco tempo fa sarà il nostro bene più prezioso ed ogni compagno avrà l’obbligo
morale e politico di parteciparvi. Per troppo tempo giovani compagni sono stati
rovinati da troppe nomine e poca formazione, carriere fulminanti che hanno
avuto il solo risultato della disgregazione e dell’immobilismo del partito. La
Federazione Giovanile Comunista Italiana che nasce oggi si prende l’onere e
l’onore di formare la nuova classe dirigente che presto dovrà prendere in mano
le redini del Partito Comunista Italiano dando il via a quello slancio, a
quella spinta propulsiva di cui tanto abbiamo bisogno per tornare grandi. Non
siamo rottamatori, non crediamo nel nuovismo o nel mito dell’età anagrafica;
solo chi sarà in grado di crescere e imparare potrà arrogarsi il diritto di
chiamarsi classe dirigente, non ci sono scorciatoie, ma solo duro lavoro.
Un dirigente comunista, importante, che
io considero il migliore degli ultimi 25 anni, una volta ha detto una frase che
mi è rimasta impressa nella mente: “non saremo noi che abbiamo vissuto prima
del 1989, a poter ricostruire il partito comunista in Italia, ma chi quell’anno
non lo ha vissuto ed è nato solo dopo”. Fino a questo momento ciò non è stato
applicato, siamo al punto di non ritorno, non è più sopportabile un mondo del
lavoro che propone solo precarietà a vita, non è più sopportabile una scuola
tornata di classe e trasformata in fabbrica di sfruttati e oppressi, non è più
sopportabile un popolo che rinuncia a curarsi perché la sanità costa sempre di
più ed è sempre meno accessibile, non è più sopportabile che un operaio venga
assassinato dai padroni e la CGIL non proclami sciopero generale!
Quando il compagno Bertolt Brecht
scriveva Che cosa è errato ora, falso, di quel che abbiamo detto?
Qualcosa o tutto ? Su chi contiamo ancora Siamo
dei sopravvissuti, respinti via dalla corrente? Resteremo
indietro, senza comprendere più nessuno e da nessuno compresi?
Chi non ci si è riconosciuto? Io sì, sono domande che mi sono fatto nei momenti
più critici che ho vissuto in questo partito. Ogni tanto me le ripeto e la
risposta che mi do è sempre la stessa: No, non siamo dei sopravvissuti, non
resteremo indietro, comprenderemo e ci faremo comprendere. Questi versi si
concludono con l’invito a non aspettare da altri le risposte, ma solo da noi
stessi, ed è proprio quello che ho intenzione di fare, con voi.
di Nicolò Monti.
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