martedì 17 settembre 2019

Il caso Enzo Tortora



"Quando l'opinione pubblica appare divisa su un qualche clamoroso caso giudiziario - divisa in "innocentisti" e "colpevolisti" - in effetti la divisione non avviene sulla conoscenza degli elementi processuali a carico dell'imputato o a suo favore, ma per impressioni di simpatia o antipatia. Come uno scommettere su una partita di calcio o su una corsa di cavalli. Il caso Tortora è in questo senso esemplare: coloro che detestavano i programmi televisivi condotti da lui, desideravano fosse condannato; coloro che invece a quei programmi erano affezionati, lo volevano assolto." (Leonardo Sciascia)

(17 Settembre 1985) La Corte d’Assise di Napoli condanna Enzo Tortora a dieci anni di carcere. L’accusa di traffico di stupefacenti e associazione di stampo camorristico si basa sulle dichiarazioni dei pregiudicati Pandico, Melluso, Barra ed altri otto imputati nel processo alla cosiddetta Nuova Camorra Organizzata, ovvero un nuovo assetto della Camorra che aveva in Raffaele Cutolo il suo capo. Il volto di “Portobello” sarà assolto con formula piena dalla Corte d'Appello di Napoli il 15 settembre del 1986.

Gli elementi "oggettivi", di fatto, si fondavano unicamente su un'agendina trovata nell'abitazione del camorrista, Giuseppe Puca, in cui stava scritto a penna un nome che appariva essere, inizialmente, quello di Tortora, con a fianco un numero di telefono. Il nome, dopo una perizia calligrafica, risultò non essere quello del presentatore, bensì quello di un tale Tortona. Nemmeno il recapito telefonico risultò appartenere al presentatore, come la stessa agenda non apparteneva al camorrista.

Si stabilì, per giunta, che l'unico contatto avuto da Tortora con Giovanni Pandico fu a motivo di alcuni centrini provenienti dal carcere in cui era detenuto lo stesso Pandico, centrini che furono inviati al popolare presentatore perché venissero venduti all'asta durante il programma “Portobello.” La redazione di Portobello smarrì gli stessi centrini e Tortora scrisse una lettera di scuse a Pandico. La vicenda si era poi conclusa, o così pareva, con un assegno di rimborso del valore di 800.000 lire. In Pandico, schizofrenico e paranoico, crebbero sentimenti di vendetta verso Tortora.

Riferisce lo storico della televisione Grasso che "le reti RAI mandarono in onda ininterrottamente e senza pietà le immagini del conduttore ammanettato." Tortora fu attaccato anche nell'ambiente giornalistico, furono pubblicate storie false per falsi scoop, ne fu posta sotto attacco l'immagine umana e professionale. La giornalista Camilla Cederna, che nel 1969 aveva difeso con decisione l'anarchico Pietro Valpreda ingiustamente accusato per la strage di Piazza Fontana, si pronunciò per la colpevolezza: «Mi pare che ci siano gli elementi per trovarlo colpevole: non si va ad ammanettare uno nel cuore della notte se non ci sono delle buone ragioni. Il personaggio non mi è mai piaciuto.» Al contrario, Tortora fu difeso, oltre che dai radicali, da Pippo Baudo, Piero Angela, Leonardo Sciascia e Massimo Fini. Piero Angela, con Giacomo Aschero, promosse una raccolta di firme pro -Tortora sul quotidiano la Repubblica, firmata da Eduardo De Filippo, Enzo Biagi, Giorgio Bocca, Lino Jannuzzi e Rossana Rossanda.

