martedì 17 settembre 2019

LIBE.R.U propone una nuova legge elettorale per le regionali. Di Francesco Casula



Se il sistema elettorale è la cartina di tornasole della qualità e quantità di democrazia di un Paese, dobbiamo amaramente constatare che in Italia come in Sardegna, la “democrazia elettorale” scarseggia abbondantemente. Storicamente. Ieri come oggi. Prendiamo la legge elettorale per le regionali in Sardegna. E’ un vero e proprio mostriciattolo, illiberale e liberticida.

Emanata dal Consiglio regionale nel 2013 e leggermente modificata nel 2018 ha mostrato nelle elezioni del 2014 come in quelle recenti del 2019 tutta una serie di storture e di gravissimi limiti: soprattutto quello di
attentare brutalmente alla “rappresentatività”. Tanto da escludere da Consiglio regionale nel 2019 la rappresentanza di 61.383 elettori (8,07% dei votanti) e nel 2014 addirittura 137.000 elettori (17,87% dei votanti).

Così, in virtù di una legge truffaldina, grazie alle altissime soglie di sbarramento (10% per le Coalizioni e 5% per singole forze) paradossalmente è avvenuto che con poche centinaia di voti qualche gruppo o movimento (coalizzato con i grossi Partiti) ha potuto accedere al Consiglio regionale, altri – presentandosi autonomamente – pur ottenendo migliaia di voti sono stati esclusi. Di qui contenziosi, e ricorsi. Con i Partiti responsabili di tale legge assurda e intollerabile, colpevolmente muti e assenti, Nonostante le proteste da parte di innumerevoli comitati, movimenti e associazioni di tutta la Sardegna.

Di qui la recente proposta di legge di iniziativa popolare per la modifica del sistema elettorale vigente in Sardegna da parte di LIBE.R.U. (Lìberos Rispetados Uguales), il combattivo Partito indipendentista.
Ai primi di ottobre, partirà la raccolta delle 10 mila firme: ”Abbiamo scelto questa modalità – ha affermato il leader del Gruppo Pierfranco Devias – perché pensiamo sia corretto affidare al popolo sardo la possibilità di decidere sulle regole che disciplinano la sua rappresentatività all’interno del Consiglio regionale”.
La Proposta di legge si chiama “Proporzionale sarda”. E non casualmente. Il nucleo forte e caratterizzante consiste infatti nel “Proporzionale puro”.

L’obiettivo dichiarato è quello di scardinare “Una legge fortemente antidemocratica e tesa consolidare l’egemonia delle maggiori forze politiche e a premiare i rapporti di potere basati sul clientelismo. Una legge che, tramite meccanismi contorti e giochi di prestigio, perpetua una politica vecchia, fatta di blocchi di potere vecchi, impersonati da uomini vecchi e territori che prevalgono uno sull’altro”.

La Proposta nasce inoltre “dall’
esigenza di combattere una struttura politica in cui le regole della democrazia vengono piegate per consolidare il potere baronale di pochi individui, e si pone l’obiettivo di restituire pari dignità a tutte le forze politiche che vogliono entrare in competizione, pari rappresentatività a tutti i territori della Sardegna, pari opportunità a donne e a uomini”.

La
rappresentanza di genere è un altro aspetto caratterizzante fortemente la proposta. E’ pur vero infatti che nell’attuale legge essa è prevista: ma non funziona. Secondo gli indipendentisti di LIBE.R.U infatti il sistema di riequilibrio della rappresentanza di genere, previsto dall’attuale legge è positivo ma non sufficiente.

“Se infatti questo meccanismo resta come è oggi, vincolato ad un sistema di alleanze che prevede liste civetta e a una suddivisione del territorio in circoscrizioni piccole e controllate, accade che in ogni circoscrizione i vecchi baroni della politica sistemino il numero di donne necessario col solo scopo di rispettare la legge ma evitare di essere sorpassati da concorrenti donna. Le possibilità offerte da questo sistema hanno lasciato spazio a meccanismi astuti che permettono di conseguire un alto numero di voti, ma evitando il rischio di prendere meno voti di una donna.

In questo modo ci si assicura che le candidate donna non siano concorrenti temibili e capaci di soffiargli l’elezione, ma essendo comunque necessario ottenere una grande quantità di voti, anziché mettere in lista molte donne troppo rappresentative si preferisce portare i voti tramite la proliferazione di liste civetta, composte da una marea di candidati che portano voti ma non riescono a contendere il voto ai grossi personaggi”.

Invece secondo gli indipendentisti “La Proporzionale Sarda” garantisce un’equa rappresentanza femminile abolendo gli ostacoli che relegano le candidate donna a contorno e strumenti per l’elezione dei candidati uomini. E questo avverrebbe – ed è il terzo aspetto fondamentale della proposta – “grazie al’istituzione del collegio unico regionale, che disarticola il sistema di circoscrizioni costruite per la spartizione dei seggi tra pochi, e grazie all’abolizione del sistema di coalizioni, che determina la proliferazione di liste civetta finalizzate a portare voti ai più forti”.

Abolizione dunque delle 8 circoscrizioni, che lungi dal rappresentare tutti i territori, penalizzano i più deboli. La dimostrazione – è scritto nella Proposta – “è data dalla realtà: con questo meccanismo l’Ogliastra ha sempre eletto la metà dei rappresentanti previsti, nel 2014 la Gallura ne aveva eletto 2 su 6, il medio campidano paga sempre il pegno alle altre province più forti rinunciando sempre ad almeno un seggio”.