Tortora fu assolto definitivamente dalla Corte di Cassazione il 13 giugno 1987, a quattro anni dal suo arresto. Una trasmissione di Giuliano Ferrara, "Il testimone" del 1988, documentò per la prima volta la vicenda giudiziaria di Tortora, chiarendo l'infondatezza degli indizi che indussero gli inquirenti al suo arresto. Tortora tenne in questa trasmissione il suo ultimo intervento pubblico, in collegamento telefonico dal letto d'ospedale dove era ricoverato. Alessandro Criscuolo, presidente dell'Associazione Nazionale Magistrati, sostenne che il caso Tortora era nato da un sistema processuale figlio di "tempi bui e autoritari", dal vecchio rito inquisitorio. Tortora però gli rispose: «Io credo che voi siate impegnati in una difesa corporativa. Volevate difendere la vostra cattiva fede»

Che fine hanno fatto gli inquisitori, nonché gli accusatori di Tortora, i cosidetti “Pentiti”? Giovanni Pandico, (assassino di due impiegati comunali perché tardavano a dargli un certificato), dal 2012 è un libero cittadino. Pasquale Barra, detto “o ‘nimale”, killer dei penitenziari, 67 omicidi in carriera tra cui lo sbudellamento di Francis Turatello: è ancora dentro, ma gode di uno speciale programma di protezione. Gianni Melluso, detto “il bello” o “cha cha cha”, uscito di galera e rientrato nel luglio scorso, ma per sfruttamento della prostituzione: durante i beati anni della delazione contro Tortora, usufruì di trattamenti di particolare favore, come gli incontri molto privati con Raffaella, che resterà incinta e diverrà sua moglie in un memorabile matrimonio penitenziario con lo sposo vestito Valentino.

Stupirà, forse, che non compaia mai il nome di Raffaele Cutolo, il capo di quella “Nuova camorra organizzata” che aveva messo a ferro e fuoco la Campania per prenderne il controllo e contro cui venne organizzato il grande blitz del 1983. Tempo dopo, i due, Cutolo e Tortora, che intanto era diventato presidente del Partito Radicale, si incontreranno nel carcere dell’Asinara, dove “don Raffaé” albergava all’ergastolo. Il boss fu anche spiritoso: “Dunque, io sarei il suo luogotenente “. Poi allungò la destra: “Sono onorato di stringere la mano a un innocente”.

Per quanto riguarda la magistratura  che, senza neanche l’ombra di un controllo bancario, , un’intercettazione telefonica, basandosi solo sulle accuse di criminali di mestiere, sono riusciti nell’impresa di mettere in galera Tortora e condannarlo in primo grado a 10 anni di carcere più 50 milioni di multa. I due sostituti procuratori che a Napoli avviano l’impresa si chiamano Lucio Di Pietro, definito “il Maradona del diritto”, e Felice Di Persia. Sono loro a considerare Tortora la ciliegiona che da sola cambia l’immagine della torta, loro a convincere il giudice istruttore Giorgio Fontana ad avallare questo e gli altri 855 ordini di cattura, anche se incappano in 216 errori di persona.

Problemi sul piano professionale? A parte il giudice Fontana, che infastidito da un’inchiesta del Csm sul suo operato si dimette sdegnato e ora fa l’avvocato, i due procuratori d’assalto spiccano il volo. Di Pietro (nessuna parentela con l’ex onorevole) è procuratore generale di Salerno, dopo aver sostituito Pier Luigi Vigna addirittura come procuratore nazionale antimafia.  Di Persia, oggi in pensione, fu membro del Csm, l’organo di autocontrollo dei giudici (ma Cossiga presidente pare abbia rifiutato di stringergli la mano durante un plenum)

Sempre considerando i magistrati, poco prima di morire, Tortora aveva presentato una citazione per danni: 100 miliardi di lire la richiesta. Il Csm ha archiviato, risarcimento zero. Archiviato anche il referendum del 1987, nato proprio sulla spinta del caso Tortora, sulla responsabilità civile dei magistrati: vota il 65 per cento, i sì sono l’80 per cento, poi arriva la legge Vassalli e di fatto ne annulla gli effetti




1 commento:

  1. .... e il brutto è che divenne un abitudine dei nostri magistrati, portata avanti fino ai giorni nostri, 2021 ! che schifo... 😳

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