Viene dunque proposto il
Collegio unico: i consiglieri devono essere i rappresentanti della Sardegna non di un cantone. La Sardegna è una: “i cittadini sardi sono solo un milione e mezzo e non hanno quindi necessità di essere divisi in mille circoscrizioni, anche perché devono eleggere il Consiglio regionale di tutti i Sardi, e non un Consiglio provinciale del proprio territorio”.

La Proposta contiene altri elementi significativi – e a mio parere del tutto condivisibili – come l’impossibilità di costruire coalizioni (ogni lista deve correre da sola); la
non praticabilità del voto disgiunto (il candidato presidente è legato alla lista, quindi non potrà più essere l’ago della bilancia del risultato elettorale); la possibilità che tutti i candidati alla carica di Presidente possano concorrere a diventare consiglieri regionali proporzionalmente ai voti ottenuti: con l’attuale legge possono diventare Consiglieri solo il primo e il secondo più votati.

Insomma non deve più succedere quello che è avvenuto nel 2014 (con Michela Murgia restata fuori dal Consiglio regionale pur avendo ricevuto circa 76mila voti); o nel 2019 (con Francesco Desogus, ugualmente rimasto fuori dal Consiglio regionale pur avendo ottenuto oltre 85mila voti).

Nella proposta “LA Proporzionale sarda” è inoltre previsto un premio di maggioranza: “come misura estrema per dotare la legge di un sistema di governabilità e di stabilità di carattere oggettivo, quindi indipendente dalla volontà delle parti di trovare un accordo a tutti i costi”.

A mio parere è l’aspetto più debole della Proposta, che però complessivamente è condivisibile e da sostenere. E dunque da “firmare”. Per uscire da una Regione viepiù palude, portando dentro il Parlamento sardo forze sicuramente “fastidiose” per il baronato politico ma libere da incrostazioni clientelari, vive, attive e combattive

Francesco Casula
Saggista e storico della letteratura sarda
Autore (tra gli altri) dell’opera “Carlo Felice e i tiranni sabaudi”

Articolo tratto da “Il Manifesto sardo” del 16 settembre 2019



"Carlo Felice ed i Tiranni Sabaudi"

Il libro di Casula risponde a una domanda semplice: dopo che i Savoia ricevettero, controvoglia, la Sardegna nel 1720, e divennero re, come si comportarono verso quella importante parte del loro regno? La risposta al quesito è semplice, lineare, durissima: la Sardegna venne trattata come un territorio altro rispetto al Piemonte, abitato da uomini che avevano meno diritti rispetto agli altri, culturalmente e socialmente inferiori, i quali dovevano essere trattati in modo tale da mantenere questa inferiorità. Questo pensavano i tiranni sabaudi, e le loro modalità di governo, o meglio di spoliazione, sono la diretta conseguenza della visione ideologica appena tratteggiata.

Girolamo Sotgiu, probabilmente il più grande storico del periodo sabaudo in Sardegna, pur essendo un oppositore della “diversità” dei sardi rispetto agli italiani, non poté non constatare il carattere coloniale dei rapporti tra Piemonte e Sardegna. Di quei rapporti non sono colpevoli coloro che allora abitavano il Piemonte (per carità) bensì i governanti, cioè i Savoia e, successivamente, gran parte della classe dirigente post-1861.

Nel 2011, durante le celebrazioni del 150esimo anniversario dell’Unità d’Italia, si è persa l’occasione di riflettere criticamente sul Paese e sul processo di “unificazione”. Però si può sempre (ri)cominciare, anche in assenza di una ricorrenza. Se un turista, un italiano o uno straniero, viene in Sardegna, scoprirà che la strada più importante, la SS131, è la “Carlo Felice”. Carlo Felice, detto anche “Carlo feroce” è stato uno dei peggiori, più sanguinari e pigri vice-re di Sardegna.

Un amico studioso ama ripetere che è come se gli israeliani, nel 2200 dedicassero la loro strada più importante a un nazista, magari a Hitler in persona. Certo, questo sarebbe potuto succedere se i nazisti avessero vinto. Dato però che non è giusto che la storia la facciano i vincitori, le persone dotate di senno o almeno di amor proprio che abitano in Sardegna, perché non mettono mai in discussione la memoria che si reifica nei nomi delle strade e delle vie di Sardegna?

A Cagliari, nella piazza più frequentata, svetta la statua di Carlo Felice. Più di sei anni fa proposi, per molti provocatoriamente, di sostituirlo con Giovanni Maria Angioy, il quale “fu il capo […] del movimento anti-feudale sardo. Angioy fece proprie le rivendicazioni delle popolazioni della campagna vessate dai feudatari, e propugnò l’eliminazione delle arcaiche strutture di potere”. Da tempo, un movimento di opinione, che ha presentato anche una petizione, chiede che la statua venga spostata.

In questa fase storica, di disfacimento di un progetto politico (l’Italia), ragionare sulla sua storia secolare e i suoi governanti, ragionare sul suo carattere plurinazionale (l’Italia è insieme alla Francia uno dei paesi europei a non aver ratificato la Carta Europea delle Lingua Minoritarie), fa sicuramente bene ai popoli in cerca di una libertà che Roma non ha fornito, ma anche a Roma stessa.

Il libro di Francesco Casula, che rifiuta ogni razzismo anti-italiano, è un valido contributo per riscrivere veramente la storia, andando contro i tanti tradimenti dei presunti chierici.

Autore dell’articolo Enrico Lobina, da “Il fatto quotidiano”



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